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Responsabilità del datore di lavoro: il caso Poste

Una società è stata ritenuta civilmente responsabile per i fondi sottratti da una sua dipendente, la quale aveva ricevuto da un cliente contanti e moduli F24 per pagamenti fiscali mai eseguiti. La Cassazione ha confermato la condanna, sottolineando che la responsabilità del datore di lavoro sussiste quando le mansioni del dipendente, anche se non specifiche per l’operazione, hanno agevolato o reso possibile l’illecito. Il ricorso della società è stato dichiarato inammissibile perché mirava a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Responsabilità del datore di lavoro: Quando l’azienda paga per l’illecito del dipendente

La responsabilità del datore di lavoro per gli atti illeciti commessi dai propri dipendenti è un principio cardine del nostro ordinamento, sancito dall’articolo 2049 del Codice Civile. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’analisi chiara di questo istituto, chiarendo fino a che punto si estende l’obbligo di un’azienda di rispondere per le azioni fraudolente di un suo collaboratore, anche quando queste esulano dalle sue mansioni specifiche. Il caso esaminato riguarda pagamenti di imposte (modelli F24) affidati a una dipendente di un ufficio postale e mai portati a termine.

I Fatti di Causa

Una società biotech era solita affidare, per comodità e per evitare lunghe code, la gestione dei pagamenti fiscali a un consulente. Quest’ultimo, a sua volta, consegnava mensilmente i modelli F24 compilati e il denaro contante necessario a una dipendente di una società di servizi postali. La dipendente, cugina del consulente, lavorava presso l’ufficio consulenza della filiale e non allo sportello cassa. Per anni, la prassi si è svolta senza intoppi, con la restituzione delle ricevute di pagamento regolarmente timbrate.

Successivamente, la società biotech scopriva che i pagamenti relativi a due anni d’imposta non erano mai stati eseguiti e che i timbri apposti sulle ricevute erano falsi. Di conseguenza, citava in giudizio la società postale per ottenere il risarcimento del danno subito, invocando la responsabilità del datore di lavoro per il fatto illecito della propria dipendente.

Il Percorso Giudiziario: Dal Tribunale alla Corte d’Appello

In primo grado, il Tribunale rigettava la domanda della società biotech. Il giudice riteneva insussistente il cosiddetto “nesso di occasionalità necessaria” tra le mansioni della dipendente (addetta alla consulenza) e l’illecito commesso (appropriazione di denaro destinato a pagamenti di cassa). Secondo il Tribunale, non si era creata una situazione di apparenza tale da poter imputare l’illecito al datore di lavoro.

Di parere opposto la Corte d’Appello, che accoglieva l’impugnazione della società biotech. I giudici di secondo grado condannavano la società postale al risarcimento, affermando che i presupposti della responsabilità del datore di lavoro erano pienamente sussistenti. La dipendente aveva ricevuto il denaro e i modelli in qualità di impiegata presso la filiale, e le sue mansioni, pur non essendo di cassa, avevano reso possibile o quantomeno agevolato la commissione dell’illecito. Inoltre, la Corte riteneva inverosimile che i dirigenti della filiale non fossero a conoscenza di una prassi così consolidata nel tempo.

La Decisione della Cassazione e la Responsabilità del Datore di Lavoro

La società postale proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sulla responsabilità dei padroni e committenti (art. 2049 c.c.). Sostanzialmente, contestava che la società danneggiata avesse effettivamente provato gli elementi costitutivi dell’illecito, in particolare il nesso tra la condotta della dipendente e le sue mansioni.

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiudendo definitivamente la vicenda.

Le Motivazioni

I giudici supremi hanno chiarito un punto processuale fondamentale: un motivo di ricorso che denuncia la violazione dell’onere della prova è fondato solo se il giudice di merito ha erroneamente applicato la regola di giudizio, ad esempio attribuendo l’onere a una parte diversa da quella prevista dalla legge. Non è invece ammissibile quando, come nel caso di specie, la parte ricorrente si limita a contestare la valutazione delle prove fatta dal giudice, proponendo una lettura dei fatti diversa e più favorevole. Questo tipo di attività, ovvero la riconsiderazione del merito della causa, è preclusa in sede di legittimità.

Nel merito, la Corte ha implicitamente confermato la correttezza della decisione d’appello. La responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2049 c.c. si fonda su un presupposto oggettivo: il “nesso di occasionalità necessaria”. Questo nesso non richiede che l’atto illecito rientri tra le specifiche incombenze del dipendente, né che sia stato compiuto nell’interesse dell’imprenditore. È sufficiente che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o anche solo agevolato la condotta dannosa. Nel caso specifico, il fatto che la dipendente lavorasse all’interno dell’ufficio postale e avesse accesso ai suoi meccanismi ha fornito l’occasione per commettere l’illecito, ingenerando nel cliente un legittimo affidamento.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce l’ampia portata della responsabilità del datore di lavoro. Per un’azienda non è sufficiente dimostrare che il dipendente ha agito al di fuori delle proprie mansioni o ha trasgredito ordini per liberarsi dalla responsabilità. Se la posizione lavorativa e il contesto aziendale hanno anche solo facilitato la commissione di un illecito a danno di terzi, l’azienda sarà chiamata a risponderne. Questa decisione sottolinea l’importanza per le imprese di adottare rigorosi sistemi di controllo interno e di vigilanza per prevenire non solo le irregolarità palesi, ma anche quelle prassi consolidate “per comodità” che possono degenerare in condotte illecite, con gravi conseguenze patrimoniali.

Quando un datore di lavoro è responsabile per il fatto illecito di un dipendente?
Un datore di lavoro è responsabile quando l’atto illecito del dipendente è stato reso possibile o anche solo agevolato dalle mansioni che gli sono state affidate. Non è necessario che l’atto rientri specificamente nei suoi compiti.

La responsabilità del datore di lavoro è esclusa se il dipendente agisce al di fuori delle sue mansioni specifiche, come un consulente che accetta pagamenti?
No, la responsabilità non è esclusa. Secondo la sentenza, è sufficiente che le mansioni affidate, anche se diverse da quelle relative all’atto illecito, abbiano creato l’opportunità o facilitato il compimento del danno per far sorgere la responsabilità dell’azienda.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché la società ricorrente non ha lamentato un errore nell’applicazione delle norme di diritto, ma ha tentato di ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti, attività che non è permessa nel giudizio di Cassazione, il quale si occupa solo di questioni di legittimità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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