Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24764 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24764 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7420/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso in proprio con domicilio digitale
-ricorrente-
contro
PRESIDENTE CONSIGLIO DEI MINISTRI, ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio digitale
;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 643/2023 depositata il 03/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2025 dalla consigliera NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
1.La Corte d’appello di Perugia è stata investita del gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza n.1331 del 2020 con cui il Tribunale di Perugia aveva rigettato la domanda risarcitoria da lui proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri sul presupposto dell’illegittima condotta dei magistrati della Corte di cassazione che, a suo dire, con la sentenza n. 25449/2015 avevano con colpa grave rigettato il ricorso da lui proposto.
2.Esponeva, in particolare, l’appellante che la vicenda giudiziaria per cui è causa era sorta molti anni addietro quando suo padre, NOME COGNOME in data 9/11/1966, aveva stipulato una scrittura privata con tali NOME e NOME COGNOME: con detta scrittura le parti avevano previsto che un vecchio immobile esistente in Campofelice di Roccella, di proprietà delle COGNOME, avrebbe dovuto essere demolito per poi costruirne uno nuovo al suo posto e suo padre si era, nell’occasione, impegnato a realizzare quest’ultimo immobile, con l’accordo che, all’esito, le COGNOME, quale contropartita per l’esecuzione dei lavori di costruzione dello stesso, gliene avrebbero ceduto una parte. In esecuzione di detto accordo le COGNOME avevano conferito al padre la detenzione materiale e giuridica del fondo a fini costruttivi sicché, di fatto, quest’ultimo aveva effettuato tutti i lavori di edificazione sul terreno di proprietà delle promittenti venditrici le quali, tuttavia, una volta ultimata la costruzione del nuovo fabbricato, non avevano provveduto alla cessione di parte di esso, contrariamente agli accordi intercorsi: di qui una serie di contenziosi proposti dal padre stesso.
3.Più specificamente COGNOME deduceva che il padre aveva dapprima intentato un giudizio ai sensi dell’articolo 2932 cod. civ. del codice civile nei confronti delle COGNOME al fine di ottenere una sentenza costitutiva del contratto definitivo non concluso, azione conclusa con decisione di rigetto confermata in Corte d’appello con
sentenza impugnata in Corte di cassazione, dove il ricorso veniva dichiarato inammissibile, mentre veniva accolta la domanda riconvenzionale avanzata nello stesso giudizio dalle COGNOME e volta ad ottenere una pronuncia di risoluzione del contratto preliminare con condanna del COGNOME al risarcimento dei danni da loro subiti. 4.Successivamente il padre aveva proposto altra domanda volta ad ottenere, data l’intervenuta risoluzione del contratto, la restituzione in natura e il risarcimento del danno per spese amministrative sempre nei confronti delle COGNOME, le quali, in via riconvenzionale, avevano chiesto l’attribuzione dell’edificio in loro proprietà ai sensi dell’articolo 936 cod. civ. Tale nuovo giudizio si era concluso con il rigetto della domanda avanzata dal padre e l’ accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalle controparti con sentenza confermata in appello ed il cui ricorso presso la Corte di cassazione era stato respinto.
5.Proposta dal padre nuova domanda volta a ottenere la condanna dei proprietari dell’area divenuti proprietari anche del fabbricato al pagamento in suo favore dell’indennità prevista dagli articoli 936 o 2041-2042 cod. civ. ne seguivano altri tre gradi di giudizio che avevano visto il padre del Randazzo sempre soccombente anche all’esito del ricorso in Corte di cassazione.
6.Ciò posto, NOME COGNOME proponeva ricorso al Tribunale di Perugia ai sensi della legge 117/1988 in materia di responsabilità dei magistrati avente ad oggetto la pronuncia con cui la Corte di cassazione aveva respinto l’ultimo ricorso avanti al giudice di legittimità. L’adito tribunale perugino respingeva la domanda con condanna dell’attore al risarcimento dei danni nei confronti della controparte.
7.A sostegno del gravame proposto avverso detta pronuncia il COGNOME aveva dedotto sei motivi di appello che avevano riguardato: i) l’asseritamente illegittimo richiamo fatto dal tribunale alle sentenze emesse nel contenzioso fra il padre e le COGNOME
dovendosi considerare le stesse del tutto inefficaci e irrilevanti rispetto al giudizio in esame nel quale era convenuta la Presidenza del Consiglio dei ministri che non era stata parte di quei contenziosi sicché il giudicato faceva stato solo tra le parti e gli eventuali aventi causa; ii) la sentenza di primo grado per avere ritenuto che nella pronuncia n.395/2006 resa all’esito del giudizio di primo grado si era affermato che l’azione indennitaria era già stata esercitata e respinta in altro giudizio; iii) la statuita insussistenza della violazione di legge o di diritto comunitario da parte della Cassazione nella sentenza n.25449/2015; iv) la sentenza di prime cure dove aveva escluso la ravvisabilità di errori fonte di responsabilità nella pronuncia della Corte di cassazione in relazione al contratto concluso nel 1966 con le COGNOME; v) la sentenza di primo grado laddove aveva escluso il vizio di violazione manifesta delle norme di diritto comunitario e sovranazionale nella parte in cui prevedono il divieto di ogni discriminazione che, invece, avrebbe dovuto ritenersi sussistente ai danni del COGNOME con l’esclusione dell’indennità ex articolo 936 cod. civ. o delle somme corrispondenti all’indebito arricchimento; vi) il mancato riconoscimento del danno esistenziale.
8.La Corte territoriale respingeva il gravame osservando come il richiamo ai precedenti fatto dal Tribunale di Perugia era stato inserito nell’ambito delle valutazioni volte a verificare la sussistenza o meno della dedotta colpa grave nell’operato della Corte di cassazione, la quale non poteva che prendere atto dei giudicati nel frattempo formatisi e nel cui ambito delimitare il sindacato di legittimità deferito con il ricorso sulla sentenza della Corte d’appello che non aveva riconosciuto al Randazzo né l’indennità ex art. 936 cod. civ., né quella di cui all’articolo 2041 cod. civ.
8.1. Inoltre, la Corte d’appello precisava che pur avendo per una mera svista il giudice di primo grado ritenuto già proposta l’azione volta ad ottenere l’indennità ex articolo 936 cod. civ., tuttavia detta
svista risultava ininfluente in relazione alle conclusioni, cui il giudice di prime cure era giunto, con cui aveva escluso l’asserita colpa grave nella decisione della Corte di cassazione di ritenere il ricorrente privo di legittimazione ad agire ai sensi dell’articolo 936 cod. civ. in ragione del fatto che la fattispecie da lui dedotta in giudizio era tutelabile unicamente con l’azione di restituzione ex articolo 1458 cod. civ. a seguito dell’intervenuta declaratoria di risoluzione del contratto stipulato tra il padre e NOME COGNOME
8.2.Ancora, la Corte territoriale aveva ritenuto corretta l’applicazione della c.d. clausola di salvaguardia di cui all’art.2, comma 2, della L. 117/1988 in forza della quale ‘fatti salvi i commi 3 e 3-bis tre ed i casi di dolo, nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove’ , a tale dovendosi ascrivere quella compiuta dalla Cassazione, sia riguardo alla nozione di ‘ terzo’ rilevante ai sensi dell’art. 936 cod. civ. , sia in relazione al rapporto fra l’azione ex art. 2041 cod. civ, sia a quella di restituzione ex art. 1458 cod. civ. .
8.3.La Corte territoriale evidenziava la mancata specificazione nel quinto motivo delle ragioni a sostegno dell’asserita violazione del principio di non discriminazione anche nella prospettiva del diritto comunitario e, da ultimo, osservava come mancando la prova dell’ an della responsabilità dei magistrati della Corte di cassazione il tribunale aveva condivisibilmente ritenuto di non doversi pronunciare in merito ai danni asseritamente patiti da parte appellante.
9.La cassazione della suddetta sentenza è chiesta con ricorso affidato a tre motivi illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Avvocatura generale dello Stato.
CONSIDERATO CHE:
10.Con il primo motivo si deduce ( in relazione agli artt. 360 n. 3 e 4, 360 bis cod. proc. civ. e 111 Cost.) la violazione/falsa applicazione dell’art. 2 commi 1,2,3,3 bis legge n.18 del 27.02.2015, della cosa giudicata (art.2909 cod. civ.), nonché la violazione degli artt. 112, 113, 115 cod.proc.civ. derivati dalla violazione degli artt. 936, 2041-2042 cod.civ. ad opera della sentenza n. 25449 pronunciata dal Collegio sez. III civile della S.C. il 23.10.15 e non rilevata dalla sentenza impugnata.
11.Con il secondo motivo si censura (in relazione agli artt. 360 n.3 e 4 e 360 bis cod.proc.civ. e 111 Cost.) la violazione/falsa applicazione dell’art. 2 commi 1,2,3,3 bis legge n.18 del 27.02.2015, della cosa giudicata (art. 2909 cod. civ.), nonché violazione degli artt. 112, 113, 115 cod.proc.civ. , la violazione/ falsa applicazione degli artt. 2,3,4,41,42 Cost., 2,3,6 Trattato di Maastricht del 07.02.92, artt. 16,17,21,47 della Carta di Nizza del 12.12.2007, art.1 Protocollo addizionale CEDU del 20.03.1952, art. 14 convenzione CEDU -, conseguenti alla violazione degli artt. 936, 2041-2042 cod.civ. ad opera della sentenza 25449 pronunciata dal Collegio sez. III civile della S.C. il 23.10.15, non rilevate dalla sentenza impugnata.
12.Con il terzo motivo si deduce (in relazione agli artt. 360 n. 3 e 4/ 360 bis cod.proc.civ. e 111 Cost.) la violazione/falsa applicazione dell’art. 2 commi 1,2,3,3 bis legge n.18 del 27.02.2015, della cosa giudicata (art. 2909 cod.civ.), nonché violazione/falsa applicazione degli art. 2043 cc e 2 Cost. -violazione degli artt. 112, 113, 115 cod.proc.civ. , ai sensi degli conseguenti alla violazione degli artt. 936, 2041-2042 c.c. ad opera della sentenza 25449 pronunciata dal Collegio sez. III civile della S.C. il 23.10.15, non rilevate dalla sentenza impugnata.
13.In sintesi il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata ha disatteso il nuovo quadro normativo introdotto con la L. 18/2015, ignorando le disposizioni europee in tema di responsabilità dello
Stato e dei giudici. La Corte avrebbe evitato un effettivo giudizio sul merito, rifacendosi alle valutazioni sui precedenti giudicati. Denuncia, inoltre, la violazione del principio del giusto processo e della cosa giudicata dal momento che le precedenti sentenze avevano accertato che NOME COGNOME aveva effettivamente costruito l’edificio a sue spese. Tuttavia, tali circostanze non sono state considerate nella decisione della Corte di cassazione che ha negato sia il rimborso per le spese sostenute (art. 936 cod.civ..) sia l’azione di arricchimento senza causa (art. 2041 cod.civ.).
14.Il ricorrente sostiene di essere stato trattato in modo diverso rispetto ad altri soggetti in situazioni analoghe, che avevano, invece, ottenuto tutela giudiziaria. Questa disparità, non giustificata da motivi oggettivi, integrerebbe un profilo di discriminazione vietato dal diritto nazionale e dell’UE.
Ritiene il Collegio i motivi possano essere esaminati congiuntamente e dichiarati tutti e tre inammissibili sotto diversi aspetti.
15.1.Innanzitutto, perché volti ad introdurre questioni formalmente nuove rispetto a quelle trattate nella sentenza impugnata in relazione alla denunciata violazione degli artt. 1, 2, 3, 3bis legge 18/2015 senza specificare dove la violazione di detti articoli era stata in precedenza proposta e nei limiti di ammissibilità consentiti non essendo necessario procedere all’esame dei presupposti di fatto richiesti dalla differente disciplina per la riconoscibilità del diritto controverso (cfr. Cass. 25863/2018; id.15196/2018).
15.2.Inoltre, i motivi censurano passaggi delle sentenze di merito che avevano portato al ricorso in cassazione conclusosi con la sentenza n. 25449/2015 riproponendo questioni qualificatorie ed il riesame e la rivalutazione delle conclusioni dei giudici di merito , senza confrontarsi con le motivazioni della sentenza qui impugnata che ha rigettato la domanda risarcitoria escludendo la ravvisabilità di una condotta illegittima in capo ai magistrati della Corte di
cassazione che hanno emesso la sentenza n.25449/2015 e senza considerare che il giudizio per cassazione è sempre un giudizio a critica vincolata (Cass. 25332/2014; id.6519/2019) e non ha fondamento normativo il convincimento del ricorrente sul ‘l’obbligo, insito nelle funzioni della S.C., di compiere le imprescindibili verifiche sui fatti accaduto secondo quanto sia stato processualmente acquisito’ (cfr. pag. 17, terzo cpv.), convincimento che ispira tutte le censure del ricorso in esame.
15.3.In realtà, la sentenza d’appello qui impugnata ha esaminato tutti i sei motivi di gravame proposti dal COGNOME e l’odierno ricorso non censura le rationes decidendi di detta pronuncia ma, nella sostanza, ripropone le questioni affrontate nei precedenti giudizi, riguardanti il mancato riconoscimento del diritto all’indennità edificatoria in favore del padre da parte delle signore COGNOME, proprietarie del suolo, e del danno emergente ed il lucro cessante derivanti dagli esborsi per le spese vive anticipate in forza dell’accordo intervenuto fra il padre e le sorelle COGNOME nel 1966 ricostruendo delle violazioni di giudicato che non sono rilevanti ai fini della decisione sulla fondatezza della proposta domanda risarcitoria.
Il ricorso è quindi inammissibile.
In applicazione del principio della soccombenza, parte ricorrente è condannata alla rifusione delle spese di lite nella misura liquidata in dispositivo.
18.Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.
P.Q.M
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente che liquidae in Euro 3000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 18/06/2025.