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Responsabilità datore di lavoro per infortunio

Un lavoratore subisce l’amputazione di un arto a seguito di un incidente con un muletto in magazzino. Il Tribunale afferma la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2049 c.c. per le omissioni del delegato alla sicurezza. La sentenza analizza come il giudicato penale influenzi la causa civile e dettaglia il calcolo del risarcimento, sottraendo gli importi già versati da INAIL e a titolo di provvisionale.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Civile, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Responsabilità del datore di lavoro: quando la società paga per l’infortunio

Un grave infortunio sul lavoro può avere conseguenze devastanti non solo per il lavoratore, ma anche per l’azienda. Una recente sentenza del Tribunale di Torino chiarisce i contorni della responsabilità del datore di lavoro per i danni derivanti da un reato commesso da un proprio delegato, applicando il principio della responsabilità oggettiva sancito dall’art. 2049 del Codice Civile. Analizziamo questo caso per comprendere i principi applicati e le implicazioni pratiche per ogni impresa.

I fatti: un grave infortunio sul lavoro

Il caso ha origine da un tragico incidente avvenuto nel magazzino di una società di logistica. Un socio lavoratore di una cooperativa, mentre percorreva un passaggio pedonale per recarsi all’area ristoro, è stato investito e trascinato da un carrello elevatore (muletto). Le lesioni riportate all’arto sinistro sono state talmente gravi da rendere necessaria l’amputazione.

Dalle indagini è emerso che l’incidente non è stato un evento fortuito, ma la conseguenza di una situazione di pericolo consolidata: il passaggio pedonale era costantemente invaso da veicoli e materiali, a causa di una gestione inadeguata degli spazi e di un cancello lasciato perennemente semiaperto che limitava l’area di manovra dei mezzi.

Un precedente procedimento penale si era già concluso con la condanna di figure apicali, tra cui un procuratore speciale con delega alla sicurezza, per violazione delle norme antinfortunistiche.

L’efficacia del giudicato penale nel processo civile

Uno degli aspetti più interessanti della sentenza è il modo in cui il giudice civile ha utilizzato le risultanze del processo penale. Sebbene la società convenuta non fosse stata parte di quel giudizio, il Tribunale ha ritenuto di poter utilizzare la sentenza penale di condanna, ormai definitiva, come fonte di prova (cosiddetta prova atipica).

Il giudice civile, pur non essendo vincolato in automatico, ha fondato la propria decisione sugli elementi e le circostanze già accertati in sede penale, procedendo a un autonomo vaglio critico per ricostruire la dinamica dei fatti e accertare l’esistenza di un illecito civile fonte di danno.

La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2049 c.c.

Il cuore della decisione risiede nell’applicazione dell’art. 2049 c.c., che disciplina la responsabilità del datore di lavoro (o dei padroni e committenti) per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro dipendenti (o domestici e commessi) nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti.

Il Tribunale ha stabilito che la società, oggi convenuta, risponde civilmente per le omissioni del suo procuratore speciale delegato alla sicurezza. Per affermare tale responsabilità, è stato accertato il cosiddetto “nesso di occasionalità necessaria” tra l’illecito e il rapporto di lavoro. In altre parole, l’attività illecita (la mancata adozione delle misure di sicurezza che ha causato l’incidente) è stata commessa nell’ambito di un’attività gestoria delegata dalla società (la tutela della sicurezza). Non si è trattato di un’iniziativa personale del delegato, ma di una condotta tenuta nell’esercizio delle sue funzioni, che ha reso possibile o agevolato il verificarsi del danno.

La quantificazione del danno: biologico, riflesso e differenziale

Una volta affermata la responsabilità, il Tribunale ha proceduto alla complessa quantificazione dei danni, distinguendo tra la posizione del lavoratore e quella dei suoi familiari.

Danno al lavoratore: Il giudice ha confermato la valutazione del danno non patrimoniale (lesione all’integrità psico-fisica) già operata in sede penale. Da questo importo complessivo, ha sottratto, secondo il principio della compensatio lucri cum damno*, sia l’indennizzo già erogato dall’INAIL sia la somma ricevuta a titolo di provvisionale. Il risultato è il cosiddetto “danno differenziale”, che è stato poi rivalutato monetariamente dalla data dell’incidente a quella della sentenza.
* Danno ai familiari (danno riflesso): Anche la moglie e i figli del lavoratore hanno subito un danno, consistente nello stravolgimento della vita familiare e nella necessità di prestare continua assistenza. Per liquidare questo tipo di pregiudizio, il giudice ha fatto ricorso a criteri equitativi, utilizzando le Tabelle di Roma e considerando parametri come il grado di parentela, l’età delle parti e la gravità della lesione subita dal congiunto. Anche da questi importi sono state detratte le provvisionali già percepite.

Le motivazioni della decisione

La sentenza si fonda su principi giuridici consolidati. In primis, la natura oggettiva della responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2049 c.c., che prescinde da una colpa diretta dell’azienda (culpa in eligendo o in vigilando) e si basa sul solo rapporto di preposizione e sul nesso di occasionalità necessaria. Se il dipendente commette un illecito nell’esercizio delle sue mansioni, l’azienda ne risponde civilmente. In secondo luogo, il provvedimento ribadisce come il giudice civile possa autonomamente utilizzare le prove e gli accertamenti di una sentenza penale irrevocabile, anche nei confronti di soggetti che non erano parte di quel processo, per fondare il proprio convincimento. Infine, la decisione offre un chiaro esempio di come si calcola il danno differenziale, sottraendo dal risarcimento integrale le somme già percepite dalla vittima a titolo di indennizzo sociale (INAIL) per evitare indebite locupletazioni.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per le aziende

Questa sentenza è un monito fondamentale per tutte le imprese. La responsabilità del datore di lavoro non si esaurisce con la nomina di un delegato alla sicurezza, ma richiede un controllo costante sull’effettiva applicazione delle norme. L’azienda risponde direttamente delle omissioni dei propri manager e delegati. La decisione evidenzia che una condanna penale a carico di un dipendente o amministratore può avere pesanti ripercussioni civili ed economiche sulla società. È quindi cruciale investire in una cultura della sicurezza reale e non solo formale, garantendo che le procedure siano conosciute, applicate e verificate, per tutelare i lavoratori e mettere al riparo l’azienda da gravose richieste risarcitorie.

Quando un’azienda risponde per il fatto illecito di un suo dipendente o delegato?
L’azienda risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c. quando sussiste un “nesso di occasionalità necessaria” tra le mansioni affidate al dipendente e l’atto illecito che ha causato il danno. Ciò significa che le sue incombenze lavorative devono aver reso possibile o quantomeno agevolato la commissione dell’illecito.

La condanna penale di un delegato ha effetti automatici sulla responsabilità civile dell’azienda?
No, non ha effetti automatici, specialmente se l’azienda non era parte del processo penale. Tuttavia, il giudice civile può utilizzare la sentenza penale definitiva come fonte di prova per ricostruire i fatti e fondare la propria decisione sulla responsabilità civile dell’azienda, dopo un’autonoma valutazione.

Come viene calcolato il risarcimento per un infortunio sul lavoro se la vittima ha già ricevuto indennizzi dall’INAIL?
Il risarcimento viene calcolato determinando l’intero danno non patrimoniale subito dalla vittima. Da questo importo totale vengono poi sottratte le somme già corrisposte dall’INAIL a titolo di indennizzo e quelle eventualmente già percepite a titolo di provvisionale. La somma residua costituisce il “danno differenziale” che il responsabile civile deve versare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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