Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 23011 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 23011 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/08/2025
RESPOSANBILITA’ DA COSE IN CUSTODIA
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24169/2021 R.G. proposto da COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
TRANCHITA NOME E NOME COGNOME
-intimate –
Avverso la sentenza n. 912/2021 della CORTE D’APPELLO D I PALERMO, depositata il giorno 4 giugno 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che
NOME COGNOME domandò la condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME al ristoro dei danni subiti da immobile di sua proprietà;
addusse, più specificamente, che i locali al piano terra del suo edificio, adibiti ad abitazione, erano stati interessati da infiltrazioni provenienti da un’aiuola, posta sul confine, di proprietà dei convenuti;
all’esito del giudizio di prime cure, l’adito Tribunale di Marsala, ravvisata la responsabilità dei convenuti ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., li condannò al pagamento della somma di euro 2.740,21;
accogliendo l’appello interposto da i soccombenti, la decisione in epigrafe indicata, in riforma della pronuncia di prime cure, ha rigettato la istanza risarcitoria formulata dall’originaria parte attrice;
per quanto ancora qui d’interesse, la Corte palermitana, accertato che l’aiuola in questione « altro non è che il terreno del fondo Tranchita -Cusumano, posto al normale piano di calpestio », ha ritenuto che « era onere dell’appellata adottare le cautele normalmente necessarie in rapporto alle circostanze e, dunque, provvedere all’isolamento del proprio immobile » mediante l’impermeabilizzazione del muro del fabbricato e, per conseguenza, ha escluso « qualsivoglia responsabilità della parte appellante anche ai sensi dell’art. 1227 cod. civ. »;
ricorre, per cassazione, NOME COGNOME affidandosi a due motivi; non svolgono difese in grado di legittimità NOME COGNOME e NOME COGNOME
i l Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 -bis. 1 cod. proc. civ.;
Considerato che
con il primo motivo, per violazione o falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ. in relazione all’art. 2697 cod. civ., parte ricorrente imputa alla sentenza gravata di aver operato un’inversione dell’onere della prova, sostenendo che incombe sul custode della cosa l’onere di dimostrare la causa esterna alla res che abbia provocato il danno;
deduce altresì che la consulenza tecnica di ufficio svolta in primo grado aveva accertato la derivazione dei fenomeni di umidità riscontrati nei locali di proprietà attorea dall’uso dell’aiuola operato dai convenuti, in specie dalla presenza di alberi necessariamente da irrigare;
il motivo è inammissibile;
r.g. n. 24169/2021 Cons. est. NOME COGNOME
la responsabilità da cose in custodia contemplata dall’art. 2051 cod. civ. ha natura oggettiva: si basa cioè non su una presunzione di colpa del custode bensì su un criterio di imputazione che addossa a chi ha la custodia della cosa la responsabilità per determinati eventi, senza che rilevi lo stato soggettivo del custode;
detta responsabilità ricorre quando siano dimostrati, ad onere del danneggiato, due presupposti: il nesso di derivazione causale tra il danno e la cosa in custodia e la signoria custodiale di fatto esercitata sulla cosa medesima dal soggetto additato come responsabile;
l’esimente di responsabilità del custode positivamente stabilita è la sussistenza di un «caso fortuito», che può essere costituito tanto da un fatto naturale quanto da un atto giuridico, cioè a dire dal fatto di un terzo o dello stesso danneggiato;
più specificamente, nella determinazione dell’evento la condotta del danneggiato può rivestire un’incidenza causale esclusiva (tale da cioè da mandare indenne da responsabilità il custode) o concorrente (tale cioè da limitare il danno ristorabile, a mente dell’art. 1227, pri mo comma, cod. civ.): in ogni caso essa assume giuridica rilevanza solo se connotata da uno stato soggettivo di colpa (intesa come oggettiva inosservanza del contegno di normale cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza ), non occorrendo invece che sia anche abnorme, eccezionale, imprevedibile o inevitabile (sui descritti princìpi regolanti la responsabilità ex art. 2051 cod. civ. cfr., ex aliis , Cass. 24/01/2024, n. 2376; Cass. 20/07/2023, n. 21675; Cass. 23/05/2023, n. 14228);
ciò posto, la valutazione della condotta del danneggiato – ovvero la valutazione del grado di inosservanza rispetto al modello di contegno diligente e del l’entità delle conseguenze ascrivibili e la configurabilità di tale condotta come apporto causale concorrente oppure come causa assorbente del danno – concreta un tipico giudizio di fatto, devoluto al
giudice di merito e, in quanto tale, sottratto al sindacato di legittimità, ove scevro dalle (circoscritte) anomalie motivazionali ancora rilevanti ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. , qui nemmeno adombrate dalla ricorrente ( ex plurimis, Cass 13/05/2024, n. 12943, alla cui diffusa motivazione si opera adesiva relatio );
orbene, nella specie, la Corte territoriale ha espresso un giudizio sulla rilevanza causale del contegno della danneggiata, consistente nella omessa impermeabilizzazione del muro perimetrale dell’edificio edificato al confine con un terreno, qualificato come colposo (siccome inosservante « delle cautele normalmente necessarie in rapporto alle circostanze ») e ritenuto unica causa efficiente del danno lamentato, così escludendo il nesso di causalità tra questo e la res in custodia;
si tratta di apprezzamento di fatto tipicamente riservato al giudice di merito, argomentato in maniera sufficientemente adeguata, non meramente apparente né insanabilmente contraddittoria, quindi non più sindacabile dalla Corte di legittimità;
tanto giustifica l’inammissibilità della doglianza in vaglio;
il secondo motivo, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, contesta alla Corte di appello di aver « omesso di esaminare le risultanze della c.t.u. »;
anche questa censura è inammissibile;
per fermo convincimento di nomofilachia, il fatto decisivo per il giudizio il cui omesso esame abilita all’impugnazione di legittimità ex art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ. è da intendersi in una accezione storico-naturalistica, considerato cioè nella sua oggettiva esistenza di concreto accadimento di vita, con esclusione (tra l’altro) di questioni o argomentazioni difensive, elementi istruttori o risultanze probatorie (Cass. 26/04/2022, n. 13024; Cass. 31/03/2022, n. 10525; Cass. 08/11/2019, n. 28887; Cass. 29/10/2018, n. 27415);
Cons. est. NOME COGNOME
pertanto, inconferente è l’evocazione della fattispecie de qua per la (asseritamente mancata) disamina della consulenza tecnica di ufficio, doglianza che, a ben vedere, si concreta nel sollecitare questa Corte ad un riesame nel merito delle emergenze istruttorie, attività del tutto estranea, per natura e funzione, al giudizio di legittimità;
il ricorso è dichiarato inammissibile;
non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo ivi svolto difese le parti intimate;
attes o l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte della ricorrente ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p. q. m.
dichiara inammissibile il ricorso;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione