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Responsabilità del committente: quando è esclusa?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 14431/2024, chiarisce i limiti della responsabilità del committente per fatti illeciti dei propri agenti. Nel caso esaminato, una società acquirente di un macchinario medico difettoso e pagato a un prezzo maggiorato ha citato in giudizio la società venditrice, chiedendo di essere risarcita per la truffa perpetrata dai suoi rappresentanti. La Corte ha rigettato il ricorso, escludendo la responsabilità del committente poiché gli agenti avevano agito in collusione con un terzo per un fine personale, interrompendo così il nesso di occasionalità necessaria tra le loro mansioni e l’illecito. La società venditrice, inoltre, non aveva tratto alcun vantaggio dalla truffa.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Commerciale, Giurisprudenza Civile

Responsabilità del Committente: Quando il Datore di Lavoro Non Risponde della Truffa dell’Agente

La responsabilità del committente, disciplinata dall’articolo 2049 del Codice Civile, stabilisce che un’azienda è responsabile per i danni causati dai propri dipendenti o agenti mentre svolgono le loro mansioni. Tuttavia, questa responsabilità non è assoluta. Un’importante ordinanza della Corte di Cassazione ha recentemente chiarito i confini di questo principio, escludendo la responsabilità di una società per la truffa commessa dai suoi agenti quando questi agiscono per un fine personale e fraudolento, in collusione con terzi. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

Il Caso: Una Truffa nell’Acquisto di un Macchinario Medico

La vicenda ha origine dalla decisione di due coniugi di avviare un’attività nel settore sanitario per la cura dei calcoli renali. Convinti da un intermediario che prometteva condizioni di acquisto vantaggiose grazie a presunti contatti interni, i due costituiscono una società e acquistano un costoso macchinario medico, detto Litotritore, dalla filiale italiana di un’importante azienda produttrice.

Poco dopo, i soci scoprono una dura realtà: non solo hanno pagato il macchinario un prezzo superiore a quello di listino, ma l’apparecchiatura risulta anche difettosa e inadatta allo scopo. Le indagini rivelano una truffa aggravata ordita dall’intermediario in collusione con un agente e il legale rappresentante della società venditrice.

Il contenzioso civile che ne scaturisce è complesso. La società acquirente cita in giudizio sia la società finanziaria che aveva erogato il leasing, sia la società venditrice del macchinario. La richiesta principale è quella di accertare la responsabilità del committente, ovvero della società venditrice, per il comportamento fraudolento dei propri rappresentanti.

L’Analisi della Corte sulla Responsabilità del Committente

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettano la domanda contro la società venditrice. La questione arriva quindi dinanzi alla Corte di Cassazione, che conferma le decisioni precedenti e offre un’analisi dettagliata dei limiti dell’articolo 2049 c.c.

L’Interruzione del Nesso di Occasionalità Necessaria

Il punto centrale della controversia è il cosiddetto “nesso di occasionalità necessaria”. Perché sorga la responsabilità del committente, non basta che l’illecito sia commesso durante l’orario di lavoro o nei locali aziendali. È necessario che le mansioni affidate all’agente abbiano reso possibile o, quantomeno, agevolato la commissione dell’illecito. Il comportamento dannoso deve essere, in qualche modo, un’espressione, seppur deviata, dell’attività lavorativa.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha stabilito che questo nesso era stato interrotto. I giudici hanno accertato che gli agenti della società venditrice avevano agito:

1. In collusione con un soggetto esterno: La truffa era stata architettata insieme all’intermediario.
2. Per un fine esclusivamente personale: L’obiettivo non era avvantaggiare la propria azienda, ma lucrare sulle provvigioni derivanti da un affare gonfiato.
3. Senza alcun beneficio per il committente: La società venditrice non solo non era a conoscenza della condotta illecita, ma non ne aveva tratto alcun vantaggio economico, poiché le somme pagate in eccesso erano state incassate unicamente dall’intermediario.

Questa deviazione verso un fine personale e fraudolento, estraneo agli scopi aziendali, ha spezzato il legame che avrebbe potuto fondare la responsabilità del committente.

La Decisione sugli Altri Motivi di Ricorso

La Corte ha rigettato anche gli altri motivi del ricorso. In particolare, è stata negata la richiesta di restituzione delle somme versate, in quanto una precedente sentenza passata in giudicato (il cosiddetto “giudicato esterno”) aveva già stabilito che i pagamenti non erano stati effettuati direttamente alla società finanziaria, escludendo così un suo obbligo di rimborso.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione rigorosa dell’art. 2049 c.c. I giudici hanno sottolineato che la responsabilità del committente non è una forma di responsabilità oggettiva assoluta. Essa presuppone che l’atto del preposto, per quanto illecito, rientri in qualche modo nel quadro delle sue attività e sia finalizzato, anche indirettamente, a perseguire gli scopi dell’impresa. Quando l’agente, invece, tradisce completamente il suo ruolo per perseguire un interesse personale, in violazione delle regole di condotta imposte e senza che l’azienda ne tragga profitto, la responsabilità di quest’ultima viene meno. Il comportamento illecito diventa un’iniziativa personale dell’agente che esula dal rapporto di lavoro.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante principio guida per le aziende: la responsabilità del committente per gli illeciti dei propri dipendenti o agenti non è illimitata. È esclusa quando viene provato che l’agente ha agito per un fine egoistico e fraudolento, del tutto slegato dagli interessi aziendali, specialmente se in collusione con terzi e senza che l’azienda ne abbia tratto alcun vantaggio. La decisione riafferma che il fondamento della responsabilità risiede nel rischio d’impresa, ma tale rischio non può estendersi fino a coprire attività criminali autonome che si servono solo pretestuosamente del rapporto di lavoro come occasione per essere commesse.

Quando un datore di lavoro è responsabile per l’illecito commesso da un suo dipendente o agente?
Un datore di lavoro (committente) è responsabile quando l’atto illecito del suo dipendente (preposto) è legato da un “nesso di occasionalità necessaria” alle mansioni lavorative. Ciò significa che il lavoro deve aver reso possibile o agevolato la commissione dell’illecito, e l’atto non deve essere motivato da finalità strettamente personali ed estranee all’attività d’impresa.

La collusione dell’agente con un terzo esclude la responsabilità del committente?
Sì. Secondo questa ordinanza, quando un agente agisce in collusione con un soggetto esterno per commettere un illecito (come una truffa) a proprio esclusivo vantaggio, in violazione delle regole di condotta aziendali, il nesso di occasionalità si interrompe. Di conseguenza, la responsabilità del committente è esclusa.

Perché la società venditrice non è stata condannata a risarcire i danni in questo caso?
La società venditrice non è stata condannata perché i giudici hanno accertato tre elementi chiave: 1) i suoi agenti hanno agito per un fine personale (lucrare provvigioni) e non nell’interesse dell’azienda; 2) la società non era a conoscenza della condotta illecita; 3) la società non ha tratto alcun vantaggio economico dalla truffa, in quanto le somme pagate in eccesso sono state incassate da un terzo intermediario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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