Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 11215 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 11215 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
Oggetto: SANZIONI AMMINISTRATIVE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15344/2020 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall’ avv. NOME COGNOME e domiciliato presso l’ avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COMMISSIONE NAZIONALE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO è elettivamente domiciliata.
-controricorrente – avverso la sentenza n. 3797/2019 resa dalla Corte d’Appello di Venezia il 18/6/2019, depositata il 25/9/2019 e non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13 marzo 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con delibera n. 20033 del 14/06/2017, modificata dalla delibera n. 20057 del 06/07/2017, la Consob, all’esito del procedimento disciplinato dall’art. 195 d.lgs. n. 58 del 1998, applicò a NOME COGNOME nella sua qualità di Responsabile della Direzione Capitale Sociale e Comunicazione Istituzionale di Veneto Banca s.p.a., per il periodo di permanenza nella carica (dal 01/01/2011 al 09/11/2015), la sanzione pecuniaria di complessivi euro 75.000,00 per la violazione dell’art. 21 comma 1, lett. a), T.U.F., per avere la Banca tenuto comportamenti irregolari, tra l’altro, nell’ambito dei trasferimenti tra privati delle proprie azioni e dei finanziamenti concessi ai clienti per l’acquisto delle azioni di propria emissione (periodo di riferimento: 18/12/2012-31/08/2015), e per la violazione dell’art. 21, comma 1, lett. d), T.U.F. e dell’art. 15 del Regolamento congiunto Banca d’Italia/Consob del 29/10/2007, nonché dell’art. 21, comma 1, lett. a), del T.U.F. e dell’art. 49, commi 1 e 3, del Regolamento Consob n. 16190 del 29/10/2007, per avere la Banca omesso di dotarsi di procedure adeguate e tenuto comportamenti contrari a correttezza, diligenza e trasparenza in materia di gestione degli ordini dei clienti (periodo di riferimento: 01/06/2011-10/2/2015), stabilendo, in particolare, la sanzione di euro 60.000,00 per la violazione n. 2, aumentata, per effetto del cumulo giuridico, di euro 15.000,00 per la violazione n. 3.
Il giudizio di opposizione, incardinato da NOME COGNOME con ricorso notificato alla Consob il 02/10/2017, con il quale chiese l’annullamento della delibera e, in subordine, la riduzione della sanzione irrogata, si concluse, nella resistenza della Commissione Nazionale per le Società e La Borsa, con la sentenza n. 3797/2019, pubblicata il 25/09/2019, con la quale la Corte d’Appello di Venezia respinse l’opposizione.
Per quanto qui interessa, i giudici di merito ritennero integrata la condotta ascritta all’incolpato con la ‘ seconda violazione ‘, avendo questi dato indicazioni, nel 2015, ai responsabili di area sui trasferimenti tra soci (cc.dd. ‘ trasferimenti tra privati ‘); avendo trasmesso i documenti che impegnavano la Banca a corrispondere ai sottoscrittori di azioni della Banca un rendimento del 3% (cc.dd. lettere di gradimento garantito), presentandoli come direzionali e, dunque, regolari; dando le direttive per la stampa dei moduli relativi alle cc.dd. ‘ promesse di indennizzo ‘ nei confronti di alcuni clienti in caso di diminuzione del valore delle azioni della Banca per effetto di rideterminazioni da parte dell’Assemblea dei soci, stabilendone la quantità e facendoli pervenire ai direttori territoriali.
Ritennero, altresì, integrata anche la condotta di cui alla ‘ terza violazione ‘, riferita alla procedura interna seguita dalla Banca per le istanze di acquisto e di vendita presentate dai soci senza prefissare i criteri sottesi all’incrocio delle stesse, tanto nella regolamentazione dei flussi informativi tra le unità organizzative convolte, quanto nella fase esecutiva, caratterizzata da ampia discrezionalità nelle scelte delle richieste di vendita da incrociare, restando il corredo informativo riguardante la gestione delle azioni della Banca e le relative decisioni nella piena disponibilità del Direttore Generale e della Direzione Capitale Sociale e avendo il De Fonzo all’attenzione del quale veniva quotidianamente portato il ‘Libro soci movimenti in corso’ -dato indicazioni sull’individuazione degli ordini da regolare.
Contro la predetta sentenza, il COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. La Commissione Nazionale per le Società e la Borsa resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 27, comma 1bis , d.lgs. n. 206 del 2005 e il difetto di competenza della Consob, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito rigettato l’eccezione di incompetenza, in capo alla Consob, ad accertare e sanzionare le condotte oggetto della delibera opposta, ritenendo che la materia non fosse devoluta all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in quanto, in caso di contrasto, prevalevano le disposizioni contenute in direttive e altre discipline comunitarie. Ad avviso del ricorrente, la natura delle contestazioni mosse dalla Consob, in quanto afferenti a comportamenti irregolari nei finanziamenti concessi ai clienti per azioni di propria emissione incidenti sul processo decisionale di investimento da parte della clientela e a comportamenti scorretti nella gestione degli ordini, avrebbe dovuto indurre, invece, ad escludere la competenza della Consob. Il motivo è infondato.
Il riparto di competenza tra RAGIONE_SOCIALE, che opera nel mercato generale con funzioni di vigilanza, e Consob, che opera nel particolare settore finanziario, è regolato dall’art. 19, comma 3, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (‘cod. cons.’), che riproduce l’art. 3, par. 4, della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali scorrette, a mente del quale « In caso di contrasto, le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni di disciplina delle pratiche commerciali scorrette e si applicano a tali aspetti specifici ». Detta disposizione è stata oggetto di incertezze interpretative tra la giurisprudenza nazionale e le istituzioni europee, che è stato risolto alla luce di quanto affermato dalla CGUE, sez. 2, sentenza 13 settembre 2018, nelle cause riunite C-
54/17 e C-55/17, secondo cui la regola generale è che la competenza spetta all’AGCM in presenza di una pratica commerciale scorretta, tale essendo, a mente dell’art. 20 cod. cons., la situazione in cui ricorrono cumulativamente due condizioni: a) la sua contrarietà alla diligenza professionale; b) la sua idoneità « a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori », oltre alle pratiche ingannevoli di cui agli artt. 21, 22 e 23; ovvero quelle aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26 cod. cons., mentre la competenza delle altre Autorità di settore è residuale, e ricorre soltanto quando la disciplina di settore regoli « aspetti specifici » delle pratiche che rendono le due discipline incompatibili.
Partendo da tali premesse, questa Corte ha chiarito che la violazione della diligenza professionale nella materia dell’intermediazione finanziaria si realizza contestualmente al fatto di aver ignorato regole di condotta prescritte dal T.U.F. e dai regolamenti di attuazione, a prescindere dalla potenziale ovvero attuale ripercussione di detta condotta sui comportamenti dei risparmiatori, sicché l’intervento sanzionatorio è anticipato al momento della trasgressione, e ha altresì precisato che costituisce ulteriore elemento di divergenza il fatto che, mentre la disciplina delle pratiche commerciali scorrette contenuta nel codice di consumo è indirizzata unicamente ai rapporti tra professionisti e consumatori (sebbene la categoria di questi ultimi sia allargata alle microimprese dall’art. 18, comma 1, lett. d), cod. cons.), le disposizioni in materia di intermediazione finanziaria si rivolgono ad un contesto più ampio di beneficiari della tutela, costituito dal consumatore-investitore come anche da investitori istituzionali, che
non rispondono necessariamente alla definizione di consumatore rinvenibile nell’art. 3, comma 1, cod. cons. (« persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta »).
Alla stregua di ciò, si è detto che, in materia di sanzioni amministrative nei confronti degli intermediari mobiliari, ove la condotta sanzionata consista nella violazione, da parte di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari, dei doveri concernenti il momento organizzativo, preordinati alla tutela non solo del cliente, ma anche della trasparenza e correttezza dell’operato della banca e dell’integrità del mercato, l’autorità competente ad irrogare le sanzioni è la CONSOB, ai sensi degli artt. 5, 21 e 190 del T.U.F., restando irrilevante che dalle violazioni siano poi derivate pratiche commerciali scorrette e senza che ciò determini un contrasto della disciplina del T.U.F. con l’art. 27, comma 1bis , del d.lgs. n. 206 del 2005, introdotto dall’art. 1, comma 6, lett. a), del d.lgs. n. 21 del 2014, che attribuisce in via esclusiva all’AGCM la tutela amministrativa del consumatore contro simili pratiche (Cass., Sez. 2, 11/1/2024, n. 1154; Cass., Sez. 2, 18/9/2020, n. 19558).
Orbene, le norme segnalate da Consob nella contestazione degli illeciti, tra cui quelli contestati dal ricorrente, obbligano i soggetti abilitati, nello svolgimento dell’attività di prestazione dei servizi e delle attività di investimento, a predisporre risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente svolgimento dei servizi e delle attività al fine di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l’interesse dei clienti e per salvaguardare l’integrità dei mercati (in questi termini in relazione all’art. 21 lett. b) TFUE, vedi Cass., Sez. 2, 11/1/2024, n. 1154), le quali sono estranee alla logica e alla tecnica di redazione della disciplina generale delle pratiche
commerciali scorrette disegnata nella Dir. 2005/29/UE, in quanto sono volte a garantire la correttezza dell’organizzazione della Banca nell’espletamento delle operazioni del servizio di investimento, senza riferirsi direttamente al rapporto Banca-investitore, ma concretizzandosi piuttosto nell’omissione di obblighi e doveri che si collocano a monte del suddetto rapporto, in quanto attengono alle modalità organizzative della banca, anche in ordine alla scelta di procedure fondate su disposizioni interne, a tutela non solo del cliente, ma anche della trasparenza e correttezza dell’operato della banca e dell’integrità del mercato (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19558 del 18/09/2020, Rv. 659174-01; conf. da: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 3248 del 02/02/2022; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27708 del 2021).
Detti principi sono stati confermati, con riferimento proprio alla delibera in esame, da Cass., Sez. 2, 2/2/2022, n. 3248, la quale ha affermato che «in materia di sanzioni amministrative nei confronti degli intermediari mobiliari, ove la condotta sanzionata consista nella violazione, da parte di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari, dei doveri concernenti il momento organizzativo, preordinati alla tutela non solo del cliente, ma anche della trasparenza e correttezza dell’operato della banca e dell’integrità del mercato, l’autorità competente ad irrogare le sanzioni è la CONSOB, ai sensi degli artt. 5, 21 e 190 del T.U.F., restando irrilevante che dalle violazioni siano poi derivate pratiche commerciali scorrette e senza che ciò determini un contrasto della disciplina del T.U.F. con l’art. 27, comma 1bis , del d.lgs. n. 206 del 2005,introdotto dall’art. 1, comma 6, lett. a), del d.lgs. n. 21 del 2014, che attribuisce in via esclusiva all’AGCM la tutela amministrativa del consumatore contro simili pratiche (Cass. Sez. 2, 18/09/2020, n. 19558)».
Alla stregua di tali principi, deve allora reputarsi sostanzialmente corretta la decisione dei giudici di merito, allorché hanno affermato la competenza della Consob all’irrogazione della sanzione .
2 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione dell’art. 21, comma 1, lett. a) e d), d.lgs. n. 58 del 1998, e degli artt. 2358 e 1548 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato l’ascrivibilità al ricorrente delle violazioni 2) e 3).
In relazione alle prime, consistenti nella violazione del dovere di correttezza e diligenza gravante sull’intermediario al fine di servire al meglio gli interessi della clientela, sostanziatosi nel diffuso coinvolgimento della Banca nei c.d. trasferimenti tra privati, nell’impiego di finanziamenti quali forme di pressione sui clienti per la buona riuscita dell’Aucap 2014 e nell’utilizzo di strumenti commerciali destinati solo ad alcuni investitori (lettere di garanzia; clausole di salvaguardia; promesse di indennizzo), al fine di sopperire alle esigenze di patrimonializzazione della Banca e a ridurre la tensione di liquidità delle relative azioni, i giudici non avevano considerato che l’acquisto di azioni era regolato dall’art. 2358 cod. civ. e dallo Statuto sociale, che la funzione ricoperta dall’Unità operativa Capitale Sociale consisteva nell’effettuare una mera registrazione a Libro Soci del trasferimento di quote tra cedente e cessionario e, dunque in una mera presa d’atto di determinazioni assunte dalle parti dell’acquisto, che l’accordo tra privati non aveva assunto dimensioni rilevanti, che nessuna valenza probatoria poteva essere attribuita alle dichiarazioni dei testi, che le operazioni di trasferimento diretto tra le parti erano sollecitate dalla BCE, che l’Ufficio di appartenenza non svolgeva alcuna funzione, né partecipava ai Comitati Strategico, Finanza, Commerciale e Crediti, non veniva interpellato nelle scelte strategiche afferenti al capitale e non intratteneva rapporti coi
clienti, che le operazioni di cui alle lettere di garanzia rientravano nella fattispecie negoziale del riporto di cui all’art. 1548 cod. civ e che i documenti di cui alle ‘promesse di indennizzo’ erano stati portati alla sua attenzione già compilati.
In relazione alle seconde, consistenti nell’avere la Banca adottato un iter procedurale in materia di negoziazione degli ordini di vendita che consentisse la corretta e ordinata gestione delle richieste di vendita e di acquisto di sue azioni, con creazione conseguente di ampia discrezionalità, i giudici non avevano considerato che era il regolamento della Banca a circoscrivere le prerogative della sottodivisione denominata ‘Capitale sociale’, la quale non poteva agire di propria iniziativa per operazioni finanziarie, né era tenuta a fara segnalazioni, essendo mera esecutrice di deliberazioni assunte dal Consiglio di Amministrazione, e che il ricorrente non aveva alcun potere decisionale, né poteva ingerirsi nella attività di altre divisioni, ma doveva eseguire le indicazioni del Direttore Generale.
Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.
Al riguardo occorre, preliminarmente, evidenziare che ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d. lgs. 12 maggio 2015, n. 72, «le modifiche apportate alla parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia secondo le rispettive competenze ai sensi dell’articolo 196bis del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58. Alle violazioni commesse prima della data di entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia continuano ad applicarsi le norme della parte V del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, vigenti prima della data di entrata in vigore del presente decreto legislativo ».
Nel caso di specie, le violazioni sono state commesse nel periodo 18/12/2012-31/08/2015, la prima, e 01/06/2011-10/2/2015, la seconda, sicché per quasi tutto il periodo di riferimento deve considerarsi applicabile la disciplina antecedente alla suddetta riforma, che è entrata in vigore il 27/6/2015, rispondendo la materia delle sanzioni amministrative al principio del tempus regit actum (Cass., Sez. 5, 27/4/2016; n. 4144; Cass., Sez. 1, 30/6/2016, n. 13433; Cass., Sez. 2, 22/9/2018, n. 20689) e comportando, dunque, i principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui all’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in tema di sanzioni amministrative, l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, senza con ciò violare i principi convenzionali enunciati dalla Corte E.D.U. con la sentenza 4/3/2014 ( COGNOME ed altri c/o Italia ), dal momento che tali principi non possono indurre a ritenere che una sanzione, qualificata come amministrativa dal diritto interno, abbia sempre e a tutti gli effetti natura sostanzialmente penale (Cass., Sez. 2, 18/6/2019, n. 16323).
Orbene, mentre alcune disposizioni del T.U.F. riferiscono la condotta genericamente a ‘chiunque’ la realizzi, l’art. 190 T.U.F., nella versione applicabile ratione temporis anteriormente alla modifica introdotta dall’art. 5 d.lgs. n. 72 del 2015, sanziona le violazioni poste in essere dai ” soggetti che svolgono funzioni di amministrazione o di direzione e i dipendenti di società o enti abilitati “, così adottando un criterio oggettivo-funzionale, che tiene conto della responsabilità effettiva dei soggetti che agiscono nell’ambito dell’organizzazione dell’intermediario, cioè della funzione effettivamente svolta, la quale è applicabile in ogni caso in cui il soggetto che la svolge sia inserito all’interno della struttura
aziendale, senza che possa assumere rilievo discriminante la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato in senso tecnico (Cass., Sez. 2, 18/6/2019, n. 16323, cit.; anche Cass., Sez. 5, 27/4/2016; n. 4144; Cass., Sez. 1, 30/6/2016, n. 13433).
In sostanza, la norma segue un criterio di imputazione oggettiva fondato sull’attività in concreto esercitata, sicché il requisito della dipendenza deve essere inteso non in riferimento alla ricorrenza di provvedimenti formali tipici riconducibili alla sola ipotesi di lavoro subordinato, ma soltanto all’inserimento del soggetto all’interno dell’organizzazione dell’ente (così Cass., Sez. 2, 19/11/2024, n. 29727; Cass. Sez. 2, 18/06/2019, n. 16323).
Tale principio è stato confermato da Cass., Sez. 2, 2/2/2022, n. 3243 (non massimata), anche con riguardo alla delibera in esame, la quale ha ulteriormente chiarito che l’art. 190 TUF, in base alla versione applicabile ” ratione temporis ” anteriormente alla modifica introdotta dal d.lgs. n. 72 del 2015, prevede «una serie di fattispecie destinate a salvaguardare procedure e funzioni e incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, che ricollega il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limita l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” della condotta inosservante, sicché, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza. Così, in particolare, doveri di particolare pregnanza sorgono in capo al Consiglio di Amministrazione di una società bancaria, doveri che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono
del mancato utile attivarsi (fra le tante, Cass. Sez. 2, 26/09/2019, n. 24081; Cass. Sez. II, 18/06/2019, n. 16323)», al pari di quanto accade con riguardo a chi svolge attività di direzione, come nella specie il ricorrente, il quale, peraltro, in quanto Responsabile della Direzione Capitale Sociale e Comunicazione Istituzionale di Veneto Banca s.p.a., aveva il compito, da lui stesso evidenziato nel ricorso, di custodire e aggiornare il registro di vendita delle azioni, che è strettamente correlato giust’appunto alle condotte illecite contestate.
Nella specie, i giudici di merito hanno, infatti, ritenuto il ricorrente responsabile degli illeciti a lui ascritti in quanto, con riguardo ai cc.dd. trasferimenti tra privati che avevano coinvolto la Direzione Generale e il Capitale sociale, si era ingerito nella vicenda, facendosi parte attiva nel 2015 nel fornire istruzioni in merito; con riguardo alle cc.dd. lettere di rendimento garantito, aveva distribuito i relativi documenti, presentandoli come direzionali, ossia con patente di approvazione da parte della dirigenza, benché gli stessi non rientrassero nella competenza della Direzione Capitale Sociale, in quanto esulanti dalle competenze dell’organigramma aziendale; quanto alle promesse di indennizzo, aveva collaborato alla distribuzione dei relativi moduli alle Direzioni territoriali, oltre ad avere impartito direttive per la loro stampa e la relativa quantità, così dimostrando la sua partecipazione al comitato commerciale.
Quanto, infine, alla gestione delle compravendite di azioni della Banca, riguardante la terza violazione, ascritta al ricorrente sotto il profilo comportamentale, i giudici hanno ritenuto che questi ne fosse coinvolto in quanto aveva sovrainteso all’attività svolta dall’Ufficio Capitale Sociale, preoccupandosi di predisporre i files excel , con l’evidenziazione dei nominativi dei clienti che avevano presentato reclami, affinché fossero anteposti ad altri, e di curare,
assieme al Direttore Generale, la sottoposizione al Consiglio di Amministrazione degli ordini da incrociare, così sostanzialmente decidendo discrezionalmente con la Direzione Generale le operazioni, che il Consiglio di Amministrazione di limitava a recepire acriticamente e passivamente.
Alla stregua di tali valutazioni in fatto operate dai giudici di merito sulla concreta ingerenza del ricorrente negli aspetti gestionali delle operazioni sopra descritte, deve escludersi, allora, la dedotta violazione di legge, atteso che la disposizione contestata adotta un criterio di imputazione della responsabilità fondata, come si è detto, sull’attività in concreto esercitata dai soggetti inseriti all’interno dell’organizzazione dell’intermediario (cfr. in tal senso Cass., Sez. 2, 31/5/2023, n. 15352; Cass., Sez.2, 21/2/2019 n. 16323), e che, nella specie, il ricorrente, in quanto direttore, non soltanto rivestiva la qualifica formale espressamente richiesta dalla norma, che gli consentiva di avere, già sulla carta, funzioni non meramente esecutive, tali da imporgli di attivarsi per conoscere ciò che accadeva nel settore di sua competenza, ma si era fatto parte attiva nell’agevolare le decisioni assunte dalla Direzione generale.
Né sono ammissibili le doglianze riferite specificamente alla valutazione delle dichiarazioni testimoniali, atteso che detta attività è riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili con il ricorso per cassazione (Cass., Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 19/07/2021, n. 20553), né rientrano nell’ambito applicativo dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che con esse è allegata un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa esterna all’esatta interpretazione della norma, siccome inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta, in quanto tale, al sindacato di legittimità (cfr.
Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272; Cass., Sez. 3, 4/3/2022, n. 7187; Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640).
3 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta, infine, la violazione dell’art. 190 d.lgs. n. 190 del 1998 e dell’art. 11, legge n. 689 del 1981, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito quantificato la sanzione senza rendere alcuna motivazione sulla congruità di quella inflitta, limitandosi a riportare apoditticamente il testo della legge, senza alcuna contestualizzazione. La sanzione, peraltro, non poteva poggiare sulla componente comportamentale, essendo il ricorrente estraneo alle accuse mosse contro di lui, stante la marginalità del suo ruolo.
Anche questo motivo è infondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel procedimento di opposizione concernente l’entità della sanzione amministrativa pecuniaria irrogata per violazione del T.U.B. o del T.U.F., il giudice ha il potere discrezionale di quantificare l’entità della sanzione entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi e senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga che, nella determinazione della sanzione, si è tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981 (Cass., Sez. 2, 17/7/2024, n. 19716).
Nella specie, i giudici di merito hanno chiarito le ragioni per le quali hanno ritenuto congrua la quantificazione della sanzione, avendo a tal fine valorizzato l’oggettiva gravità della violazione di indole comportamentale, la sua protrazione per un considerevole lasso temporale, le conseguenze da essa derivanti in ordine all’irregolarità della prestazione dei servizi di investimento e il ruolo
ricoperto dal ricorrente, quale responsabile della Direzione Capitale Sociale e Comunicazione istituzionale.
Né tali argomentazioni, per quanto succinte, possano dirsi apodittiche, richiamando le specificità della fattispecie esaminata.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 marzo 2025.
Il Presidente NOME COGNOME