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Responsabilità della banca: vendita diamanti e doveri

La Corte d’Appello di Torino ha riformato una sentenza di primo grado, affermando la responsabilità della banca per la vendita di diamanti a un prezzo gonfiato. Anche se la banca agiva solo come “segnalatore” e non era parte del contratto di compravendita, la sua condotta ha generato un “contatto sociale qualificato”, fonte di obblighi di protezione e informazione verso la cliente. La Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, pari alla differenza tra il prezzo pagato e il valore reale dei diamanti, rigettando l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca.

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Pubblicato il 29 giugno 2025 in Diritto Bancario, Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Responsabilità della Banca: Quando la Segnalazione di un Investimento Diventa un Obbligo

La responsabilità della banca nelle operazioni di investimento proposte ai clienti è un tema centrale nel diritto bancario. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Torino ha chiarito che l’istituto di credito può essere ritenuto responsabile per i danni subiti da un cliente a seguito dell’acquisto di diamanti, anche se la banca non era parte formale del contratto di vendita. La decisione si fonda sul concetto di “contatto sociale qualificato”, che impone alla banca specifici doveri di protezione e informazione. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i confini degli obblighi bancari e la tutela dei consumatori.

I Fatti del Caso

Una cliente, correntista di lunga data di un istituto di credito, veniva convinta dai funzionari della filiale a investire una somma considerevole (oltre 53.000 euro) nell’acquisto di diamanti come “bene rifugio”. L’operazione veniva proposta come un’occasione vantaggiosa, gestita tramite una società terza specializzata nella vendita di pietre preziose. La cliente, fidandosi del consiglio della sua banca, autorizzava l’addebito sul proprio conto corrente. Anni dopo, scopriva tramite la stampa che la società venditrice aveva commercializzato diamanti a un valore molto superiore a quello reale e che le quotazioni erano false. Una perizia confermava che il valore effettivo delle sue pietre era circa un terzo del prezzo pagato. Di fronte al fallimento della società venditrice, la cliente citava in giudizio la banca per ottenere il risarcimento del danno.

La Decisione della Corte d’Appello

In primo grado, il Tribunale aveva respinto la domanda della cliente, sostenendo che la banca avesse agito come mero “segnalatore”, estraneo al contratto di compravendita tra la cliente e la società di diamanti. La Corte d’Appello, invece, ha completamente ribaltato questa decisione.
I giudici di secondo grado hanno stabilito che, nonostante l’assenza di un contratto formale di intermediazione, tra la banca e la cliente si era instaurato un “contatto sociale qualificato”. Questa relazione, basata sulla fiducia che il cliente ripone nel proprio istituto di credito, genera obblighi di protezione, correttezza e informazione. La banca, proponendo attivamente l’investimento, utilizzando i propri locali e la propria modulistica, e beneficiando di una provvigione, aveva violato questi obblighi, non informando la cliente della non convenienza dell’operazione e dell’incongruità del prezzo. Di conseguenza, è stata condannata a risarcire il danno, quantificato nella differenza tra il costo sostenuto e il valore reale dei diamanti al momento dell’acquisto, oltre a rivalutazione e interessi.

La Responsabilità della Banca per “Contatto Sociale Qualificato”

Il fulcro della sentenza è il riconoscimento della responsabilità della banca non su base contrattuale classica, ma in virtù del cosiddetto “contatto sociale qualificato”. La giurisprudenza ha elaborato questa figura per tutelare l’affidamento che un soggetto ripone in un professionista qualificato. Nel caso specifico, la banca non era un semplice passacarte, ma un operatore professionale che, sfruttando il suo rapporto fiduciario con la cliente, l’ha indirizzata verso un’operazione dannosa.
La Corte ha specificato che l’attività di segnalazione e promozione della vendita di diamanti rientra tra le “attività connesse” a quella bancaria, previste dal Testo Unico Bancario. Questo inquadramento implica l’assunzione di doveri di diligenza e buona fede, la cui violazione configura una responsabilità di tipo contrattuale, con un termine di prescrizione decennale e non quinquennale come per l’illecito extracontrattuale.

Le Motivazioni

La Corte d’Appello ha motivato la propria decisione evidenziando come la banca avesse agito in modo da ingenerare nella cliente un legittimo affidamento sulla bontà dell’operazione. Gli elementi chiave sono stati: la conduzione delle trattative nei locali della banca, l’uso di modulistica della società venditrice ma distribuita dalla banca, e il ruolo attivo dei funzionari nel promuovere l’investimento. La Corte ha ritenuto irrilevante che la banca, negli accordi con la società venditrice, avesse escluso la propria responsabilità. Tali accordi interni non possono pregiudicare i diritti del cliente-consumatore.
Inoltre, i giudici hanno respinto l’eccezione di prescrizione. Qualificando la responsabilità come derivante da contatto sociale (e quindi assimilabile a quella contrattuale), il termine applicabile è quello ordinario di dieci anni, che non era ancora trascorso al momento della richiesta di risarcimento. La Corte ha sottolineato che, in ogni caso, il termine per far valere il diritto al risarcimento decorre non dal giorno dell’acquisto, ma dal momento in cui il danneggiato ha avuto effettiva conoscenza del danno e della sua ingiustizia, cosa avvenuta solo a seguito delle notizie di stampa e della successiva perizia.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza significativamente la tutela dei consumatori nei rapporti con gli istituti di credito. Stabilisce un principio chiaro: quando una banca promuove un prodotto o un servizio, anche se fornito da terzi, assume doveri di protezione che non possono essere elusi. La fiducia del cliente non è una merce, ma un bene giuridico che l’ordinamento tutela. Gli istituti bancari devono quindi esercitare la massima diligenza e trasparenza, informando i clienti non solo dei potenziali vantaggi, ma anche dei rischi e della congruità delle condizioni economiche delle operazioni proposte. Per i risparmiatori, questa decisione rappresenta un’importante conferma del fatto che la banca non può agire come un semplice venditore disinteressato, ma deve sempre operare per salvaguardare gli interessi del cliente.

Una banca può essere ritenuta responsabile per un investimento che ha solo “raccomandato”, senza essere parte del contratto di vendita?
Sì. La Corte d’Appello ha stabilito che la banca è responsabile perché, promuovendo attivamente l’investimento e sfruttando il rapporto di fiducia con il cliente, ha creato un “contatto sociale qualificato”. Questo genera obblighi di protezione e informazione, la cui violazione comporta una responsabilità per i danni causati, anche se la banca non è firmataria del contratto finale.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per un’azione di risarcimento in un caso come questo?
La Corte ha chiarito che la prescrizione applicabile è quella decennale (tipica della responsabilità contrattuale) e non quella quinquennale. Inoltre, il termine non decorre necessariamente dal giorno dell’acquisto, ma dal momento in cui il cliente ha acquisito una conoscenza effettiva del danno e della sua natura illecita, che in questo caso è avvenuto solo dopo aver appreso dalla stampa delle pratiche scorrette e aver fatto periziare le pietre.

Cosa si intende per “contatto sociale qualificato” nel rapporto banca-cliente?
È una relazione che, pur in assenza di un contratto specifico per l’operazione in questione, si basa sull’affidamento che il cliente ripone nella professionalità e nella correttezza della banca. Questo affidamento fa sorgere in capo alla banca doveri di protezione, diligenza e buona fede, la cui violazione è fonte di responsabilità risarcitoria, assimilata a quella contrattuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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