Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30360 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30360 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25224/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo RAGIONE_SOCIALE dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata-
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 3338/2022, depositata il 15/07/2022 e notificata il 21/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi RAGIONE_SOCIALE) conveniva, dinanzi al Tribunale di Benevento, RAGIONE_SOCIALE, affinché ne fosse accertata la responsabilità ex art. 2049 cod.civ. e, per l’effetto, fosse condannata al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, quantificati in euro 25.000,00.
A supporto della domanda deduceva che: i) tramite lo RAGIONE_SOCIALE, per mera comodità, consegnava i moduli F24 già compilati e il contante necessario per eseguire il pagamento ad una dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE n. 5 di Benevento, applicata all’ufficio RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, dalla quale ritirava nei giorni successivi le ricevute di pagamento; ii) in seguito aveva scoperto che i pagamenti relativi agli anni 2003 e 2004 non risultavano eseguiti; iii) il timbro postale apposto sulle quietanze di pagamento risultava falso.
Il Tribunale di Benevento, con la sentenza n. 1653/2016, rigettava le domande dell’attrice, giudicando insussistente il rapporto di occasionalità necessario presupposto dall’art. 2049 cod.civ., in quanto la dipendente cui si era rivolto il suo consulente era preposta al servizio di RAGIONE_SOCIALE e non a quello di cassa e ciò non aveva creato la situazione di apparenza che avrebbe consentito di imputare al datore di lavoro l’illecito del suo dipendente.
La Corte d’Appello di Napoli, pronunciatasi con la sentenza n. 3338/2022, depositata il 15/07/2022 e notificata il 21/07/2022, sull’impugnazione formulata dalla società RAGIONE_SOCIALE, l’ha accolta e ha condannato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento di euro 21.4410,00, oltre agli interessi compensativi, ed alle spese di lite.
Segnatamente, la Corte d’Appello ha ritenuto: i) sussistenti i presupposti della responsabilità ex art. 2049 cod.civ., perché la COGNOME era dipendente dell’appellata, aveva ricevuto i modelli F24 e la provvista per i relativi pagamenti in qualità di dipendente presso la filiale INDIRIZZO 5 di Benevento; ii) l’operazione richiestale rientrava nell’ambito dell’attività di RAGIONE_SOCIALE e le mansioni affidatele avevano reso possibile o comunque agevolato il compimento del fatto generatore del danno; iii) era inverosimile che i dirigenti della filiale non fossero a conoscenza di detta prassi in uso da anni, posta in essere, come era risultato dall’ispezione interna, da quasi tutto il personale addetto agli sportelli e alle casse; iv) era irrilevante il fatto che le somme ricevute per i pagamenti non fossero pervenute nella disponibilità di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, restando detto fatto interno ai rapporti tra la dipendente e la sua datrice di lavoro.
Avverso la suindicata pronuncia della Corte di merito propone ora ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, basandosi su un solo motivo.
Nessuna attività difensiva svolge in questa sede la società RAGIONE_SOCIALE, rimasta intimata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) La società ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2049 e 2697 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
Ciò di cui si duole è il difetto di prova da parte della società RAGIONE_SOCIALE degli elementi costitutivi del fatto illecito di cui all’art. 2049 cod.civ.: in particolare, quanto alla sussumibilità della condotta illecita del dipendente nell’ambito delle mansioni svolte e quanto alla coerenza delle finalità perseguite attraverso la condotta illecita con le mansioni affidate alla RAGIONE_SOCIALE.
Lamenta anche che la Corte d’Appello non abbia chiesto, con i poteri di cui all’art. 210 cod.proc.civ., il deposito della sentenza penale del Tribunale di Benevento che, a seguito della denuncia presentata da NOME COGNOME, aveva assolto la COGNOME, perché non era stato escluso che gli F24 risultati impagati fossero stati correttamente contabilizzati e trasmessi agli organi competenti e che fosse occorso un errore interno o un difetto di coordinamento tra RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE delle entrate; sentenza che, pur essendo nella sua disponibilità, la società RAGIONE_SOCIALE mal RAGIONE_SOCIALE non aveva prodotto in giudizio.
Il motivo è inammissibile.
Il corredo probatorio su cui si è basata la sentenza impugnata è stato costituito da quanto raccolto nell’ambito del procedimento penale iscritto al n. 7924/07/44 e dalle copie dei modelli F24.
Proprio detto materiale, evidentemente ritenuto sufficiente dal giudice a quo, ha permesso di ricostruire i fatti di causa e precisamente che: NOME COGNOME, titolare dello RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE del lavoro incaricato del pagamento dei modelli F24, delegava la moglie ad effettuare detto pagamento con cadenza mensile; per comodità, cioè per evitare le file e le attese agli sportelli, la moglie affidava alla COGNOME, cugina del marito, i modelli compilati con la relativa provvista che i 22 modelli f24 risultavano gestiti manualmente e che nessuno di essi trovava riscontro nei documenti contabili dell’archivio della filiale n. 5 di Benevento; che RAGIONE_SOCIALE non aveva mai contestato che i modelli fossero stati consegnati agli addetti alle casse dell’ufficio postale; che, infine, la circostanza per cui i 22 modelli non fossero stati pagati emergeva, oltre che dalla relazione degli ispettori postali, anche dalle ammissioni contenute nella nota del 9 novembre 2017 proveniente da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Tanto premesso mette conto rilevare che un motivo denunciante la violazione dell’art. 2697 cod.civ. si configura effettivamente e,
dunque, dev’essere scrutinato come tale solo se in esso risulti dedotto che il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni. Viceversa, allorquando il motivo deducente la violazione del paradigma dell’art. 2697 cod.civ. non risulti argomentata in questi termini, ma solo con la postulazione (erronea) che la valutazione delle risultanze probatorie ha condotto ad un esito non corretto, il motivo stesso è inammissibile come motivo in iure ai sensi del n. 4 dell’art. 360 cod.proc.civ. (se si considera l’art. 2697 c.c. norma processuale) e ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. (se si considera l’art. 2697 c.c. norma sostanziale, sulla base della vecchia idea dell’essere le norme sulle prove norma sostanziali) e, nel regime dell’art. 360 n. 5 oggi vigente si risolve in un surrettizio tentativo di postulare il controllo della valutazione delle prove oggi vietato ai sensi di quella norma (giusta Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 7/04/2014).
La dedotta violazione dell’art. 2049 cod.civ. si sostanzia, nella specie, in una mera richiesta di diversa valutazione dei fatti di causa, posto che non confuta affatto le affermazioni in iure contenute nella sentenza impugnata allo scopo di dimostrare come esse si discostassero, nella parte in cui ha ritenuto che il nesso di occasionalità necessaria non veniva meno per il fatto che il dipendente avesse operato oltre i limiti delle incombenze o avesse persino trasgredito gli ordini ricevuti, bastando che le mansioni affidate al dipendente avessero reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno.
2) Dall’inammissibilità dell’unico motivo discende l’inammissibilità del ricorso.
Non deve provvedersi alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, non avendo la società RAGIONE_SOCIALE svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento a favore dell’ufficio del merito competente, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 7 ottobre 2024 dalla