Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7127 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7127 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avv. NOME COGNOME del Foro di Lecce
-ricorrente-
Contro
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO -controricorrenti –
Nonché
RAGIONE_SOCIALE
Oggetto:
Bilancio di
chiusura
di
liquidazione regresso
ex art. 1299
-intimata-
Avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna n. 1490/2020, pubblicata il 3.6.2020, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’11.2 .2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .-COGNOME NOME citava in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Mario chiedendo la condanna, in solido, delle due società al pagamento della somma di euro 3.250,00 in qualità di ex soci della RAGIONE_SOCIALE, nonché la condanna di COGNOME Mario, nella sua qualità di liquidatore di detta società, al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali.
L’attore chiedeva la condanna dei convenuti al pagamento della loro quota di spese legali dovute per la soccombenza in una diversa causa in cui esso RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE erano stati condannati al pagamento in solido della metà delle spese processuali: la citazione di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE era conseguente all’avvenuta cancellazione della condebitrice RAGIONE_SOCIALE
La responsabilità dell’COGNOME era poi da raccordare al fatto che questi, quale liquidatore, aveva indicato, nel bilancio dl liquidazione, la quota dovuta alla RAGIONE_SOCIALE che, in realtà la detta società non aveva mai ricevuto, nonché alla violazione della par condicio creditorum attuatasi con il pagamento di due creditori sociali, professionisti, i quali avevano operato per la società posta in liquidazione e poi cancellata.
2.─ il Tribunale di Parma adito respingeva le domande attrici compensando integralmente le spese di lite.
3 .─ RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME proponevano gravame dinanzi alla Corte di appello di Bologna; COGNOME svolgeva appello incidentale.
Con la sentenza qui impugnata la Corte adita in riforma della sentenza appellata condannava COGNOME al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Mario delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
Per quanto qui di interesse la Corte di merito precisava che in sede di liquidazione era stata corrisposta a Prostilo la somma di euro 2.647,00 quale parte del residuo attivo di liquidazione mentre dai bilanci risultava essere stata corrisposta all’altro socio di RAGIONE_SOCIALE, la somma di euro 3.957,00: su tali somme i creditori sociali non soddisfatti, due professionisti che avevano operato in favore della stessa RAGIONE_SOCIALE, avevano potuto far valere i propri crediti indipendentemente dall ‘ anteriorità o meno della richiesta, in base al privilegio loro riconosciuto dall ‘art. 2751 -bis, secondo comma, c.c., quindi del tutto legittimamente e senza che COGNOME potesse ritenersi pretermesso e leso nei propri diritti. L’e sistenza dei crediti vantati dai professionisti emergeva poi dalla documentazione contabile e dal bilancio finale di liquidazione. Quanto alla posizione di COGNOME, doveva essere condivisa la conclusione a cui era pervenuto il Tribunale, secondo il quale il detto liquidatore non aveva messo in atto alcuna violazione della par condicio creditorum, onde doveva escludersi ogni profilo di responsabilità del detto soggetto. Doveva da ultimo ritenersi infondata la richiesta di pagamento, a carico di COGNOME, della differenza di euro 580,00, in quanto detta società non aveva ricevuto alcuna somma, posto che l’importo di euro 3.957,00 era stata utilizzata da COGNOME per pagare l’ingegner NOME COGNOME, creditore sociale di RAGIONE_SOCIALE, per le prestazioni professionali dal medesimo svolte.
4. ─ COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con nove motivi ed ha depositato memoria.
RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME resistono con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. ─ Con il primo motivo si deduce: violazione e/o falsa applicazione di legge relativamente all’art. 91 c .p.c. ed all’art. 4 , comma 2, DM Giustizia n.55/2014 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La Corte territoriale ha condannato COGNOME a rifondere ad Anelli ed a Prostilo le spese di entrambi i gradi di giudizio che ha liquidato , per ciascuno, quanto al primo in € 2.738,00 per compensi, oltre 15%, IVA e CAP come per legge, quanto al secondo in € 3.118,00 oltre 15%, IVA e CAP; avrebbe quindi operato una ingiusta duplicazione delle spese dei due gradi di giudizio in quanto la condanna alle spese, per le parti che si sono costituite con il medesimo difensore (e proposto insieme un unico atto di appello con stesso gravame e stesso avvocato), deve essere riconosciuta una sola volta e non tante volte quante sono le parti costituite, in base a ll’art. 4 DM 55/2014 .
5.1 ─ La censura non è fondata.
In termini generali, si palesa in violazione di legge la liquidazione di un doppio integrale compenso in caso di difesa di più parti aventi identica posizione processuale, e costituite con lo stesso avvocato, essendo dovuto un compenso unico secondo i criteri fissati dagli artt. 4 e 8 d.m. n. 55 del 2014, salva la possibilità di aumento nelle percentuali indicate da detto art. 4 al comma 2, che, nella versione vigente ratione temporis , prevedeva l’aumento del venti per cento per la seconda parte difesa, senza che rilevasse la circostanza che il comune difensore avesse presentato distinti atti difensivi, prefigurandosi per il giudice l’onere di motivare, sia nell’evenienza in cui ritenga di riconoscere l’aumento, sia nell’evenienza contraria (Cass., n. 1650/2022). Nel caso di specie si applica la norma nella versione modificata col d.m. 37/2018: « Quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento per ogni soggetto oltre
i primi dieci, fino a un massimo di trenta. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti ». Tuttavia, nel giudizio che interessa le posizioni (quella della società RAGIONE_SOCIALE socia, e quella del liquidatore) non sono identiche. Il ricorrente rileva, pure, che era stata depositata una nota spese, ma il fatto che fosse stato richiesto un compenso unico non es onerava dall’applicare la disciplina corretta; non viene del resto fatta questione, né emerge, comunque, che la liquidazione della Corte di appello fosse eccedente rispetto a quella della notula, che non è stata riprodotta.
6.Con il secondo motivo si deduce: violazione e/o falsa applicazione di legge relativamente all’art. 91 c .p.c. ed agli artt. 9 e 13 DPR n.115/2002 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La Corte territoriale ha condannato NOME COGNOME «alla rifusione del contributo unificato versato dagli appellanti per entrambi i gradi » . L’erroneità della sentenza della Corte territoriale riguarda la condanna del COGNOME a pagare a Prostilo ed Anelli il contributo unificato, anche per il giudizio di primo grado, in cui era già stato versato dal COGNOME stesso, in quanto attore, come previsto dall’art. 13 del Testo Unico.
6.1 -La censura è fondata. La Corte ha supposto ciò che non può essere, e cioè che il contributo unificato sia stato pagato, in primo grado, dai convenuti.
7 .─ Con il terzo motivo si deduce: violazione e/o falsa applicazione dell’art.112 c .p.c. -principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e violazione dell’art. 2495 c.c . in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3, c.p.c.. Si deduce che la domanda di condanna nei confronti del liquidatore doveva essere accolta quantomeno per la somma di euro 580,00 in quanto da un documento processuale risultava che lo stesso liquidatore avesse corrisposto a un creditore sociale non già
la somma di euro 3.970,00, dovuta a COGNOME (una delle socie della cancellata) quanto quella di euro 3.390,00.
7.1 ─ Il mezzo, oltre ad apparire confuso nella sua articolazione e carente di specificità, reca la mescolanza e sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facendo riferimento a diverse ipotesi (nn. 3 e 4) contemplate dall’art. 360 c.p.c. (Cass. 6 febbraio 2024, n. 3397; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26874). In ogni caso non è configurabile la lamentata omessa pronuncia avendo la Corte di appello di fatto negato la spettanza di quell’importo ridotto (a pag. 6 della sentenza). Il motivo è inammissibile
8. ─ Con il quarto motivo si deduce: violazione e/o falsa applicazione di legge relativamente agli artt. 2495 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Si assume, in sintesi, che il liquidatore non poteva soddisfare altro credito a fronte della pretesa dell’odierno ricorrente .
8.1 ─ La censura è nel complesso infondata. La Corte di appello ha spiegato che nel soddisfacimento dei crediti doveva attribuirsi prevalenza alla natura privilegiata di quelli rispetto ai quali era avvenuto il pagamento «indipendentemente dalla anteriorità o meno della richiesta»: la decisione è, sul punto, conforme al l’art. 2741 cc, secondo cui i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione. Il mezzo è poi inammissibile nella parte in cui (pag. 19 del ricorso) fa menzione delle risultanze del bilancio, in quanto non si vede come una tale censura possa risolversi in violazione o falsa applicazione di 2495 e 2697 cc. Le contestazioni sulla sufficienza della prova del credito si risolvono in una richiesta di nuova valutazione degli esiti probatori, non ammissibile in sede di legittimità.
9. ─ Con il quinto motivo si deduce: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (il doc. 3 -bilancio di liquidazione finale Pro House), o la motivazione
contraddittoria ed insufficiente, inidonea a comprendere il percorso logico motivazionale adottato, dunque una motivazione al di sotto del «minimo costituzionale».
10.Con il sesto motivo si deduce: omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., o la violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) relativamente agli artt. 2712 e 2719 c.c., art. 2721 e 2726 c.c. ed art. 116 c.p.c., riguardo alla contestazione della conformità della copia con l’originale della contabile (che in realtà non è una contabile di bonifico) prodotta da COGNOME. Si tratta di un ordine di bonifico con un IBAN di 30 caratteri che NOME COGNOME ha subito contestato nella memoria del 30.11.2011.
10.1Le censure in esame mancano di considerare che la sentenza della Corte qui impugnata è conforme alla sentenza di primo grado, sicché trova applicazione l’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c. (qui applicabile ratione temporis -pur essendo stato abrogato dall’art. 3, comma 26, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 ai sensi dell’art. 35, commi 1 e 4, d.lgs. cit., trattandosi di ricorso per cassazione proposto in data anteriore al 28 febbraio 2023). Nell’ipotesi di «doppia conforme» ex art. 348 ter, comma 5, c.p.c., è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse (Cass. 20 settembre 2023, n. 26934; Cass. 28 febbraio 2023 n. 5947). Può aggiungersi che il dato dell’inesistenza del credito non è stato oggetto di un omesso esame, essendo stato positivamente escluso dalla Corte di appello a a pagg. 5 s. del ricorso: siamo quindi sul piano dell’apprezzamento delle prove da parte del giudice del merito. Nel sesto motivo sembra si consideri «fatto decisivo» la contestazione quanto alla non conformità di una copia all’originale : ma tale qualificazione è evidentemente errata in quanto la contestazione non è un fatto storico. I due motivi sono inammissibili
anche in quanto cumulano profili di doglianza eterogenei: l’ omesso esame di fatto decisivo (art. 360, n. 5, c.p.c.) insieme al vizio di motivazione (art. 360, n. 4), nel quinto mezzo, e alla violazione di legge (art. 360 n. 3, c.p.c.), nel sesto.
11. -Con il settimo motivo di deduce: violazione e/o falsa applicazione di legge relativamente agli artt. 2495 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc. Si censura la sentenza impugnata per aver negato il diritto di NOME COGNOME ad agire, per un credito vantato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, nei confronti del liquidatore COGNOME NOME agli effetti dell’art. 2495 c.c. sul presupposto che la condotta del liquidatore non avrebbe danneggiato le sue aspettative.
12.-Con l’ottavo motivo si deduce: violazione e/o falsa applicazione di legge relativamente agli artt. 2495 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La sentenza qui impugnata non avrebbe fatto buon governo dell’art. 2495 c.c. in quanto il creditore sociale dell’impresa cancellata ha sempre interesse a munirsi di un titolo contro i soci a prescindere dall’aver questi effettivamente fruito del riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
12.1 -I l settimo e l’ottavo motivo sono correlati e possono essere trattati unitariamente. Le censure sono inammissibili. Si denuncia la violazione del 2495 c.c., però la censura è orientata alla revisione del giudizio di fatto con cui, in sintesi, la Corte ha rilevato non essere stato operato alcun riparto in favore dei soci, poiché l’attivo sociale è stato impiegato per onorare crediti di terzi, di cui si è già precisata la natura privilegiata. Il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass.5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n.
195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; tra le moltissime pronunce non massimate sul punto, di recente: Cass. 14 dicembre 2024, n. 32475; Cass. 12 dicembre 2024, n. 32040; Cass. 12 dicembre 2024, n. 32036; Cass. 18 novembre 2024, n. 29580). La deduzione del vizio di violazione di legge consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione) postula, così, che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass. 13 marzo 2018, n. 6035).
13. – Con il nono motivo si deduce: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. La censura attiene alla statuizione di compensazione delle spese.
13.1 -La censura è inammissibile. In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., n. 24502/2017; Cass., n.8421/2017; Cass., n.23877/2021)
14.Per quanto esposto, il primo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, il settimo, l’ottavo e il nono motivo del ricorso sono da disattendere. Il secondo motivo del ricorso va accolto. Decidendosi nel merito, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti di fatto, va dichiarato non dovuto dai ricorrenti il contributo unificato nel giudizio di primo grado.
Le spese dell’intero giudizio fa nno carico al ricorrente. Opera infatti il principio secondo cui il criterio della soccombenza, al fine di attribuire l’onere delle spese processuali, non si fraziona a seconda dell’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi definitivamente soccombente abbia conseguito un esito ad essa favorevole (per tutte: Cass. 18 maggio 2021, n. 13356): principio, questo, operante per tutte le fasi e i gradi del giudizio, compresa la parte del processo che si svolge avanti al giudice di legittimità (Cass. 9 agosto 1983, n. 5323).
P.Q.M .
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta il primo e il quarto e dichiara inammissibili i restanti. Cassa la sentenza impugnata relativamente al motivo accolto e decidendo nel merito dichiara non dovuto dal ricorrente il contributo unificato relativo al giudizio di primo grado. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito che liquida, per ciascuno, quanto al I grado in euro 2.738,00 per compensi e euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge e quanto al II grado in euro 3.118,00 per compensi e euro 200,00 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge. Condanna, infine, il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 1.800,00 per compensi e € 200 ,00 per esborsi oltre spese generali, nella misura del 15% dei compensi, ed accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione