Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26082 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26082 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3330/2022 R.G. proposto da : NOME COGNOME domiciliati presso lo studio indicato nella PEC, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata presso lo studio indicato nella PEC e rappresentato e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di SALERNO n. 1638/2021 depositata il 18/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con citazione del 4.1.2007 davanti al Tribunale di Salerno, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME e NOME COGNOME deducevano di essere eredi di NOME COGNOME il quale, la sera del 13/9/2000, nel percorrere con la sua autovettura Fiat Punto, la S.S. 407 in direzione Vietri di Potenza-Buccino, in località COGNOME del comune di Buccino (SA), a causa delle condizioni del manto stradale e della assenza di barriere di protezione, era finito fuoristrada e precipitato in un burrone profondo circa 22 mt.
Aggiungevano che, a seguito delle gravi lesioni riportate, lo Scalea era stato ricoverato presso l’Ospedale di Polla, ove, nel successivo giorno 15 era deceduto.
Poiché il sinistro sarebbe stato determinato dalle pessime condizioni della strada, particolarmente tortuosa, senza barriere di protezione e non illuminata, deducevano la responsabilità dell’ANAS, ente proprietario, tenuto alla manutenzione.
La convenuta eccepiva che la responsabilità del sinistro era da addebitarsi esclusivamente alla imprudente condotta di guida di NOME COGNOME.
Il Tribunale, con sentenza 28.12.2015, riteneva applicabile alla fattispecie l’art. 2043 c.c. e non l’art. 2051 c.c., con conseguente onere della prova dell’anomalia della strada a carico del danneggiato, che considerava assolto con l’espletata prova testi moniale. Inoltre, il primo giudice riteneva non convincenti le argomentazioni del c.t.u., il quale aveva escluso il concorso colposo della vittima, atteso che lo Scalea, come si evinceva dalle sue dichiarazioni rese ai Carabinieri, era a conoscenza dello stato della strada.
Pertanto, il Tribunale affermava la pari responsabilità nella causazione del sinistro e liquidava, per il danno da perdita parentale, l’importo (già decurtato del 50%) di €.140.000,00 in favore del
padre NOME COGNOME €.145.000,00 alla madre NOME COGNOME €.80.000,00 al fratello NOME ed €.83.000,00 al fratello NOME COGNOME
Rigettava la domanda, formulata iure hereditatis , di risarcimento del danno biologico patito dalla vittima prima della morte, avvenuta meno di due giorni dopo il sinistro, attesa la brevità del tempo trascorso.
Avverso tale decisione NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME anche nella qualità di eredi di NOME COGNOME nonché in proprio e nella qualità di eredi di NOME COGNOME proponevano appello affidato a sei motivi.
Si costituiva l’RAGIONE_SOCIALE contestando la fondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto col favore delle spese.
La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza del 18.11.21 rigettava l’impugnazione.
Avverso tale decisione propongono ricorso per Cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in proprio e quali eredi di NOME COGNOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE che deposita memoria ai sensi dell’articolo 380 bis-1 c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 116, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non aver, il Tribunale, aderito alle conclusioni del CTU e per non aver motivato tale discostamento. La Corte territoriale, nel disattendere le conclusioni del CTU, non avrebbe motivato la determinazione di discostarsi dagli approdi finali del consulente tecnico d’ufficio.
Rilevano i ricorrenti che il giudice di merito può disattendere le conclusioni del consulente soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui
quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico -giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del CTU.
Secondo il ctu la causa scatenante dello sviamento veicolare sarebbe stata l’irregolarità della pavimentazione stradale (serie di avvallamenti nel rettilineo del km 12), che all’epoca non era segnalata dall’apposito cartello di ‘strada deformata’.
Di fronte a tale affermazione di responsabilità sostanzialmente esclusiva, la Corte d’Appello di Salerno avrebbe dovuto congruamente motivare per discostarsi dalle risultanze della CTU; viceversa, all’interno della pronuncia gravata, tale aspetto sarebbe stato liquidato frettolosamente, sicché nella ricostruzione dei ricorrenti la motivazione può considerarsi quantomeno ‘apparente’. In sostanza, un concorso di colpa paritario ed una presa di distanza dalle conclusioni della CTU non possono essere giustificati sulla scorta di generiche circostanze, quali quelle secondo cui ‘lo Scalea doveva essere a conoscenza dello stato dei luoghi avendo dichiarato ai Carabinieri di essere di ritorno a casa dopo aver fatto una visita alla fidanzata a Vietri di Potenza’, ovvero in ragione del fatto che, sull’auto del giovane sarebbe stata rinvenuta dai militi la quinta marcia inserita.
Il motivo è inammissibile.
E’ vero che la mancata adesione alla consulenza d’ufficio in maniera immotivata, come pure l’adesione acritica da parte del giudice alle conclusioni peritali, integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., risolvendosi nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, salvo che le conclusioni recepite siano, da sole, idonee a palesare le ragioni della scelta compiuta dal giudice (Cass. Sez. 3, 26/05/2021, n. 14599, Rv. 661553 – 01).
Ma la adozione di una doppia conforme di cui all’art. 348 ter, quinto comma, cod. proc. civ., esclude che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”.
Pertanto, nell’ipotesi ricorrente nel caso di specie di c .d. “doppia conforme”, è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicché il sindacato di legittimità del provvedimento di primo grado è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili (Sez. 6 – 3, Sentenza n. 26097 del 11/12/2014, Rv. 633883).
Il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità della censura imperniata sul motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014, Rv. 630359). Nel caso di specie tale allegazione difetta del tutto.
In ogni caso, anche a qualificare la doglianza ex art. 360 n. 4 c.p.c. la motivazione non è apparente ovvero fondata su valutazioni generiche ed apodittiche.
Al contrario, i giudici di appello hanno rilevato che ‘il Tribunale ha dissentito dal parere del c.t.u. evidenziando che la conclusione cui questo era pervenuto era in contrasto con le risultanze delle indagini compiute sul veicolo nell’immediatezza del sinistro dai Ca rabinieri intervenuti sul posto, i quali avevano rilevato l’inserimento della quinta marcia; valorizzando tale dato oggettivo ha ritenuto che il conducente dell’auto precipitata nella scarpata, al momento del sinistro, viaggiava ad una velocità di guida superiore al limite consentito su quella strada (40 Km/h); ha avvalorato tale
conclusione considerando, sulla base delle risultanze istruttorie, che l’ultimo tratto percorso dall’autovettura prima del fatale sinistro era rettilineo e tale circostanza prevedibilmente aveva indotto lo sfortunato automobilista ad aumentare la velocità e perdere il controllo del veicolo finendo fuori dalla sede stradale; da ultimo, il Tribunale ha considerato che lo Scalea doveva essere a conoscenza dei luoghi avendo dichiarato ai Carabinieri di essere di ritorno a casa dopo aver fatto una visita alla fi danzata a Vietri di Potenza’.
La Corte territoriale ha, quindi, considerato che ‘non solo tale ricostruzione è tutt’altro che apodittica, ma deve essa dirsi congruamente basata su dati fattuali di natura oggettiva che devono peraltro ritenersi acclarati dal momento che «i verbali redatti da pubblico ufficiale fanno prova, fino a querela di falso, dei fatti che lo stesso pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti» (Cass. n.17555/2002; Cass. n.10128/2003 e Cass. n.9251/2005), e, «per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di aver accertato nel corso dell’indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria» (cfr. Cass. n.2266272008)’, aggiungendo che la fuoriuscita della vettura dalla sede stradale ‘è indice di una condotta di guida evidentemente non adeguata allo stato dei luoghi, visibilmente pericoloso sia per l’orario notturno, sia per la mancanza di illuminazione, sia per l’accertata pericolosità della stessa, segnalata agli automobilisti sul tratto di strada teatro del sinistro da appositi cartelli (v. rapporto C.C. che evidenzia la presenza di segnaletica orizzontale e di segnali di «strada sdrucciolevole» e limite di velocità di 40 Km/h)’.
I giudici di primo e di secondo grado, pertanto, hanno congruamente e logicamente motivato il rispettivo dissenso rispetto alle conclusioni del c.t.u.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
La Corte territoriale avrebbe considerato inammissibile la censura relativa alla qualificazione giuridica della domanda (che il primo Giudice aveva ricondotto all’art. 2043 c.c., anziché all’art. 2051 c.c., come, peraltro, richiesto dagli attori); secondo la Corte territoriale, alla luce della successiva applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, e del ritenuto concorso paritario della vittima nella causazione dell’evento nefasto, la tematica relativa all’individuazione della corretta qualificazione giuridica della richiesta risarcitoria sarebbe stata ininfluente.
Al contrario, il mancato assolvimento, da parte della controricorrente, dell’onere probatorio sulla stessa incombente avrebbe influenzato la successiva graduazione delle responsabilità, in sede di valutazione circa l’eventuale concorso di colpa, ex art. 1227 c.c.
Il motivo è inammissibile.
L’interesse ad agire deve essere concreto ed attuale e richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore, senza che siano ammissibili questioni d’interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire (Cass. Sez. 2, 09/05/2024, n. 12733, Rv. 671500 – 01)
Sotto tale profilo, il motivo è generico, poiché non definisce in concreto quale sarebbe stata l’effettiva situazione giuridica eventualmente più favorevole alla parte ricorrente nell’ipotesi di
diversa qualificazione, tenuto conto delle valutazioni espresse dai giudici di merito in ordine alla ritenuta dimostrazione dei più onerosi presupposti previsti dall’art. 2043 c.c. e dell’applicazione dell’art. 1227 c.c.
Sotto altro profilo, parte ricorrente non ha neppure dedotto ed argomentato in ordine alla violazione dell’art. 1227 c.c. sostenendone la non applicabilità nell’ipotesi di cui all’art. 2051 c.c. piuttosto che nella fattispecie, individuata dalla Corte territoriale, dell’art. 2043 c.c. Tale impostazione giuridica, peraltro, è errata poiché l’art. 1227 c.c. è applicabile anche nel caso di responsabilità ex art. 2051 c.c. con ciò rendendo irrilevante e pertanto inammissibile (come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale di Salerno) la questione posta in secondo grado e ribadita in questa sede.
In tema di risarcimento del danno, con riferimento alla responsabilità per danno cagionato da cose in custodia dall’ente proprietario di strade demaniali, configurandosi il rapporto di custodia di cui al citato articolo 2051 cod. civ. come relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, tale da consentirne “il potere di governo” (da intendersi come potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa), solo l’oggettiva impossibilità di esercitare tali poteri vale ad escludere quel rapporto per gli effetti di cui alla norma in questione, che configura la responsabilità del custode come oggettiva.
‘E’ fatta salva la prova del fortuito; mentre l’eventuale comportamento colposo dello stesso soggetto danneggiato nell’uso del bene demaniale (sussistente quando egli ne abbia fatto uso senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) può valere ad escludere la responsabilità della P.A. se sia tale da interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento produttivo del danno, ovvero può atteggiarsi come concorso causale colposo – ai sensi dell’articolo 1227, primo comma, cod. civ. – con conseguente
diminuzione della responsabilità del custode in proporzione all’incidenza causale del comportamento del danneggiato (Cass. Sez. 3, 12/07/2006, n. 15779, Rv. 591272 – 01).
Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass. sez. un., 20/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in solido delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore della controricorrente in € 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, oltre esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione in data 6 maggio 2025
Il Presidente
NOME COGNOME