Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27834 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27834 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7423/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dai difensori
-ricorrente-
contro
PRESIDENZA DEL RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa per legge dall’ RAGIONE_SOCIALE (P_IVA) , domiciliata presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ANCONA n. 1234/2022 depositata il 03/10/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
R.G. 7423/2023
COGNOME.
Rep.
C.C. 13/6/2024
C.C. 14/4/2022
RESPONSABILITÀ CIVILE MAGISTRATI.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propose davanti al Tribunale di Parma, nel lontano 1996, opposizione ad un provvedimento monitorio che le aveva ingiunto il pagamento della somma di euro 631.431.057 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice dell’opposizione, dopo un iniziale diniego, motivato con l’assenza del fumus boni iuris , dell’istanza formulata ex art. 648 cod. proc. civ. dal creditore opposto, autorizzò poi la provvisoria esecuzione del decreto, subordinandola, però, al deposito di una cauzione (circostanza che indicò come idonea a «superare le perplessità sulla prova esternata in precedenza»), della quale indicò, nel medesimo provvedimento, le caratteristiche minime di forma e contenuto. Prestata da un terzo la cauzione, ed ottenuto dal creditore il rilascio, da parte del Presidente del Tribunale parmense, del decreto con la formula esecutiva, l’ingiunta pagò il credito indicato nel provvedimento monitorio, ormai provvisoriamente esecutivo. All’esito del giudizio, che si concluse nel 2003 con una sentenza di accoglimento dell’opposizione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE e con l’accertamento dell’insussistenza del credito della società RAGIONE_SOCIALE, la società opponente (e oggi ricorrente) non riuscì a recuperare quanto indebitamente pagato, a causa del fallimento sia della società opposta, sia della società che, nella veste di garante, aveva rilasciato la cauzione. Emerse, poi, che la società che aveva prestato la fideiussione non era né una banca né una società di assicurazione e che la garanzia, pertanto, era fittizia.
Sulla base di questi presupposti, nell’anno 2005 la società RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Ancona, la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, per far valere la responsabilità dei due magistrati intervenuti in quella procedura e, dunque, per chiedere il risarcimento del danno subito. In particolare, l’attrice rilevò che il Giudice istruttore aveva errato nel concedere la
provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo in assenza del requisito del fumus boni iuris e che il Presidente del Tribunale di Parma aveva rilasciato la formula esecutiva senza curarsi del fatto che la garanzia non corrispondeva a quanto indicato dal Giudice istruttore.
Il Tribunale dichiarò inammissibile la domanda, sul rilievo che quello di concessione o diniego della clausola di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto è un «provvedimento privo di autentico contenuto decisorio, non idoneo ad interferire sulla definizione della causa», nella specie conclusa con l’accoglimento dell’opposizione e la revoca del decreto, ciò che avrebbe comportato il venir meno del danno lamentato dall’RAGIONE_SOCIALE.
Quel decreto fu confermato dalla Corte d’appello di Ancona, con provvedimento del 10 settembre 2007.
Avverso tale provvedimento fu proposto ricorso per cassazione, accolto da questa Corte con la sentenza 5 novembre 2013, n. 24798.
In tale pronuncia fu ravvisata «una condotta gravemente colposa del magistrato», ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettera a ), della legge 13 aprile 1988, n. 117, consistita «nell’avere concesso la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo nel giudizio di opposizione, con un provvedimento nel quale da un lato si negava l’esistenza del fumus boni iuris , e dall’altro si accoglieva comunque l’istanza di provvisoria esecutorietà, imponendo una cauzione». Tale condotta, pertanto, venne ritenuta «violativa di un principio processuale fondamentale, stabilito da una pronuncia altrettanto fondamentale del giudice delle leggi: quello secondo cui l’art. 648 c.p.c., in tutti e due i suoi commi, esige per la concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto il fumus boni iuris ».
A seguito della pronuncia di cassazione la società RAGIONE_SOCIALE riassunse il giudizio davanti al Tribunale di Ancona, sede nella quale si costituì anche la RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale rigettò la domanda, rilevando, da un lato, che la decisione sulla provvisoria esecuzione era il frutto della libera interpretazione propria dell’attività giurisdizionale e, dall’altro, che non vi era un nesso di causalità tra la condotta del giudice e il danno subito, essendo quest’ultimo dipeso da una condotta fraudolenta (e quindi dolosa) della società creditrice. Fu esclusa anche la responsabilità del Presidente del Tribunale, rilevando che egli non era tenuto a verificare la validità della cauzione ai fini del rilascio della formula esecutiva da parte del cancelliere.
Quella decisione fu confermata dalla Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 27 dicembre 2018, la quale ribadì che, pur essendo da ritenere colposo il comportamento del Giudice istruttore, come già dichiarato dalla Corte di cassazione, il rapporto di causalità tra quel comportamento e il danno era stato interrotto dalla condotta dolosa e fraudolenta della parte creditrice, consistente nell’aver prestato una cauzione fittizia.
Anche tale seconda sentenza della Corte anconetana fu oggetto di ricorso per cassazione e questa Corte, con la sentenza 22 febbraio 2021, n. 4662, accolse il primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, cassò la sentenza impugnata e rinviò alla Corte d’appello di Ancona.
Fu osservato in quella pronuncia che il giudice di rinvio, pur « muovendo dalla premessa circa l’assenza di ‘ulteriori spazi di valutazione per discostarsi da quanto ritenuto dalla Corte di Cassazione’ (ovvero, che ‘la concessione della provvisoria esecuzione’ sia ‘atto da qualificarsi come colposo ai fini del giudizio di responsabilità’)» aveva, tuttavia, affermato che la prova del comportamento colposo non era sufficiente a ritenere dimostrato anche il danno patito dalla società RAGIONE_SOCIALE; danno che era da
ascrivere direttamente alla presentazione di una fideiussione priva dei requisiti di validità analiticamente individuati nel provvedimento del Giudice istruttore.
Richiamati i principi in tema di nesso di causalità e i diversi approdi raggiunti, sull’argomento, dalla giurisprudenza penale e da quella civile, la sentenza n. 4662 cit. rilevò che costituisce violazione dell’art. 41 cod. pen. l’affermazione secondo cui il carattere doloso della condotta dello stesso creditore ingiungente aveva interrotto il nesso causale tra il contegno del Giudice istruttore, ormai incontestabilmente accertato come colposo, e l’evento dannoso. Integrava, quindi, vizio di sussunzione l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la mancata prestazione di un’idonea cauzione costituiva una circostanza autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto. La conclusione secondo cui quest’ultimo elemento era in grado di neutralizzare la condotta colposa antecedente del Giudice istruttore era errata, alla luce dei principi della causalità adeguata; ciò in quanto la sussistenza del dolo ravvisato nel comportamento della società creditrice non poteva far obliterare del tutto la natura colposa consistente nella concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo in assenza del requisito del fumus boni iuris .
La sentenza concluse enunciando il principio di diritto secondo cui «in caso di comportamento colposo di un soggetto idoneo a cagionare un danno, la condotta dolosa di altro soggetto che non si ponga come autonoma, eccezionale ed atipica rispetto alla serie causale già in atto, non è idonea ad interrompere il nesso causale con l’evento dannoso, ma potrà, al più, assumere rilievo solo sul piano della selezione delle conseguenze dannose risarcibili».
A seguito di tale nuova pronuncia cassatoria la società RAGIONE_SOCIALE ha riassunto il giudizio davanti alla stessa Corte d’appello la quale, con sentenza del 3 ottobre 2022, ha nuovamente rigettato
la domanda risarcitoria, compensando le spese di tutti i gradi di giudizio.
Dopo aver riassunto nei passaggi principali l’evolversi della complessa vicenda processuale, il giudice di rinvio ha rilevato che, alla luce delle due pronunce emesse da questa Corte, dovevano ritenersi ormai non più in discussione né la natura, gravemente colposa, del comportamento tenuto dal Giudice istruttore né il fatto che quella condotta era da considerare tra quelle che avevano concorso a determinare il danno lamentato dalla società appellante, consistito «nel mancato recupero della somma pagata anticipatamente e poi risultata non dovuta». Doveva tuttavia esaminarsi il punto oggetto del secondo motivo del ricorso per cassazione, rimasto assorbito, relativo alla questione dell’apposizione della formula esecutiva sul decreto ingiuntivo opposto.
Ha osservato la Corte territoriale, a questo proposito, che il Giudice istruttore aveva condotto, nella specie, l’unica verifica che l’art. 648 cit. gli imponeva, valutando l’idoneità astratta della cauzione offerta dalla parte. Nessun altro controllo giudiziario poteva pretendersi dal giudice, anche alla luce dell’art. 478 cod. proc. civ.; il che significa che l’atto di apposizione della formula compiuto dal Presidente del Tribunale era «un atto giuridicamente inutile e irrilevante sotto il profilo causale», perché la spedizione alla cancelleria non richiede «alcuna formale disposizione da parte del giudice». Doveva quindi ritenersi che né il giudice né il cancelliere potessero essere gravati «della verifica dell’onerosità o vessatorietà delle singole clausole della fideiussione, o della verifica delle firme o dei requisiti formali della società di assicurazione»; il che era confermato anche dal fatto che la società RAGIONE_SOCIALE non aveva solo pagato la somma portata dal decreto ingiuntivo, ma aveva anche assunto numerose iniziative giudiziarie (opposizione
all’esecuzione) per contrastare l’azione esecutiva intrapresa dalla controparte.
Ma, al di là di tutto questo, il passaggio decisivo della sentenza della Corte d’appello è quello relativo all’identificazione del danno risarcibile. A questo proposito, la sentenza ha osservato che i danneggiati non avevano addotto alcun elemento specifico, limitandosi alla quantificazione dei danni.
La sentenza ha specificato che doveva condividersi «il principio dell’equivalenza delle cause, in base al quale se la produzione di un evento dannoso è riferibile a più azioni, di esso rispondono gli autori di ciascuna di esse, dovendosi riconoscere ad ognuna uguale efficacia causativa, senza possibilità di distinguere tra causa prossima e causa remota, causa diretta e causa indiretta». Tale principio, però, doveva essere contemperato con quello «della causalità efficiente o causalità giuridica, desumibile dal comma 2 dell’art. 41 c.p., in base al quale se un evento è riferibile a più azioni colpose, ma tra esse una sola, per la sua efficacia causale, risulta tale da rendere giuridicamente irrilevanti le altre cause preesistenti, dell’evento dannoso risponde solo l’autore dell’azione sopravvenuta, alla quale deve riconoscersi esclusiva rilevanza giuridica rispetto alla produzione dell’evento».
Facendo applicazione di questa regola nel caso specifico, la Corte dorica ha stabilito che l’errata concessione della provvisoria esecuzione era «in relazione diretta ed immediata solo con una parte del danno, cioè il pagamento anticipato di una somma di denaro in realtà non dovuta», mentre la domanda risarcitoria formulata dalla società RAGIONE_SOCIALE non era fondata su questo. L’appellante, infatti, si era doluta del mancato recupero della somma ed era «del tutto evidente che tale aspetto del danno era in relazione diretta ed immediata solo con il fatto-reato commesso dalla RAGIONE_SOCIALE in concorso con la società terza che ha prestato la falsa fideiussione». Detto in altri termini, nessun elemento
disponibile in atti autorizzava a ritenere che la frode della società obbligata a prestare la garanzia fosse prevedibile dal Giudice istruttore sin dal momento in cui questi aveva ricevuto e valutato l’offerta di prestare la cauzione; né poteva essere onerato «l’organo giudiziario dell’obbligo di contemplare anche la frode processuale tra le possibili condotte delle parti, ogni volta che prevede l’imposizione di una cautela o di una garanzia, perché si tratterebbe di valutazioni inesigibili visto che deve trattarsi in ogni caso di condotte prevedibili secondo criteri di normalità».
In sostanza, lo schema legislativo della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto prevede come unico rimedio l’imposizione di una cauzione; per cui l’errata valutazione dei presupposti per la declaratoria di provvisoria esecuzione «avrebbe certamente avuto una portata causale assorbente, rispetto ad ogni altro successivo sviluppo impeditivo del recupero di quanto anticipato (ad es. per il sopravvenuto fallimento della società), se non fosse stata accompagnata dalla previsione della cauzione». E l’avvenuta imposizione della cauzione, disposta nella specie, costituiva una garanzia fissata dalla legge anche per la possibilità dell’eventuale errore del giudice.
In definitiva, se «lo schema legislativo della garanzia su cauzione non fosse stato ‘sabotato’ dall’inesatto adempimento dell’obbligo imposto dal giudice, l’odierno appellante non avrebbe subito alcun danno»: sicché, pur nel concorso di varie condotte che nella loro concatenazione causale avevano determinato un unico danno, non vi era dubbio che quello subito dall’appellante era «il tipico danno conseguente al reato di truffa e non il danno determinato dall’errore giudiziale». Né a diversa conclusione poteva giungersi, secondo la Corte, volendo ipotizzare una graduazione delle colpe concorrenti secondo lo schema dell’art. 2055 cod. civ., visto che «l’efficacia causale della condotta fraudolenta rispetto al danno sarebbe in ogni caso totalmente assorbente».
Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona propone ricorso la società RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a due motivi.
Resiste la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 384 e 648 cod. proc. civ., dell’art. 41 cod. pen. e dell’art. 2055 cod. civ., oltre a nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4) cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), dello stesso codice.
La complessa e articolata censura, dopo aver riassunto lo svolgimento della vicenda, prende l’avvio dal richiamo delle affermazioni contenute nella seconda sentenza di cassazione, rilevando che il giudice di rinvio si sarebbe ad essa attenuto, ma solo fino ad un certo punto, non considerando che la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo deve essere sempre preceduta e non seguita dalla verifica della corrispondenza dell’offerta cauzione all’entità degli oggetti indicati nel secondo comma dell’art. 648 del codice di rito.
Nella specie, pur avendo la Corte d’appello ammesso che l’errore giudiziario compiuto dal Giudice istruttore era da considerare causalmente connesso col danno subito, nei passaggi finali la sentenza avrebbe contraddetto questa premessa, affermando che il danno patito dalla ricorrente era stato determinato solo dal comportamento fraudolento della società creditrice. La sentenza, cioè, avrebbe falsamente applicato l’art. 41 cod. pen., violando anche i limiti fissati dall’art. 384 cit. per il giudizio di rinvio, dal momento che la sentenza della Corte di cassazione aveva già affrontato e superato la questione della rilevanza esclusiva del dolo del creditore (escludendola, in base a
quanto si è detto). L’indagine sulla colpa del magistrato era ormai preclusa, come la stessa Corte d’appello aveva riconosciuto, per cui chiamare in causa il concetto di prevedibilità del comportamento doloso del creditore sarebbe un errore, perché quest’ultimo era solo «una causa sopravvenuta che, tuttavia, non aveva interrotto il nesso causale».
La sentenza, secondo la parte ricorrente, conterrebbe numerosi errori.
Un primo errore consiste nell’affermazione per cui il Giudice istruttore non era tenuto a verificare l’idoneità della cauzione prima di concedere la provvisoria esecuzione; un secondo errore consiste nell’aver affermato che il danno subito dalla COGNOME era conseguenza esclusiva del reato commesso dalla parte creditrice, nonostante la sentenza n. 4662 cit. avesse chiaramente affermato che il dolo dell’ingiungente non poteva costituire fattore idoneo ad interrompere il nesso di causalità; per cui, in definitiva, la sentenza impugnata avrebbe eluso la decisione di legittimità, rimettendo in discussione punti che erano da considerare ormai chiusi. Tutto questo tenendo presente che la Corte d’appello aveva a sua disposizione i seguenti pacifici dati: la condotta colposa del giudice istruttore, il fatto che il dolo della parte creditrice non aveva interrotto il nesso causale, l’inesistenza del credito, giudizialmente accertata, e la perdita definitiva, per la società ricorrente, della possibilità di recuperare le somme indebitamente versate.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1225 e 2056 cod. civ., in relazione alla prevedibilità del danno.
La parte ricorrente -la quale dichiara di porre questo ulteriore motivo per mero tuziorismo , nell’ipotesi in cui si volesse intendere la decisione impugnata come escludente il danno per la sua mancata prevedibilità -rileva che, trattandosi di responsabilità da
illecito, non potrebbe essere invocato il limite dei danni prevedibili. In secondo luogo, poi, tale limite non potrebbe comunque operare in presenza di un fatto, come quello di cui si discute, gravemente colposo (per espressa indicazione delle pronunce di cassazione), posto che le conseguenze giuridiche della colpa grave sono trattate allo stesso modo di quelle proprie della condotta dolosa.
Torna all’esame della Corte un caso di indubbia delicatezza e complessità, già oggetto di due precedenti pronunce di cassazione e di due conseguenti giudizi di rinvio.
Nel tentativo di fissare con la dovuta chiarezza i paletti del presente giudizio, onde evitare che la vicenda processuale diventi realmente estenuante, il Collegio non ritiene necessario ricapitolare tutti gli snodi precedenti -dei quali si è già detto in precedenza -quanto piuttosto reputa di dover indicare quali siano i punti fermi dai quali si deve imprescindibilmente prendere avvio.
Questi punti fermi derivano dalle precedenti pronunce di questa Corte.
3.1. La prima decisione è la sentenza n. 24798 del 2013, emessa quando ancora nel testo della legge n. 117 del 1988 era vigente l’art. 5, che regolava la fase di ammissibilità della domanda risarcitoria; e in tale occasione venne cassata la decisione della Corte d’appello di Ancona che aveva dichiarato inammissibile il reclamo avverso la decisione (di inammissibilità) pronunciata dal Tribunale per asserita mancanza dei motivi posti a fondamento del reclamo.
Nella sentenza qui ricordata questa Corte mise in luce, innanzitutto, il fatto che la società RAGIONE_SOCIALE aveva esposto in modo chiaro le ragioni di doglianza avverso la decisione di inammissibilità (punti 2.3. e 2.4. della motivazione). E poiché all’epoca, come si è detto, la Corte di cassazione, se adita ai sensi dell’art. 5 della legge n. 117 del 1988, era tenuta a sindacare «non solo la legittimità del provvedimento impugnato (c.d. giudizio rescindente), ma anche a
riesaminare nel merito la sussistenza dei requisiti di ammissibilità della domanda (c.d. giudizio rescissorio)», questa Corte valutò come esistente «una condotta gravemente colposa del magistrato», consistente (in tesi) nell’aver concesso la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo pur negando l’esistenza del fumus boni iuris e imponendo nel contempo una cauzione. La sentenza n. 24798 del 2013 aggiunse, poi, che il provvedimento indicato come causa del danno non poteva ritenersi «frutto di una libera interpretazione della norma», perché l’interpretazione dell’art. 648 cod. proc. civ. disattesa dal Giudice di Parma era da considerare necessitata, in base alla sentenza n. 295 del 1989 della Corte costituzionale.
3.2. Così riassunti i punti centrali della motivazione della prima sentenza di questa Corte, bisogna esaminare la seconda, cioè la sentenza n. 4662 del 2021.
È opportuno premettere, in relazione ad essa, che questa Corte ha preso le mosse da un dato considerato ormai indiscutibile, e cioè che la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo fosse un comportamento gravemente colposo del giudice. A tale risultato la sentenza n. 4662 è giunta osservando che la Corte d’appello di Ancona, nel giudizio concluso dalla sentenza in allora impugnata, aveva già compiuto tale qualificazione (in coerenza con quanto affermato dalla sentenza n. 24798 del 2013 suindicata) e che, sul punto, non vi era stato appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE (punto 5.1.2.2. della motivazione).
Se ne deduce che la sussistenza dell’errore colposo del Giudice istruttore era (ed è, ovviamente) un punto non più in discussione.
Come pure, è ormai irrilevante nella sede odierna il profilo di responsabilità del Presidente del Tribunale, posto che la stessa società ricorrente ha espressamente affermato che «non intende
censurare la decisione» in relazione a detta esclusione di responsabilità (v. ricorso a p. 23).
Tanto premesso, la chiave di lettura della sentenza in questione riguarda la fissazione dei principi in tema di nesso di causalità.
I passaggi di maggior rilievo possono essere sunteggiati nei termini che seguono: 1) nell’illecito aquiliano l’accertamento del nesso di causalità materiale è sindacabile in sede di legittimità per violazione degli artt. 40 e 41 cod. pen. e dell’art. 1227 cod. civ.; 2) nel giudizio civile, retto da principi causali diversi da quelle del giudizio penale, il giudice deve applicare il principio della regolarità causale, integrato, ovvero in alternativa, con quelli dello scopo della norma violata e dell’aumento del rischio tipico; 3) quando l’evento dannoso è stato causato da una pluralità di azioni o omissioni, coeve o succedutesi nel tempo, tutte hanno uguale efficienza causale (art. 41 cod. pen.); sempre che, naturalmente, la causa sopravvenuta non sia da sola sufficiente a provocare l’evento perché autonoma, eccezionale e atipica, ipotesi nella quale le cause preesistenti degradano al rango di mere occasioni.
Muovendo da queste premesse in diritto, la sentenza n. 4662 ha stabilito 1) che costituiva «vizio di sussunzione» la decisione della Corte d’appello di ravvisare nella mancata prestazione di idonea cauzione una circostanza «autonoma, eccezionale e atipica rispetto alla serie causale già in atto»; 2) che, al fine di supportare la contraria tesi sostenuta dalla sentenza in allora impugnata, non poteva invocarsi «il carattere doloso del contegno del creditore ingiungente, circostanza che avrebbe potuto, al più, fondare una concorrente responsabilità dello stesso, ex art. 2055 cod. civ., nella causazione del danno lamentato dall’RAGIONE_SOCIALE»; 3) che, pertanto, l’esistenza di un comportamento doloso successivo non toglieva valore a quello colposo precedente, fermo restando che la condotta dolosa del creditore, « se non idonea ad interrompere, ‘a
monte’, il nesso causale », poteva tuttavia « assumere rilievo ‘a valle’, per delimitare l’entità del danno risarcibile ».
4. L’aver ripercorso, anche se per sommi capi, il contenuto delle due precedenti sentenze di questa Corte consente di ricapitolare i seguenti punti fermi rispetto ai quali il giudice di rinvio non aveva ulteriori margini decisionali: 1) la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo era stata concessa senza alcuna valutazione sull’esistenza del fumus boni iuris -anzi negandola -il che poneva a carico del giudice istruttore un irrevocabile accertamento di colpa grave quanto alla sua condotta, giudicata inoltre rilevante, ai fini della causalità materiale, rispetto alla produzione dell’evento di danno, e cioè al pagamento della somma portata dal decreto ingiuntivo; 2) il mancato recupero, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, della somma portata dal decreto ingiuntivo non costituiva l’ evento di danno conseguente all’errore colposo , quanto piuttosto la conseguenza dannosa risarcibile ai sensi dell’art. 1223 cod. civ.; 3) la mancata riscossione della somma portata dalla fideiussione costituiva inadempimento contrattuale da parte del fideiussore e si fondava, perciò, su di un titolo contrattuale tra creditore e terzo garante (art. 1936 cod. civ.) e non risarcitorio.
4.1. Ciò detto, giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo stabilito quali siano i rapporti tra causalità materiale e causalità giuridica nella materia della responsabilità civile (v. i principi di cui alla sentenza 21 luglio 2011, n. 15991, di questa Corte, più volte richiamati dalla sentenza n. 4662 del 2021). Come la citata sentenza n. 15991 del 2011 ha chiarito (seguita da conforme giurisprudenza), qualora la produzione di un evento dannoso, quale quello oggi in questione, possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza di differenti condotte, tra loro indipendenti -nella specie, la condotta colposa del giudice e quella dolosa della società creditrice, che offrì in garanzia la fideiussione rivelatasi fittizia -il giudice deve
accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione oggettiva tra la condotta e l’evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall’art. 1227, primo comma, prima parte, cod. civ.), l’efficienza eziologica delle rispettive condotte rispetto all’evento, in applicazione della regola di cui all’art. 41 cod. pen. (a mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l’azione e l’omissione e l’evento). Dopo aver compiuto tale verifica, il giudice dovrà poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, (non predicabili in tema di accertamento della causalità materiale), alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l’evento di danno e le singole conseguenze dannose risarcibili all’esito prodottesi, ex artt. 1223 e 1227, primo comma, seconda parte, cod. civ.), onde ascrivere all’autore della condotta, responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all’evento di danno, bensì determinate dal fortuito, dal fatto del terzo (costituito, nella specie, dal comportamento della società asseritamente creditrice della RAGIONE_SOCIALE) ovvero dal fatto dello stesso creditore.
Tale conclusione si giustifica -è il caso di ribadirlo ulteriormente -perché la causalità materiale non è frazionabile ed è regolata, in assenza di una specifica disciplina nel codice civile, dall’art. 41 cod. pen., che è norma sulla causalità materiale, che ha una valenza specificamente penalistica e prescinde del tutto dall’ulteriore questione della risarcibilità delle conseguenze dannose riconducibili al reato/evento di danno. In sede di liquidazione del danno civile, invece, la norma di riferimento è costituita, come si è detto, dall’art. 1223 cod. civ., in base al quale il risarcimento del danno deve comprendere la perdita subita dal creditore e il
mancato guadagno « in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta ».
Muovendo da questa impostazione, la sentenza n. 4662 del 2021 aveva già delineato il compito del giudice di rinvio, nei termini che si sono riassunti al precedente punto 3.2.; aveva, cioè, stabilito che in termini di causalità materiale dovevano considerarsi rilevanti, ai fini della determinazione del danno, sia la concessione della provvisoria esecuzione da parte del giudice, in quanto avvenuta senza valutazione del fumus boni iuris , sia il successivo comportamento della società che aveva prestato una fideiussione rivelatasi, formalmente e sostanzialmente, del tutto inesigibile. Di talché il comportamento del giudice non poteva essere escluso dalla concatenazione causale, mentre in sede di valutazione e liquidazione del danno risarcibile ( causalità giuridica ) la preponderanza della condotta (addirittura dolosa) del sedicente creditore della COGNOME (non senza aggiungervi una valutazione ex officio della condotta colposa della stessa COGNOME, ex art. 1227, primo comma, cod. civ.) avrebbe potuto essere considerata per delimitare l’entità del danno risarcibile da parte del giudice istruttore .
4.2. Questi essendo i termini corretti della questione, è evidente che il primo motivo di ricorso è fondato nella parte in cui lamenta che il giudice di rinvio abbia, in sostanza, eluso il contenuto della decisione di cassazione.
Il richiamo all’esclusiva rilevanza causale del secondo comportamento -quello tenuto dalla società creditrice -si risolve, da parte del giudice di rinvio, in un’evidente violazione del principio di diritto enunciato da questa Corte nella sentenza n. 4662 del 2021. Quest’ultima, come si è detto, aveva già riconosciuto la rilevanza causale, ai fini della determinazione del danno, del comportamento del giudice istruttore; e invece la Corte dorica -pur avendo emesso una decisione accuratamente e analiticamente
motivata, contenente una completa sintesi di quello che ha definito, giustamente, un «tormentato iter giudiziario» -è pervenuta all’errata conclusione di scomporre la rilevanza causale dei comportamenti generatori di danno. La sentenza impugnata, in altre parole, ha spostato indebitamente la maggior rilevanza, a fini risarcitori, del comportamento del creditore dal piano della causalità giuridica (delimitazione del danno risarcibile) a quello della causalità materiale, fino al punto di pervenire alla conclusione per cui il comportamento del giudice è stato valutato come del tutto irrilevante ai fini risarcitori .
Lo spazio di autonomia del quale godeva la Corte d’appello era costituito, invece, dalla necessità di stabilire l’incidenza percentuale delle condotte dei singoli debitori (il giudice e il fideiussore) sul piano delle conseguenze dannose risarcibili, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., e il riparto degli importi dovuti. Entro questi ben precisi confini dovrà espletarsi, adesso, il compito del giudice dell’ulteriore rinvio; il quale è chiamato anche a valutare, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ. (questione rilevabile d’ufficio e, pertanto, anche nel presente giudizio di cassazione), l’eventuale sussistenza di un concorso di colpa della società RAGIONE_SOCIALE la quale, in considerazione dell’attività svolta, avrebbe potuto accorgersi tempestivamente della circostanza che la fideiussione fosse stata prestata da una società che «non era né una banca né una compagnia assicurativa» (così la sentenza impugnata).
4.3. Si impongono, infine, due ulteriori rilievi.
Il primo è che la sentenza impugnata ha richiamato in più punti il concetto di prevedibilità , da parte del giudice istruttore, del comportamento fraudolento della società RAGIONE_SOCIALE, ritenendo che quest’ultimo fosse, appunto, imprevedibile nel momento in cui il giudice aveva «ricevuto e valutato l’offerta di prestare cauzione». In tal modo, però, la Corte d’appello non ha considerato che come correttamente rilevato nel secondo motivo di ricorso -la
responsabilità del magistrato ha natura extracontrattuale e, come tale, il risarcimento si estende comunque (ed a prescindere da quanto sinora esposto) anche al danno non prevedibile (argomenta dal combinato disposto degli artt. 1225 e 2056 cod. civ.).
Il secondo rilievo da compiere è che non può condividersi -alla luce delle ragioni sopra esposte -la motivazione della Corte d’appello là dove ha sostenuto che era fuor di luogo il richiamo all’art. 2055 cod. civ., perché l’efficacia causale della condotta fraudolenta della società creditrice era da ritenere in ogni caso «totalmente assorbente».
Com’è noto, infatti, la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel senso che il vincolo della solidarietà previsto dall’art. 2055 cit. è finalizzato a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno; a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse (sentenza 12 marzo 2010, n. 6041; ma v. pure, in argomento, le sentenze 25 settembre 2014, n. 20192, e 24 settembre 2015, n. 18899; e sul punto sono tornate anche le Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 27 aprile 2022, n. 13143).
In conclusione, il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata.
Il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione personale, la quale tornerà ad esaminare il caso alla luce delle indicazioni contenute nella presente pronuncia; mantenendo ferma, quindi, la rilevanza causale di entrambi i comportamenti e diversificando, nei limiti della propria valutazione,
le singole percentuali di responsabilità al fine di individuare il danno risarcibile.
Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese del presente giudizio di cassazione e dei precedenti gradi di merito, all’esito di quella che sarà la decisione conclusiva.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione personale, anche per le spese del presente giudizio di cassazione e dei precedenti gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza