Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7629 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7629 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21583/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE d’Appello di TRIESTE n. 374/2023, depositata il 18/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Genova, prima, con la sentenza n.429/2021, la Corte d’Appello di Genova, successivamente, con la sentenza n. 374/2023, depositata il 18/07/2023, hanno rigettato la domanda risarcitoria formulata da NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE produttrice delle protesi d’anca metallo su metallo che gli erano state impiantate presso la divisione di ortopedia dell’Ospedale di San Vito al Tagliamento (PN), ove era stato sottoposto ad una capsulectomia, alla resezione del collo del femore ed all’impianto di artoprotesi totale, rivelatesi difettose e causa di più danni per problemi di tipo meccanico associati ad effetti tossici sistemici dovuti all’incremento soprattutto di cobalto e di cromo nel torrente circolatorio: danni patrimoniali, per i quali chiedeva la condanna della produttrice al pagamento di euro 100.000,00, e danni non patrimoniali, quantificati in euro 697.461,60 (di cui 375.771,00 per invalidità permanente; 5.940,00 per inabilità temporanea totale; 54.202,50 per inabilità temporanea parziale; 145.304,50 per danno morale ed esistenziale; 116.243,60 per personalizzazione danno).
La corte territoriale ha confermato la decisione del tribunale ritenendo che : a) il ricorrente aveva agito in giudizio chiedendo la condanna della convenuta ai sensi degli artt. 114 e ss. cod. cons. e che poi contraddittoriamente aveva preteso di non applicare l’art. 126 cod. cons., facendo leva sulla difesa di controparte, disattesa anche dal tribunale, che sosteneva di non essere legittimata passiva perché si era limitata a importare in Italia le protesi prodotte dalla RAGIONE_SOCIALE.; b) l’art. 126 cod cons. era stato correttamente applicato dal tribunale, il quale aveva individuato il dies a quo del termine di decadenza nella data di immissione in commercio del prodotto difettoso, facendolo coincidere con quello in cui la seconda protesi d’anca era stata impiantata; c) la questione di legittimità prospettata non aveva
rilevanza, perché l’appellante aveva avuto consapevolezza della difettosità delle protesi già nel novembre del 2011, quando gli era stata diagnosticata l’ostcolisi periprotesi del femore prossimale, e perché comunque egli stesso aveva allegato che nel 2012 aveva sostituto le protesi, quindi, non aveva subito alcuna lesione del diritto di difesa e di tutela giurisdizionale, in quanto, anche considerando quest’ultima data, aveva avuto due anni per agire in giudizio e per evitare di incorrere nella decadenza; d) quanto alla domanda ex art. 2043 cod.civ., non vi era prova che la produttrice conoscesse il difetto del prodotto quando lo aveva immesso in commercio; del resto, lo stesso appellante aveva riconosciuto che prima del 2010 non vi erano evidenze scientifiche del difetto e, quindi, non vi erano elementi per ritenere la RAGIONE_SOCIALE colpevole neppure sotto il profilo del principio di precauzione; e) l’illecito sarebbe stato comunque di natura istantanea, perché la condotta asseritamente illecita si era esaurita con l’installazione della protesi; f) non era ipotizzabile una responsabilità da contatto sociale, essendo mancato ogni contatto tra l’appellante e la RAGIONE_SOCIALE; g) andava assorbito il motivo di appello volto a censurare la sentenza di primo grado per mancata liquidazione dei danni; g) era corretta la liquidazione delle spese di lite, in ragione del valore dello scaglione.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, rubricato <>, il ricorrente deduce l’errore del giudice a quo che ha confermato la decorrenza del termine decennale di decadenza previsto dall’art. 126 d.lgs. 206/2005 dalla messa in circolazione del prodotto, fatta coincidere con gli impianti delle protesi avvenuti il 19.3.2004 ed il 9.8.2004 piuttosto che con momento in cui il prodotto si era palesato come dannoso e cioè, nella specie, da quando aveva avvertito gli effetti negativi delle protesi, cioè molto tempo dopo il loro impianto.
Né la corte territoriale avrebbe tenuto conto del fatto che la decorrenza era stata comunque impedita dall’impianto nel 2012 di una protesi in ceramica prodotta da un’altra società: circostanza che avrebbe dovuto essere considerata alla stregua di riconoscimento -sia pure implicito – del diritto del danneggiato al risarcimento da parte del responsabile unitamente all’avvenuta costituzione da parte di COGNOME di un fondo per il risarcimento dei pazienti vittime di complicanze a causa dell’impianto di protesi metallo-metallo, come pacificamente risultava dalla relazione peritale d’ufficio.
Aggiunge che l’art. 126 d.lgs. 206/2005 presenta profili di incostituzionalità, in quanto limita irragionevolmente la possibilità di agire per il risarcimento del danno da prodotto difettoso alle fattispecie più elementari ed evidenti e lo preclude, invece, per i casi più complessi, in cui si sono verificati danni lungolatenti, riconoscibili solo a distanza di tempo. Ripropone la questione di legittimità costituzionale anche parziale dell’art. 126 cod. cons. nella parte in cui prevede che il termine decennale di decadenza decorre dal giorno in cui il prodotto è stato messo in circolazione piuttosto che dal momento in cui il carattere dannoso dello stesso è divenuto riconoscibile, lamentando che la corte d’appello l’abbia ritenuta irrilevante ricorrendo ad una petizione di principio:
segnatamente <>; deduce di non essere affatto incorso in contraddizione, come rimproveratogli dalla corte d’appello, per avere chiesto l’applicazione della normativa sulla responsabilità del produttore ad eccezione della disposizione relativa alla decadenza, avendo solo inteso evidenziare l’insostenibilità della posizione dell’odierna resistente che si era dichiarata mero distributore del prodotto nel tentativo di negare la sua responsabilità.
Con lo stesso motivo il ricorrente ripropone l’eccezione di tardività della costituzione in giudizio avversaria, giacché essendo stata citata in giudizio per l’udienza del 24.10.2022, differita d’ufficio e celebrata il 26.10.2022, si era invece costituita il 21.10.2022, oltre il termine del 6.10.2022, lamentando che la corte d’appello non si sia pronunciata sulla stessa.
Il motivo è infondato.
In primo luogo, va disattesa l’eccezione di omessa pronuncia sull’eccezione di tardività della costituzione in giudizio della RAGIONE_SOCIALE Essa oltre a non essere stata formulata nel rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 cod.proc.civ., è inammissibile perché il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (Cass. 11/10/2018, n. 25154; Cass. 15/04/2019, n. 422).
Le altre censure in buona parte sono le stesse già disattese dalla corte d’appello e risultano supportate con le medesime argomentazioni, senza alcun confronto con le statuizioni che hanno portato al loro rigetto, di cui non colgono, infatti, la ragione giustificativa.
La questione di legittimità costituzionale è stata ritenuta priva di pregio non <>, ma per difetto di rilevanza nel caso di specie (avendo avuto l’odierno ricorrente ben
due anni di tempo per agire in giudizio, prima di incorrere nella decadenza). In sostanza, la corte territoriale non ha ravvisato il nesso di strumentalità necessaria tra la definizione del giudizio e la risoluzione della questione afferente al bene della vita per il quale l’odierno ricorrente agiva. Ora, è vero che: i) ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, è sufficiente che la norma impugnata sia direttamente o indirettamente applicabile nel giudizio a quo (Corte cost., 12/11/ 1991, n. 409); difatti, la rilevanza di una determinata questione di costituzionalità va valutata in relazione alla semplice applicabilità nel giudizio a quo della legge di cui si contesta la legittimità costituzionale (Corte cost. 19/11/ 1991, n. 415); ii) la questione di costituzionalità può essere sollevata dalla parte ovvero d’ufficio; nondimeno, la sua rilevanza va valutata alla stregua del criterio della strumentalità, in virtù del quale essa va affermata ogni volta che la causa non possa essere definita indipendentemente dalla risoluzione della questione (Cass. 25/06/1985, n. 3802; Cass. 9/06/1984, nn. 3471- 3474); e, inoltre, il nesso di pregiudizialità richiesto ai fini di rendere rilevante la questione di legittimità costituzionale deve consistere in un rapporto di strumentalità necessaria fra la risoluzione della questione stessa e la decisione del giudizio principale, nel senso che deve accertarsi che quest’ultimo non possa essere definito indipendentemente dalla decisione della detta questione; di conseguenza, ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, l’unico aspetto significativo è dato dalla circostanza che, a prescindere dal modo in cui la questione è stata posta all’attenzione del giudice, la decisione non possa essere emanata senza la previa soluzione della questione di legittimità.
Detto giudizio di irrilevanza è condiviso da questa Corte, dovendosi ricordare che <>, ma, d’altra parte, la stessa questione può essere riproposta in ogni grado di giudizio. Pertanto, le doglianze relative alle deliberazioni assunte dal giudice di merito sulle dedotte questioni di legittimità costituzionale non si presentano come fini a sé stesse, ma hanno funzione strumentale in relazione all’obiettivo di conseguire una pronuncia più favorevole di quella resa con il provvedimento impugnato, sicché l’impugnazione deve intendersi che investa sostanzialmente il punto del provvedimento regolato dalle norme giuridiche la cui costituzionalità è contestata (Cass. 09/04/2024, n.9428).
Nel caso in esame non si rinviene il presupposto indispensabile della questione di costituzionalità, che deve risiedere, come si è detto, nella stretta connessione della norma censurata con il thema decidendum del processo, al fine di rimuovere l’ostacolo – costituito dall’asserito vizio di legittimità costituzionale che impedisce di ottenere una tutela, se non perfettamente coincidente, quanto meno intimamente legata al petitum della domanda proposta in giudizio : invero, l’esercizio dell’azione risarcitoria non era stato precluso all’odierno ricorrente dalla decorrenza del termine di decadenza dalla immissione in commercio del prodotto difettoso disposta dall’art. 126 cod. cons., sospettato di illegittimità costituzionale, ma in tutta evidenza dalla sua colpevole inerzia protrattasi per altri due anni anche dopo aver avuto contezza della necessità di rimuovere le protesi d’anca difettosa.
Le ulteriori censure, per un verso, sottopongono a questa Corte questioni nuove, non dedotte nel giudizio di merito -riconoscimento implicito del difetto che avrebbe impedito la decadenza ai sensi dell’art. 126 cod. cons. -per altro -impossibilità di agire prima che gli venissero sostituite le protesi sono prive di decisività rispetto alla ratio decidendo della impugnata sentenza e/o comunque, essendo volte a dimostrare
che il ricorrente non era incorso nella decadenza imputatagli, pretendono da questa Corte un diverso accertamento dei fatti di causa, incompatibile con i caratteri e le finalità del giudizio di legittimità.
Né più persuasivo è l’argomento che fa leva sulla natura lungolatente del danno lamentato, perché il diritto al risarcimento di danni alla salute lungolatenti o ad esordio occulto inizia a prescriversi -il discorso non può che essere lo stesso quanto alla decorrenza del termine decadenziale – dal momento in cui il danneggiato, con la diligenza esigibile non da lui, ma dall’uomo medio, possa avvedersi dell’evento di danno, cioè conosceva o poteva conoscere, con l’ordinaria diligenza, l’esistenza dello stesso e la sua riconducibilità causale all’illecito altrui. Peraltro, il danno è definito lungolatente dal ricorrente in modo improprio: perché un conto è l’incrementabilità del danno, cioè la sua eventuale ingravescenza dovuta alla mancata stabilizzazione (la C.T.U. aveva accertato che i danni non si erano ancora consolidati), ben altro è la riconoscibilità dello stesso, cioè la consapevolezza della sua sussistenza e della sua riconducibilità al comportamento illecito altrui.
A monte dell’argomentazione difensiva del ricorrente vi è evidentemente una confusione tra l’illecito istantaneo con effetti permanenti e l’illecito permanente. Il primo è caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando sussistere i suoi effetti, il secondo è tale perché la verificazione dell’evento si protrae per la durata del danno e della condotta che lo produce.
Ebbene, è vero che, in caso di illecito istantaneo con effetti permanenti, la condotta lesiva si esaurirebbe in un fatto quod unico actu perficitur , un fatto destinato, cioè, ad esaurirsi in una dimensione unitaria (sul piano logico e sostanzialmente cronologico) di concreta realizzazione, a prescindere dalla
eventuale diacronia dei relativi effetti, onde la prescrizione del diritto al risarcimento del danno ad esso conseguente non potrebbe che iniziare a decorrere dal momento del fatto ( rectius , della concreta percezione o percepibilità di esso), mentre all’illecito permanente si ricollegherebbe non il danno permanente, ma il danno plurimo, destinato a rinnovarsi continuamente nel tempo (Cass. 22/4/2013, n.9711 e successiva giurisprudenza conforme); tuttavia, la corte d’appello ha ritenuto l’illecito per cui è causa, a torto o a ragione, un illecito istantaneo e detta qualificazione, con tutte le conseguenze trattene, non è stata confutata efficacemente dal ricorrente che, infatti, scrive al § 2.3.3., pp. 18-19 del ricorso: <>.
Che cosa la corte d’appello ha inteso dire e soprattutto quali conseguenze trarre dalla qualificazione dell’illecito come istantaneo è chiaro, altrettanto chiaro è che la confutazione di questa statuizione non sia stata efficace, anche in considerazione del fatto che il giudice a quo ha escluso che al momento dell’immissione in commercio fossero noti alla società produttrice i difetti del prodotto, cioè i danni che avrebbe potuto arrecare.
2) Con il secondo motivo il ricorrente prospetta <>.
L’elemento soggettivo, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto ritenersi sussistente quantomeno in via presuntiva tenuto conto della breve durata delle protesi (di molto inferiore a quella dichiarata dal produttore), del richiamo dal mercato di quel tipo di protesi tra il 2008 ed il 2009, del mancato invito a sottoporsi a controlli ed eventuali revisioni, della condanna della società produttrice negli Stati Uniti e in Australia proprio in relazione ai prodotti difettosi di cui si controverte nel presente giudizio.
Il motivo è p.q.r. fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
La corte d’appello ha omesso di considerare che il richiamo tra il 2008 e il 2009 delle protesi dal mercato avrebbe dovuto imporre alla produttrice, ormai pienamente consapevole della potenzialità dannosa dei suoi prodotti, di informare dei rischi che correvano coloro ai quali le protesi erano già state impiantate.
Il giudice a quo , infatti, chiamato a verificare la sussistenza dei presupposti per dichiarare responsabile la RAGIONE_SOCIALE, ai sensi dell’art. 2043 cod.civ., ha omesso di tener conto del fatto che almeno a partire dal 2010 la produttrice era nella condizione di prevedere/evitare se non il danno, almeno la sua ingravescenza.
Sbrigativamente si è limitato ad escludere che al momento della immissione in commercio delle protesi d’anca i rischi fossero noti alla produttrice, perché, fino al 2010 sulla base delle conoscenze scientifiche il prodotto aveva una validazione scientifica, che lo rendeva liberamente utilizzabile, ma non ha affatto considerato che
una volta scoperto il difetto era esigibile da parte sua, con uno sforzo proporzionato alla sua capacità, l’obbligo di impedire il verificarsi e/o l’aggravarsi del danno.
3) Con il terzo motivo il ricorrente si duole della <>, non avendo preso in considerazione la domanda relativa alla configurabilità di una responsabilità da contatto sociale in capo alla RAGIONE_SOCIALE (art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.), atteso che l’impianto di protesi d’anca prodotte e distribuite dalla società RAGIONE_SOCIALE, non era un atto negoziale, ma un fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità all’ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 1173 cod.civ., da cui erano derivati non specifici obblighi di prestazione, ma obblighi di buona fede, di correttezza e di protezione ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod.civ., che erano stati violati con la produzione e la fornitura delle protesi difettose e da regolare alla stregua dell’inadempimento di un’obbligazione contrattuale quanto a regime probatorio e termini di prescrizione.
La corte territoriale asserisce che sarebbe ‘arduo’ configurare una responsabilità da contatto sociale dell’allora appellata, <>, ma secondo il ricorrente per ravvisare la responsabilità da contatto sociale qualificato non è necessario il contatto diretto fra le parti, tenendo conto del fatto che tale contatto è avvenuto con l’intermediazione tecnica della struttura sanitaria che ha impiantato le dette protesi.
Il motivo è infondato.
La tesi della ricorrente meriterebbe accoglimento solo in presenza dei presupposti della responsabilità di cui all’art. 1228 cod.civ. che nel caso di specie fanno difetto, per la ragione assorbente che per l’adempimento della sua prestazione la RAGIONE_SOCIALE non si
era avvalsa dell’opera dell’ospedale. Pertanto, la corte d’appello ha correttamente escluso che in assenza di una relazione tra le due sfere giuridiche -quella del danneggiato e quella della RAGIONE_SOCIALE -la possibilità di regolare il rapporto ricorrendo alla disciplina dell’inadempimento di un’obbligazione contrattuale.
4) Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la <>. La sua tesi è che la Corte d’appello di Trieste abbia laconicamente dichiarato che il motivo con cui insisteva per il riconoscimento del risarcimento del danno. resterebbe <>.
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.
Con il quinto motivo il ricorrente imputa al giudice a quo <>.
Il ricorrente si duole che il tribunale lo abbia condannato a pagare euro 27.804,00, ossia euro 6.417,00 in più rispetto allo scaglione, che nessuna giustificazione sia stata addotta per l’incremento di circa il 25% di importi già di per se stessi molto elevati, che non sia stata considerata la disparità di forze e disponibilità patrimoniali tra le parti, che non si sia tenuto conto che aveva provato tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, eccetto l’elemento soggettivo, che sia stata fatta un’applicazione non meramente meccanica del criterio della soccombenza.
Il motivo è assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.
Attesa la fondatezza nei suindicati termini del secondo motivo di ricorso, assorbiti il quarto e il quinto, infondati il primo e il terzo, l’impugnata sentenza va cassata in relazione con rinvio alla Corte d’Appello di Trieste, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbiti il quarto e il quinto motivo, rigetta il primo e il terzo. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla C orte d’ Appello di Trieste, in diversa composizione.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 24 dicembre 2025 dalla