Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26575 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 26575 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/10/2025
DAL ZOTTO NOME;
– intimato –
avverso la sentenza n. 404/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/11/2020 R.G.N. 717/2017;
Oggetto
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/07/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 16103-2021 proposto da: HERBST RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
MACCARRONE;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in persona dei Commissari Liquidatori pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Fatti di causa
La Corte d’appello di Venezia, con la sentenza in atti, ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE NOME avverso la sentenza del tribunale che l’aveva condannata a pagare alla Banca Popolare di Vicenza SCPA la somma di € 88.705,00 il cui ammanco si era verificato in data 22/1/2010 durante il turno di lavoro della RAGIONE_SOCIALE, operatore unico cassiere.
A fondamento della sentenza, la Corte d’appello, richiamando l’accertamento operato in primo grado, ha ribadito la responsabilità della lavoratrice appellante, affermando che la sottrazione del danaro fosse stata effettuata dall’altro operatore unico COGNOME che si era reso irreperibile immediatamente dopo la scoperta della sparizione del contante e che era stato condannato per il furto in sede penale.
Tuttavia, secondo la Corte di appello, come accertato dagli ispettori in sede penale, risultavano evidenti superficialità e violazioni della normativa interna addebitabili alla RAGIONE_SOCIALE in relazione alle modalità di svolgimento delle operazioni di chiusura della cassa, deposito contante nei mezzi forti e chiusura degli stessi; posto che la lavoratrice in fase di chiusura serale aveva sì riposto tutto il contante della giornata, ma aveva lasciato aperto il c.d. tesoretto ovvero la cassaforte dove veniva riposto il contante senza però temporizzarla, ed aveva chiuso la cassaforte soltanto prima di lasciare l’edificio e dopo che il collega COGNOME aveva avuto accesso alla stessa cassaforte su consenso della stessa lavoratrice.
Il COGNOME infatti si era offerto di accedere alla cassaforte per depositare i valori dopo che la RAGIONE_SOCIALE aveva riposto il contante. Inoltre la lavoratrice, prima di chiudere la cassaforte e
allontanarsi dalla banca, non aveva svolto alcun controllo dopo l’accesso del COGNOME. Se la lavoratrice una volta introdotto tutto il contante nel tesoretto avesse provveduto a chiuderlo con la temporizzazione come previsto dalla procedura, il COGNOME intervenuto in un momento successivo, non avrebbe potuto sottrarre il contante.
Non poteva assumere valore scriminante invece la prassi vigente nella filiale, allegata dalla RAGIONE_SOCIALE di tenere comunque aperta la cassaforte durante il giorno per consentire l’esecuzione di operazioni di cassa veloci, sia perché tale circostanza non era sufficiente a rendere legittima la condotta inadempiente della ricorrente; sia perché dalle dichiarazioni testimoniali di COGNOME risultava che soltanto al mattino, quando erano presenti entrambi gli operatori, la cassaforte era lasciata aperta in quanto la RAGIONE_SOCIALE addetta alla cassa era più impegnata degli altri; tuttavia, nessun collega poteva accedere alla cassaforte senza l’assenso della RAGIONE_SOCIALE, che era evidentemente consapevole della responsabilità su di lei gravante.
Inoltre, non era sostenibile che anche il direttore della filiale avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile in pari misura, trattandosi di scelta facoltativa dalla banca che in presenza di eventuali obbligati solidali era libera di rivolgere le proprie richieste risarcitorie al soggetto ritenuto responsabile.
Ritenuto che la inadempienza della ricorrente aveva contribuito causalmente al verificarsi dell’ammanco, correttamente la banca aveva azionato il diritto soltanto nei suoi confronti e la sentenza non appariva sul punto contraddittoria.
Infine la Corte d’appello aveva rigettato il motivo che censurava la decisione nel punto in cui aveva considerato la lavoratrice corresponsabile con il Dal COGNOME ex articolo 2055 c.c. mentre secondo la ricorrente la chiamata in causa effettuata dalla
stessa non era stata realizzata a titolo di manleva quanto piuttosto per farlo dichiarare unico responsabile dell’evento con conseguente rigetto della domanda nei propri confronti. Sul punto la Corte d’appello ha invece qualificato la domanda nel senso che si trattasse di una domanda di manleva ed aveva altresì affermato che la questione del titolo della chiamata in causa del terzo rimaneva di fatto assorbita dal rigetto dei precedenti motivi e dalla valutazione di responsabilità con violazione delle norme di diligenza gravanti sulla lavoratrice, la cui inosservanza aveva provocato il danno azionato dalla banca. Avverso la sentenza ha proposto il corso per cassazione NOME COGNOME con sette motivi ai quali ha resistito con controricorso la Banca Popolare di Vicenza s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa. La ricorrente ha depositato memoria difensiva prim a dell’udienza. Dopo la decisione, il Collegio ha autorizzato il deposito della motivazione nel termine di 60 giorni previsto dalla legge.
Ragioni della decisione
1.- Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. degli artt. 2697 e 116 c.p.c. in interpretazione sistematica con l’articolo 132, comma 2, n.4 c.p.c., artt. 24 e 111 Costituzione per apparente e perplessa motivazione circa un fatto decisivo per l’esito della controversia già oggetto di discussione nei precedenti gradi di giudizio: mancata dimostrazione dell’evento storico posto alla base della responsabilità della cassiera, posto che non sarebbe stata accertata l’esatta dinamica del furto ed essa era ed è decisiva, posto che COGNOME ben avrebbe potuto appropriarsi del denaro soltanto successivamente all’uscita della Collega, aprendo la porta della cassaforte con la chiave che per prassi, come emerso in istruttoria, era a disposizione di tutti sopra la cassaforte,
oppure avendo precedentemente memorizzato e rubato la password del cosiddetto tesoretto al direttore o al vicedirettore. Non essendo stato accertato con precisione il momento (prima o dopo la chiusura dei mezzi forti?) in cui il COGNOME aveva proceduto ad impossessarsi il denaro la Corte d’appello non ha affrontato nessuno dei motivi di doglianza e comunque non ha motivato la reiezione degli stessi esponendo argomentazioni generiche sulla responsabilità della lavoratrice.
1.1.- Il motivo è inammissibile perché mira alla rivalutazione del fatto, tra l’altro in una ipotesi di c.d. ‘doppia conforme’.
La Corte ha accertato l’asserita condotta superficiale e colposa della lavoratrice, posta in essere in violazione del regolamento, ed ha ritenuto la sua responsabilità per l’agevolazione colposa della sottrazione; evidente pertanto che ha ipotizzato che la sottrazione fosse avvenuta prima della chiusura della cassaforte.
Si afferma infatti che la RAGIONE_SOCIALE dopo aver riposto tutto il contante della giornata avesse lasciato ancora aperto il tesoretto senza temporizzarlo. L’interessata aveva chiuso la cassaforte soltanto prima di lasciare l’edificio e dopo che il COGNOME aveva avuto accesso alla stessa su consenso della stessa lavoratrice; ed ha concluso che se una volta introdotto tutto il contante nel tesoretto avesse provveduto a chiuderlo con la temporizzazione, come previsto dalla procedura, il COGNOME, intervenuto in un momento successivo non avrebbe potuto sottrarre il contante. Evidente pertanto che la sottrazione è stata ipotizzata come commessa nel periodo in cui il COGNOME ha avuto accesso alla cassaforte lasciata aperta dalla ricorrente. Già il primo giudice aveva accertato la medesima circostanza evidenziando che non risultavano forzature della cassaforte. Quindi il momento di commissione del furto deve ritenersi
chiaramente accertato in prima della chiusura definitiva e non dopo che la ricorrente era andata via.
2.- Con il secondo motivo si deduce la violazione ex articolo 360 numero 5 c.p.c. degli articoli 1176, 1218, 2104 c.c. e articolo 35 del CCNL bancari dell’8/12/2007 in interpretazione sistematica con l’articolo 132, comma 2, numero 4 c.p.c., articoli 24 e 111 Costituzione, per apparente, perplessa motivazione circa un fatto decisivo per l’esito della controversia già oggetto di discussione nei precedenti gradi di giudizio: inopponibilità del manuale di sicurezza della filiale e addebitabilità della responsabilità del contante presente nella filiale, atteso che il manuale di sicurezza aveva come destinatario ed era di competenza del direttore della filiale non dei dipendenti, come invece lo era il documento nominato manuale canale ATM.
2.1. Il motivo è inammissibile perché indugia nella valutazione della testimonianza resa dalla teste COGNOME circa il fatto che il manuale fosse noto o meno al personale della Cassa e alla stessa lavoratrice ricorrente. La Corte ha sostenuto sulla scorta della prova che le norme del regolamento fossero a conoscenza del personale di cassa. Ogni diversa ipotesi mira quindi a rimettere irritualmente in discussione l’accertamento operato dal giudice di secondo grado senza tener conto che la scelta delle risultanze probatorie involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare, appunto, le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente,
sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006,: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014).
3.- Con il terzo motivo si deduce la violazione ex articolo 360 numero 3 c.p.c. degli articoli 1176, 1218, 2086, 2094, 2104 c.c. nonché degli articoli 35 109 del CCNL bancari dell’8/12/2007; atteso che la prassi in essere presso la filiale prevedeva che i mezzi forti rimanessero aperti dall’apertura della filiale alla chiusura della stessa e non era emerso che accettare aiuto del signor COGNOME per riporre i valori – non il contante – nella cassaforte non il tesoretto, fosse da ritenere violativa di qualsiasi regolamento né di alcuna direttiva impartita alla lavoratrice. Per prassi e necessità di lavoro, ovvero per agevolare il lavoro dei cassieri nella cassaforte avevano accesso anche gli altri dipendenti ed anche COGNOME era cassiere.
4.- Col quarto motivo si deduce la violazione ex articolo 360, comma uno, numero cinque c.p.c. degli articoli 1176, 2086, 2094, 2104 c.c. in interpretazione sistematica con l’articolo 132, comma 2, numero 4 c.p.c., articolo 24 e 111 Costituzione per apparente, perplessa motivazione circa un fatto decisivo per l’esito della controversia già oggetto di discussione nei precedenti gradi di giudizio: mancata considerazione della prassi lavorativa radicata nella filiale.
4.1. Il terzo ed il quarto motivo sono inammissibili perché la Corte ha effettuato un autonomo e complessivo accertamento relativo alla violazione delle norme regolamentari in essere nella banca ed ha evidenziato che, come accertato dagli ispettori in sede penale, risultavano evidenti superficialità e violazioni della normativa interna addebitabili alla RAGIONE_SOCIALE, in relazione alle modalità di svolgimento delle operazioni di chiusura della cassa
deposito contante nei mezzi forti e chiusura degli stessi; posto che la lavoratrice in fase di chiusura serale aveva sì riposto tutto il contante della giornata, ma aveva lasciato aperto il c.d. tesoretto ovvero la cassaforte dove veniva riposto il contante senza temporizzarla, ed aveva chiuso la cassaforte soltanto prima di lasciare l’edificio e dopo che il collega COGNOME aveva avuto accesso alla stessa cassaforte su consenso della stessa lavoratrice. Il COGNOME infatti si era offerto di accedere alla cassaforte per depositare i valori dopo che la RAGIONE_SOCIALE aveva riposto il contante. Inoltre la lavoratrice, prima di chiudere la cassaforte e allontanarsi dalla banca, non aveva svolto alcun controllo dopo l’accesso del COGNOME. Se la lavoratrice una volta introdotto tutto il contante nel tesoretto avesse provveduto a chiuderlo con la temporizzazione come previsto dalla procedura, il COGNOME intervenuto in un momento successivo, non avrebbe potuto sottrarre il contante.
Anche su tali punti le censure sollevate nei motivi in oggetto mirano ad ottenere un diverso accertamento di fatto attraverso la valorizzazione di una prassi che non emerge nemmeno conforme all’accertamento di fatto effettuato dalla stessa Corte di appello.
La Corte ha infatti affermato che ‘non poteva assumere valore scriminante invece la prassi vigente nella filiale, allegata dalla RAGIONE_SOCIALE di tenere comunque aperta la cassaforte durante il giorno per consentire l’esecuzione di operazioni di cassa veloci, sia perché tale circostanza non era sufficiente a rendere legittima la condotta inadempiente della ricorrente; sia perché dalle dichiarazioni testimoniali di COGNOME risultava che soltanto al mattino, quando erano presenti entrambi gli operatori, la cassaforte era lasciata aperta in quanto la RAGIONE_SOCIALE addetta alla cassa era più impegnata degli altri; tuttavia, nessun collega
poteva accedere alla cassaforte senza l’assenso della RAGIONE_SOCIALE, che era evidentemente consapevole della responsabilità su di lei gravante’.
5.- Con il quinto motivo si deduce la violazione ex articolo 360 numero 5 c.p.c. degli articoli 1176, 1218, 1225, 1227 c.c., articolo 40 e articolo 41 c.p., articolo 37 CCNL Bancari dell’8/12/2007, in interpretazione sistematica con l’articolo 132 numero 4 c.p.c., articoli 24 e 111 Costituzione, per apparente, perplessa motivazione circa un fatto decisivo per l’esito della controversia già oggetto di discussione nei precedenti gradi di giudizio: corresponsabilità della Banca Popolare di Vicenza nella causazione dell’evento; in relazione al fatto che il COGNOME era stato già condannato alcuni anni prima per appropriazione indebita presso una delle filiali della medesima banca, era stato radiato dall’albo dei promotori finanziari ed era stato l’artefice dell’ammanco di contante del cosiddetto bancomat avvenuto solo due mesi prima, e la Banca aveva lasciato tra l’altro i dipendenti all’oscuro di tutto questo e del pericolo che tale soggetto potesse rappresentare all’interno dei locali della filiale. 5.1.- Il motivo è fondato.
La Corte d’appello aveva respinto il motivo di gravame sollevato sul punto dalla lavoratrice sostenendo che la responsabilità dovesse cadere solo sulla RAGIONE_SOCIALE, poiché la stessa era l’unica depositaria della custodia di quanto giacente nella cassaforte e nel tesoretto; che indipendentemente se il direttore sapesse o non sapesse dei procedimenti penali del COGNOME, era stato comunque provato che dopo il l’11/1/2010 gli era stato inibito lo svolgimento di operazioni che comportavano il maneggio di danaro; non era sostenibile che anche il direttore di filiale dovesse essere ritenuto responsabile e comunque era facoltà
della banca rivolgere le proprie richieste risarcitorie al soggetto che la stessa avesse autonomamente ritenuto responsabile.
5.2. Le riportate affermazioni sono però contrarie a diritto perché sotto questo profilo non veniva i n discussione l’esistenza di una responsabilità della ricorrente RAGIONE_SOCIALE o la mera corresponsabilità solidale del direttore della filiale ai sensi dell’art. 2055 c.c.; e pertanto non si discuteva della facoltà del danneggiato di scegliere ove dirigere la domanda di risarcimento quando il danno è imputabile a più persone quali corresponsabili solidali.
5.3. Il motivo di censura sollevato dalla parte riguardava invece la stessa corresponsabilità della banca ex art.1227 c.c. in relazione alle circostanze emerse a carico di COGNOME, ma anche del direttore, del cui operato risponde la banca in quanto datore di lavoro, anche in relazione alle informazioni dovute alla dipendente e comunque in ordine alle cautele doverose circa l’accesso alla cassaforte da parte di COGNOME, anc he ai sensi dell’art. 37 del CCNL.
Il datore di lavoro risponde infatti ex art. 1228 c.c. anche dell’operato del dipendente ai fini del concorso del danneggiato regolato dall’art.1227 c.c.
Ha errato quindi la Corte d’appello a rigettare, in diritto, il terzo e il quarto motivo d’appello che erano volti a stabilire la corresponsabilità della banca e del suo direttore in relazione alle informazioni dovute alla RAGIONE_SOCIALE circa le condotte di COGNOME e/o per essersi limitati a vietargli il maneggio denaro (senza però interdirgli l’accesso alla cassaforte); essendo comunque errato sostenere che la banca potesse rivolgere le proprie richieste liberamente al soggetto ritenuto responsabile e che questo bastasse a liberarla dalla propria corresponsabilità colposa ex art. 1227 c.c.
L’eccezione sollevata dalla parte ricorrente ex articolo 1227 c.c. era ovviamente rivolta al danneggiato e cioè alla banca e non al direttore; e comunque, come già osservato, non è stato considerato che in ambito di lavoro il datore risponde dell’operato dei dipendenti anche ai sensi dell’art.1227 c.c., tanto più per l’operato di un proprio direttore. Ed invero come già affermato in un risalente ma puntuale arresto di legittimità, (Cass. n.185 del 22/01/1976) il principio sancito dall’art 1228 cod. civ. (costituente estensione alla sfera contrattuale delle norme contenute negli artt. 2048 e 2049 cod. civ.), in base al quale il debitore risponde dei fatti dolosi o colposi di coloro della cui opera si sia avvalso nell’adempimento dell’obbligazione è applicabile anche al concorso di colpa del creditore, nelle due distinte ipotesi disciplinate dall’art. 1227 cod. civ. nel senso che, al fine di accertare un eventuale concorso di colpa del creditore stesso nella produzione del danno cagionato dall’inadempimento o dall’inesatto adempimento del debitore, non può non farsi riferimento anche alle condotte tenute dagli ausiliari del creditore, nel compimento delle attività collegate all’esecuzione della prestazione del debitore.
Di conseguenza il quinto motivo deve essere accolto dovendo il giudice del merito valutare ai fini dell’art.1227 c.c. il contesto reale in cui veniva effettuato il lavoro quotidiano e quale incidenza abbiano avuto nella produzione del danno i comportamenti addebitabili alla banca nei termini sopraindicati. 6.- Col sesto motivo si deduce violazione ex articolo 360, numero 4 c.p.c. degli articoli 112 e 113 in correlazione con gli articoli 1292, 1298, 2055, 2104 c.c. per omessa pronuncia rispetto allo specifico motivo di gravame: contestata responsabilità solidale; l’errore commesso dai giudici sarebbe stato di attribuire alla ricorrente una responsabilità in solido con
il signor dal COGNOME senza tuttavia specificare il titolo in base al quale sussisterebbe tale solidarietà.
7.- Con il settimo motivo si deduce la violazione ex articolo 360 numero 5 c.p.c. degli articoli 106, 2043, 1218, 2104, 2055 c.c. per apparente e perplessa motivazione circa un fatto decisivo per l’esito della controversia già oggetto di discussione nei precedenti gradi di giudizio: interpretazione della domanda sottesa alla chiamata del terzo.
7.1. Il sesto ed il settimo motivo, da esaminarsi unitariamente per connessione, sono privi di fondamento avendo la Corte di Venezia interpretato comunque la domanda svolta, secondo i poteri conferitigli dall’ordinamento , ed avendo rilevato che la questione della corresponsabilità del COGNOME non potesse -essa sì – rilevare, potendo il datore, facoltizzato dall’art. 2055 c.c., scegliere il debitore solidale corresponsabile a cui rivolgersi, e senza alcun litisconsorzio.
E’ pure chiaro il titolo della responsabilità attribuita alla ricorrente a titolo contrattuale, mentre la solidarietà sussisterebbe comunque quando il danno è cagionato da più autori in qualsiasi ambito della responsabilità.
8.- In conclusione deve essere accolto il quinto motivo di ricorso mentre vanno rigettati gli altri motivi. La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto con rimessione al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale dovrà procedere alla prosecuzione della causa in osservanza dei prefati principi e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 10.7.2025 La Presidente dott.ssa NOME COGNOME