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Responsabilità del committente: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha esaminato un caso di danni a un immobile a seguito di lavori di ristrutturazione sul fondo vicino. L’ordinanza chiarisce la netta distinzione tra la responsabilità del committente per danni derivanti dalla cosa in custodia (art. 2051 c.c.) e quella per danni causati dall’attività dell’appaltatore (art. 2043 c.c.). La Corte ha annullato la decisione di merito che aveva erroneamente confuso le due fattispecie, stabilendo che il committente risponde per l’operato dell’appaltatore solo in casi specifici, come la “culpa in eligendo” o l’imposizione di direttive vincolanti.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

Responsabilità del Committente: Quando il Proprietario Risponde dei Danni Causati dall’Appaltatore?

La questione della responsabilità del committente per i danni causati a terzi durante l’esecuzione di un contratto di appalto è un tema complesso e dibattuto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto chiarimenti cruciali, distinguendo nettamente tra i danni derivanti dalla ‘cosa’ e quelli causati dall’attività dell’appaltatore. Questa decisione aiuta a definire i confini entro cui il proprietario di un immobile può essere chiamato a rispondere per l’operato dell’impresa da lui incaricata.

I Fatti di Causa: Danni Strutturali Durante una Ristrutturazione

Il caso nasce dalla richiesta di risarcimento avanzata dal proprietario di un immobile che aveva subito danni alla stabilità della propria abitazione. I danni erano stati causati da lavori di ristrutturazione eseguiti sull’edificio confinante, di proprietà di un altro soggetto. Quest’ultimo, in qualità di committente, aveva affidato i lavori a un’impresa edile sotto la direzione di un geometra. La causa originaria vedeva quindi contrapposti i due proprietari, con la successiva chiamata in garanzia del direttore dei lavori e della sua compagnia assicurativa.

Il Percorso Giudiziario: La Confusione tra Art. 2051 e 2043 c.c.

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda, sostenendo che il committente non avesse un potere di ingerenza tale da renderlo responsabile per l’attività dell’appaltatore. La Corte d’Appello, invece, aveva riformato la decisione, condannando l’erede del committente al risarcimento. Il ragionamento dei giudici d’appello si basava sull’articolo 2051 c.c. (responsabilità per cose in custodia), presupponendo che il committente mantenesse sempre la custodia giuridica del bene e che, per essere esonerato, dovesse provare il caso fortuito, identificabile nell’attività dell’appaltatore.

La Responsabilità del Committente secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’erede del committente, cassando con rinvio la sentenza d’appello. Il punto centrale della decisione è la critica alla confusione operata dai giudici di merito tra due diverse fattispecie di responsabilità.

Danno derivante dalla “Cosa” (Art. 2051 c.c.)

La responsabilità per danno da cose in custodia (art. 2051 c.c.) si applica quando il danno è causato dal dinamismo intrinseco della cosa stessa (es. il crollo di un cornicione per cattiva manutenzione), senza un intervento umano diretto che la azioni. In un contratto di appalto, questa ipotesi può verificarsi, ma è necessario accertare chi, in quel momento, avesse l’effettivo potere di controllo e custodia sulla cosa: il committente o l’appaltatore?

Danno derivante dall'”Attività” (Art. 2043 c.c.)

Quando, invece, il danno è conseguenza diretta di un’azione o omissione dell’appaltatore nell’esecuzione dei lavori (es. un errore nella demolizione di un muro), la fattispecie di riferimento non è più quella della custodia, ma quella dell’illecito aquiliano (art. 2043 c.c.). In questo scenario, la responsabilità del committente non è presunta, ma può sorgere solo in due specifiche circostanze.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha chiarito che l’appaltatore, per definizione, agisce con autonomia organizzativa e gestionale. Non è una semplice longa manus (braccio operativo) del committente. Pertanto, una presunzione assoluta di custodia e responsabilità in capo a quest’ultimo è errata. Il giudice di merito avrebbe dovuto, prima di tutto, accertare l’origine del danno: derivava dalla cosa in sé o dall’attività dell’appaltatore?
Avendo omesso questa indagine fondamentale, la Corte d’Appello ha applicato in modo improprio le regole sulla custodia (art. 2051 c.c.), quando invece il danno era pacificamente derivato dai lavori eseguiti. La responsabilità del committente per fatto dell’appaltatore, ribadisce la Corte, è configurabile solo in due casi eccezionali:
1. Culpa in eligendo: quando l’opera è stata affidata a un’impresa manifestamente inidonea.
2. Imposizione di direttive: quando il committente ha imposto all’appaltatore direttive rigide e inderogabili, che sono state la causa diretta del danno.
Nessuna di queste condizioni era stata indagata nel giudizio di merito.

Le Conclusioni: Principi di Diritto e Implicazioni Pratiche

La decisione riafferma un principio fondamentale: non si può attribuire automaticamente al committente la responsabilità per i danni causati dall’appaltatore. È necessario distinguere la fonte del danno. Se il danno deriva dall’operato dell’impresa, la responsabilità è di quest’ultima, salvo che il committente non abbia commesso una palese negligenza nella scelta dell’impresa o si sia ingerito nell’esecuzione con direttive vincolanti e dannose. Questa pronuncia fornisce uno strumento prezioso per delineare correttamente le responsabilità nei contratti di appalto, evitando ingiuste condanne a carico dei committenti che si affidano a professionisti del settore.

Quando il proprietario di un immobile (committente) è responsabile per i danni causati a terzi durante lavori di appalto?
Secondo la Corte, la responsabilità del committente per il fatto dell’appaltatore sorge solo in due casi specifici: 1) se ha affidato l’opera a un’impresa manifestamente inidonea (cosiddetta ‘culpa in eligendo’); 2) se la condotta dannosa è stata imposta all’appaltatore dal committente stesso attraverso direttive rigide e inderogabili.

Qual è la differenza tra la responsabilità per danni da cose in custodia (art. 2051 c.c.) e quella per fatto illecito (art. 2043 c.c.) in un appalto?
La responsabilità ex art. 2051 c.c. presuppone che il danno derivi dalla cosa stessa, per un suo dinamismo intrinseco. La responsabilità ex art. 2043 c.c., invece, si applica quando il danno è causato da una condotta attiva od omissiva dell’uomo, come l’attività di esecuzione dei lavori da parte dell’appaltatore. La Corte ha stabilito che è un errore confondere le due fattispecie.

L’appaltatore può essere considerato una ‘longa manus’ del committente?
No. La Corte chiarisce che l’appaltatore gode di autonomia organizzativa e gestionale e agisce con mezzi propri a proprio rischio. Pertanto, non può essere considerato un mero esecutore delle direttive del committente, a meno che quest’ultimo non si ingerisca nell’esecuzione dell’opera con ordini specifici e vincolanti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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