Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 756 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 756 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2139/2024 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in LATINA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 4249/2023 depositata il 13/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
-Il notaio NOME COGNOME ha rogato un atto di compravendita in cui risultava acquirente tale NOME COGNOME a seguito del quale atto, la banca Intesa San Paolo ha concesso al COGNOME il mutuo per il pagamento del corrispettivo.
Ciò la banca ha fatto avendo il notaio attestato che l’acquirente, e dunque il soggetto che chiedeva il mutuo, era per l’appunto NOME COGNOME
Se non che, concluso l’atto, il COGNOME ha rimborsato le rate di mutuo per dodici mesi, ma poi ha smesso di farlo.
La banca ha cercato di recuperare il dovuto, notificando gli atti esecutivi al COGNOME, ma senza esito, in quanto il destinatario risultava sconosciuto: a quei dati identificativi (luogo e data di nascita) non corrispondeva alcun NOME COGNOME.
-La banca ha dunque ritenuto che il notaio avesse errato nella identificazione dell’acquirente, ed avesse indotto l’istituto di credito alla erogazione del mutuo, con conseguente pregiudizio, dal momento che il creditore non è risuscito a recuperare la somma non rimborsata dal mutuatario.
-Il Tribunale di Roma, davanti a cui la banca ha citato il notaio, e dove costui si è difeso negando colpa nella identificazione della parte acquirente, ha ritenuto negligente la condotta del professionista, che non avrebbe adottato le cautele necessarie alla identificazione. Ma ha altresì considerato colpevole la condotta della banca, perché avrebbe dovuto a sua volta provvedere alla verifica della identità prima di erogare il mutuo. E dunque ha ripartito la
responsabilità attribuendola per il 60% al notaio e per il 40% alla stessa banca.
4. -Ha proposto appello il notaio, ma la Corte di secondo grado ha integralmente confermato la decisione del primo giudice.
Contro la sentenza della Corte di Appello il notaio ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, cui ha fatto seguito il controricorso della banca.
Ragioni della decisione
1. -Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 49 l. 83 del 1913 e successive modifiche, ossia della legge notarile.
La tesi è la seguente.
La Corte di Appello ha ritenuto insufficiente il controllo effettuato dal notaio circa l’identità dell’acquirente e ciò in quanto il professionista ha fatto affidamento su due <>, ossia su due persone che hanno attestato l’identità della parte, avendone conoscenza diretta.
Secondo la corte di merito <>.
Ossia, secondo la banca, non vale l’affidamento fatto dal notaio sui due ‘fidefacenti’, in quanto costoro non sono stati indicati come testimoni dell’atto, ossia non erano testimoni della stipula, non coincidevano con quest’ultimi.
Il ricorrente contesta questa tesi sostenendo che, secondo la legge notarile, altro sono i fidefacenti, ossia persone che attestano l’identità della parte, altro sono i testimoni dell’atto, ossia coloro che assistono alla stipula: il notaio può servirsi degli uni come degli altri ai fini della identificazione, ma alternativamente.
Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Intanto, dal testo della sentenza impugnata risulta che il notaio ha fatto affidamento sulla conoscenza diretta che dell’acquirente avevano due suoi collaboratori (fide facenti, secondo la legge notarile). Ciò si dice in quanto la banca, nel controricorso, contesta questo fatto: assume che invece dalla istruttoria non era emerso che i due collaboratori avessero conoscenza diretta del COGNOME.
Si tratta di una tesi che però è smentita dalla sentenza impugnata, la quale dà per presupposto che l’identità del COGNOME è stata garantita al notaio dai due fide facenti, e dunque bisogna dare per accertato che il notaio ha fatto affidamento sulla conoscenza diretta che dell’acquirente avevano quei due suoi collaboratori.
Ora, è principio di diritto che il notaio deve cercare di avere certezza della identità della parte, e che per averla non può limitarsi a verificare la carta di identità, quando l’esibizione di tale documento può non risultare sufficiente (Cass. 14409/ 2023). Occorre in tal caso che il notaio effettui ulteriori verifiche, e tra queste l’articolo 49 della legge notarile prevede la verifica della identità mediante ricorso a persone che hanno conoscenza diretta della parte, chiamati dalla predetta norma <>.
Ma è ciò che il notaio, nel caso presente, ha fatto: oltre a verificare l’identità dell’acquirente dal documento esibito, egli ha fatto affidamento, per l’appunto, sulla conoscenza diretta di costui da parte di due suoi collaboratori. Il che significa che il notaio ha compiuto gli accertamenti che sono ragionevolmente richiesti per l’accertamento della identità: è quanto prevede lo stesso articolo 49 della legge notarile, che recita :<>.
Risulta chiaramente che il notaio può attingere l’identità della parte o da fide facenti o dai testimoni. Gli uni non coincidono con gli altri, come invece supposto dalla sentenza impugnata.
A fronte di tale attività di identificazione, i giudici di appello, non già la ritengono insufficiente, quanto piuttosto la ritengono errata. Infatti, secondo i giudici di merito, il notaio non poteva avvalersi della conoscenza diretta offerta dai fide facenti poiché costoro non erano stati indicati come testimoni (‘ poiché, come pure dalla banca appellata segnalato, gli stessi non sono stati indicati quali testimoni – fidefacenti – nell’ambito del dedotto contratto di mutuo ‘, p. 9). Dunque, la decisione impugnata ritiene che il notaio può fare, si, affidamento sulla conoscenza diretta che della parte hanno due fide facenti, ossia due persone che l’identità della parte attestano, ma può farlo purché costoro siano anche testimoni. Il che è contro la regola dell’articolo 49 citato, che chiaramente invece distingue tra fide facenti e testimoni, e prevede che il notaio può fare affidamento sui primi, anche se non sono testimoni.
La decisione impugnata, dunque, ha come ratio l’insufficienza del riferimento ai fidefacenti, in quanto costoro non figuravano come testimoni. Essa non indica quale altra precauzione il notaio avrebbe dovuto prendere, ossia quale altro accertamento avrebbe dovuto effettuare, oltre a questi due. Si limita a dire che uno dei due accertamenti (il fatto di riferirsi ai fidefacenti) non è valido. Essendo questa la ratio decidendi , essa è errata, proprio in quanto, pur prendendo atto delle attività effettuate dal notaio al fine di verificare la identità della parte, non già ritiene tali attività insufficienti, ossia non già ritiene che avrebbe dovuto il notaio effettuarne di altre, ma piuttosto le ritiene irregolari, assumendo che il fatto che i fidefacenti non fossero indicati come testimoni li rendeva fonti non idonee ad attestare l’identità dell’acquirente.
-Il secondo motivo , che prospetta violazione degli articoli 1218, 1223 e ss. c.c. è assorbito, in quanto contesta la quantificazione del danno. Il ricorso va pertanto accolto in questi termini e la decisione cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in