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Responsabilità del manager: CONSOB e sanzioni.

La Corte di Cassazione ha confermato le sanzioni amministrative a carico del responsabile di una direzione di un istituto bancario, rigettando il suo ricorso. La sentenza stabilisce due principi chiave: la competenza dell’autorità di vigilanza finanziaria (e non dell’Antitrust) su illeciti specifici del settore e il criterio della “responsabilità effettiva” del manager, basata sul suo concreto coinvolgimento nelle operazioni irregolari, indipendentemente dal ruolo formale. La sanzione è stata ritenuta congrua data la gravità dei fatti.

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Responsabilità del Manager: la Cassazione conferma le sanzioni finanziarie

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema cruciale della responsabilità del manager all’interno di un istituto di credito, confermando le sanzioni irrogate dall’autorità di vigilanza finanziaria. La decisione ribadisce importanti principi sulla competenza in materia di illeciti finanziari e, soprattutto, sul criterio per attribuire la responsabilità personale ai dirigenti, che non si ferma al ruolo formale ma guarda all’effettiva ingerenza nella gestione.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un manager, responsabile della Direzione Capitale Sociale e Comunicazione di un noto istituto di credito. L’autorità di vigilanza finanziaria gli aveva comminato una sanzione pecuniaria per aver violato diverse norme del Testo Unico della Finanza (T.U.F.).

Le contestazioni principali riguardavano due condotte:
1. Comportamenti irregolari nella gestione dei trasferimenti di azioni tra soci e nei finanziamenti concessi ai clienti per l’acquisto di azioni della banca stessa. Erano state utilizzate pratiche come “lettere di gradimento garantito” e “promesse di indennizzo” per incentivare gli investimenti e sostenere la patrimonializzazione della banca.
2. Omissione di procedure adeguate e comportamenti contrari a correttezza, diligenza e trasparenza nella gestione degli ordini di acquisto e vendita delle azioni, caratterizzata da un’ampia discrezionalità e dalla mancanza di criteri prefissati.

Il manager si era opposto alla sanzione, ma la Corte d’Appello aveva respinto il suo reclamo, confermando la decisione dell’autorità. Di qui, il ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la responsabilità del manager

Il ricorrente ha basato la sua difesa su tre motivi principali:
1. Difetto di competenza: Sosteneva che la competenza a sanzionare tali condotte, qualificabili come pratiche commerciali scorrette, spettasse all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) e non all’autorità di vigilanza finanziaria.
2. Mancanza di ascrivibilità: Negava la propria responsabilità personale, affermando di aver avuto un ruolo meramente esecutivo, di non avere potere decisionale e di aver agito secondo le indicazioni del Direttore Generale.
3. Carenza di motivazione sulla sanzione: Riteneva che l’importo della sanzione non fosse stato adeguatamente motivato dai giudici di merito.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali su ogni punto sollevato.

La Competenza dell’Autorità di Vigilanza Finanziaria

Sul primo punto, la Corte ha stabilito che, sebbene alcune condotte possano astrattamente rientrare nella nozione di pratica commerciale scorretta, la disciplina specifica del settore finanziario prevale su quella generale a tutela del consumatore. Le norme del T.U.F. violate sono volte a garantire la correttezza dell’organizzazione interna della banca, la trasparenza e l’integrità dei mercati, a tutela non solo dei clienti-consumatori ma di tutti gli investitori, inclusi quelli istituzionali. Pertanto, la competenza a vigilare e sanzionare spetta all’autorità di settore, la cui azione è preordinata a prevenire disfunzioni a monte del rapporto con il singolo cliente.

Il Principio della Responsabilità Effettiva del Manager

Il cuore della decisione riguarda il secondo motivo. La Cassazione ha affermato che la responsabilità del manager non deriva dalla mera qualifica formale, ma dall’effettiva attività svolta e dall’inserimento del soggetto nell’organizzazione dell’ente. Si adotta un criterio “oggettivo-funzionale”.

Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto provato che il manager non si era limitato a un ruolo passivo. Al contrario, si era “ingerito nella vicenda”, facendosi “parte attiva” nel:
* Fornire istruzioni sui trasferimenti di azioni tra privati.
* Distribuire documenti come le “lettere di rendimento garantito”, presentandoli come approvati dalla dirigenza.
* Collaborare alla distribuzione e stampa delle “promesse di indennizzo”.
* Sovraintendere alla gestione delle compravendite di azioni, predisponendo file per dare priorità ad alcuni clienti rispetto ad altri.

Questa concreta ingerenza, anche se su impulso della direzione generale, ha integrato la sua responsabilità, poiché chi ricopre un ruolo direttivo ha il dovere di attivarsi e vigilare per impedire condotte illecite nel proprio settore di competenza.

La Congruità della Sanzione

Infine, la Corte ha giudicato infondato anche il terzo motivo. La sanzione è stata ritenuta congrua e adeguatamente motivata in base a parametri oggettivi previsti dalla legge, come la gravità della violazione, la sua durata nel tempo, le conseguenze sull’irregolarità dei servizi di investimento e il ruolo ricoperto dal ricorrente.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale nel diritto bancario e societario: la responsabilità non è solo di chi firma, ma di chi fa. Per i manager e i dirigenti, il messaggio è chiaro: non è possibile trincerarsi dietro la qualifica formale o le direttive dei superiori quando si è concretamente coinvolti in pratiche illegittime. La Corte di Cassazione valorizza il criterio della responsabilità effettiva, legata al potere di influenza e all’ingerenza concreta nei processi aziendali, un monito a garantire sempre diligenza, correttezza e trasparenza nell’esercizio delle proprie funzioni.

A chi spetta sanzionare le pratiche irregolari nel settore finanziario: all’Autorità di vigilanza di settore o all’Antitrust?
Spetta all’Autorità di vigilanza finanziaria (come la CONSOB in Italia). La sentenza chiarisce che le norme specifiche del Testo Unico della Finanza, che tutelano l’integrità dei mercati e la corretta organizzazione degli intermediari, prevalgono sulla normativa generale a tutela del consumatore applicata dall’Antitrust.

Come viene determinata la responsabilità personale di un manager per un illecito commesso dalla banca?
La responsabilità non si basa solo sulla qualifica formale, ma su un criterio ‘oggettivo-funzionale’. Ciò significa che viene valutata l’effettiva attività svolta dal manager e la sua concreta ingerenza nelle decisioni e operazioni che hanno portato all’illecito. Anche se non aveva potere decisionale finale, il suo coinvolgimento attivo è sufficiente a fondare la sua responsabilità.

Può un manager difendersi sostenendo di aver solo eseguito gli ordini dei suoi superiori?
No, secondo questa sentenza non è una difesa sufficiente. Chi ricopre una funzione direttiva ha un dovere di agire in modo informato e di ostacolare eventi dannosi nel proprio ambito di competenza. Essersi fatto ‘parte attiva’ nell’agevolare le decisioni illecite, anche se assunte da altri, comporta una responsabilità personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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