SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1210 2025 – N. R.G. 00001304 2024 DEPOSITO MINUTA 05 08 2025 PUBBLICAZIONE 05 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D’APPELLO DI BARI
Terza Sezione Civile
La Corte di appello di Bari, Terza Sezione Civile, composta dai seguenti Magistrati:
1) Dr. NOME COGNOME Presidente
2) Dr. NOME COGNOME Consigliere
3) Dr. NOME COGNOME Consigliere relatore
Ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. R.G. 11304/2024, avverso la sentenza n.1158/2024 pubblicata il 29.4.24 dal Tribunale di Foggia
tra
, elettivamente domiciliato in San Ferdinando di Puglia presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende , unitamente all’avv. NOME COGNOME come da procura speciale in atti
Appellante
e
, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Bisceglie presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende come da procura speciale allegata alla comparsa di costituzione e risposta in grado di appello
Appellati
CONCLUSIONI: all’udienza del 9.7.2025 l e parti hanno concluso come da scritti difensivi depositati telematicamente
Ragioni in fatto e in diritto della decisione
ha citato innanzi al Tribunale di Foggia la , l’ nonché e questi ultimi quali eredi di deceduta il 19.2.10) per sentirli condannare, in solido tra loro, a pagargli € 66.482,5 (oltre accessori e spese di lite) a titolo di risarcimento dei danni derivati dall’incendio dell’uliveto di sua proprietà sito in agro di Cerignola; incendio che, come da lui fatto accertare in sede di ATP, era nato sul ciglio della strada provinciale 95 bis (dove erano presenti erbe infestanti secche), si era poi propagato, alimentato da forti raffiche di vento caldo, attraverso l’adiacente area del demanio regionale data in concessione novennale fino al 10.11.11 alla defunta (in stato di totale abbandono, piena di sterpaglie e priva di c.d. precesa’), infine aveva raggiunto e danneggiato il suo fondo.
Tutti i convenuti si sono costituiti e hanno contestato l’avversa pretesa: l’ ha dedotto la totale sua estraneità ai fatti di causa; i quattro soggetti evocati quali eredi della defunta concessionaria hanno dedotto di non averne mai accettato l’eredità e che comunque al momento dell’incendio la concessione si era già estinta per decesso della congiunta; la Regione, infine, ha eccepito l’invalidità dell’ATP (perché promosso nei confronti di soggetto – la – all’epoca già deceduto, nonchè notificato irritualmente nei confronti
dell’ente regionale) mentre nel merito ha dedotto la propria estraneità, per essere l’incendio sorto da bene provinciale e continuato su bene dato in concessione.
Disattese le plurime richieste dell’attore di disporre l’acquisizione del fascicolo dell’ATP, con la sentenza appellata il primo giudice ha dichiarato il difetto di legittimazione degli eredi (con compensazione di spese), mentre ha rigettato la domanda tanto nei confronti dell’ quanto nei confronti della (con condanna dell’attore a rifondere loro le spese di giudizio), e ciò sul decisivo rilievo – quanto a quest’ultima convenuta – che il fondo demaniale, dopo l’estinzione della concessione per decesso della concessionaria, era rimasto, sia pure sine titulo , nella disponibilità di fatto dei chiamati all’eredità, i quali neppure avevano ottemperato all’obbligo, sorto al momento della cessazione della concessione, di restituire immediatamente il fondo alla Regione concedente, il che liberava quest’ultima da ogni responsabilità da custodia ex art.2051 c.c. nei confronti dei terzi.
Avverso tale pronuncia ha proposto appello nei confronti della sola per chiedere, in riforma della decisione impugnata, la condanna dell’appellata al risarcimento dei danni come richiesti in primo grado., con vittoria di spese.
Ha resistito la chiedendo il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata con condanna del a pagarle le spese del grado.
Assegnati i termini di legge ex art.281 sexies c.p.c., all’udienza del 9.7.2025, svoltasi con modalità cartolari, la causa è stata riservata per la decisione.
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Con motivi di doglianza suscettibili di esame congiunto, l’appellante lamenta che erroneamente il primo giudice avrebbe valutato le condotte attribuite ai chiamati all’eredità della come idonee a sollevare l’ente proprietario del fondo demaniale da ogni responsabilità risarcitoria, responsabilità che invece ben sarebbe configurabile a carico della , ai sensi dell’art.2051 c.c. o in subordine ai sensi dell’art.2043 c.c., nei termini indicati dal CTU dell’ATP, da ritenersi pienamente valida ed utilizzabile nei confronti della stessa.
Osserva il Collegio che tali censure sono senz’altro condivisibili.
E’ già decisivo il rilievo che nell’atto dirigenziale di concessione del 9.6.03, prodotto in giudizio da parte attrice, non si rinvengono elementi da cui evincere il totale trasferimento, in capo al soggetto concessionario, del potere di fatto sul fondo demaniale e, quindi, la concentrazione in capo a quest’ultimo soltanto dei relativi obblighi di manutenzione e controllo; con la conseguenza che, in vita della e in costanza del rapporto di concessione in suo favore, operava il principio generale secondo cui custodi, come tali gravati da obblighi di manutenzione e controllo della cosa, sono tutti i soggetti – pubblici o privati – che ne abbiano il possesso o la detenzione, quali il proprietario, il possessore, il detentore, il concessionario, il conduttore (Cass. 21221/16).
Non vi è poi alcun motivo, logico prima ancora che giuridico, per sostenere che, dopo il decesso della e la cessazione della concessione in favore della stessa, la abbia perduto la qualità di custode che già aveva in precedenza.
Va anzi aggiunto che, a seguito del decesso della concessionaria, l’ente è rimasto custode unico ed esclusivo del bene, dovendosi al riguardo escludere che i congiunti della abbiano mai acquistato poteri di fatto sul bene e conseguenti obblighi di controllo dello stesso, tanto meno in via esclusiva e quindi liberatoria nei confronti della che già ne aveva la custodia.
Ed invero l’ipotesi di un subentro dei quattro nella disponibilità di fatto del fondo demaniale in discorso va esclusa non soltanto perché gli stessi, chiamati all’eredità, non hanno mai dichiarato di volerla accettare e quindi non hanno mai assunto la veste di successori, ma anche perché il concessionario ha la mera detenzione del bene e, rispetto a tale ultima situazione di fatto, non si può verificare alcun fenomeno
di successione ex art.1146 c.c., ma semmai può avere luogo un fenomeno di subentro nel titolo, a condizione però che il subentro sia previsto dal titolo o dalla legge, il che non è nel caso in esame, in cui si trattava di concessione ad personam , rispetto alla quale mai è mai stato allegato o provato un diritto degli eredi di subentrare nella posizione dell’originario concessionario.
D’altra parte, neppure risultano dedotte in giudizio circostanze da cui desumere che i quattro una volta cessata la detenzione del fondo da parte della loro congiunta, abbiano posto in essere condotte funzionali all’acquisto ex novo di un potere di fatto sul fondo rimasto abbandonato, sì da dovere rispondere dei danni da esso derivanti addirittura in via esclusiva.
Acclarata dunque, per le ragioni sopra esposte, la qualità dell’ente regionale di custode unico del bene demaniale al momento del suo incendio, deve condividersi l’impugnazione anche nella parte in cui afferma che vi è prova in atti della derivazione eziologica del danno dalla cosa custodita, con conseguente responsabilità della convenuta secondo il paradigma di cui all’art.2051 c.c..
In proposito va affermato che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice nel rigettare le richieste attoree di acquisizione agli atti del fascicolo dell’ATP espletato ante causam , è pienamente utilizzabile ai fini della decisione, nei confronti dell’ente regionale, la CTU redatta in quella sede e tempestivamente versata in atti dalla difesa del .
Ciò in quanto la circostanza che la notifica del ricorso introduttivo dell’ATP fosse inesistente perché eseguita nei confronti di soggetto all’epoca già deceduto, ritenuta dal giudice di primo grado decisiva al fine di escludere l’acquisizione degli atti di quella procedura, costituiva in realtà circostanza rilevante soltanto nei confronti dei soggetti poi evocati in giudizio quali suoi eredi e quindi nuovi titolari passivi dell’obbligazione risarcitoria, mentre non riguardava in alcun modo le altre parti chiamate a partecipare alla procedura di accertamento preventivo quali responsabili in solido, tra cui appunto la .
Quanto poi ai vizi che nella comparsa di costituzione di primo grado la ha ritenuto di individuare rispetto all’ iter di notificazione del ricorso nei propri confronti (salvo poi significativamente evitare di insistere nella doglianza nel successivo corso del giudizio), è appena il caso di osservare che ogni eventuale nullità è da ritenersi sanata per raggiungimento dello scopo, tenuto conto che la ha attivamente partecipato alla procedura preventiva, comparendo innanzi al CTU e addirittura nominando un proprio consulente di parte (cfr. verbali allegati alla consulenza preventiva).
Nel merito, il CTU nominato nella procedura preventiva ha concluso, sulla scorta di indagini approfondite e attraverso argomentazioni immuni da apparenti vizi logici, nel senso che l’incendio ha avuto origine (verosimilmente per il gesto incauto di un automobilista di passaggio) tra le erbe secche infestanti cresciute al margine della strada provinciale 95bis, per poi giungere sino al fondo di proprietà dell’attore propagandosi attraverso il fondo demaniale già oggetto di concessione; propagazione resa possibile dal forte vento caldo di quel giorno ma anche dalle caratteristiche del fondo attraversato dal fuoco, pieno di sterpaglie e privo della prescritta fascia di rispetto (c.d. precesa).
Tanto è sufficiente a fondare una corresponsabilità della quale proprietaria e custode del fondo demaniale in discorso.
Ancora di recente, infatti, la S.C. ha ribadito che la responsabilità ex art.2051 c.c. sussiste anche se la cosa in custodia ha avuto soltanto un ruolo concausale nella propagazione dell’incendio, senza che sia necessario accertare con certezza il punto di innesco dello stesso (Cass.17980/25).
Assunta tale prospettiva, è evidente che nella specie il fondo demaniale abbandonato abbia rivestito il ruolo concausale richiesto dalla giurisprudenza di legittimità in materia, tanto più perché caratterizzato, per via delle sterpaglie ivi presenti e della mancanza di un importante presidio di sicurezza quale la c.d. precesa, da profili di pericolosità intrinseca tali da renderlo senz’altro idoneo a contribuire alla catena causale culminata nell’evento dannoso.
Sarebbe spettato alla , al fine di liberarsi dalla responsabilità da custodia, allegare e provare l’intervento di uno specifico fattore esterno, riferibile anche al fatto del danneggiato, idoneo ad interferire nella sequenza causale, assurgendo esso stesso a fattore esclusivo di danno e relegando il fondo in custodia a mera occasione dello stesso; ma è evidente che nessuna delle circostanze emerse nel corso del giudizio (verosimile condotta incauta all’origine dell’incendio; presenza di forte vento; presenza di erba secca sulla strada provinciale) è idonea ad integrare il caso fortuito e ad assorbire in sé l’intero dinamismo eziologico, potendo al più costituire una concausa esterna, come tale non idonea ad escludere né a ridurre la responsabilità della nei confronti del convenuto.
Per completezza argomentativa, vale poi aggiungere che la domanda in esame sarebbe fondata anche qualora fosse inquadrata – come dedotto in via subordinata dall’appellante – nell’ambito dell’azione generale di responsabilità aquiliana di cui all’art.2043 c.c..
Infatti emerge dal compendio istruttorio, sin qui esaminato sotto l’angolo visuale dell’art.2051 c.c., anche la condotta colposa dell’ente regionale, il quale per un verso, nel lungo arco di tempo della concessione novennale, non ha mai verificato che la concessionaria eseguisse le opere necessarie a prevenire incendi sul fondo; per altro verso, nell’anno e mezzo circa trascorso dal decesso della all’incendio, non ha mai eseguito controlli minimali volti a verificare la regolare prosecuzione del rapporto concessorio e, in caso di accertata estinzione dello stesso per decesso del concessionario (ossia del soggetto detentore del bene), ad assumere ogni conseguente iniziativa di verifica dello stato del fondo rimasto abbandonato, anche al fine di prevenzione di situazioni di pericolo a carico di terzi; nè in proposito appare utilmente invocabile, in funzione esimente, l’omessa segnalazione del decesso da parte dei congiunti della , i quali, come detto, risultano rimasti del tutto estranei al rapporto concessorio e al fondo che ne costituiva l’oggetto.
Passando al piano del quantum , poi, la predetta CTU ha verificato che l’incendio in discorso, nell’attaccare il fondo del , ha cagionato la completa distruzione di n.67 piante di ulivo; il danneggiamento – cui rimediare mediante interventi di potatura – di altri n.225 ulivi; nonché il danneggiamento dell’impianto di irrigazione; per un pregiudizio complessivo, comprensivo del danno da mancato reddito, pari a complessivi € 66.482,50.
Si tratta di una stima condivisibile, in quanto fondata su calcoli analitici e persuasivi e, comunque, non contestata in alcun modo dalla , la quale ha preferito trincerarsi dietro la tesi difensiva dell’inopponibilità a sé degli esiti delle operazioni peritali, alle quali pure avevano preso parte suoi professionisti di fiducia.
Alla luce di quanto sin qui esposto, in riforma della sentenza appellata, la domanda risarcitoria proposta dal va accolta e, per l’effetto, l’appellata va condannata a pagargli, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dall’incendio propagatosi attraverso il fondo del demanio regionale, l’importo complessivo di € 66.482,50.
Trattandosi di debito di valore, tale importo va maggiorato di interessi legali, calcolati sulla somma inizialmente devalutata alla data dell’incendio (24.7.11) e poi rivalutata di anno in anno secondo gli indici Istat, sino al soddisfo.
Per il criterio della soccombenza vanno poste a carico della , nella misura indicata nel dispositivo, le spese di difesa sopportate dal nella procedura di ATP, in primo grado e in secondo grado (queste ultime da distrarsi in favore dei nuovi difensori, dichiaratisi anticipatari).
Vanno infine posti definitivamente a carico della anche i costi della CTU espletata nell’ambito della procedura di ATP.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Bari, Terza Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da avverso la sentenza n.1158/2024 emessa dal Tribunale di Foggia il 29.4.24, disattesa o assorbita ogni altra istanza, deduzione ed eccezione, così provvede:
accoglie l’appello proposto da e, per l’effetto, condanna la , in persona del legale rappresentante p.t., a pagare al , a titolo di risarcimento danni, l’importo complessivo di € 66.482,50, oltre interessi legali sulla somma devalutata alla data del 24.7.11 e poi rivalutata di anno in anno secondo gli indici Istat, sino al soddisfo.
condanna la a rifondere a le spese di difesa sopportate nel procedimento di ATP (€ 3.000,00 oltre RSG del 15%, CPA e IVA come per legge), nel primo grado (€ 8.400,00 oltre RSG del 15%, CPA e IVA come per legge) e nel presente grado di giudizio (€ 9.900,00 oltre RSG del 15%, CPA e IVA come per legge), disponendo la distrazione delle spese del presente grado di giudizio in favore degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME dichiaratisi antistatari;
pone le spese della CTU espletata nel corso dell’ATP definitivamente a carico della
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Così deciso in Bari, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte, il 23.7.2025 Il Consigliere relatore
Dott. NOME COGNOME
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME