Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28758 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 28758 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14904/2023 R.G. proposto da :
NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall ‘ avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente e ricorrente incidentale-
nonché contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di LECCE n. 398/2023, depositata il 04/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 1/10/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- La RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Lecce, il AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, in qualità di progettista e direttore dei lavori, per chiedere che ne fosse accertata la responsabilità professionale, nonché per sentirlo condannare al risarcimento dei danni derivanti da inadempimento contrattuale.
Parte attrice dedusse di aver stipulato un contratto di locazione con la RAGIONE_SOCIALE, per un immobile originariamente destinato ad autoconcessionaria. Tale contratto prevedeva la facoltà, per la conduttrice, di eseguire a propria cura e spese tutte le opere necessarie per adattare l ‘ immobile alla destinazione d ‘ uso da lei desiderata, ovvero opificio e uffici amministrativi; la locatrice, invece, si impegnava a presentare agli uffici competenti le istanze necessarie per la realizzazione dei suddetti interventi edilizi. In ottemperanza a tale obbligo, la locatrice depositò una DIA (Denuncia di Inizio Attività), redatta dal AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIO, progettista e direttore dei lavori incaricato dalla conduttrice, con la quale venne comunicato l ‘ inizio di lavori straordinari di manutenzione, eseguiti senza modificare la destinazione d ‘ uso dell ‘ immobile.
A seguito della convalida dello sfratto per morosità della conduttrice, la RAGIONE_SOCIALE, recuperata la disponibilità dell ‘ immobile, riscontrò una modifica dello stato dei luoghi: al termine dei lavori, l ‘ altezza del piano soppalco risultava pari a 3,20 metri, mentre quella del piano terra -destinato alle attività di ” show room ” e “consegna auto” -era pari a 2,75 metri. Tale configurazione si poneva in contrasto con il Regolamento di Fabbricazione del Comune di Casarano, che prescriveva un ‘ altezza minima non inferiore a 3,00 metri per i locali a uso commercialeartigianale. Venne, dunque, rilevata la difformità dell ‘ intervento
edilizio effettuato sull ‘ immobile, sia rispetto a quanto dichiarato dal AVV_NOTAIOetra nella DIA, nella quale il professionista attestava l ‘ intenzione di realizzare un soppalco con altezza pari a 3,25 metri, sfruttando l ‘ altezza complessiva del locale di 6,80 metri, sia rispetto alle previsioni progettuali contenute nell ‘ elaborato tecnico allegato alla DIA del 09.08.2007, in cui erano indicate altezze pari a 3,30 metri per gli ambienti sottostanti il soppalco e a 3,25 metri per quelli sovrastanti.
Di conseguenza, il piano inferiore risultava inidoneo all ‘ uso previsto e il soppalco, realizzato in difformità, doveva essere demolito, con obbligo di ripristino dello stato dei luoghi antecedente all ‘ esecuzione dell ‘ intervento contestato.
1.1.- Si costituì in giudizio NOME COGNOME eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione attiva della NOME, nonché il proprio difetto di legittimazione passiva, posto che l ‘ incarico professionale, da lui svolto, era stato conferito dall ‘ RAGIONE_SOCIALE, medio tempore dichiarata fallita.
Nel merito, il convenuto sostenne che gli spazi sottostanti il soppalco, realizzati secondo le specifiche richieste della conduttrice, fossero perfettamente utilizzabili, e che il rifiuto opposto dalla RAGIONE_SOCIALE alla variante in corso d ‘ opera, da lui propostale, risultasse ingiustificato.
In via subordinata, propose domanda riconvenzionale per indebito arricchimento nei confronti dell ‘ attrice, chiedendo la sua condanna al pagamento RAGIONE_SOCIALE competenze professionali, maturate per l ‘ attività svolta e mai corrisposte, quantificate in euro 25.500,00. Infine, lo COGNOME chiese di chiamare in causa il RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE, al fine di essere manlevato in caso di eventuali responsabilità.
1.2. – Autorizzata la chiamata in causa, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE non si costituì.
1.3. – Venne, quindi, disposto un accertamento tecnico preventivo che appurò l ‘ esistenza della lamentata difformità e stimò i costi per la demolizione dell ‘ opera in euro 119.560,81.
1.4.- Il Tribunale di Lecce, con sentenza del settembre 2019, respinse l ‘ eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal convenuto, sul presupposto che egli, in qualità di direttore dei lavori, fosse gravato da precisi obblighi di vigilanza al fine di garantire che la realizzazione del progetto corrispondesse al risultato voluto dalla RAGIONE_SOCIALE, la quale, in virtù della sottoscrizione della DIA, nonché dei relativi allegati progettuali, aveva assunto la veste di committente dei lavori, a nulla rilevando che la consistenza e la tipologia degli stessi fossero stati decisi dalla conduttrice RAGIONE_SOCIALE.
Nel merito il Tribunale, in accoglimento della domanda attorea, accertò la responsabilità del AVV_NOTAIOetra, ritenendo che la difformità non fosse il risultato di un errore meramente formale, ma incidesse piuttosto su una caratteristica sostanziale, individuata nel progetto.
Sicché, per quanto qui ancora di interesse, NOME COGNOME venne condannato a risarcire il danno, quantificato in sede di ATP nella misura di euro 119.560,91, pari al costo degli interventi necessari alla demolizione del manufatto, con conseguente ripristino dello stato dei luoghi anteriore alla sua realizzazione.
Il giudice di primo grado rigettò, inoltre, la domanda riconvenzionale e quella di manleva, proposte dal convenuto.
2.- Avverso tale sentenza proponeva gravame NOME COGNOME, che la Corte di appello di Lecce, nel contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE, rigettava con sentenza resa pubblica il 4 maggio 2023, confermando integralmente l’impugnata sentenza .
2.1.- La Corte territoriale, in via preliminare, dichiarava l ‘ inammissibilità di tutta la documentazione nuova prodotta nel giudizio di appello, nonché RAGIONE_SOCIALE questioni nuove ivi introdotte con
gli scritti difensivi, circoscrivendo il thema decidendum a quello individuato dai motivi di gravame.
Nel merito, il giudice di appello ribadiva la statuizione di rigetto dell ‘ eccezione di difetto di legittimazione passiva dell ‘ appellante, valorizzando ulteriormente la circostanza per cui lo COGNOME -che non aveva mai contestato di rivestire la qualifica di progettista e direttore dei lavori -avesse redatto la relazione tecnica e grafica allegata alla DIA e, comunque, preso parte all ‘ attuazione dell ‘ accordo negoziale intercorso tra la locatrice e la conduttrice. In particolare, la clausola n. 7 del contratto di locazione prevedeva espressamente la realizzazione del soppalco, inserendosi così in un più ampio contesto di relazioni negoziali cui il professionista aveva concorso in modo significativo. Sicché, avendo l ‘ appellata, proprietaria dell ‘ immobile, concesso l ‘ autorizzazione alla realizzazione del soppalco, nei suoi confronti il AVV_NOTAIOetra aveva assunto obblighi di buona fede e di protezione.
Il giudice di appello evidenziava, inoltre, che la sottoscrizione, da parte della società, della DIA -atto avente rilevanza esterna in quanto rivolto alla pubblica amministrazione -fosse idonea a farle assumere non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, la veste di committente. In tale qualità, essa sarebbe stata responsabile sia nei confronti della pubblica amministrazione, sia verso i terzi.
La Corte territoriale riteneva, quindi, che tale circostanza avesse determinato il sorgere di una relazione qualificata tra le parti, sebbene per facta concludentia , riconducibile a un rapporto di natura negoziale.
In tal modo, la responsabilità del professionista veniva inquadrata nell ‘ ambito della responsabilità da contatto sociale qualificato in capo all ‘ appellante, poiché il professionista aveva violato i propri obblighi di vigilanza, in quanto avrebbe dovuto procedere personalmente alla misurazione RAGIONE_SOCIALE altezze da porre a
fondamento della progettazione, nonché alla verifica della conformità della realizzazione del manufatto.
Il giudice di secondo grado confermava, altresì, l ‘ accertamento di responsabilità professionale già operato dal primo giudice, rilevando come la difformità del manufatto rispetto al progetto originario -ancorché sanabile tramite la presentazione di una variante in corso d ‘ opera -non avrebbe comunque consentito l ‘ utilizzo del bene secondo la destinazione commerciale/artigianale perseguita dall ‘ appellata. A tal riguardo, era posto in rilievo che la normativa urbanistica vigente prescrivesse, per lo svolgimento di tale tipologia di attività, un ‘ altezza minima dei locali pari a metri 3,00, mentre l ‘ immobile in questione presentava un ‘ altezza interna, al piano terra, pari a soli metri 2,75.
Infine, la Corte territoriale rigettava anche i motivi di appello con cui l ‘ appellante censurava il rigetto della domanda di manleva proposta nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, nonché quella di indebito arricchimento. Con riferimento a quest ‘ ultima, se ne rilevava l ‘ infondatezza in ragione dell ‘ inutilizzabilità dell ‘ opera, quale elemento di per sé idoneo a escludere l ‘ arricchimento, presupposto fondante l ‘ obbligazione restitutoria.
3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre NOME COGNOME, affidando le sorti dell ‘ impugnazione a cinque motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato, fondato su un unico motivo.
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’intimato RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ricorso principale di NOME COGNOME
1.- Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell ‘ art. 1218 c.c., nonché dei principi regolatori della responsabilità
contrattuale derivante dall ‘ inadempimento RAGIONE_SOCIALE obbligazioni nascenti da contatto sociale.
Il ricorrente si duole, in particolare, del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto configurabile una relazione qualificata con la RAGIONE_SOCIALE, nonostante quello a lui ascritto non fosse l ‘ inadempimento di un obbligo di protezione, informazione o custodia, idoneo a fondare una responsabilità da contatto sociale qualificato, bensì un obbligo di prestazione. Il giudice di merito avrebbe, inoltre, trascurato che un contratto, avente ad oggetto quella prestazione, già esistesse fra il AVV_NOTAIOetra e altra società, la RAGIONE_SOCIALE.
Si osserva, poi, che la mera presentazione di un titolo abilitativo, effettuata in ottemperanza ad un contratto stipulato con un soggetto terzo (la medesima RAGIONE_SOCIALE), rendeva impossibile la configurazione sul piano ontologico di un contatto sociale con la RAGIONE_SOCIALE, al più configurabile tra egli e la P.A. competente a ricevere l ‘ istanza abilitativa.
Infine, si sostiene che, sebbene il conferimento di un incarico professionale possa essere dedotto per facta concludentia , esso debba pur sempre emergere da circostanze di fatto rigorose, che univocamente consentano di individuare un determinato soggetto non solo come destinatario finale dell ‘ attività prestata, ma anche come assuntore dell ‘ iniziativa dello svolgimento della prestazione, anche in ragione dell ‘ assenza di altri soggetti che possano essere identificati come formali committenti.
2.- Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell ‘ art. 2043 c.c. e dei principi di diritto enucleati da Cass., S.U., n. 2951/2016, specie sotto il profilo della titolarità attiva dell ‘ obbligo risarcitorio nell ‘ ipotesi di danno arrecato al dominum , nonché dell ‘ art. 2697 c.c.
In primo luogo, il ricorrente censura l ‘ impugnata sentenza, per aver la Corte territoriale illegittimamente ritenuto risarcibile un danno in capo alla NOME, riconosciuta proprietaria dell ‘ immobile, nonostante la stessa non lo fosse, né al momento del conferimento dell ‘ incarico nei confronti dell ‘ odierno ricorrente (ad agosto del 2007), né al momento in cui il soppalco era già stato realizzato, avendone acquistato la titolarità solo nel marzo del 2008. Fino a tale data, il fabbricato apparteneva, infatti, alla RAGIONE_SOCIALE, sicché la NOME, stipulava il contratto di locazione in qualità di affittuaria.
Sulla base di tale erroneo presupposto la Corte ha affermato che la responsabilità dello COGNOME, quand ‘ anche non riconosciuta ai sensi dell ‘ art. 1218 c.c., per violazione degli obblighi nascenti da contatto sociale, avrebbe potuto essere configurata ai sensi dell ‘ art. 2043 c.c., responsabilità che presupporrebbe che il danneggiato sia proprietario del bene, in base al principio per cui ammesso ad agire per le lesioni all ‘ integrità funzionale o materiale del bene è il proprietario, soggetto nella cui sfera giuridica è destinato ad allocarsi il danno, in conseguenza e al tempo dell ‘ illecito, in linea con la citata Cass., S.U., n. 2951/2016.
Tale errore sottendeva anche la violazione della disciplina in materia di riparto di onere della prova, avendo il giudice di appello erroneamente ritenuto provata la proprietà della res in capo all ‘ appellata.
3.- Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2697 e 1223 c.c., specie sotto il profilo della necessità, ai fini dell ‘ insorgere dell ‘ obbligo risarcitorio, della prova di un danno concreto e attuale subito da chi si ritenga danneggiato da una condotta altrui, per aver la Corte territoriale erroneamente ritenuto che un proprietario possa ritenersi danneggiato dalla realizzazione di un ‘ opera edilizia, realizzata da
chi la detiene in forza di un vincolo contrattuale, soltanto perché, risolto il rapporto di detenzione, il primo non potrebbe destinare il bene modificato ad un uso conforme ai propri desiderata. Infatti, la difformità di cui era affetta l ‘ opera realizzata non era preclusiva rispetto alla destinazione dell ‘ immobile all ‘ uso convenuto fra proprietaria e conduttrice, di opificio e uffici amministrativi.
La sentenza impugnata sarebbe, inoltre, errata nella parte in cui conferma l ‘ importo risarcitorio riconosciuto in primo grado, sebbene quantificato in sede di ATP sulla base di calcoli astratti e parametrato ai costi per la rimozione del soppalco, nonostante la difformità rispetto alle previsioni urbanistiche, di cui era affetto, fosse sanabile. Tale computo non era stato invero documentato dalla danneggiata, che nel 2012 aveva provveduto in autonomia alla demolizione del manufatto.
4. – Con il quarto motivo è denunciata, sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n.3, c.p.c., la violazione dell ‘ art. 1227, secondo comma, c.c., per non aver la Corte territoriale riconosciuto alcun rilievo al rifiuto della RAGIONE_SOCIALE di regolarizzare l ‘ opera, condotta con la quale la società si è auto arrecata un danno che avrebbe potuto evitare, nonostante tale circostanza fosse rilevabile d ‘ ufficio. La variante in sanatoria sarebbe stata, infatti, agevolmente conseguibile anche solo presentando un ‘ ulteriore DIA, la più semplice RAGIONE_SOCIALE fattispecie abilitatorie.
Inoltre, in base alle risultanze della c.t.u., la variante in corso d ‘ opera non modificava la destinazione d ‘ uso dell ‘ intero immobile, che rimaneva inalterata nella sua destinazione originaria assentita. Sicché, il rifiuto di regolarizzare l ‘ opera integrerebbe una condotta contraria al principio di buona fede oggettiva, idonea a interrompere il nesso di causalità tra l ‘ inadempimento del professionista e le conseguenze pregiudizievoli derivate dalla sua condotta, introducendo un ‘ autonoma serie causale.
-Il quinto motivo di ricorso è rubricato ‘Omesso accoglimento della domanda riconvenzionale, spiegata a titolo di indebito arricchimento e violazione e/o falsa applicazione del principio di buona fede oggettiva e proporzionalità nella valutazione in relazione agli inadempimenti reciproci RAGIONE_SOCIALE parti’.
Ad avviso di parte ricorrente, a fronte della parzialità dell ‘ inadempimento, sarebbe ingiusta la negazione di qualunque remunerazione in capo al ricorrente per l ‘ attività prestata. Infatti, neanche il rifiuto di adempiere la propria obbligazione fondato sull ‘ altrui inadempimento sarebbe immune da un sindacato improntato ai canoni della correttezza e della buona fede oggettiva.
Ne consegue la necessità di una valutazione complessiva RAGIONE_SOCIALE circostanze del caso concreto, con particolare riguardo al rilievo sinallagmatico RAGIONE_SOCIALE obbligazioni inadempiute, ossia alla proporzionalità oggettiva tra i rispettivi inadempimenti.
Ricorso incidentale condizionato della RAGIONE_SOCIALE
-Con l ‘ unico mezzo è denunciata, ai sensi dell ‘ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli artt. 10 e 32 del d.P.R. n. 380/2001, per aver la Corte territoriale condiviso la tesi formulata dal c.t.u., nominato in secondo grado, ‘secondo la quale il manufatto abusivamente realizzato avrebbe potuto essere sanato tramite la presentazione di una variante in corso d ‘opera’, ciò contrastando con quanto previsto dalle anzidette norme edilizie.
Decisione sui ricorsi
– Il primo motivo del ricorso principale non può trovare accoglimento per le ragioni di seguito esposte.
7.1. – Il ragionamento, in base al quale la Corte territoriale ha ritenuto di applicare alla responsabilità del progettista-direttore dei lavori la fattispecie del contatto sociale qualificato, è conforme a diritto, in quanto il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte in materia.
Orbene, il modello della responsabilità da contatto sociale qualificato, così come delineato sulla base RAGIONE_SOCIALE coordinate interpretative ricavabili da diversi arresti della giurisprudenza di questa Corte, si basa sulla trasposizione della disciplina della responsabilità da inadempimento di un ‘ obbligazione contrattuale in contesti relazionali, che evidenzino la sussistenza di un rapporto qualificato tra più soggetti, ancorché in assenza di contratto.
Si tratta di relazioni qualificate sul piano del fatto prima ancora che del diritto, in cui un soggetto si affida alla professionalità di un altro, ponendo sotto la sua sfera di controllo propri beni giuridici. Il fattore che assume carattere qualificante la relazione, pur non formalizzata contrattualmente, è l ‘ affidamento che essa ingenera, dal quale discendono obblighi di protezione o di diligenza, la cui violazione comporta responsabilità, anche in assenza di un obbligo primario di prestazione.
In questa prospettiva, si assiste ad un ‘ inversione della sequenza che caratterizza gli accordi contrattuali, in base alla quale la nascita dell ‘ obbligazione precede la prestazione.
In siffatte ipotesi, infatti, l ‘ ingerenza dell ‘ attività professionale di un soggetto nella sfera giuridica di un altro, attraverso l ‘ esecuzione di una prestazione soggetta a canoni e standard di diligenza propri della relativa professionalità, genera un affidamento, meritevole di tutela, sulla conformità dell ‘ attività svolta alle regole che ne disciplinano l ‘ esercizio. Tale affidamento, che si attesta sul piano del fatto, giustifica successivamente la nascita, sul piano del diritto, di obbligazioni che ne mutuano il contenuto.
Il contenuto di tali obbligazioni, infatti, si identifica con quello dell ‘ affidamento da cui origina, attraverso la giuridicizzazione RAGIONE_SOCIALE aspettative del destinatario della prestazione, circa la sua conformità alle regole e agli standard che la disciplinano, che passa attraverso i doveri di buona fede e correttezza oggettiva.
Ne consegue una differenziazione della posizione giuridica soggettiva del professionista nel caso in cui egli violi le regole di condotta che disciplinano l ‘ attività professionale svolta, causando un danno al soggetto che si sia affidato alla sua professionalità, rispetto a quella del quisque de populo , che, invece, si ingerisce nella sfera giuridica altrui solo nel momento in cui si consuma l ‘ illecito e, di conseguenza, il danno.
Questo è il fattore determinante il diverso atteggiarsi RAGIONE_SOCIALE due forme di responsabilità. Infatti, il momento relazionale, qualificato da un affidamento fondato sulla peculiare natura dell ‘ attività professionale esercitata, costituisce l ‘ elemento scriminante la responsabilità da contatto sociale rispetto a quella aquiliana.
In altri termini, la violazione di regole di condotta che disciplinano l ‘ esercizio di una attività protetta non può essere trattata alla stregua del generalizzato obbligo negativo di alterum non laedere . Infatti, in questo contesto la responsabilità aquiliana manifesta un proprio limite intrinseco, in particolare la propria inidoneità a offrire una tutela effettiva alla sfera giuridica del soggetto, attinto dalla prestazione professionale, in contrasto con il principio di solidarietà sociale, previsto dall ‘ art. 2 Cost.
Sicché, la violazione di regole di condotta che disciplinano una professione ‘protetta’, preposte alla tutela di terzi, che possano entrare in contatto con l ‘ attività disciplinata, ove ridondi a danno dei terzi esposti, dà luogo a responsabilità contrattuale, ancorché in assenza di un contratto.
In questa prospettiva, nei confronti dell ‘ esercente una professione protetta non può richiedersi la mera osservanza di un obbligo negativo di astensione dal ledere la sfera giuridica altrui, posto che l ‘ effettuazione della prestazione, ancorché al di fuori di un contesto propriamente negoziale, ha già dato luogo, sul piano fattuale, ad una intromissione nella sfera giuridica altrui. Per tale
ragione, nei confronti dell ‘ agente è esigibile l ‘ osservanza RAGIONE_SOCIALE cautele della professione che sarebbe tenuto ad osservare ove la prestazione fosse prestata in esecuzione di un accordo contrattuale. Si tratta di obblighi positivi di protezione, la cui fonte si rinviene nell ‘ art. 1173 c.c., nella parte in cui contempla tra le fonti RAGIONE_SOCIALE obbligazioni ‘ ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell ‘ ordinamento giuridico ‘.
Orbene, giova precisare che non tutte le ‘relazioni’ assumono la significatività, idonea a fondare obblighi positivi di protezione.
I presupposti indefettibili che connotano tipologicamente la relazione qualificata, su cui si basa la responsabilità da contatto sociale possono essere individuati nei seguenti termini:
l ‘ ingerenza, da parte di un soggetto, nella sfera giuridica di un altro, per il raggiungimento di uno specifico scopo;
l ‘ ingerenza si deve concretizzare nello svolgimento di una prestazione professionale, posta in essere da un soggetto ‘qualificato’, in quanto titolare di un’ attività che richiede un particolare titolo abilitativo imposto dallo Stato, anche in considerazione del rilievo costituzionale dei beni su cui tale professione incide (cfr. Cass. n. 589/1999, in tema di responsabilità del medico dipendente di una struttura ospedaliera, antecedente alla legge Gelli-Bianco; Cass., S.U., n. 6216/2015, sulla responsabilità da contatto sociale dell ‘ avvocato; Cass. n. 9320/2016 e Cass. n. 7746/2020 in materia di responsabilità notarile);
l ‘ attività sia assoggettata a regole di condotta, prescritte dalla legge e specificamente volte a tutelare i terzi esposti ai rischi, ad essa potenzialmente connessi (cfr. Cass. n. 11642/2012; Cass. n. 29711/2020; Cass. n. 35057/2024);
il contatto generi un affidamento nel soggetto nella cui sfera giuridica si produce l ‘ ingerenza, riguardo alla conformità della prestazione ricevuta alle norme e agli standard professionali
che la regolano (cfr. Cass. n. 589/1999; Cass. n. 28139/2023)
Ne deriva che la responsabilità da contatto sociale qualificato, al ricorrere degli individuati presupposti, sorge in conseguenza della violazione degli obblighi di diligenza, che si traducono in obblighi di protezione in quanto essi non solo regolano l ‘ attività inerente all ‘ esercizio della specifica prestazione, ma sono altresì finalizzati alla tutela dei terzi che vengano a contatto con essa.
7.2.- Nel caso di specie, la Corte, attenendosi ai principi in materia di responsabilità da contatto sociale qualificato, ha ritenuto sussistente una relazione giuridicamente rilevante tra l ‘ odierno ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE in considerazione dell ‘ ingerenza verificatasi nella sfera giuridica di quest ‘ ultima, a seguito dell ‘ attività professionale svolta dal AVV_NOTAIOetra -in qualità di progettista e direttore dei lavori -sull ‘ immobile da essa concesso in locazione alla conduttrice per la realizzazione di un soppalco.
Come evidenziato dal giudice di merito, tale ingerenza, finalizzata a uno scopo condiviso da entrambe le parti -segnatamente alla realizzazione del soppalco -si è realizzata nell ‘ ambito di una più ampia vicenda negoziale, scaturente da un accordo intercorso tra la locatrice RAGIONE_SOCIALE e la società conduttrice RAGIONE_SOCIALE. È in forza di tale accordo che quest ‘ ultima aveva conferito al progettista l ‘ incarico di eseguire gli interventi necessari all ‘ adeguamento dell ‘ immobile alle proprie esigenze, mentre la prima si era impegnata ad autorizzare l ‘ esecuzione RAGIONE_SOCIALE opere.
Il progettista non ha mai dedotto di essere ignaro della pattuizione intercorsa tra le due imprese e, comunque, della vicenda negoziale nell ‘ ambito della quale essa si era inserita. Sicché, ragionevolmente, la Corte ha ritenuto che egli risultasse partecipe di questa complessa vicenda negoziale (cfr. pp. 9 e 10 della sentenza impugnata), argomentando diffusamente in ordine a
tale considerazione, anche valorizzando il fatto che l ‘ ingerenza nella sfera giuridica della locatrice fosse stata formalizzata con la presentazione della NUMERO_DOCUMENTO.
La ricostruzione della responsabilità dello NOME in termini di responsabilità da contatto sociale risulta, in definitiva, perfettamente coerente con le coordinate interpretative offerte dalla giurisprudenza di questa Corte. È, pertanto, priva di fondamento la censura con cui si contesta che la condotta negligente del professionista sia avvenuta in violazione di norme poste a tutela della società locatrice.
In realtà, la Corte territoriale ha imputato al AVV_NOTAIOetra errori progettuali e omissioni nella misurazione RAGIONE_SOCIALE altezze dell ‘ immobile, ravvisando una violazione degli standard di diligenza propri della sua attività professionale, da valutarsi -secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità -secondo il criterio della diligenza qualificata, quam in concreto , tenuto conto della specifica professionalità dell ‘ agente (tra le molte Cass. n. 15255/2005; Cass. n. 4366/2006; Cass. n. 23174/2018; Cass. n. 2913/2020 e, da ultimo, Cass. n. 27045/2024; Cass. n. 17359/2025; Cass. n. 18405/2025).
A tal riguardo, il direttore dei lavori ha il dovere, in ragione dell ‘ elevato tasso di tecnicismo che connota l ‘ attività svolta, di vigilare affinché l ‘ opera sia eseguita in conformità al regolamento contrattuale, al progetto approvato, nonché alle regole della buona tecnica. Un tale obbligo di sorveglianza si intensifica, a fortiori , là dove si riuniscano in capo al medesimo soggetto la qualifica di direttore dei lavori e quella di progettista, e i difetti riscontrati nell ‘ opera siano riconducibili a vizi progettuali rispetto ai quali egli fosse onerato da uno specifico dovere di controllo.
Peraltro, non può nemmeno sottacersi la rilevanza esterna -indirettamente evidenziata anche dalla Corte d ‘a ppello (cfr. p. 9 della sentenza impugnata) -che tali obblighi di diligenza
assumono, in ragione del particolare rilievo pubblico dell ‘ attività regolata. Ciò emerge con chiarezza dalla disciplina urbanisticoedilizia, in particolare dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Nell ‘ attività del progettista e direttore dei lavori, pertanto, convergono interessi privati e interessi pubblici, con la conseguenza che gli obblighi di diligenza gravanti sul AVV_NOTAIOetra assumono natura non solo di obblighi di prestazione, come dedotto dall ‘ odierno ricorrente, ma anche di obblighi di protezione, nei termini dianzi illustrati. Obblighi, dunque, posti a tutela dei soggetti -come nella specie la società locatrice – nella cui sfera giuridica è destinato a incidere l ‘ esito di un ‘ attività professionale del tipo dianzi tratteggiato.
8. – Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile all ‘ esito dello scrutinio del primo motivo dello stesso ricorso, essendo la ratio decidendi dell ‘ impugnata sentenza che ha accertato in capo allo COGNOME una responsabilità risarcitoria da contatto sociale autonoma e di per sé idonea a sorreggere in parte qua la sentenza impugnata.
Del resto, le ulteriori considerazioni della Corte territoriale in merito alla circostanza che il difetto di legittimazione passiva sarebbe stato comunque escluso per l ‘ astratta applicabilità al rapporto oggetto di causa della fattispecie della responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., si risolvono in mere argomentazioni svolte ad abundantiam , per rafforzare la decisione di rigetto.
In ogni caso, le doglianze sarebbero carenti di decisività, atteso che la fattispecie prevista dall ‘ art. 2043 c.c. è stata richiamata dal giudice di appello al solo scopo di ritenere comunque riconoscibile la legittimazione passiva in capo alla danneggiante in base alla disciplina dell ‘ illecito aquiliano, subordinatamente a quella fondata sulla fattispecie di responsabilità da contatto sociale. Sicché tale statuizione si è basata su un accertamento che si è arrestato sul piano meramente processuale, senza risolversi in un accertamento
sostanziale, di merito, della titolarità del diritto di credito risarcitorio connesso alla lesione del diritto di proprietà.
Infatti, occorre distinguere tra legitimatio ad causam , condizione dell ‘ azione, rilevante dunque sul piano processuale, e titolarità del diritto azionato, che attiene all ‘ accertamento in ordine alla fondatezza della pretesa fatta valere in giudizio.
L ‘ accertamento della prima investe la formale prospettazione della parte sulla titolarità di una pretesa astrattamente tutelata dall ‘ ordinamento, e dunque riguarda la giuridicità della stessa, in assenza della quale la domanda sconta l ‘ inammissibilità; l ‘ accertamento della seconda riguarda, invece, l ‘ effettiva spettanza del bene della vita al quale la parte ambisce e sfocia in una decisione sul merito (Cass., S.U., n. 2951/2016).
9. – Il terzo motivo è inammissibile.
Anzitutto, la violazione dell ‘ art. 2697 c.c. è configurabile esclusivamente nei casi in cui si contesti che il giudice di merito abbia erroneamente attribuito l ‘ onere della prova a una parte diversa da quella su cui tale onere effettivamente gravava, disattendendo i criteri di ripartizione fondati sulla distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni. Diversamente, come nel caso in esame, non è ammissibile sollevare censure che si limitino a contestare la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove operata dal giudice di merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 13395/2018; Cass. n. 26769/2018; Cass. n. 11603/2024) e ciò sia là dove si lamenta la mancata prova del danno, sia là dove si contesta la sua quantificazione sulla base RAGIONE_SOCIALE risultanze dell ‘ ATP.
E proprio in riferimento a questo secondo profilo di censura, la doglianza, peraltro formulata in modo estremamente generico, senza evidenziare alcun vizio logico o giuridico della sentenza impugnata, censura, inammissibilmente, la valutazione di merito sulla consulenza tecnica espletata in sede di ATP, liberamente apprezzabile dal giudice e utilizzabile quale elemento probatorio
idoneo a fondare il suo convincimento (Cass. n. 8496/2023; Cass. n. 13385/2025).
– Il quarto motivo è inammissibile.
In primo luogo, è necessario distinguere tra le due ipotesi di concorso del danneggiato nell ‘ ambito dell ‘ illecito contrattuale, previste, rispettivamente, dal primo e dal secondo comma dell ‘ art. 1227 c.c.
La prima, disciplinata dal primo comma, riguarda il concorso colposo del creditore nella causazione dell ‘ evento dannoso. In tale ipotesi, il giudice può procedere d ‘ ufficio alla relativa indagine, purché dagli atti emergano elementi di fatto idonei a far presumere una responsabilità concorrente del danneggiato sul piano causale.
Diversa è la previsione del secondo comma dell ‘ art. 1227 c.c., che il ricorrente fa valere in questa sede, la quale concerne il comportamento del creditore il quale, pur non avendo contribuito alla produzione del danno, ne abbia aggravato le conseguenze pregiudizievoli attraverso una condotta contraria ai doveri di ordinaria diligenza. In questo secondo caso, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. n. 14853/2007; Cass. n. 15750/2015; Cass. n. 19218/2018), la questione deve essere tempestivamente e specificamente sollevata dalla parte interessata -id est il debitore – mediante un ‘ eccezione in senso stretto e non può essere rilevata d ‘ ufficio dal giudice.
Nella specie, il ricorrente non ha sottoposto tale questione all ‘ attenzione del giudice di merito e, comunque, di averlo fatto ritualmente non fornisce contezza a questa Corte di legittimità; essa deve, pertanto, ritenersi nuova, per essere proposta per la prima volta in questa sede, e, come tale, inammissibile.
Peraltro, la relativa doglianza mirerebbe, comunque inammissibilmente, a sottoporre a questa Corte una ricostruzione alternativa dei fatti, non consentita in sede di legittimità.
11. – Parimenti inammissibile è il quinto motivo di ricorso.
La censura, infatti, si risolve in una contestazione meramente apodittica della decisione di rigetto della domanda di indebito arricchimento proposta dall ‘ odierno ricorrente, senza confrontarsi in modo puntuale e specifico con le motivazioni poste a fondamento della sentenza impugnata.
Quest’ultima ha respinto la domanda sulla base di argomentazioni -attinenti a ll’inutilizzabilità dell’opera, quale elemento di per sé idoneo a escludere l’arricchimento, presupposto fondante l’obbligazione restitutoria (cfr. p. 14 della sentenza d ‘appello e sintesi al § 2.1. dei ‘Fatti di causa’, cui si rinvia) che non risultano adeguatamente censurate, atteso che il ricorrente si è limitato a richiamare genericamente i principi di correttezza e buona fede oggettiva, senza, tuttavia, sviluppare rilievi critici idonei a evidenziare un vizio logico-giuridico della anzidetta ratio decidendi .
12. – Il ricorso principale, dunque, deve essere rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato.
Il ricorrente va condannato al pagamento, in favore della società controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
Non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti della parte rimasto soltanto intimata.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale di NOME COGNOME e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato della RAGIONE_SOCIALE;
condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della legge n. 228 del 2012,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 1° ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME