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Responsabilità del custode: quando la prova non basta

Un automobilista ha citato in giudizio un Comune per i danni subiti alla propria vettura, a suo dire, a causa di una pietra del lastricato stradale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando un principio fondamentale in tema di responsabilità del custode: se il danneggiato non riesce a provare il nesso di causalità tra la cosa in custodia (la strada) e il danno, la domanda di risarcimento deve essere respinta senza nemmeno dover valutare la condotta del custode.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Responsabilità del custode: se manca la prova del nesso causale, niente risarcimento

L’ordinanza n. 16558/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale in materia di responsabilità del custode ai sensi dell’art. 2051 c.c.: l’onere primario del danneggiato è dimostrare il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno subito. Se questa prova fondamentale manca, la domanda di risarcimento non può essere accolta, e diventa irrilevante qualsiasi discussione sulla condotta del custode o sulla sua possibile colpa. Analizziamo insieme questo caso emblematico.

I Fatti di Causa: Danno alla Ruota e Richiesta di Risarcimento

Un automobilista conveniva in giudizio il Comune di residenza, chiedendo il risarcimento dei danni patiti dalla sua automobile. Secondo la sua ricostruzione, mentre percorreva una via cittadina, una pietra del lastricato stradale si sarebbe sollevata al passaggio del veicolo, colpendo violentemente il cerchione della ruota posteriore e causandone la rottura. Inizialmente, il Giudice di Pace accoglieva la domanda, ma la decisione veniva ribaltata in appello dal Tribunale, che riformava la sentenza e respingeva la richiesta di risarcimento. L’automobilista decideva quindi di ricorrere alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Difesa del Danneggiato

Il ricorrente basava il suo ricorso su cinque motivi, lamentando principalmente:
1. La violazione di norme procedurali, sostenendo che l’effettivo accadimento del sinistro non era mai stato contestato dal Comune e che quindi il giudice d’appello non avrebbe dovuto rimetterlo in discussione.
2. L’omessa valutazione di prove decisive, come una testimonianza e un documento che avrebbe dimostrato l’assenza di segnaletica di pericolo.
3. L’errata applicazione dell’art. 2051 c.c., poiché il Comune non avrebbe fornito la prova liberatoria del caso fortuito.

In sostanza, il danneggiato cercava di spostare il focus sulla presunta negligenza del Comune nella manutenzione stradale.

La Decisione della Corte: l’onere della prova nella responsabilità del custode

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i motivi di ricorso inammissibili. Il punto centrale della decisione, la sua ratio decidendi, è netto: il ricorrente non ha colto il nucleo della sentenza d’appello. Il Tribunale non aveva respinto la domanda perché il Comune avesse provato il caso fortuito, ma per una ragione ben più basilare: l’attore non era riuscito a dimostrare il fatto stesso così come lo aveva descritto e, di conseguenza, il nesso di causalità tra la strada (la cosa in custodia) e il danno.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Suprema Corte sono un’importante lezione sull’onere della prova. La responsabilità prevista dall’art. 2051 c.c. è di natura oggettiva: ciò significa che, per ottenere il risarcimento, il danneggiato deve provare due elementi: l’esistenza del danno e il nesso di causalità che lega quel danno alla cosa in custodia. Solo dopo che il danneggiato ha soddisfatto questo onere, scatta per il custode la necessità di fornire la prova liberatoria del caso fortuito (un evento imprevedibile e inevitabile) per esimersi da responsabilità.

Nel caso specifico, il giudice di merito ha ritenuto non provata la dinamica del sinistro descritta dall’automobilista. Questa valutazione dei fatti e delle prove (come le testimonianze) è di esclusiva competenza del giudice di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità. La Cassazione, infatti, non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare le prove, ma un organo che verifica la corretta applicazione del diritto.

Poiché è venuto a mancare il primo e fondamentale anello della catena – la prova del nesso causale – l’intera costruzione giuridica della responsabilità del custode crolla. Diventa inutile, a quel punto, discutere se ci fossero o meno segnali di pericolo o se il Comune avesse avuto il tempo di riparare la strada. Se non è provato che il danno è stato causato proprio da quel bene, ogni ulteriore indagine è superflua.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio cardine per chiunque intenda agire per ottenere un risarcimento danni da cose in custodia. L’insegnamento pratico è chiaro: prima di concentrarsi sulla negligenza del custode, è indispensabile costruire una solida base probatoria che dimostri, senza incertezze, come si sono svolti i fatti e come il danno sia una conseguenza diretta e immediata della condizione della cosa. La mancata o insufficiente prova di questo nesso causale rende la domanda di risarcimento infondata in radice, precludendo ogni possibilità di successo.

Per ottenere un risarcimento dal custode di un bene (es. una strada), è sufficiente dimostrare che il bene era difettoso?
No, non è sufficiente. La Corte chiarisce che il danneggiato deve prima di tutto fornire la prova rigorosa del nesso di causalità, ovvero che il danno sia stato causato direttamente dalla cosa in custodia e nelle modalità descritte.

Se il danneggiato non riesce a provare il nesso di causalità, il giudice deve comunque valutare se il custode ha provato il caso fortuito?
No. La sentenza stabilisce che la mancata dimostrazione del nesso di causa da parte dell’attore esclude in radice l’applicabilità della disciplina sulla responsabilità del custode, rendendo irrilevante ogni indagine sulla prova liberatoria (caso fortuito) da parte del custode stesso.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove, come una testimonianza, per decidere se i fatti si sono svolti in un certo modo?
No. Il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito. La Corte non può rivalutare le prove o proporre una ricostruzione dei fatti diversa da quella accertata dai giudici dei gradi precedenti. Può solo verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza della motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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