Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20799 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20799 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22150/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (EMAIL) giusta procura speciale in calce al ricorso.
–
ricorrente – contro BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, SESTO INDIRIZZO.
–
intimati – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Firenze n. 160/2021 depositata il 26/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/05/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza n. 160/2021 del 26 gennaio 2021, con cui la Corte d’Appello di Firenze ha rigettato il gravame da lei proposto avverso la sentenza n. 2336/2016 del 14 novembre 2016, con cui il Tribunale di Lucca aveva accolto la sua domanda risarcitoria soltanto nei confronti del funzionario COGNOME NOME, escludendo invece l’esistenza di responsabilità ex art. 2049 cod. civ. in capo alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, di cui il NOME era dipendente.
Restano intimati sia la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE sia NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in due censure, la ricorrente denuncia ‘Violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.: omessa pronuncia su uno specifico motivo di appello e omessa pronuncia su una domanda, ritualmente formulata nel giudizio nei confronti di NOME COGNOME‘, nonché ‘Omesso esame ed incompleta, inadeguata e insufficiente motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. ed alla specifica domanda ed impugnazione proposta nei confronti di NOME COGNOME.
Lamenta che la corte di merito ha erroneamente ricostruito
ed ha solo parzialmente accolto la sua domanda, in quanto non ha considerato che l’importo che NOME COGNOME è tenuto a rifondere (e che è stato richiesto anche nei confronti di BNL) non è solo quello pari ad euro 128.270,48, specificamente riconosciuto da NOME COGNOME, ma quello, maggiore, di euro 209.650,00 dimostrato dai documenti prodotti in atti.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ‘Violazione dell’art. 2697 cod. civ., e dell’art. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’integrale mancato esame, riguardo al motivo di impugnazione inerente la posizione di RAGIONE_SOCIALE, di fatti decisivi attestati dalle prove documentali acquisite, rispetto alle quali le parti hanno sviluppato il loro contradditorio, ma che la Corte ha ignorato (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.)’, nonché ‘Violazione dell’art. 2697 cod. civ., e dell’art. 115 e 116 cod. proc. civ. in relazione all’integrale mancato esame, riguardo al motivo di impugnazione inerente la posizione di RAGIONE_SOCIALE, di fatti decisivi attestati dalle prove documentali acquisite, rispetto alle quali le parti hanno sviluppato il loro contradditorio, ma che la Corte ha ignorato (art. 360, n. 5, cod. proc. civ.)’.
Rileva che NOME COGNOME si era fatto consegnare direttamente a sue mani la somma di euro 209.650,00, nella sua qualità di dipendente della RAGIONE_SOCIALE, seppure senza nessun incarico di intermediario finanziario, ma comunque utilizzando documentazione di comprovata ed indiscutibile provenienza BNL, pervenendo poi ad appropriarsene indebitamente, e lamenta che la corte fiorentina ha invece erroneamente escluso la ricorrenza del nesso di occasionalità necessaria, e dunque della responsabilità della BNL, perché ha valorizzato, sotto il profilo causale, esclusivamente il ‘rapporto amicale’ tra essa esponente NOME COGNOME e NOME COGNOME, senza considerare dettagliati comportamenti fraudolenti di quest’ultimo , anche accertati in sede penale ed in numerosi altri
giudizi civili.
Ragioni di ordine logico impongono di esaminare anzitutto il secondo motivo di ricorso, in quanto esso investe integralmente il tema del decidere, che è quello della responsabilità dell’istituto bancario per fatto del proprio dipendente , ai sensi dell’art. 2049 cod. civ.
3.1. Scrive la corte fiorentina (v. p. 6 dell’impugnata sentenza): ‘Corretta appare la decisione del Tribunale nell’escludere che la RAGIONE_SOCIALE convenuta debba rispondere, quantomeno per la somma di Euro 128.270,48, del fatto illecito del proprio dipendente, ex art. 2049 c.c. Secondo quanto si legge in atto di appello parte attrice aveva introdotto il giudizio di primo grado “deducendo di avere conosciuto, come amico di famiglia da anni il rag. COGNOME NOME … ed è pertanto in forza di tale rapporto amicale che la COGNOME deve ritenersi essersi indotta a consegnare ingenti somme di denaro al COGNOME e dunque al di fuori delle mansioni da egli svolte quale dipendente RAGIONE_SOCIALE Come rilevato nella sentenza impugnata l’attrice non aveva dato prova di avere intrattenuto rapporti contrattuali con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE s.p.a. e non venivano prodotte ricevute o rendicontazioni delle somme che si affermava fossero state consegnate per fini di investimento. In conclusione, quand’anche il NOME avesse tenuto le condotte contestate dall’attrice, l’aveva fatto indipendentemente dalle mansioni svolte, che esulavano dalla gestione di strumenti finanziari essendo il COGNOME addetto all’ufficio estero, senza contatti con il pubblico, il quale aveva così perseguito non finalità coerenti con le mansioni che gli erano state affidate, ma finalità proprie, delle quali la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE s.p.a. non poteva dirsi compartecipe, e neppure dirsi responsabile ai sensi dell’art. 2049 c.c. in forza di un “nesso di occasionalità necessaria”.
3.2. Orbene, siffatta motivazione non risulta affatto conforme
all’orientamento di questa Suprema Corte (Cass. n. 06632 del 12/03/2008 Rv. 602158, nonché Cass. n. 20924 del 15/10/2015 Rv. 637475 – 01), che afferma che la responsabilità indiretta del committente di cui all’art 2049 cod. civ., per il fatto dannoso commesso da un dipendente, postula l’esistenza di un nesso di «occasionalità necessaria» tra l’illecito ed il rapporto di lavoro che vincola i due soggetti, nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo.
Nella specie, la Corte d’Appello di Firenze ha affermato che la circostanza che il COGNOME fosse addetto al servizio estero implicitamente comportava che egli non poteva avere commesso i fatti illeciti, quando invece proprio il fatto che egli rivestisse funzioni all’interno della filiale BNL e ne potesse comunque utilizzare la documentazione, seppure senza nessun incarico di promotore finanziario, integra quel nesso di occasionalità necessaria che costituisce il presupposto dell’applicabilità dell’art. 2049 cod. civ.
3.3. Con riferimento alla natura di questa responsabilità, in passato, sia in dottrina che in giurisprudenza, si è sostenuto che si tratti di una responsabilità soggettiva, e cioè di una responsabilità fondata sulla colpa del preponente (datore di lavoro, imprenditore, committente ecc.) nella scelta del preposto (lavoratore subordinato, institore, commesso ecc.) o nella vigilanza sul suo operato.
Tale orientamento è stato tuttavia attualmente superato, sul rilievo che l’art. 2049 cod. civ., diversamente dalle altre ipotesi di responsabilità speciale contemplate dal codice negli artt. 2047 e ss., non consente al responsabile alcuna prova liberatoria, cosicché il ricorso alla fictio della presunzione assoluta di colpa si risolverebbe nell’introduzione artificiosa nella norma di un presupposto che le è irrilevante.
È stato quindi affermato che trattasi non di una responsabilità per colpa, ma di una responsabilità oggettiva per fatto altrui, il cui fondamento va ravvisato nell’esigenza che chi si appropria dell’attività altrui, per il perseguimento dei propri fini, assuma le conseguenze dannose di tale attività.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza del 16/05/2019, n. 13246 -pur affrontando la diversa questione relativa al se la pubblica amministrazione sia civilmente responsabile per i danni arrecati dal fatto penalmente illecito del suo dipendente, quando questi, approfittando delle sue attribuzioni, abbia agito in funzione del conseguimento di una finalità esclusivamente egoistica e personale, estranea all’amministrazione e addirittura contraria ai fini istituzionali da essa perseguiti- hanno analiticamente esaminato la natura della responsabilità ex art. 2049 cod. civ., alla luce della più recente elaborazione della giurisprudenza di legittimità sul punto, e, richiamando i principi da questa affermati, hanno ribadito che trattasi di responsabilità oggettiva per fatto altrui e, in particolare, di un’applicazione moderna del principio cuius commoda eius et incommoda , in forza del quale l’avvalimento, da parte di un soggetto, dell’attività di un altro per il perseguimento di propri fini comporta l’attribuzione al primo di quella posta in essere dal secondo nell’ambito dei poteri conferitigli.
Tale appropriazione di attività deve comportarne l’imputazione nel suo complesso e, così, sia degli effetti favorevoli che di quelli pregiudizievoli, rispondendo un simile principio ad esigenze generali dell’ordinamento di riallocazione dei costi delle condotte dannose in capo a colui cui è riconosciuto di avvalersi dell’operato di altri.
Quale ultimo elemento costitutivo della fattispecie -oltre al rapporto di preposizione ed all’illiceità del fatto del prepostooccorre la sussistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra
esercizio delle incombenze e danno al terzo, con la precisazione che il nesso di occasionalità necessaria (e la responsabilità del preponente) sussiste nella misura in cui le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso è irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali (v. Cass. 24/09/2015, n. 18860; Cass. 25/03/2013, n. 7403); alla condizione però che la condotta del preposto costituisca pur sempre il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni, non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un’attività del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione od eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all’espletamento delle sue incombenze (Cass. 11816/16, cit.).
3.4. Le Sezioni Unite, con la già richiamata sentenza, hanno in definitiva affermato che l’appropriazione dei risultati delle altrui condotte deve essere correlata (e, corrispondentemente, limitata) alla normale estrinsecazione delle attività del preponente e di quelle oggetto della preposizione ad esse collegate, sia pure considerandone le violazioni o deviazioni oggettivamente probabili: sicché chi si avvale dell’altrui operato in tanto può essere chiamato a rispondere, per di più senza eccezioni e la rilevanza del proprio elemento soggettivo, delle sue conseguenze dannose in quanto egli possa ragionevolmente raffigurarsi, per prevenirle, le violazioni o deviazioni dei poteri conferiti o almeno tenerne conto nell’organizzazione dei propri rischi; e così risponde di quelle identificate in base ad un giudizio oggettivizzato di normalità statistica, cioè riferita non alle peculiarità del caso, ma alle ipotesi in astratto definibili come di verificazione probabile o -secondo i principi di causalità adeguata elaborati da questa Corte fin da Cass., Sez. Un., 11/01/2008, n. 576’più probabile che non’, in un dato contesto storico.
Il secondo motivo di ricorso è, pertanto, fondato e deve essere accolto.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del primo, che riguarda l’ammontare delle somme da risarcire così che la corte possa rivalutare l’intera vicenda, senza più scindere le posizioni del promotore infedele e della banca, con ogni conseguenza in ordine alla complessiva considerazione del quantum risarcitorio- e la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, per nuovo esame sulla base dei suindicati principi di diritto.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza