Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4093 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4093 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 33915 R.G. anno 2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME , domiciliata presso l’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
contro
ricorrenti avverso la sentenza n. 1306/2019 depositata il 3 settembre 2019 della Corte di appello di Ancona.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2023 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Ancona ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti di Banca Popolare di Ancona, ora RAGIONE_SOCIALE, diretta alla condanna di quest’ultima al risarcimento del danno per inadempimento contrattuale. Gli attori hanno dedotto di essersi rivolti alla convenuta per la regolarizzazione di attività finanziarie detenute all’estero a norma dell’art. 15 d.l. n. 350/2001, convertito, con modificazioni, in l. n. 409/2001. Hanno affermato che l’istituto di credito aveva errato nel far loro sottoscrivere due modelli F24 per il versamento di imposte: circostanza che aveva impedito la nominata regolarizzazione e determinato la necessità di operare un secondo versamento. Secondo il Tribunale non era stata fornita prova dell’esatto ambito del mandato conferito alla banca, e dunque della responsabilità di questa.
La sentenza è stata riformata dalla Corte di appello di Ancona, la quale ha condannato la banca al risarcimento del danno liquidato negli importi di euro 16.290,30 in favore di NOME COGNOME e di euro 4.519,00 in favore di NOME COGNOME: somme, queste, maggiorate di rivalutazione e interessi.
UBI ricorre per cassazione facendo valere cinque motivi di impugnazione, illustrati da memoria. Resistono con controricorso COGNOME e COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. . Si lamenta che la sentenza impugnata abbia accolto la domanda di controparte con motivazione solo apparente.
Col secondo motivo si oppone la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e, in alternativa, il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo discusso tra le parti. Si rileva che il mandato conferito alla banca non poteva essere adempiuto
se il modulo d’ acquisto consegnato era errato o incompleto.
Col terzo mezzo si lamenta, ancora, la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e, alternativamente il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo e discusso tra le parti. Si deduce che nessun addebito poteva essere mosso all’intermediario per l’errata compilazione del modello F24, non avendo il detto soggetto alcun obbligo di verificare la correttezza e la completezza del modulo utilizzato per l’adempimento dell’incombente.
Il quarto motivo prospetta la violazione e falsa applicazione del capo III del d.lgs. n. 241/1997, richiamato dall’art. 15 d.l. n. 350/2001, convertito, con modificazioni, in l. n. 409/2001. Viene dedotto che il cit. art. 15 esime l’intermediario delegato dall’assumere valutazioni circa la compilazione del modello ad opera del cliente, dovendo il cassiere limitare il proprio operato all’effettuazione del pagamento.
Col quinto mezzo si denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c. «in punto di vizio motivazionale assoluto sull’accoglimento della domanda di condanna della banca a seguito di errata applicazione del regime dell’onere della prova in relazione all’art. 1227 c.p.c. ». Ci si duole che la sentenza impugnata abbia riversato sulla convenuta, piuttosto che sugli attori, l’onere di dimostrare di aver richiesto all’erario il pagamento della somma indebitamente corrisposta.
– Il ricorso è nel complesso infondato.
2.1. La Corte di appello ha tratto riscontro del fatto che il mandato conferito alla banca concernesse la «complessa operazione di emersione», non quindi la singola esecuzione del pagamento, da precisi elementi: il fatto che i clienti si fossero avvalsi dell’apporto di un professionista da loro incaricato, il quale aveva seguito le operazioni in due distinte giornate; l’esistenza di due deleghe irrevocabili rilasciate dagli stessi COGNOME e COGNOME recanti il codice 1801, corrispondente a «somme versate per il rimpatrio e/o la regolarizzazione di attività
detenute all’estero»; il coinvolgimento nell’operazio ne del responsabile della filiale; il rilievo per cui ove mai avessero inteso dar corso a una operazione di semplice pagamento, gli appellanti avrebbero potuto rivolgersi allo sportello, senza avvalersi dell’ausilio del professionista e del direttore della filiale.
Tale impianto argomentativo non prospetta quella anomalia motivazionale, costituzionalmente rilevante, ancora deducibile in sede di legittimità: non si è, cioè, al cospetto di una «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ma neanche difronte a una «motivazione apparente», a un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» o a una «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). Quanto al vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. , esso è stato dedotto senza nemmeno indicare il fatto storico, principale o secondario, il cui scrutinio sarebbe mancato e, conseguentemente, senza precisare il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso sarebbe risultato esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sarebbe stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività»: specificazioni – queste – tutte indispensabili ai fini della rituale introduzione della censura (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054 citt.). Non si vede, poi, come possa configurarsi il vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c. (peraltro genericamente riferito a un intero capo di un provvedimento legislativo), posto che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge, implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre la ricorrente fa questione dell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta mediante le risultanze di causa, la quale inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195).
In realtà, la ricorrente aspira a una revisione del giudizio di fatto
del Giudice del merito: ma è da considerare inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34776; in senso conforme: Cass. 4 marzo 2021, n. 5987).
I primi quattro motivi sono dunque inammissibili.
2.2. -Il quinto motivo è infondato.
Nell’affrontare il tema della quantificazione del danno risarcibile , la Corte di appello ha disatteso la contestazione dell’istituto di credito, il quale aveva in sostanza opposto che la controparte avrebbe potuto recuperare la somma indebitamente corrisposta: ha rilevato, al riguardo, non essere stato dimostrato, da parte della banca, «che la richiesta nei confronti dell’erario avuto un esito positivo».
Ora, l’istante fa questione di una circostanza (la richiesta di rimborso all’erario) che la Corte di appello dà per assodata : in ciò mostra di non cogliere la precisa portata della decisione impugnata.
Ad ogni modo, il mezzo è declinato anzitutto quale vizio di motivazione e quale omessa pronuncia: ma non ricorre né l’uno né l’altro dei vizi denunciati, in quanto sul punto che qui interessa la Corte di merito ha reso una statuizione motivata.
Nemmeno ricorre l’inversione dell’onere probatorio lamentata nello svolgimento del motivo, in quanto, nel quadro della fattispecie contemplata dall’art. 1227, comma 2, c.c. , è il debitore a dover fornire la prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni, di cui chiede il risarcimento, usando l’ordinaria diligenza (Cass. 27 luglio 2015, n. 15750; Cass. 15 ottobre 2004, n. 20324).
3. Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione