Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1918 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1918 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 33020/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Siena, alla INDIRIZZO, in persona del Responsabile di Servizio di Capogruppo Bancaria della Direzione Group RAGIONE_SOCIALE, dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO presso il dott. NOME COGNOME.
-ricorrente contro
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avvocato NOME COGNOME
-controricorrente –
e
NOMERAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore .
avverso la sentenza, n. cron. 798/2019, della CORTE DI APPELLO DI FIRENZE depositata in data 04/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 23/01/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato il 21 dicembre 2010, NOME COGNOME citò Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (per il prosieguo, breviter , MPS) ed il suo promotore finanziario NOME COGNOME innanzi al Tribunale di Livorno perché, accertati i reati commessi dal COGNOME in danno del primo, fossero condannati in solido, ex art. 31 T.UF., a risarcirgli il danno arrecatogli, pari ad € 1.043.463,00, oppure a restituirgli la medesima somma, oltre a risarcirgli il danno ex delicto quantificabile in € 50.000,00. In subordine, accertata la violazione delle regole di condotta degli intermediari finanziari, chiese condannarsi i convenuti alla restituzione di € 846.723,62, oltre interessi e rivalutazione. In via ulteriormente gradata, accertato che egli non aveva autorizzato il RAGIONE_SOCIALE ad effettuare le operazioni di acquisto e vendita di strumenti finanziari, chiese dichiararsi la nullità delle operazioni di negoziazione con la conseguente restituzione di tutte le somme investite ovvero il risarcimento dei danni subiti. In ulteriore subordine, chiese che, accertata l’illecita appropriazione, da parte del promotore, della somma di € 196.739,46, MPS fosse condannata, in solido con quest’ultimo, al pagamento di detto importo, oltre accessori.
1.1. A fondamento di tali istanze espose di aver stipulato, nell’anno 2000, presso la Banca 121 s.p.a. (poi incorporata per fusione da MPS), un contratto relativo ai servizi bancari e di investimento e di aver versato in banca ingenti somme che il promotore finanziario suddetto aveva utilizzato per effettuare investimenti su titoli rischiosi, generando perdite per € 846.723,62. Lamentò pure che il COGNOME, dopo avere esposto il suo patrimonio a cospicue perdite, del tutto arbitrariamente aveva acceso un conto corrente, a nome del
RAGIONE_SOCIALE, su FinecoBank s.p.aRAGIONE_SOCIALE ove aveva fatto transitare titoli per un controvalore di € 28.000,00, di cui, poi, aveva disposto autonomamente, eccetto che per la minor somma residuata pari ad € 12.672,00, appropriandosi del complessivo importo di € 196.73 9,46.
1.2. Si costituì la convenuta, deducendo che il COGNOME aveva svolto personalmente, negli anni, una considerevole attività di trading (sia utilizzando ordini scritti al promotore finanziario, peraltro mai disconosciuti nella sottoscrizione, sia tramite il servizio di internet banking , avvalendosi della sua password dispositiva, sia tramite il sistema phone banking ) e che alla fine del lungo rapporto, durato oltre sei anni, aveva fatto registrare rilevanti perdite, circostanza della quale controparte era sempre stata perfettamente a conoscenza. Contestò la pretesa “inadeguatezza” delle operazioni effettuate dall’attore, osservando come il relativo assunto fosse del tutto generico, in evidente violazione dell’onere di allegazione, giacché non specificava, per ogni singola operazione, le ragioni della asserita inadeguatezza, impedendo, così, alla banca di svolgere una compiuta difesa. Aggiunse che, comunque, la composizione del portafoglio dell’attore era assolutamente coerente con la sua propensione al rischio, le sue prospettive ed attese, la sua esperienza e la propria capacità di risparmio per come risultante sia dalla sua precedente operatività che dalla ” scheda per l’individuazione del profilo del cliente ” da lui sottoscritta ed anch’essa mai impugnata sotto alcun profilo. Negò che l’attività di negoziazione che aveva causato la perdita potesse attribuirsi al COGNOME, mancandone agli atti qualsivoglia prova. Eccepì la prescrizione quantomeno in relazione alle operazioni asseritamente illecite compiute fino al 2003. Chiese ed ottenne, infine, di essere autorizzata a chiamare in causa la FinecoBank s.p.a. al fine di sentirla dichiarare unica responsabile di quanto dedotto dal COGNOME oppure di essere manlevata di quanto eventualmente dovutogli.
1.3. Rimasto contumace il COGNOME ed espletata l’istruttoria, nel corso della quale furono disposte ed eseguite una c.t.u. contabile ed una medica, l’adito tribunale, con sentenza del 24 ottobre 2013, n. 1115, respinta l’eccezione di prescrizione proposta da MPS: i ) condannò quest’ultim a ed il COGNOME, ‘ in
solido, al pagamento della somma di euro 157.158,44 ‘ quale frutto ‘ delle condotte appropriative da parte del COGNOME ‘; ii ) con riguardo all’attività di negoziazione, poi, condannò i convenuti ‘ al pagamento, in favore dell’attore, della somma, espressa in valuta attuale, di € 846.273,00 accertata dallo stesso CTU, come minusvalenza in danno del COGNOME ‘; iii ) liquidò anche il danno non patrimoniale (danno biologico) quantificato nella somma, ‘ espressa in valuta attuale, di euro 8.866,00, oltre interessi sul capitale originario rivalutato annualmente dall’1.9.07 ad oggi ‘; iv ) condannò, infine, la FinecoBank s.p.a. ed il COGNOME, la prima limitatamente all’importo di € 20.254,47, a tenere indenne MPS dagli esborsi che la stessa avrebbe sopportato in forza delle predette condanne.
Il gravame promosso da MPS avverso quella decisione fu respinto dalla Corte di appello di Firenze, con sentenza del 4 aprile 2019, n. 798, resa nel contraddittorio con FinecoBank s.p.a. e con il COGNOME e nella contumacia del COGNOME.
2.1. In particolare, quella corte, stabilita la utilizzabilità, in chiave probatoria, di quanto rinvenibile nella sentenza di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. pen. emessa nei confronti del COGNOME: i ) ritenne che, « se è vero che gravi sull’investitore l’onere di provare il danno sofferto per il fatto illecito del promotore e del nesso di causalità tra l’illecito ed il danno, è pure indubitabile che, nel caso di specie, sia la condotta ascritta al promotore finanziario in sede penale che la correlata violazione, da parte sua, degli obblighi di diligenza e di informazione – particolarmente stringenti – imposti dalla normativa di settore costituiscono elementi gravi precisi e concordanti su cui fondare la prova presuntiva della sussistenza di conseguenze pregiudizievoli per il patrimonio del Sabatini e della derivazione causale di queste conseguenze dagli illeciti attribuiti al promotore finanziario. D’altronde, la violazione di specifici obblighi di informazione, volti a consentire al risparmiatore il compimento di scelte oculate e la prevenzione dei rischi connessi all’investimento, lascia presumere che questi rischi non sarebbero stati corsi se vi fosse stata un’adeguata informazione »; ii ) rimarcò che, « Tenendo conto di quanto accertato in punto di fatto già dal giudice a quo,
consegue che: l’attore, oggi appellato, ha allegato e dimostrato l’affidamento del mandato per le gestioni patrimoniali alla Banca per il tramite del suo promotore finanziario; ha altresì allegato il mancato rispetto, da parte di quest’ultimo, del profilo di rischio concordato (cd. mala gestio ), oltre che la violazione degli obblighi su di lui gravanti per legge e per regolamento, e l’aver agito, non solo con negligenza, bensì col dolo proprio di un reato o di un fatto comunque avente rilievo penale; il delitto è stato contestato in sede penale come commesso con le modalità meglio in atti specificate e, sebbene il relativo giudizio si sia concluso con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p., il Tribunale (e, di conserva con esso questa Corte) ne ha tenuto conto e, correttamente operando, ha espressamente riconosciuto come accertato, anche per la confessione dell’indagato, il compimento delle condotte volte a dissimulare il reale andamento degli investimenti, contestate in sede penale; queste condotte, per le modalità consistite negli artifici che hanno dato luogo a reato, comportano, di per sé, la violazione degli obblighi di cui agli artt. 107 e 108 del Regolamento “Intermediari”, senza che sul punto sia necessario aggiungere alcunché a quanto esposto nell’impugnata sentenza. , il giudice, dato il quadro probatorio anzidetto, non poteva che far gravare sul promotore finanziario (e sull’istituto di credito responsabile del suo operato ai sensi dell’ art. 31, comma 3, TUF) l’onere di provare che, malgrado tutto, il profilo di rischio dei clienti era stato rispettato; ovvero che le perdite patrimoniali erano state determinate da cause indipendenti dall’operato del promotore finanziario; e/o che si sarebbero prodotte anche se il profilo di rischio dei clienti fosse stato assecondato o se il promotore finanziario non avesse operato con modalità truffaldine, onere che è rimasto del tutto non assolto »; iii ) opinò che « Le argomentazioni che precedono sono idonee anche a superare la questione di una pretesa corresponsabilità del Sabatini, vuoi perché non provata, vuoi perché sempre dal medesimo contestata (in particolare con riferimento all’esistenza di moduli sottoscritt i in bianco con riferimento ai quali nessuna prova è stata fornita dalla Banca), vuoi perché l’operato abusivo del promotore, fondata su falsificazioni della sottoscrizione
degli ordini di prelievo e disinvestimento, integra una condotta che rendeva quantomeno problematico ipotizzare un negligente controllo della gestione da parte del cliente »; iv ) osservò che « Non vi è dubbio che spetti al danneggiato l’onere di provare i danni dei quali viene chiesto il risarcimento e che solo rispetto ai danni che siano stati oggetto di domanda risarcitoria debba essere compiuto il giudizio di derivazione causale dall’illecito , ma, nella specie, si rileva che l’entità del danno risulta conc ordata in primo grado dal c.t.u. e dal c.t.p. della stessa Banca oggi appellante (ovviamente con l’adesione del c.t.p. del Sabatini): orbene, nel verbale di chiusura delle operazioni peritali è dato leggere che, dopo aver determinato le voci distrattive in complessivi € 157.158,44 (vedasi il riferimento ai punti E – F – G H), si aggiunge che ‘per ciò che concerne la perdita sofferta dal Sabatini, in relazione agli investimenti, la cifra è rilevata in € 846.273,00, così come indicato a pagina 3 della comparsa di costituzione e risposta della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a.; detta cifra corrisponde, nella sostanza, anche a quella indicata dal c.t. di parte Sabatini’ e, quindi, vi è un espresso riconoscimento dell’entità del danno nella sua quantificazione (il che se non fa venir meno la questione della responsabilità rende non più ulteriormente contestabile l’ammontare del quantum ) ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., affidandosi a dieci motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.. Ha resistito, con controricorso, corredato da analoga memoria, NOME COGNOME mentre sono rimasti solo intimati NOME COGNOME e FinecoBank s.p.a.
3.1. Con ordinanza interlocutoria del 22 novembre/21 dicembre 2023, n. 35767, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte sulle questioni -ritenute rilevanti per dirimere l’odierna controversia di cui alle ordinanze interlocutorie rese da Cass. nn. 8895/23 e 11111/2023 (richiamate anche dalla successiva interlocutoria resa da Cass. n. 15593 del 2023). Intervenuta quella decisione, è stata fissata, dunque, una nuova adunanza camerale, in prossimità della quale entrambe le parti hanno ulteriore memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso, rubricato « Travisamento di una prova (prova omessa, rilevante e decisiva) – Conclusioni del c.t.u. – Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) », contesta la sentenza impugnata per avere ritenuto che, negli investimenti contestati, il profilo di rischio del cliente non era stato rispettato, quando, invece, la stessa c.t.u. espletata durante il giudizio aveva stabilito che ‘ gli investimenti effettuati sono stati conformi al profilo di rischio del cliente, almeno quello rilevato ad inizio del rapporto; il cliente, prima dell’inizio del rapporto per cui è causa, aveva già maturato esperienza e consapevolezza dei rischi connessi agli strumenti finanziari ‘. Da qui l’ erroneità del predetto assunto della corte territoriale, dovuto, appunto, al travisamento della prova fornita dalla relazione del c.t.u.
1.1. Tale doglianza si rivela inammissibile alla stregua delle complessive considerazioni di cui appresso.
1.2. Giova premettere che, come ancora ricordato da Cass. n. 1493 del 2025 e da Cass. nn. 16303, 11299 e 28385 del 2023 ( cfr . nelle rispettive motivazioni), un’autonoma questione di malgoverno dell’art. 115 cod. proc. civ. può porsi solo allorché la parte ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che « è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. »). È configurabile, invece, una violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. ove il giudice abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pur puntualizzato che, « ove si deduca che il giudice ha solamente male
esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione »; Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. n. 1493 del 2025; Cass. 24434 del 2016).
1.2.1. In altri termini, come rimarcato dalla già citata Cass. n. 1493 del 2025, la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione ( cfr . Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 cod. proc. civ., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), peraltro, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020): il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati ( cfr . Cass. n. 11176 del 2017).
1.3. È doveroso ricordare, poi, che giusta Cass., SU, n. 5792 del 2024, alla cui ampia e qui condivisa motivazione può farsi rinvio ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., « Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimed io nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti
dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale ».
1.4. Fermo tutto quanto precede, l’inammissibilità della doglianza in esame deriva, in primo luogo, dal fatto che, per come concretamente formulata ed argomentata, essa, in realtà, si rivela sostanzialmente rivolta ad ottenere una rivisitazione di quanto opinato dalla corte distrettuale, sulla base di accertamenti chiaramente fattuali da essa compiuti, in ordine alla ritenuta responsabilità del COGNOME e, conseguentemente, di MPS.
1.4.1. Invero, nel caso di specie non vi è stata alcuna ‘ dispercezione ‘ , bensì una valutazione -rispettosa del ‘ minimo costituzionale ‘ e, come tale, insindacabile in sede di legittimità -concernente il fatto che, sebbene l’odierno controricorrente fosse soggetto di sufficiente esperienza finanziaria con propensione al rischio, non poteva certo sostenersi che l’attività svolta dal COGNOME fosse riconducibile a detto profilo una volta risultato dimostrato, tramite quanto desunto dalla corte territoriale dalla sentenza di patteggiamento ex art. 444 cod. proc. civ. pronunciata nei suoi confronti, che lo stesso, in piena autonomia, aveva effettuato un copiosissimo numero di compravendite di titoli all’insaputa del COGNOME.
1.4.2. Da un lato, pertanto, non sussiste un fenomeno di travisamento della prova nei ristretti limiti in cui lo ha ricondotto la menzionata Cass., SU, n. 5792 del 2024; dall’altro, va rimarcato che il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, ridiscutendo gli esiti istruttori ivi espressi, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn.
27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 25495, 26871 e 27328 del 2024; Cass. n. 1497 del 2025).
1.5. Gli assunti della ricorrente, peraltro, nemmeno sembrano cogliere l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata nella misura in cui quest’ultima, dopo aver richiamato e ritenuto di poter valorizzare, al fine della responsabilità del COGNOME, e, quindi, della banca, gli elementi fattuali desumibili dalla sentenza di patteggiamento a carico del primo, ha opinato ( cfr . pag. 10 della sentenza suddetta) che « il giudice, dato il quadro probatorio anzidetto, non poteva che far gravare sul promotore finanziario (e sull’istituto di credito responsabile del suo operato ai sensi dell’art. 31, comma 3, tuf) l’onere di provare che, malgrado tutto, il profilo di rischio dei clienti era stato rispettato; ovvero che le perdite patrimoniali erano state determinate da ca use indipendenti dall’operato del promotore finanziario; e/o che si sarebbero prodotte anche se il profilo di rischio dei clienti fosse stato assecondato o se il promotore finanziario non avesse operato con modalità truffaldine, onere che è rimasto del tutto non assolto ». È chiarissimo, quindi, che, secondo la corte fiorentina, la banca convenuta/appellante avrebbe dovuto dimostrare non solo (e, per la verità, non tanto) l’adeguatezza delle operazioni al profilo di rischio del Sabatini, ma, soprattutto, che le perdite patrimoniali erano state determinate da cause indipendenti dall’operato del promotore finanziario e/o che dette perdite si sarebbero prodotte anche se il profilo di rischio dei clienti fosse stato assecondato o se il promotore finanziario non avesse operato con modalità truffaldine: proprio con riferimento a questi ultimi due aspetti, allora, il richiamo effettuato dalla corte d’appello ai fatti di cui alla predetta sentenza di patteggiamento e quanto si è riferito in precedenza circa l’essere state svolte dal COGNOME moltissime operazioni all’insaputa del COGNOME, si rivela decisivo per escludere che la banca abbia fornito la prova richiestale.
1.5.1. Resta solo da ricordare, infine, che, come recentemente ribadito da Cass. n. 28248 del 2023, « in tema di responsabilità della banca preponente per i danni arrecati a terzi dal promotore finanziario, l’accertamento compiuto dal giudice in ordine alle condotte da quest’ultimo
dolosamente poste in essere al fine di dissimulare il reale negativo andamento delle gestioni patrimoniali a lui affidate -autonomamente valutando in sede civile la sentenza di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. per il reato di truffa -fa presumere il nesso di causalità tra detto illecito del promotore finanziario ed il danno subito dall’investitore, consistito nella perdita, parziale o totale, del capitale investito; è fatta salva la prova contraria, spettante al promotore finanziario od alla banca preponente, che il profilo di rischio del cliente è stato rispettato ovvero che le perdite si sarebbero ugualmente verificate, in pari o diversa misura, anche se il profilo di rischio del cliente fosse stato rispettato o se l’illecito del promotore finanziario non vi fosse stato, ovvero che il cliente non avrebbe disinvestito pure se fosse stato reso edotto del reale negativo andamento della gestione patrimoniale (Cass., n. 18363 del 26/7/2017; Cass., 1 n. 36554 del 14/12/2022) ».
Il secondo motivo di ricorso, recante « Violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 5 ), con riferimento all’omesso esame del fatto decisivo costituito dall’accertamento del c.t.u. circa l’adeguatezza al profilo di rischio del cliente degli strumenti finanziari acquistati -Nullità della sentenza per omesso motivato dissenso dalle conclusioni del c.t.u.; violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e 111 », ascrive alla corte territoriale di avere omesso di valutare il fatto che tutti gli ordini erano adeguati al profilo di rischio del cliente, costituendo questo un punto decisivo della causa conforme a quanto previsto nella c.t.u. Si assume che la sentenza impugnata è nulla per avere il giudice omesso di motivare in ordine al suo dissenso rispetto alle conclusioni del c.t.u.
2.1. Anche questa doglianza, chiaramente collegato alla prima (come dimostra il suo incipit : ‘ ove quanto innanzi non fosse condiviso …’) , risulta complessivamente inammissibile.
2.2. Invero, nella misura in cui la si voglia realmente ricondurre all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., essa dimentica, evidentemente, che, avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui applicabile ratione temporis
(giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dall’odiern a ricorrente con citazione notificata nel 2014. Cfr . Cass. n. 11439 del 2018), la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (cd. ‘ doppia conforme ‘), -e tanto è sicuramente avvenuto, nella specie, quanto alla ritenuta sussistenza della responsabilità anche della odierna ricorrente -questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che « Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice »), sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( cfr . Cass. n. 1493 del 2025; Cass. nn. 19371, 17021 e 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere, invece, qui rimasto inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza in esame.
2.3. In ogni caso, è doveroso rimarcare, da un lato, che la pretesa apparenza di motivazione è irritualmente denunciata mediante il raffronto con le risultanze processuali (mentre, invece, come ripetutamente sancito dalla qui condivisa giurisprudenza di legittimità, un simile vizio -ravvisabile nel caso, qui chiaramente insussistente, in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non
consentano l’identificazione dell’ iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice -deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva. Cfr., ex aliis , Cass. n. 1493 del 2025; Cass. nn. 27328, 19423 e 5375 del 2024; Cass. n. 35947 del 2023; Cass. nn. 33961 e 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021) ; dall’altro, che, giusta quanto si è complessivamente già detto con riferimento al precedente motivo, quanto qui lamentato da MPS nemmeno assume carattere decisivo.
Il terzo motivo di ricorso denuncia « Violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) con riferimento alla violazione dell’onere di allegazione e della prova in relazione al presunto inadempimento dell’obbligo informativo. Violazione degli artt. 112, 152, 163, n. 5, e 167 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998, dell’art. 24 Cost. ». Si deduce che la corte di appello, ed ancor prima il tribunale, non hanno correttamente valutato che, in relazione alla domanda subordinata dell’attore, poi accolta, volta a sentire accertare la violazione delle regole di condotta degli intermediari finanziari e ad otten erne la condanna alla restituzione di € 846.723,62, oltre interessi, il Sabatini non aveva allegato, in modo puntuale e specifico, come detta violazione fosse concretamente avvenuta, posto che non erano state indicate quali operazioni sarebbero inadeguate rispetto al suo profilo di rischio così da consentire alla banca di difendersi adeguatamente sul punto.
3.1. Anche questa censura, chiaramente influenzata dall’esito dei precedenti motivi, risulta inammissibile.
3.2. Invero, essa riporta stralci della comparsa di costituzione della banca, della sua comparsa conclusionale in primo grado e del suo atto di appello in cui la relativa questione era stata sollevata.
3.3. La sentenza oggi impugnata, a sua volta, dopo continui richiami alla possibilità di avvalersi degli accertamenti contenuti nella sentenza di
patteggiamento a carico del COGNOME, afferma ( cfr . pag. 8) che l’attore « ha allegato e dimostrato l’affidamento del mandato per le gestioni patrimoniali alla banca per il tramite del suo promotore finanziario » ed il « mancato rispetto, da parte di quest’ultimo, del profilo di rischio concordato (cd. mala gestio ) oltre che la violazione degli obblighi su di lui gravanti per legge e per regolamento, e l’aver agito (lo stesso COGNOME) non solo con negligenza, bensì col dolo proprio di un reato o di un fatto comunque avente rilievo penale ».
3.4. Tanto appare sufficiente, tenuto conto, peraltro, di quanto si è detto, circa la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, con riferimento al primo motivo, per concludere nel senso che la questione ivi posta dall’appellante doveva considerarsi implicitamente respinta.
3.4.1. La censura, dunque, si rivela sostanzialmente rivolta ad ottenere una nuova valutazione -inammissibile, però, in questa sede -dei corrispondenti accertamenti fattuali invocati dalla corte distrettuale, così nuovamente mostrando di non considerare che il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, ridiscutendo gli esiti istruttori ivi espressi, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . le pronunce di legittimità già richiamate alla fine del precedente § 1.4.2. di questa motivazione).
Il quarto motivo di ricorso lamenta « Violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) con riferimento alla violazione dell’obbligo informativo; insussistenza; violazione degli artt. 21 e 23 del d.lgs. n. 58 del 1998, degli artt. 26, 28, comma 1, e 29 del Regolamento Consob n. 11522/98 ». Muovendo dalla premessa che le condotte contestate al promotore finanziario erano state poste in essere prima del recepimento delle direttive comunitarie n. 39 del 2004 e n. 73 del 2006, poi integrate dal regolamento n. 1283 del 2006 (sicché occorreva fare riferimento alla disciplina dettata dal T.U.F. del 1998 e dal Regolamento Consob n. 11522/98), si deduce che, nella specie, era insussistente l’obbligo informativo come declinato nelle sentenze del tribunale e della corte di appello, in quanto lo stesso era stato assolto con
l’informativa prevista dall’art. 28 del regolamento da ultimo indicato in occasione della individuazione del ‘ profilo di rischio ‘ del cliente. Le operazioni effettuate dal RAGIONE_SOCIALE dovevano, dunque, ritenersi adeguate al suo profilo di rischio (sotto ogni criterio (tipologia, oggetto, frequenza e dimensione), come confermato anche dal c.t.u. Nessuna violazione di specifici obblighi informativi, dunque, era legittimo predicare, con conseguente insussistenza di qualsivoglia inadempimento imputabile all’interm ediario, altresì considerando che, come si è già rimarcato nelle precedenti censure, il COGNOME non aveva adempiuto puntualmente all’onere di allegazione sullo stesso gravante in relazione alle specifiche operazioni ritenute inadeguate.
4.1. Questa doglianza si rivela complessivamente inammissibile sia, sostanzialmente, per effetto di quanto si è già detto per giustificare la medesima declaratoria di inammissibilità del primo e del terzo motivo, sia, soprattutto, in ragione del fatto che, a fronte della puntuale eccezione del COGNOME ( cfr . pag. 29 del controricorso) secondo cui si era al cospetto di una censura svolta per la prima volta in questa sede, sarebbe stato onere di MPS, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, riprodurre il contenuto della corrispondente doglianza formulata in grado di appello.
4.1.1. Un siffatto onere, tuttavia, non è stato adeguatamente assolto dal menzionato istituto di credito, sicché devono trovare qui applicazione i seguenti principi: i ) « In tema di ricorso per cassazione, se una questione giuridica implicante accertamenti di fatto non è stata trattata nella pronuncia impugnata, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito, qualora il ricorrente si limiti a richiamarli senza riprodurli nell’atto o senza fornire puntuali indicazioni per la loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo nei precedenti gradi » ( cfr ., in termini, Cass. n. 30087 del 2024. Del tutto analoga si rivela Cass. n. 18018 del 2024); ii ) « In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. in caso di deduzione di errores in procedendo , impone la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività
del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza » ( cfr . Cass. n. 21346 del 2024); iii ) « La Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo , è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, né potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato » ( cfr . Cass., SU, n. 20181 del 2019).
4.2. Esigenze di completezza, infine, impongono di sottolineare che la risposta da darsi all’interrogativo se l’adempimento degli obblighi informativi in questione debba assolversi continuamente, in corso di rapporto, o solo al momento della consegna del documento recante il profilo di rischio, dipende dalla concreta tipologia di rapporto (gestione patrimoniale o mera negoziazione di titoli) intercorso tra le parti, sicché, sul punto, può rinviarsi a quanto si dirà di seguito scrutinandosi, per quanto di rispettivo interesse, i successivi motivi quinto, sesto e settimo.
Il quinto ed il sesto motivo di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) con riferimento alla ritenuta sussistenza di un nesso di causalità tra violazione degli obblighi informativi e danno. In particolare, in relazione ai titoli già ritenuti in portafoglio dal Sabatini. Violazione dell’art. 28, comma 2, del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, degli artt. 2679, 1218, 1223 e 2043 c.c. e degli artt. 40 e 41 c.p. ». Si contestano le affermazioni della corte distrettuale in merito alla ritenuta sussistenza, in via presuntiva, del nesso causale tra
l’asserita violazione degli obblighi informativi da parte dell’intermediario ed il danno complessivamente lamentato dal COGNOME. Si sostiene che, laddove le operazioni di investimento sono adeguate (come, nella specie, accertato dal c.t.u.), l’esistenza d el nesso causale deve essere accertato in concreto, non potendosi escludere che l’investitore, una volta correttamente informato, avrebbe deciso di dare corso ugualmente all’investimento. Del tutto insussistente, inoltre, si sarebbe dovuto considerare il nesso suddetto in relazione alle perdite derivanti dai titoli già posseduti dal Sabatini in portafoglio anteriormente all’inizio del suo rapporto con la banca odierna ricorrente, rispetto ai quali, dunque, nessuna condotta eziologicamente rilevante poteva a scriversi a quest’ultima e/o al suo promotore finanziario ;
VI) « Violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) con riferimento all’omesso esame di motivo di appello e motivazione assente. Violazione degli artt. 112 c.p.c. e 132, comma 1, n. 4, c.p.c. e dell’art. 111 Cost. ». Si censura la decisione della corte territoriale nelle parti in cui ha omesso di esaminare il motivo di gravame concernente la ragione per la quale il COGNOME e, soprattutto, MPS avrebbero dovuto rispondere per l’esito infausto di titoli acquistati dal Sabatini prima dell’apertura del rapp orto de quo , in ordine ai quali nessuna attività di intermediazione la ricorrente aveva posto in essere.
5.1. Di tali doglianze, scrutinabili congiuntamente in ragione della connessione almeno parziale che le caratterizza, si rivela fondata solo quella di cui al sesto motivo, con conseguente assorbimento della seconda parte del quinto, la cui prima parte, invece, deve considerarsi inammissibile.
5.2. Invero, dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che la corte distrettuale effettivamente ha omesso di pronunciare sul motivo di appello, specificamente formulato da MPS (che ne ha dato sufficiente riscontro riproducendone sinteticamente il contenuto nelle doglianze in esame), volto a contestare la possibilità che fossero poste a carico della banca le perdite derivanti da titoli già detenuti dal Sabatini, del valore di € 447.000, prima dell’apertura del rapporto con la banca medesima .
5.2.1. Sul punto, peraltro, nemmeno può ritenersi esistente una pronuncia di rigetto implicita della medesima corte, posto che, da un lato, la
violazione degli obblighi informativi non era certamente configurabile rispetto a titoli acquistati dal COGNOME prima di instaurare il rapporto con l’intermediario (MPS, tramite il COGNOME) ; dall’altro, ch e, in ogni caso, il contenuto degli obblighi informativi di quest’ultimo derivante dal rapporto di gestione patrimoniale che la corte fiorentina ha stabilito -con accertamento qui non ulteriormente sindacabile giusta quanto si dirà scrutinandosi il settimo motivo -essere concretamente intercorso tra il RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE (per il tramite del COGNOME), non poteva che caratterizzarsi, con riferimento ai titoli predetti (vale a dire quelli già esistenti nel portafoglio dell’odierno controricorrente), in modo chiaramente differente rispetto a quei titoli ulteriori che il COGNOME, invece, aveva acquistato direttamente -ma illecitamente per quanto si è poi accertato nella sentenza di patteggiamento cui si è fatto riferimento in precedenza -gestendo, appunto, il danaro ed i titoli affidatigli ( rectius : affidati ad RAGIONE_SOCIALE, il cui servizio era stato poi concretamente svolto dal COGNOME) dallo stesso COGNOME.
5.2.2. Proprio un tale differente atteggiarsi dei menzionati obblighi informativi, dunque, avrebbe imposto al giudice di merito di tenerne conto anche quanto alla verifica dell’effettiva esistenza del nesso di causalità tra la loro violazione ed il danno patrimoniale -nella misura in cui è stato riferito anche a quei titoli -poi complessivamente riconosciuto all’appellato, odierno controricorrente.
5.3. In tali limiti, dunque, la seconda parte del quinto motivo di ricorso (relativa al ritenuto riconoscimento, da parte della corte di appello, del nesso di causalità appena indicato) può considerarsi assorbita dall’avvenuto accoglimento del sesto motivo, posto che il giudice di rinvio, pronunciandosi sul motivo di gravame il cui esame è stato pretermesso dalla sentenza impugnata, dovrà procedere anche alla verifica della configurabilità, o non, di un nesso di causalità tra gli obblighi informativi gravan ti sull’intermediario in relaz ione alla gestione di titoli già detenuti dall’investito re ed il danno da lui lamentato relativamente a questi ultimi.
5.4. Per il resto, invece, la censura di cui al quinto motivo deve considerarsi inammissibile, risolvendosi, sostanzialmente, in una richiesta di
rivisitazione, qui, tuttavia non consentita, degli accertamenti fattuali che hanno indotto la corte territoriale a ritenere presuntivamente esistente il nesso eziologico tra il riscontrato inadempimento della banca agli obblighi di adeguata informazione ed il danno lamentato dal Sabatini in relazione ai titoli illegittimamente acquistati dal COGNOME che avevano generato perdite per il primo che mai ne aveva autorizzato l’acquisto .
Il settimo motivo di ricorso, rubricato « Violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). Applicazione di norme relative al contratto di gestione patrimoniale a fronte di un contratto di negoziazione; falsa applicazione degli artt. 38 e ss. del Regolamento intermediari; falsa applicazione degli artt. 107 e 108 del Regolamento intermediari », contesta alla corte distrettuale di avere ritenuto, erroneamente, che, nella specie, quello intercorso tra il RAGIONE_SOCIALE e la banca odierna ricorrente fosse un contratto di gestione patrimoniale (così applicandovi la relativa disciplina), mentre, invece, quello dal primo sottoscritto con la seconda era soltanto un contratto di intermediazione mobiliare e di deposito titoli a custodia e amministrazione: si trattava, in altri termini, di un contratto di raccolta ordini di acquisto e vendita di valori mobiliari su disposizioni ed istruzioni impartite dal cliente, in piena autonomia e con assoluta dimestichezza del settore per quanto risultante dal profilo di rischio e dalla pregressa operatività.
6.1. Questa doglianza si rivela inammissibile per un duplice ordine di ragioni.
6.2. Innanzitutto, perché non riproduce, almeno nelle sue parti essenziali, il contratto di cui si discute, sicché si pone in chiaro contrasto con il principio, già precedentemente richiamato, secondo cui sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamarli senza riprodurli nell’atto o senza fornire puntuali indicazioni per la loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo nei precedenti gradi. ( cfr . sostanzialmente, in tal senso, Cass. nn. 30087 e 18018 del 2024).
6.3. Essa, inoltre, è chiaramente volta a sindacare l’interpreta zione del contratto intercorso tra le parti come fornita dalla corte distrettuale (nella s entenza impugnata, si legge, tra l’altro cfr . pag. 8 -, che « l’attore oggi appellato ha allegato e dimostrato l’affidamento del mandato per le gestioni patrimoniali alla banca per il tramite del suo promotore finanziario »), così dimenticando, però, che, come ancora recentemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 18079, 13621, 10786 e 2607 del 2024; Cass. nn. 30878, 13408, 13005 e 7978 del 2023; Cass. nn. 35787, 35041, 29860, 19146 e 15240 del 2022; Cass. n. 25909 del 2021), il sindacato di legittimità sull’interpretazione degli atti privati, governata da criteri giuridici cogenti e tendente alla ricostruzione del loro significato in conformità alla comune volontà dei contraenti, costituisce un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, censurabile, in sede di legittimità, solo per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (essendo, a questo scopo, imprescindibile la specificazione dei canoni e delle norme ermeneutiche che in concreto sarebbero state violate, puntualizzandosi – al di là della indicazione degli articoli di legge in materia – in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato) e nel caso di riscontro di una motivazione contraria a logica ed incongrua, e cioè tale da non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione in sé (occorrendo, altresì, riportare, nell’osservanza del principio dell’autosufficienza, il testo dell’atto nella parte in questione). Inoltre, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data dal giudice non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando siano possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (su tali principi, cfr., ex plurimis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 24539 del 2009, Cass. n. 2465 del 2015, Cass. n. 10891 del 2016; Cass. n. 7963 del 2018; Cass. n. 9461 del 2021; Cass. nn. 30878, 13408 e 7978 del 2023; Cass. nn. 2607, 10786, 13621 e 18079 del 2024).
6.3.1. In altri termini, il sindacato suddetto non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ed afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà privata operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 2465 del 2015; Cass. n. 10891 del 2016).
6.3.2. La censura, poi, deve essere formulata con la specifica indicazione dei canoni interpretativi in concreto violati e del punto, e del modo, in cui il giudice di merito si sia, eventualmente, discostato dagli stessi (alcunché, invece, si rinviene, con riguardo ad entrambi tali profili, nella censura in esame), non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella decisione impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni ( cfr . Cass. n. 13408 del 2023; Cass. n. 7978 del 2023; Cass., SU, n. 2061 del 2021; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 25728 del 2013).
7. L’ottavo ed il nono motivo di ricorso denunciano, rispettivamente, « Violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) con riferimento alla equiparazione tra minusvalenza e danno; violazione dell’art. 116 c.p.c. e degli artt. 1223, 1225, 1227, comma 1, e 2697 c.c. » e « Violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.) con riferimento alla motivazione assente. Nullità della sentenza per violazione degli artt. 132 e 116 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. ». Con queste due censure, ivi trattate unitariamente, si assume, in estrema sintesi, che la corte di appello aveva erroneamente ritenuto provato il danno subito dal COGNOME individuandolo nella minusvalenza accertata rispetto all’investimento. Invece, stante la mancanza di prova, per quanto si è lamentato con i motivi precedenti, del nesso di causalità tra asserito inadempimento degli obblighi informativi e danno patito, sarebbe stata necessaria la concreta dimostrazione di un danno ingiusto da lui sofferto, atteso che una cosa è la perdita registrata a seguito di investimenti rischiosi,
ma adeguati, imputabile esclusivamente al mercato, altra è il danno ingiusto. Non avendo la corte predetta argomentato sul punto, ne deriva la nullità della sentenza oggi impugnata anche ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ..
7.1. Tali doglianze possono considerarsi assorbite in ragione di quanto si è già detto in accoglimento del sesto motivo e dell’avvenuto assorbimento della seconda parte del quinto, da ciò derivando che il giudice di rinvio dovrà procedere ad un nuovo, specifico esame quanto alla sussistenza, o meno, del nesso di causalità tra la lamentata violazione, come ivi puntualizzata, degli obblighi informativi ed il danno invocato dal Sabatini relativamente ai titoli da quest’ultimo già detenuti in portafoglio.
8. Il decimo motivo di ricorso, infine, lamenta la « Violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) in relazione alle Uscite per destinatari ignoti. Violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2033 c.c. Destinatari ignoti ». Si lamenta che il tribunale e la corte di appello hanno ritenuto ‘ distratte ‘ da NOME COGNOME quelle che sono state qualificate come ‘ uscite per euro 59003,87 con destinatari ignoti ‘, sebbene mancasse la prova del fatto illecito lamentato giacché il Sabatini, per quelle uscite, neppure aveva indicato chi fossero i beneficiari dei bonifici autorizzati con la password a disposizione del cliente. Si afferma essere noto che « il cliente, il quale agisce ex art. 2033 cod. civ. per la ripetizione dell’indebito, ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto vantato: vale a dire, a fronte dell’annotazione di poste passive sul suo conto corrente, nell’assunto costituenti dazione indebita, competeva a parte attrice dimostrare la natura non dovuta di quegli addebiti. ; pe rtanto, il fatto che il COGNOME non avesse dato la dimostrazione della mancanza di tale causa non poteva che comportare il rigetto della domanda avversa. Anche laddove avesse prospettato come ignoti i beneficiari, potendo la prova essere fornita dimostran do l’esistenza di un fatto positivo contrario o anche mediante presunzioni » ( cfr . pag. 40-41 del ricorso).
8.1. Una tale doglianza si rivela inammissibile.
8.2. Invero, i giudici di merito hanno fondato, affatto legittimamente ( cfr .
Cass. n. 28428 del 2023), le loro corrispondenti decisioni sulle condotte del
COGNOME desumibili dalla sentenza di patteggiamento emessa nei suoi confronti e sugli accertamenti poi effettuati dal c.t.u.
8.3. Peraltro, una siffatta censura non risulta essere stata specificamente sollevata da MPS, nei medesimi termini, in grado di appello: in quella sede, infatti, si era contestata la possibilità di ritenere quelle somme come ‘ risarcimento ‘ derivante dalla complessiva condotta distrattiva del COGNOME desunta dalla sentenza di patteggiamento, contestandosi la possibilità di utilizzare il contenuto di quest’ultima. La questione, dunque, era stata posta sotto il profilo del quantum risarcitorio, e non come contestazione della ripetizione di indebito ex art. 2033 cod. civ. Né la banca ha puntualmente censurato, in questa sede, le conclusioni della corte di appello circa la possibilità di avvalersi, a fini istruttori, di quanto desumibile dalla sentenza predetta in relazione alle specifiche condotte di reato ivi ascritte al COGNOME.
9 . In conclusione, l’odierno ricorso di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. deve essere accolto limitatamente al suo sesto motivo, dichiarandosene assorbiti la seconda parte del quinto, l’ottavo ed il nono, ed inammissibili gli altri. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso di Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. limitatamente al suo sesto motivo, dichiarandone assorbiti la seconda parte del quinto, l’ottavo ed il nono, ed inammissibili gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile