Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7315 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7315 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 1888 del ruolo generale dell’anno 20 20, proposto
da
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi, giusta procura speciale a margine del ricorso, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliatisi presso lo studio della seconda in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrenti e controricorrenti al ricorso incidentale di COGNOME NOME
sRAGIONE_SOCIALE, in persona d’un a procuratrice speciale del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, col quale si domicilia all’indirizzo EMAIL
-controricorrente a entrambi i ricorsi-
Oggetto: BancaIntermediazione finanziariaOrdini d’investimentoApocrifia o mancanza delle sottoscrizioni- Rilevanza.
AC 30.1.2024.
nonché contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso, dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliatosi presso lo studio del secondo in Roma, alla INDIRIZZO
per la cassazione della sentenza della C orte d’appello di depositata in data 6 agosto 2019;
udita la relazione sulla causa svolta nell’adunanza camerale del gennaio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
– controricorrente e ricorrente incidentaleBrescia, 30
Fatti di causa
Emerge dalla sentenza impugnata che i componenti della famiglia COGNOME, correntisti sin dalla fine del 1993 della Banca popolare di Brescia-Bipop Carire, cui è poi subentrata RAGIONE_SOCIALE, versarono alla banca rilevanti importi, col mandato di procedere a investimenti garantiti coerenti col loro profilo di basso rischio; e difatti per un primo periodo il direttore della filiale di Manerbio, NOME COGNOME, provvide a investimenti a capitale garantito in pronti contro termine.
Nel corso del rapporto, tuttavia, il direttore COGNOME, anziché proseguire con gli investimenti a capitale garantito, senza alcuna autorizzazione dirottò il danaro dei risparmiatori su investimenti ad alto rischio, così determinando gravi danni al loro patrimonio.
Per conseguenza NOME, NOME, NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero in giudizio la banca per ottenere la restituzione delle somme investite senza autorizzazione, a loro dire oggetto di riconoscimento di debito in dichiarazioni sottoscritte dal direttore, e, in subordine, il risarcimento del danno patito per effetto della negligenza dell’istituto bancario.
La banca, costituitasi in giudizio, propose domanda di manleva nei confronti di NOME COGNOME, il quale pure si costituì in giudizio chiedendo il rigetto delle domande.
Nel corso del processo gli attori disconobbero le proprie sottoscrizioni apposte sui documenti prodotti dalla banca, in relazione ai quali proposero querela di falso. Il Tribunale di Brescia, in esito a una consulenza grafologica, dichiarò la falsità di alcuni di quei documenti e accolse, sia pure riducendone il quantum, le domande risarcitorie, ad eccezione di quella proposta da NOME COGNOME, nonché la domanda di manleva.
La Corte d’appello di Brescia ha parzia lm ente accolto l’appello principale proposto dalla banca e quello incidentale proposto da NOME COGNOME COGNOME ha rigettato quello promosso dagli investitori (ad eccezione della richiesta di distruzione dei documenti apocrifi).
A sostegno della decisione, per i profili d’interesse, la corte territoriale ha qualificato la domanda proposta dagli investitori, riconducendola nell’alveo della responsabilità contrattuale, e ha ritenuto applicabile l’art. 1228 c.c., posto che , ha osservato, NOME COGNOME aveva potuto compiere la propria attività dannosa grazie alla posizione di dipendente della banca e all’assenza di forme di controllo interno, tali da evitare il verificarsi di episodi come quelli occorsi alla famiglia COGNOME.
Difatti, ha evidenziato il giudice d’appello , erano emersi l’apertura di svariati conti correnti intestati a NOME COGNOME e ad altri componenti della sua famiglia, nonché un dossier titoli intestato a NOME COGNOME e vari rapporti di gestione portafoglio di investimento in fondi comuni in base a contratti privi di sottoscrizione dei clienti o muniti di sottoscrizioni rivelatesi apocrife, nonché operazioni di prelievo e di versamento sulle gestioni patrimoniali non sottoscritte o con sottoscrizioni pure risultate
apocrife, secondo quanto accertato nel corso del giudizio con la consulenza grafologica.
Erano state poi acquisite agli atti dichiarazioni ricevute da COGNOME, da lui datate e sottoscritte nella qualità di direttore della filiale di Manerbio su carta intestata della banca, concernenti investimenti non meglio precisati e rendimenti di fantasia, non corrispondenti, come emerso dalla consulenza contabile pure svolta, alla documentazione prodotta da RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice d’appello ha quindi concluso che la banca, attraverso il proprio dipendente COGNOME, direttore della filiale di Manerbio, aveva operato per anni in nome e per conto dei COGNOME, aprendo rapporti senza autorizzazione e anzi contro la volontà dei clienti, falsificando la loro firma e investendo in titoli con alto profilo di rischio, senza fornire alcuna informazione, né acquisendole dagli investitori.
Il nesso di causalità tra gli eventi lesivi e l’attività di direttore di filiale svolta da COGNOME è poi emerso, ad avviso della corte d’appello, dalle dichiarazioni di dipendenti di quella filiale, che ne hanno delineato il ruolo di interlocutore esclusivo dei COGNOME, laddove in una sola occasione è risultato che i contatti tra investitori e intermediario si erano tenuti fuori dai locali della banca.
Il giudice d’appello, peraltro, rispondendo all’eccezione posta dalla banca sulla quale il tribunale non si era pronunciato, ha riconosciuto il concorso del fatto colposo degli investitori, per i danni che avrebbero potuto evitare disinvestendo le somme giacenti sui rapporti da loro contestati, se avessero seguito l’ invito che sarebbe stato loro rivolto dalla banca con lettera del 6 ottobre 2008, eventualmente destinando quelle somme a investimenti a basso rischio.
Per conseguenza, ha ritenuto che la perdita di valore delle somme investite non fosse imputabile alla banca a partire dalla data dell’invito e ha condannato gli investitori a restituire alla banca, che
aveva corrisposto nelle more del giudizio d’appello l’intero importo della condanna disposta dal tribunale, la somma di euro 124.231,28, oltre interessi dalla data del pagamento al saldo, corrispondente alla differenza tra l’ammontare a disposizione degli attori alla data del 6 ottobre 2008, perché giacente su conti correnti o gestioni di portafoglio loro intestati, e quello rimasto giacente alla data del 7 luglio 2015, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria maturati a decorrere dal 6 ottobre 2008 sulla somma di euro 813.642,00, giacente all’epoca .
Ha, invece, respinto il capo di appello concernente il rigetto della domanda proposta da NOME COGNOME, perché fondata esclusivamente sul rendiconto periodico delle somme investite sottoscritto da COGNOME, che ha ritenuto privo di valore probatorio.
La corte territoriale ha rigettato anche l’appello incidentale proposto da COGNOME in relazione alla domanda di manleva proposta dalla banca, che ha considerato fondata anche indipendentemente dalla consulenza grafologica svolta; e ciò in base ai contratti di gestione patrimoniale e di conto corrente, alla proposta di assicurazione SERENA e alle singole operazioni di investimento, prelievo e versamento privi delle sottoscrizioni dei clienti, nonché alle dichiarazioni di riepilogo degli investimenti rilasciate dallo stesso COGNOME, che riportavano dati smentiti dalla documentazione bancaria, come d’altronde emergeva ictu oculi per l’indicazione di percentua li d’interesse del tutto irreali e nettamente al di sopra rispetto ai tassi effettivi del periodo.
Contro questa sentenza i ricorrenti propongono ricorso per ottenerne la cassazione, che affidano a quattro motivi, cui replicano RAGIONE_SOCIALE con controricorso e NOME COGNOME con controricorso e ricorso incidentale, anch’esso articolato in quattro motivi, contrastato con controricorsi da RAGIONE_SOCIALE e dai ricorrenti principali.
I ricorrenti principali e s.p.a. RAGIONE_SOCIALE depositano altresì memorie.
Motivi della decisione
1.Col primo motivo del ricorso principale i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 1227 c.c., anche in combinazione con gli artt. 1175 e 1375 c.c., delle norme in materia di nullità dei contratti, la violazione o falsa applicazione dell’art. 1206 c.c. e l’omesso esame di fatti decisi vi, perché la corte d’ appello ha dato rilievo, per giustificare il concorso del loro fatto colposo, al suggerimento contenuto in realtà non già in una comunicazione della banca, come sostenuto in sentenza, ma in una missiva del difensore di questa, rivolta ai difensori dei COGNOME, perdipiù nel corso dell’accertamento de i lamentati inadempimenti.
1.1.- Al riguardo, l a corte d’appello ha accertato che:
a.- la banca, per il tramite del direttore della filiale di Manerbio, ha « … operato per anni in nome e per conto degli attori/appellati, aprendo rapporti e posizioni contrattuali senza alcuna autorizzazione e anzi contro la volontà dei clienti, falsificando la loro firma e non rispettando la forma prevista per gli investimenti finanziari, investendo in titoli con alto profilo di rischio senza avere mai fornito alcuna informativa ai clienti sulla natura ed i rischi dell’investimento né acquisito le necessarie informazioni dai clienti e consegnato agli stessi il documento relativo ai rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, in violazione degli obblighi imposti dagli artt. 21 d.Legisl. n. 58/98 TUF e 28 del Regolamento Consob n. 11522 del 01.07.98 »;
b.- queste condotte hanno determinato un grave danno per i clienti, ragguagliato alla notevole riduzione del capitale investito;
c.- non è configurabile alcun comportamento anomalo degli investitori, tale da recidere il nesso causale tra le suddette condotte
e il danno, o anche da determinare la riduzione del l’ammontare del risarcimento ex art. 1227, comma 1, c.c.
Secondo la corte d’appello, tuttavia, l’omesso disinvestimento delle somme giacenti sui rapporti contestati a seguito dell’invito del 6 ottobre 2008, che la corte riferisce alla banca, comporta, ex art. 1227, comma 2, c.c., l’esclusione del risarcimento dei danni ulteriori che i creditori avrebbero potuto evitare con ordinaria diligenza, ragguagliati alla perdita prodottasi a far tempo dalla data dell’invito ; ed è in base a queste considerazioni che ha condannato gli investitori a restituire alla banca gli importi dei quali si è dato conto in narrativa.
I ricorrenti escludono la configurabilità del loro concorso colposo: anzitutto, rilevano, l’invito al disinvestimento, che peraltro assumono sia stato prodotto tardivamente in giudizio, proveniva non già dalla banca, bensì dal difensore di essa, che lo aveva perdipiù rivolto al loro difensore nel corso del giudizio di primo grado, quando ancora non era stata disposta la consulenza grafologica. Inoltre, aggiungono, il disinvestimento non rientrava tra le attività da loro esigibili, perché i rapporti contrattuali ai quali si riferivano i capitali residui non erano loro imputabili, in quanto instaurati su iniziativa unilaterale e autonoma dell’istituto bancario, senza alcuna loro previa autorizzazione e senza alcuna valida sottoscrizione . E comunque, rimarcano, l’inosservanza dell’invito è irrilevante, in considerazione dell’incertezza e casualità del mercato borsistico.
2.- Il motivo, oltre che ammissibile in quanto, diversamente da quanto obiettato dai controricorrenti, adeguatamente formulato e incentrato nella sostanza non già sulla rivalutazione dei fatti, ma sulla deduzione di violazione di legge, è fondato nei limiti di seguito precisati.
Gli investitori, là dove escludono che possano essere loro riferiti i rapporti contrattuali instaurati su iniziativa autonoma della
banca, per il tramite del direttore della filiale di Manerbio, senza alcuna valida sottoscrizione e senza alcuna comunicazione e quindi, senza loro disposizioni, evocano, pur senza citarlo, l’art. 1711, comma 1, c.c., secondo cui l’atto che esorbita dal mandato resta a carico del mandatario. In effetti, gli investimenti in titoli con alto profilo di rischio hanno esorbitato dal l’incarico originariamente conferito dagli investitori all’istituto bancario, accostabile al mandato, che prevedeva investimenti garantiti coerenti col profilo di basso rischio, in relazione al quale si configurano come negozi esecutivi di acquisizione (Cass., sez. un., nn. 26724 e 26725/07; n. 18122/20): il modo di esecuzione del mandato non può rientrare nella discrezionalità del mandatario, poiché costituisce proprio il contenuto dell’obbligazione che grava su di lui.
Ma quel che resta a carico del mandatario sono gli effetti degli atti eccedenti il mandato , ossia gli effetti causati dall’eccesso di mandato, come si evince dalla possibilità, richiamata dallo stesso art. 1711 c.c., che il mandante ratifichi gli atti, appropriandosene, appunto, gli effetti.
Quindi, nel caso in esame, sono rimasti a carico della banca i risultati degli investimenti ad alto rischio, ossia gli effetti dannosi consistenti nelle perdite subite (sull’identificazione del danno patito dal l’investitore col capitale perduto vedi, fra le più recenti, Cass. n. 8353/23, punto 3.12), non già i capitali residui.
2.1.- E giova rilevare che la disciplina in questione è applicabile anche qualora il mandatario abbia esorbitato dal mandato usurpando il nome del mandante, com’è avvenuto nel caso in esame mediante le falsificazioni delle sottoscrizioni di cui si dà atto in sentenza e sulle quali gli investitori insistono.
Diversamente da quanto prospettato in ricorso, dunque, col quale si ritiene che i contratti conclusi dall’intermediario infedele con sottoscrizioni apocrife siano radicalmente nulli per mancanza
di consenso, l ‘usurpazione da parte del mandatario del nome del mandante è assimilabile alla spendita indebita di esso, benché l’ipotesi non sia immediatamente riconducibile a quella della rappresentanza diretta. È difatti possibile in questo caso l’applicazione in via analogica della disciplina codicistica dettata per la spendita indebita: il mandante, del quale è mancato il consenso ab origine , è appunto tutelato con l’inefficacia del l’atto cui è rimasto estraneo (Cass. n. 22891/16; n. 5479/23).
3.- Di là dalle perdite, determinate a mano a mano dall’eccesso di mandato, sono dunque rimaste nella disponibilità degli investitori le residue somme investite nei titoli: gli investitori le avrebbero potute disinvestire.
Va allora verificato se sussistano elementi in base ai quali affermare ch e l’indebito accollo del rischio sia o no cessato, ossia se gli investitori, adoperando l’ordinaria diligenza cui ciascuno è tenuto nella gestione del proprio patrimonio, siano stati, o no, in grado di percepire l’esistenza di tali risch i: la corte d’appello ha appunto ravvisato il concorso colposo proprio perché a suo avviso gli investitori avrebbero potuto evitare con ordinaria diligenza i danni corrispondenti alla perdita prodottasi a far tempo dalla data dell’invito loro pervenuto nel corso del giudizio di primo grado.
3.1.Sul punto, la censura concernente la violazione dell’art. 1227, comma 2, c.c. si rivela fondata.
A differenza dell’ipotesi prevista dal comm a 1 dell’art. 1227 c.c., il quale limita o esclude il risarcimento del danno che è causato in tutto o in parte dallo stesso danneggiato secondo la comune imputazione causale, come corollario, appunto, del principio della causalità, per cui al danneggiante non può far carico quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile (Cass., sez. un., n. 24406/11), il comma 2 impone al
danneggiato uno specifico dovere di correttezza inteso a evitare il danno causato dal comportamento illecito del danneggiante.
In questo caso, la totale o parziale imputazione del danno al danneggiato consegue alla violazione consapevole dell’impegno di cooperazione secondo correttezza che grava su di lui. La dottrina specifica al riguardo che il concorso colposo previsto al comma 1 dell’art. 1227 c.c. riguarda il danno-evento, mentre l’in adempimento dell’obbligo solidale di ridurre gli effetti negativi del danneggiamento concerne il danno-conseguenza: la distinzione del concorso colposo dal dovere del danneggiato di limitare le conseguenze negative implica quindi che il danneggiato sia il soggetto più vicino alla sfera giuridica lesa e dunque colui il quale è in grado di contenere i pregiudizi dell’illecito in modo più economico.
3.2.- La mancanza dell’intervento del danneggiato , per essere rilevante, deve dunque costituire violazione di un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede e oggetto di un’eccezione in senso stretto. E allora, spetta al danneggiante la prova non soltanto della violazione del dovere d’intervento, ma anche della certa o probabile utile incidenza che l’ intervento avrebbe avuto nel senso di limitare gli effetti lesivi (sulla distinzione tra le ipotesi contemplate dai due commi dell’art. 1227 c.c., anche con riguardo alla diversità degli oneri processuali, tra varie, vedi Cass. n. 19218/18; n. 3413/23).
4.- Nel caso in esame, la corte d’appello si è contentata d ell’invito al disinvestimento dinanzi richiamato, che ha peraltro ritenuto proveniente dalla banca, e non già dal difensore nell’ambito di una corrispondenza col difensore di controparte ; ma non ha delineato alcun dovere d’in tervento , che quell’omesso disinvestimento avrebbe violato. N ell’invito integralmente
trascritto in ricorso, d’altronde , si legge soltanto il riferimento al l’esigenza « di neutralizzare il rischio di oscillazione degli investimenti finanziari formalmente intestati agli attori ».
Al riguardo, questa Corte ha già stabilito, in generale, che l’intermediario inadempiente non p uò invocare l’attenuazione della propria responsabilità ex art. 1227 c.c., se l’investitore, soprattutto se non qualificato o non professionale, non ne condivide i suggerimenti a diversificare gli investimenti o a disinvestire da lui ricevuti dopo l’esecuzione dell’ordine di acquisto ed entro il termine di scadenza dell’investimento: una tale condotta non comporta un’esposizione volontaria a un rischio, né viola una regola di comune prudenza (Cass. n. 17333/15; n. 8353/23, cit.).
4.1.Con specifico riguardo all’ipotesi in questione, anche di là dalla provenienza e dal contesto dell’invio dell’invito, il fatto stesso ivi rappresentato che i titoli fossero soggetti a oscillazioni è ininfluente, perché significa che la quotazione poteva scendere, ma anche salire: del successivo deprezzamento del valore dei titoli, quindi, non possono per ciò solo essere chiamati a rispondere, a titolo di concorso, le vittime dell’illecito (per analoga valutazione, vedi Cass. n. 29352/18).
Non emergono, in particolare, elementi in base ai quali poter affermare che sia frutto di una scelta autonoma degli investitori la conservazione della titolarità dei titoli in questione o, invece, che di quei titoli gli investitori non fossero in grado di disfarsi alle normali condizioni di mercato in quel momento ravvisabili (secondo le precisazioni fornite da Cass. n. 29864/11; n. 28810/13; n. 30902/17).
L’invito, dunque, risulta irrilevante comunque; e l’irrilevanza comporta l’assorbimento sia del profilo riguardante la pretesa tardività della sua produzione in giudizio, sia di quello concernente la pretesa violazione dell’art. 1206 c.c .
Il motivo va quindi accolto nei limiti indicati.
Le considerazioni poste a base dell ‘accoglimento comporta no l’assorbimento altresì del secondo motivo del ricorso principale , col quale si deduce la violazione o falsa applicazione dell’a rt. 1224 c.c., e l’omesso esame d ella riduzione di rivalutazione e interessi in base al presupposto che le somme in questione fossero già nella titolarità degli appellati.
5.- Fondato è, poi, anche il terzo motivo di questo ricorso , anch’esso ammissibile perché adeguatamente formulato, contrariamente a quanto obiettato nei controricorsi, col quale i ricorrenti, recte , NOME COGNOME denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1228, 1418, 2104, 2105 e 2049 c.c., oltre degli artt. 21 e 23 del tuf e 28 del regolamento Consob n. 11522/98, dei principi in materia di prova posti dagli artt. 2697, 2709 e 2727 c.c., 116 e 210 c.p.c., nonché dell’art. 3 Cost. , là dove la corte d’appello ha rigettato il capo di domanda concernente appunto NOME COGNOME, perché fondato esclusivamente sul rendiconto periodico delle somme investite sottoscritto da COGNOME, che ha ritenuto privo di qualsivoglia valore probatorio.
Si evidenzia difatti, a sostegno del motivo, che il consulente tecnico d’ufficio nominato in primo grado aveva riconosciuto nella propria relazione che da un prospetto datato 2 gennaio 2003 su modulo Bipop risultava un investimento di € 1270,00 a nome di NOME COGNOME con un montante di euro 1385,00. E la stessa corte d’appello, nel richiamare i chiarimenti resi dal c.t.u., comunque ha riconosciuto rilevanza alla « rappresentazione degli investimenti alla data della dichiarazione suscettibili di variazione nel tempo ».
Il motivo, che va riqualificato come vizio di omesso esame del suddetto fatto decisivo, scaturente dal prospetto indicato, va quindi accolto: può difatti essere denunciato per cassazione il mancato esame di un documento qualora determini l’omissione di motivazione
su un punto decisivo della controversia, in particolare quando, come nel caso in esame, il documento offra la prova di circostanze idonee a orientare diversamente il giudizio di merito (in termini, fra varie, Cass. n. 16812/18; n. 4169/24).
Emerge per conseguenza anche l’infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità proposta dalla banca perché si sarebbe prodotta una ‘doppia conforme’.
Risulta assorbito il quarto motivo del ricorso principale, concernente la regolazione delle spese.
5.1.- In definitiva, in accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso principale, va cassata la sentenza impugnata, in relazione ai profili accolti, con rinvio per riesame delle questioni alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione.
6.- Passando al ricorso incidentale, col primo motivo NOME COGNOME lamenta la violazione o falsa applicazione degli art. 1418, 1218, 1223, 2049, 2033 c.c., nonché la violazione dell’art. 23, comma 1, del tuf e dell’art. 117 del TUB, perché gli attori non hanno proposto domanda di restituzione dell’indebito : secondo il ricorrente l’affermata nullità dei contratti sui quali si fonderebbe la domanda risarcitoria da illecito contrattuale li avrebbe resi originariamente inidonei a produrre effetti giuridici tra le parti, per cui la corte non avrebbe potuto pronunciare condanna al risarcimento dei danni.
Il motivo, anche di là dalle considerazioni svolte sub 2.1. in ordine al regime dei contratti stipulati con usurpazione del nome mediante falsificazione delle firme, è inammissibile, perché non congruente col contenuto della decisione.
Come risulta proprio dai passi della sentenza d’appello trascritti a sostegno del motivo, i contratti quadro di investimento e di conto corrente compiuti a partire da luglio 1997 sono stati lo strumento per l’esecuzione, da parte di COGNOME, di « operazioni finanziarie non volute e non autorizzate », compiute, quindi,
eccedendo il mandato conferito sin dal 1993 di investire in pronti contro termine.
L’azione risarcitoria, allora, è correlata alla violazione dell’obbligazione del mandatario posta dall’art. 1711, comma 1, c.c., come emerge dalla ricostruzione che si legge in sentenza: « … già nel corpo dell’atto di citazione gli attori/appellati…hanno altresì allegato -chequalsivoglia investimento effettuato dalla Banca e dal direttore di filiale in violazione del mandato conferito…non è opponibile ai COGNOME ». Non è dedotto l’inesatto adempimento dei contratti compiuti a partire dal 1997, ritenuti nulli, che sarebbe eliso in radice proprio in ragione della nullità (come stabilito da Cass. n. 12996/16, richiamata da COGNOME), ma l’inadempimento del mandato conferito a partire dalla fine del 1993, mediante lo svolgimento di attività esorbitante dai limiti di esso.
7.- Analoghe considerazioni fanno giustizia del secondo motivo del ricorso incidentale , col quale si ripropone la medesima censura già esaminata, sotto le spoglie del vizio di nullità della sentenza o del procedimento per « vizio procedurale motivazionale (diverso dall’omesso esame di un fatto decisivo) ».
8.Inammissibile è altresì il terzo motivo del ricorso incidentale , col quale il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 269 c.p.c., 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché dell’art. 24 Cost., quanto alla valutazione che dalle risultanze istruttorie sia emersa la responsabilità di NOME COGNOME sia in ordine alle condotte tenute nei confronti degli investitori, sia in relazione all’azione di manleva.
Di là dallo schermo della violazione di legge, col motivo si propone una diversa lettura delle risultanze processuali.
8.1.- E giova ribadire che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione
della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio).
È, invece, inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (per tutte, Cass., sez. un., n. 20867/20).
Inoltre, quanto al diritto alla prova che il ricorrente incidentale assume violato per l’omessa escussione di tutti i testi indicati, si ribadisce che v’è violazione di questo diritto, peraltro denunciabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., quando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti oppure affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso e al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. 30810/23).
A nche per quest’aspetto il motivo risulta quindi inammissibile , in considerazione delle genericità e dell’assertività dell’assunto che « la parte ha non solo il diritto di dedurre le prove, ma anche il diritto a che il giudice le prenda in considerazione in sede di decisione ».
Irrilevante è anche la considerazione che la c.t.u. grafologica non abbia accertato che alla falsificazione delle sottoscrizioni abbia provveduto proprio COGNOME, sia perché non elide il ragionamento presuntivo svolto al riguardo in sentenza (« trattandosi di documenti di cui il solo COGNOME ha avuto la disponibilità essendo stato il solo, presso la filiale di Manerbio, ad essersi occupato della gestione del patrimonio investito dagli attori/appellati »: pag. 38), sia perché non incide sulla rilevanza assegnata dalla corte territoriale alle
dichiarazioni redatte da COGNOME su carta intestata della banca quale direttore della filiale di Manerbio, « che già di per sé basta a dimostrare la condotta infedele del dipendente » (pag. 34).
9.- Analoghe considerazioni valgono per il quarto motivo di questo ricorso , col quale il ricorrente ripropone la medesima censura, stavolta lamentando la nullità della sentenza o del procedimento per avere la co rte d’appello accertato con « vizio procedurale motivazionale (diverso dall’omesso esame di un fatto decisivo) » la sua responsabilità sia in relazione agli attori, sia quanto all’azione di manleva, anche con riguardo agli artt. 112 e 132 c.p.c. (oltre che agli artt. 115, 116, 269 c.p.c., 2697, 2727 e 2729 c.c., e 24 Cost.).
10.Il ricorso incidentale è quindi inammissibile per l’inammissibilità dei motivi nei quali si articola.
Per questi motivi
la Corte accoglie il primo e il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo e il quarto, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e cassa la sentenza impugnata in relazione ai profili accolti, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione. Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, quanto al ricorso incidentale.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2024.