LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Responsabilità della banca: l’invito a disinvestire

La Corte di Cassazione analizza un caso di investimenti non autorizzati e con firme false effettuati da un direttore di filiale. La Corte ha stabilito che la responsabilità della banca per i danni non può essere ridotta attribuendo un concorso di colpa ai clienti solo perché non hanno seguito un generico invito a disinvestire, soprattutto se tale invito è pervenuto durante la causa. Il provvedimento chiarisce i limiti del dovere del danneggiato di mitigare il danno.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Bancario, Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Responsabilità della banca per dipendente infedele: l’invito a disinvestire non basta

La responsabilità della banca per gli illeciti commessi dai propri dipendenti è un tema cruciale nella tutela dei risparmiatori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti fondamentali, stabilendo che un semplice invito a disinvestire, rivolto al cliente danneggiato, non è sufficiente a ridurre la responsabilità dell’istituto di credito per le perdite subite. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti di causa

Una famiglia di risparmiatori, correntisti di una banca dal 1993, aveva conferito all’istituto un mandato per effettuare investimenti garantiti e a basso rischio. Per un certo periodo, il direttore della filiale locale ha rispettato tali istruzioni. Successivamente, però, lo stesso direttore, agendo senza alcuna autorizzazione e falsificando le firme dei clienti, ha dirottato ingenti somme di denaro su prodotti finanziari ad alto rischio. Queste operazioni, del tutto contrarie alla volontà e al profilo di rischio dei clienti, hanno causato gravi perdite patrimoniali.

I risparmiatori hanno quindi citato in giudizio la banca per ottenere la restituzione delle somme illecitamente investite e il risarcimento dei danni. L’istituto di credito, a sua volta, ha chiamato in causa il proprio dipendente chiedendo di essere tenuto indenne (manleva).

La decisione dei giudici di merito

Il Tribunale di primo grado aveva accolto le domande dei risparmiatori, accertando la falsità di diverse firme sui documenti di investimento. La Corte d’Appello, tuttavia, ha parzialmente riformato la decisione. Pur confermando la responsabilità contrattuale della banca per l’operato del proprio dipendente (ai sensi dell’art. 1228 c.c.), ha ravvisato un concorso di colpa dei clienti. Secondo i giudici d’appello, i risparmiatori avrebbero potuto evitare parte dei danni se avessero seguito un invito a disinvestire le somme, ricevuto dalla banca tramite una lettera del 6 ottobre 2008. Per questo motivo, la Corte d’Appello li ha condannati a restituire alla banca una parte del risarcimento già ricevuto.

La valutazione della Cassazione sulla responsabilità della banca

La questione è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha ribaltato la conclusione della Corte d’Appello sul concorso di colpa. Gli Ermellini hanno chiarito la distinzione fondamentale tra il mandato originario (investimenti a basso rischio) e gli atti compiuti dal direttore che ne hanno ecceduto i limiti.

Le operazioni ad alto rischio, effettuate con firme false, costituiscono un eccesso di mandato. Gli effetti dannosi di tali operazioni, ovvero le perdite patrimoniali, restano interamente a carico del mandatario infedele, cioè la banca, che risponde per l’operato del suo preposto. I clienti, infatti, sono rimasti del tutto estranei a tali contratti, il cui consenso era viziato all’origine.

L’irrilevanza dell’invito al disinvestimento

Il punto centrale della pronuncia riguarda l’applicazione dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, che impone al danneggiato di usare l’ordinaria diligenza per evitare ulteriori danni. La Cassazione ha stabilito che l’omesso disinvestimento a seguito di un generico invito a “neutralizzare il rischio di oscillazione” non integra una violazione di tale dovere.

Un simile invito, peraltro proveniente non direttamente dalla banca ma dal suo legale nel corso di una causa, non crea un obbligo giuridico per il cliente di liquidare le posizioni. La volatilità dei mercati finanziari implica che la quotazione dei titoli può tanto scendere quanto salire; di conseguenza, non si può addebitare alla vittima dell’illecito la scelta di non disinvestire, che è una scelta autonoma e non un comportamento negligente.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione distinguendo nettamente le due ipotesi previste dall’art. 1227 c.c. Il primo comma riguarda il fatto colposo del creditore che ha contribuito a causare il danno iniziale. Il secondo comma, invece, si riferisce ai danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza dopo che l’illecito si è verificato.

Nel caso di specie, la condotta dei risparmiatori non rientrava in nessuna delle due fattispecie. Non hanno contribuito all’illecito iniziale, che è stato interamente opera del funzionario della banca. Né si può dire che abbiano violato un dovere di diligenza per non aver seguito un suggerimento generico e incerto. Per configurare un concorso di colpa ai sensi del secondo comma, è necessario che il danneggiato violi un autonomo dovere giuridico di agire, cosa che non è avvenuta. Mancava, infatti, qualsiasi elemento per affermare che la conservazione dei titoli fosse una scelta irragionevole o che gli investitori potessero disfarsene facilmente a condizioni di mercato normali in quel preciso momento.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza significativamente la tutela degli investitori. La Cassazione ha sancito un principio di diritto chiaro: la banca non può invocare l’attenuazione della propria responsabilità per le condotte illecite di un dipendente basandosi sul fatto che il cliente, specie se non professionale, non abbia seguito suggerimenti di disinvestimento. La responsabilità della banca per aver ecceduto il mandato e per aver operato tramite firme false è piena e non può essere ridotta addebitando al cliente le conseguenze di una scelta (il mancato disinvestimento) che rientra nella normale alea del mercato finanziario. La causa è stata quindi rinviata alla Corte d’Appello per una nuova valutazione alla luce di questi principi.

La banca è sempre responsabile per gli atti illeciti del proprio dipendente?
Sì, secondo la sentenza, la banca risponde per l’attività dannosa compiuta dal proprio dipendente nell’esercizio delle sue funzioni, in base al principio della responsabilità contrattuale (art. 1228 c.c.). Gli atti che eccedono il mandato conferito dal cliente restano a carico della banca.

Il cliente ha l’obbligo di disinvestire per ridurre il danno causato dalla banca?
No, la Corte ha stabilito che un generico invito a disinvestire non fa sorgere un obbligo giuridico per il cliente. Il mancato disinvestimento non costituisce una violazione del dovere di ordinaria diligenza (art. 1227, comma 2, c.c.) tale da ridurre il risarcimento dovuto dalla banca, data l’incertezza sull’andamento futuro dei mercati.

Una firma falsa su un contratto di investimento che conseguenze ha?
La sentenza chiarisce che l’uso di firme false (apocrife) per stipulare contratti di investimento rende tali atti inefficaci nei confronti del cliente, il cui consenso è mancato. L’operazione è assimilabile a un atto che esorbita dal mandato e i suoi effetti negativi restano a carico della banca.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati