Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1022 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1022 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2880/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME NOME EMAIL.
–
ricorrente – contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che ex lege la rappresenta e difende.
–
avverso la sentenza della C orte d’Appello di Potenza n. 658/2022 depositata il 16/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/10/2023 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
Con ricorso affidato a due motivi Degli COGNOME NOME impugna per cassazione la sentenza n. 658/2022, resa dalla Corte d’Appello di Potenza, depositata il 16/11/2022 e notificata in pari data, che, in riforma della sentenza del Tribunale di Lecce, aveva rigettato la domanda da lui proposta di risarcimento del danno nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l’asserita responsabilità dei magistrati che si sono occupati, a vario titolo, del procedimento penale scaturito dalla querela proposta da esso Degli Angeli verso altro soggetto, C.A., per i delitti di minaccia e ingiuria.
1.2. Il procedimento penale si era concluso in prime cure con la sentenza del Giudice di Pace di Lecce, che condannava l’imputato anche al risarcimento del danno di euro 1.000,00 in favore del querelante; a seguito di gravame proposto dall’imputato, il Tribunale penale di Lecce, in riforma della sentenza del Giudice di Pace, assolveva l’imputato, perché il fatto ascrittogli (secondo la contestazione presente nel decreto di rinvio a giudizio) non risultava sussistente.
1.3. A seguito del ricorso proposto dal Degli Angeli, la V Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso, peraltro rilevando <>.
1.4. Pertanto Degli NOME evocava in giudizio avanti al Tribunale di Lecce la Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendone la condanna al risarcimento del danno, stante l’errata formulazione del capo di imputazione da parte del sostituto procuratore della Repubblica dott. G.COGNOME, la mancata richiesta di modifica del capo di imputazione ai sensi dell’art. 516, comma 1, cod. proc. pen. da parte del sostituto procuratore della Repubblica dott.ssa NOME e del sostituto procuratore della Repubblica dott.ssa NOMECOGNOME e, infine, la responsabilità del giudice di Pace di Lecce ECOGNOME per non aver sollecitato il sostituto procuratore della Repubblica alla modifica del capo di imputazione ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen. e per non aver disposto con ordinanza la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica ai sensi dell’art. 521, co. 2, cod. proc. pen.
Il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda risarcitoria, ma, a seguito dell’appello proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la decisione veniva riformata in appello, con rigetto della domanda in questione, donde il presente ricorso per cassazione della sentenza pronunciata dalla corte di merito.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1, cod. proc. civ.
Il PM non ha depositato conclusioni.
Nessuna delle parti ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che
Premesso che la difesa del ricorrente prospetta espressamente: <>, il ricorso è affidato a due motivi, che si illustrano qui di seguito.
1.1. Con il primo motivo (da p. 21 a p. 25 del ricorso) il ricorrente denuncia <>.
Premette parte ricorrente che: 1 ) il comma 2 dell’art. 2 della legge n. 117/1988 applicabile ratione temporis alla vicenda in esame, espressamente prevede: <>; 2 ) il successivo comma 3, prevede: <>.
Sostiene, quindi, il ricorrente che la corte territoriale è incorsa in violazione o falsa applicazione delle suddette norme.
Deduce, in particolare, che la corte di merito ha errato, omettendo di correttamente applicare queste disposizioni di legge ed altresì estendendo, in maniera definita <>, la cd. clausola di salvaguardia oltre la portata del citato comma 2 dell’art. 2 della legge 117/1988.
Assume, infatti (v. p. 25 ricorso), espressamente che: <>.
1.2. Con il secondo motivo (da p. 26 e ss. del ricorso) il ricorrente denuncia <>.
Lamenta, citando dei precedenti di legittimità, che la corte di merito non ha correttamente applicato le suindicate disposizioni, considerato che: <>, ed ancora che <>.
Per quanto riguarda il concetto di negligenza inescusabile, poi, rileva il ricorrente che la Suprema Corte ha sostenuto che questo esige un quid pluris rispetto alla colpa grave delineata dall’art. 2236 cod. civ., nel senso che la colpa stessa si deve presentare come <>, e cioè priva di agganci con le particolarità della vicenda, che potrebbero rendere comprensibile, anche se non giustificato, l’errore del magistrato; nel caso di specie <>.
Nell’illustrazione di entrambi i motivi il ricorrente lamenta esservi stata una negligenza inescusabile, a partire dal PM dr. G.G., per poi passare ai VPO dr.sse E.F. e R.A., fino a giungere al Giudice di Pace penale, avv. NOME
Vi sarebbe stata, da un lato, l’affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento (il fatto emergente dal capo di imputazione, cioè l’affermazione ‘ tu si nnu cuiune, denunciame, io nnu tegnu paura te nienti ‘ , la quale è, secondo il ricorrente, stata inventata di sana pianta dal PM, né è mai stata corretta dai VPO) e, dall’altro lato, la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento (cioè il fatto rappresentato dal la frase presente nella denuncia querela ‘ Tie cuiune non vuoi sopravvivere, non stai capendo ce sta faci……..io nu te fazzu sopravvivere, statte attentu me sta distruggi nna famiglia ‘ , il quale è incontrastabilmente risultante dagli atti del processo, come confermato sostanzialmente in dibattimento).
Si assume, poi, quanto segue.
Il Sostituto Procuratore della Repubblica dr. G.G. ha disposto la citazione diretta a giudizio (con decreto reso il dì 11 luglio 2007) d ell’ imputato C.A. dinanzi al Giudice di Pace di Lecce, formulando la imputazione del delitto previsto dall’art. 612 cod. pen. < DEGLI NOME NOME Reato commesso in Carmiano il 03.06.2004>>, caratterizzata: a) non solo dalla incongruenza tra la norma evocata (art. 612 cod. pen.) ed il contenuto del relativo capo, integrante, secondo il ricorrente, la diversa fattispecie di ingiuria); b) ma anche dalla palese difformità dal fatto rappresentato dall’esponente nella querela sporta il 9 luglio 2004 (<>; << … IL C. MI AGGREDIVA DICENDO <>).
Il Sostituto Procuratore della Repubblica, Dott.ssa RCOGNOME PM delegato per l’udienza del 21 ottobre 2009, non ha provveduto a richiedere la modifica del capo di imputazione ai sensi dell’art. 516 comma 1 cod. proc. pen., pur a fronte delle inequivoche dichiarazioni rese dal querelante in qualità di teste nel corso della relativa udienza di escussione.
Il Sostituto Procuratore della Repubblica, Dott.ssa NOMECOGNOME PM delegato per l’udienza del 5 maggio 2010, ha anch’ella omesso di richiedere la modifica del capo di imputazione ai sensi dell’art. 516 comma 1 cod. proc. pen., pur a fronte delle dichiarazioni rese dal teste COGNOME Cosimo nella relativa udienza di escussione:<>.
Infine, il Giudice di Pace di Lecce, che ha da ultimo pronunciato la sentenza resa il 27 settembre 2011, con la quale NOME. era riconosciuto responsabile del reato ascrittogli ed era condannato alla pena della multa per euro 51,65, ha, per un verso, omesso di sollecitare i due VPO delegati alle udienze dibattimentali alla modifica del capo di imputazione ai sensi dell’art. 516, comma 1, cod. proc. pen., sulla scorta delle diverse risultanze dell’istruzione dibattimentale (in particolare, delle dichiarazioni rese dai due testi escussi) e, per altro verso, ha omesso di disporre con ordinanza la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica ai sensi dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen., nonostante la constatazione della difformità del fatto alla descrizione del capo di imputazione nel decreto di citazione diretta a giudizio.
I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono infondati.
3.1. In disparte il non marginale rilievo per cui il ricorrente (v. p. 30 del ricorso) afferma che la difformità e le incongruenze del capo di imputazione e la omessa richiesta di modifica della imputazione ex art. 516 cod. proc. pen. risulterebbero inspiegabili, atteso che anche una mera lettura degli atti del procedimento e delle dichiarazioni rese dai testi nel corso delle udienze ben avrebbe dovuto indurre all’assunzione di diverse condotte, e -così affermando- sollecita quindi un sindacato di questa Corte sulla quaestio facti e sull’attività valutativa dei magistrati del merito, va rilevato, in via del tutto dirimente, che il pur generico riferimento agli <> non rivela, ed anzi smentisce, che il P.M. avesse basato la formulazione del capo di imputazione solo sul contenuto della denuncia-querela del Degli Angeli, per cui, nella descritta situazione, non può essere ravvisata la sua colpa grave, invocata dall’odierno ricorrente sulla base della difformità tra il contenuto del capo di imputazione ed il contenuto della -sola – denunciaquerela.
Ulteriore elemento rivelatore dell’assenza di colpa grave è dato poi dal silenzio serbato dalla difesa dall’allora denunciante, qui ricorrente, in ordine al contenuto del capo di imputazione, come formulato dal P.M., del quale, all’epoca, alcun errore è stato fatto constare, rispetto alla asserita inspiegabile e grossolana negligenza che l’attuale ricorrente ora lamenta avanti a questa Corte. Si badi che sarebbe stato comunque onere della parte ricorrente precisarlo ed indicare se e dove nel presente giudizio l’aveva dedotto.
Costituisce poi profilo indubbiamente valutativo quello attinente alla contestazione del reato di minaccia ex art. 612 cod. pen., sulla base di espressioni che, nella prospettazione
dell’odierno ricorrente, non la rivelavano, per cui, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, va senz’altro esclusa la configurabilità della colpa grave (v. Cass., 29/01/1996, n. 654, secondo cui l’attività del P.M. in ordine alla formulazione del capo di imputazione costituisce attività interpretativa e discrezionale, soggetta a verifica in sede dibattimentale; si è poi precisato, più in generale, che non può dar luogo a responsabilità del magistrato l’attività di interpretazione di norme di diritto ovvero di valutazione del fatto e della prova, e che la clausola di salvaguardia di cui all’art. 2, comma 2, l. 117/1988 non può soffrire interpretazioni riduttive, in quanto giustificata dal carattere fortemente valutativo dell’attività giudiziaria e dall’esigenza di attuare compiutamente l’indipendenza del giudice: Cass., 19/01/2018, n. 1266; Cass., 17/01/2019, n. 1068).
3.2. Analoghe considerazioni possono essere svolte in ordine alle ulteriori doglianze del ricorrente in relazione ai comportamenti dei VPO che si sono avvicendati in udienza dibattimentale e del Giudice di Pace che ha emesso la sentenza definitiva del giudizio penale in primo grado.
Non risulta infatti che in udienza penale il difensore del COGNOME allora persona offesa, abbia sollecitato l’applicazione dell’art. 516 cod. proc. pen. da parte del P.M. di udienza né dell’art. 521 cod. proc. pen. da parte del giudice, ed anzi, si ribadisce, proprio il comportamento del difensore, che non ha mai evidenziato l’errore del decreto di citazione a giudizio nel corso del presente giudizio – o perlomeno non ha mai fatto constare di averlo evidenziato- denota che non era evidente il presupposto per cui, rispettivamente il P.M. di udienza ed il Giudice di Pace avanti a cui si è svolto il processo penale, avrebbero dovuto rilevare la necessità della modifica del capo di imputazione e conseguentemente agire secondo le suindicate
norme del codice di procedura penale.
3 .3. Parimenti infondata è infine l’ulteriore censura, secondo cui avanti al tribunale collegale in primo grado il presente giudizio di responsabilità civile aveva superato il filtro di inammissibilità, previsto dalla legge 117/1988, con ogni conseguenza ed implicazione in ordine all’accertamento positivo della responsabilità dei magistrati, inquirenti e giudicante, che hanno trattato il processo penale in cui il COGNOME era persona offesa.
Infatti -ed in disparte i non marginali profili di inammissibilità per cui la censura non investe direttamente la sentenza di appello impugnata – secondo costante orientamento di questa Corte il filtro di ammissibilità assume rilievo costituzionale, poiché finalizzato ad escludere azioni risarcitorie temerarie ed intimidatorie ed a salvaguardare l’indipendenza e l’autonomia della funzione giurisdizionale ex artt. 101 e ss. Cost. (v. Cass., 03/01/2014, n. 41; Cass., 04/05/2005, n. 9288), ma, per espressa previsione dell’art. 5, comma 3, della legge 117/1988, applicabile ratione temporis , ha specificatamente ad oggetto la verifica del rispetto dei termini o dei presupposti di cui agli artt. 2, 3, 4, ovvero la manifesta infondatezza della domanda risarcitoria, senza condizionare, una volta ritenuta la domanda ammissibile, il suo successivo esame nel merito in termini di accoglimento piuttosto che di rigetto.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
L’alterno esito dei due gradi di merito e la peculiarità della vicenda costituiscono, ad avviso del Collegio, ragione per l’integrale compensazione delle sp ese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dichiara integralmente compensate le spese del giudizio di
legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di tutti i soggetti indicati nella sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza