Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4966 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4966 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1612-2016 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall ‘ Avvocato NOME COGNOME per procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall ‘ Avvocato NOME COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonché
COGNOME NOMECOGNOME
– intimato – avverso la SENTENZA N. 2252/2015 della CORTE D ‘ APPELLO DI NAPOLI, depositata il 20/5/2015;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio dell ‘ 11/7/2024;
FATTI DI CAUSA
1.1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, creditori ammessi al passivo del fallimento di NOME COGNOME, dichiarato con sentenza del 1988, con atto di citazione in riassunzione del
17/9/2008 convennero in giudizio, innanzi al Tribunale di Napoli, NOME COGNOME nominata curatrice del predetto fallimento nel dicembre 2006, ‘ in surroga ‘ del precedente curatore, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni -da mancata percezione degli interessi sulle somme loro dovuteasseritamente subiti per effetto del mancato adempimento della convenuta all ‘ obbligo di dare esecuzione a un piano di riparto parziale.
1.2. Il tribunale rigettò la domanda, escludendo qualsiasi responsabilità della curatrice, che aveva presentato il piano di riparto parziale il 18/4/2007, e cioè pochi mesi dopo la nomina, in quanto il riparto era stato prudentemente sospeso a causa della presentazione di una (seconda) proposta di concordato fallimentare, della quale gli attori erano gli assuntori, e della cessione a questi ultimi di numerosi crediti, la cui valutazione si era presentata complessa; aggiunse che il giudice delegato, omologato il secondo concordato in data 30/4/2008, aveva disposto, con decreto del 2/7/2008, di non procedere alla sua esecuzione fino alla chiusura del fallimento, per cui i pagamenti erano avvenuti fra il 15 e il 21/7/2008; rilevò infine che il trattenimento da parte di COGNOME di altre somme, anche dopo la chiusura del fallimento e l’esecuzione del concordato, era collegato alla necessità di risolvere la problematica inerente il pagamento dell ‘ ICI sugli immobili e dell ‘ imposta di registro sul decreto di omologa del concordato fallimentare, ed era stato autorizzato con decreto del giudice delegato non impugnato.
1.3. L ‘appello proposto dalla sola NOME COGNOME contro la pronuncia di primo grado è stato respinto dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza del 20/5/2015.
1.4. La corte del merito, dopo aver escluso l ‘ ammissibilità dei documenti prodotti dall ‘ appellante nel corso del giudizio di
secondo grado (ad eccezione dei provvedimenti giudiziari sopravvenuti), trattandosi di documenti tardivi e comunque non indispensabili ai fini della decisione, ha rilevato in fatto : che il fallito, in data 30/5/2007, aveva presentato una nuova proposta di concordato fallimentare, con la previsione del pagamento integrale di tutti i creditori e l ‘ indicazione di COGNOME e COGNOME quali assuntori di tutte le attività cedibili; che gli assuntori, dal canto loro, avevano dichiarato di essersi resi cessionari di circa l ‘ 80% dei crediti insinuati al passivo e avevano quindi provveduto, in data 14/6/2007, a notificare alla curatrice gli atti di cessione dei crediti, assumendo di essere diventati ‘ creditori concorsuali ‘ ; che la proposta di concordato, integrata il 5/10/2007 e fatta propria dagli assuntori in data 7/3/2008, era stata omologata dal tribunale con decreto del 30/4/2008.
1.5. La corte, a fronte di tali fatti, ha ritenuto: i) che la cessione di un credito già ammesso al passivo fallimentare, notificata al fallimento dopo la formazione dello stato passivo e prima del piano di riparto, può esser fatta valere nei confronti del curatore solo attraverso la domanda tardiva prevista dall ‘ art. 101 l.fall.; che COGNOME e COGNOME avevano formulato domanda di ammissione tardiva dei crediti di cui erano diventati cessionari solo il 15/10/2007 ed erano stati ammessi al passivo del fallimento dapprima, con decreto del 28/12/2007, per la somma di €. 182.126,72, e d in seguito, per le residue posizioni, con decreto del 25/1/2008 e con sentenza del 16/9/2008; che dunque COGNOME, che aveva chiesto il risarcimento dei danni per la mancata esecuzione del piano di riparto parziale fin dal mese di febbraio del 2007, era divenuta creditrice concorsuale, per una prima parte, nel dicembre del 2007 e, per la parte più consistente, a fine gennaio 2008; che solo da quest ‘ ultima data l’appellante poteva ritenersi legittimata a far valere
l ‘ inadempimento della curatrice ai compiti che le spettavano quale organo della procedura; che, considerato il termine (peraltro non perentorio) di due mesi previsto dall ‘ art. 110 l.fall., nel testo all ‘ epoca in vigore, l ‘ obbligo della convenuta/appellata (pur sempre subordinato all ‘ opportunità di procedere alla ripartizione delle somme disponibili) di predisporre ed eseguire il piano di riparto parziale in favore dell’assuntrice del concordato aveva iniziato a decorrere solo dalla fine di marzo del 2008; che, peraltro, gli organi fallimentari avevano più che opportunamente omesso di dare esecuzione al riparto parziale in attesa della definizione della procedura di concordato, omologato il 30/4/2008; che, una volta emesso (in data 10/7/2008) il decreto di chiusura del fallimento, il concordato era stato prontamente eseguito, con l’ attribuzione agli assuntori, nello stesso mese, delle somme esistenti sul libretto fallimentare e disponibili; che, in definitiva, nel periodo considerato (gennaio 2008/luglio 2008) non v’era stata alcuna violazione da parte di COGNOME dei doveri inerenti la carica rivestita.
1.6. La corte partenopea ha aggiunto che la responsabilità della curatrice doveva essere esclusa anche con riferimento al periodo anteriore all ‘ assunzione da parte della COGNOME della qualifica di creditore concorsuale, posto che la stessa, nominata il 14/12/2006, aveva depositato in un termine più che congruo, il 18/4/2007, un piano di riparto parziale e il 12/7/2007, effettuate le comunicazioni ai creditori, aveva anche richiesto il decreto di esecutività e l ‘ autorizzazione ad eseguire i relativi pagamenti, che però non erano state concesse , avendo il G.D. sospeso l’esecuzione del riparto in ragione sia della presentazione della domanda di concordato sia della notifica delle cessioni di credito e della conseguente previsione di mutamento della soggettività dei creditori ammessi, che aveva
reso necessario attendere le modifiche dello stato passivo, avvenute solo alla fine del 2007/inizi 2008.
1.7. La corte d’appello ha infine escluso che ricorresse l’ulteriore ragione di danno dedotta dall’appe llante, consistente nel fatto che la curatrice aveva indebitamente trattenuto, successivamente al mese di luglio 2008 e all ‘ esecuzione del concordato, la somma di €. 107.732,27 al dichiarato fine di provvedere al pagamento dell’ICI e dell ‘ imposta di registro sul decreto di omologa del concordato, omettendo però, per circa due anni, di svolgere ogni utile attività per pervenire alla corretta tassazione.
1.8. Il giudice di seconde cure ha rilevato al riguardo: che proprio COGNOME e COGNOME, il 2/3/2009, avevano diffidato la curatrice a provvedere al pagamento dell’imposta, liquidata dall’Agenzia delle e ntrate nella misura di €. 180.144,78 , e l’avevano invitata a richiedere la revisione della tassazione in via di autotutela; che la revisione in autotutela era stata poi domandata dagli stessi assuntori per il tramite del loro avvocato, il quale aveva comunicato a COGNOME che la tassazione era stata ridotta ad € 20 .440,78, ma che occorreva che ella presentasse certificazione inerente la provenienza delle somme erogate ai creditori; che tuttavia, poiché al 20/10/2009 l’Agenzia non aveva ancora provveduto ad emettere l’avviso di liquidazione dell ‘ imposta, quale unico atto da cui era possibile ricavare le basi imponibili e i criteri di liquidazione, la curatrice aveva chiesto istruzioni al giudice delegato per superare la situazione di stallo (esponendo varie soluzioni, fra cui quella di consegnare le somme residue agli assuntori e lasciare a costoro l’onere di provvedere al pagamento); che il G.D., con ordinanza non impugnata del 29/10/2009, aveva invitato COGNOME a fornire all ‘ Agenzia delle entrate le informazioni richieste dagli assuntori,
chiarendo che gli importi giacenti sul libretto non potevano essere restituiti, essendo la cessione di ogni bene agli stessi subordinata alla integrale esecuzione del concordato, ivi compreso il pagamento dell ‘ imposta di registro e dell’ICI ; che solo con decreto del 26/5/2010 il tribunale aveva autorizzato la curatrice ad estinguere il libretto di deposito ed a restituire a COGNOME e COGNOME la somma ivi giacente; che dunque non poteva imputarsi alla convenuta/appellata di aver indebitamente trattenuto dette somme, peraltro necessarie al pagamento di tributi la cui liquidazione era risultata difficoltosa a causa di errate valutazioni dell’ Agenzia delle Entrate , avendo la stessa dato esecuzione ai provvedimenti dei G.D. non manifestamente illegittimi e che, comunque, non avrebbe potuto disattendere senza incorrere nella violazione dei suoi doveri di ufficio.
2.1. NOME COGNOME con ricorso notificato il 9/12/2015, ha chiesto, per quattordici motivi, la cassazione della sentenza..
2.2. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
2.3. NOME COGNOME è rimasto intimato.
2.4. La ricorrente ha depositato una breve memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3.1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando la violazione degli artt. 115, 116 e 345 c.p.c., lamenta che la corte d’appello abbia escluso l ‘ ammissibilità dei documenti da lei prodotti nel corso del giudizio di secondo grado, senza indicare quali fossero quelli non producibili perché tardivi e/o non indispensabili ai fini della decisione e senza considerare che, fatta eccezione per due scritti difensivi, si trattava di attestati e/o di provvedimenti giudiziari resi inter partes, che ben avrebbero potuto essere allegati per la prima volta in sede di gravame.
3.2. Il motivo è inammissibile per la sua assoluta genericità.
3.3. La corte d ‘ appello, con motivazione chiarissima, ha escluso l ‘ ammissibilità dei documenti prodotti dall ‘ appellante nel corso del giudizio di secondo grado ‘… -ad eccezione di provvedimenti giudiziari sopravvenuti in relazione ai quali vi era l’impossibilità di produzione anteriore – trattandosi di produzione tardiva e non consentita dall’art. 345 c.p.c. e comunque di documenti non indispensabili ai fini della decisione ‘: spettava dunque alla ricorrente, in ossequio ai principi di specificità del ricorso di cui all’art. 366, 1° comma, nn. 4 e 6 c.p.c., di indicare quali fossero i documenti da lei prodotti in secondo grado, diversi da quelli giudiziari sopravvenuti, che avrebbero invece dovuto ritenersi ammissibili ai sensi dell’art. 345 c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ), di chiarire perché la loro mancata produzione in primo grado non le fosse imputabile o perché dovessero ritenersi indispensabili per la decisione, nonché di riportarne il contenuto, quantomeno essenziale, nel motivo (cfr. Cass. SU n. 10790 del 2017; Cass. n. 8551 del 2024).
3.4. I motivi che vanno dal secondo all’ottavo investono la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria fondata sulla tardiva esecuzione del riparto parziale.
3.5. Col secondo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 110 l.fall. e 112, 115 e 116 c.p.c., la ricorrente, pur riconoscendo che il termine previsto dall ‘ art. 110 l.fall. non è perentorio, ben potendo il giudice delegato stabilirne uno diverso, e che la ripartizione delle somme disponibili è sempre subordinata a ll’opportunità della stessa, sostiene che nel caso di specie il giudice delegato non aveva emesso alcun provvedimento di sospensione e/o di dichiarazione di
inopportunità del riparto e che, del resto, nulla avrebbe potuto giustificare il mancato riparto di oltre 900.000 euro già approvato.
3.6. Con il terzo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. nonché l’omesso esame di fatti decisivi, COGNOME lamenta che la corte d’appello abbia ritenuto legittima la mancata esecuzione del piano di riparto parziale in ragione della proposizione della domanda di concordato fallimentare, peraltro presentata sin dal maggio 2007, senza considerare che gli assuntori non si erano opposti alla ripartizione dell ‘ attivo e che ‘ l ‘ iter di richieste varie di concordati mai doveva e/o poteva sospendere l ‘ obbligo dei riparti ex art. 110 LF ‘ , tanto più che l ‘ attivo era già sufficiente a pagare tutti i privilegiati ed il 60% dei chirografari e che non esistevano, tra gli atti processuali, ‘provvedimenti e/o situazioni autorizzanti i mancati riparti parziali’.
3.7. Con il quarto motivo, che prospetta la violazione degli artt. 110, 113 e 115 l.fall. nonché degli artt. 1260, 1263 e 1264 c.c., la ricorrente, dopo aver ribadito che né lei né COGNOME, quali assuntori del concordato, si erano opposti alla ripartizione dell’attivo, deduce di essere subentrata nei diritti dei cedenti sin dalla data di notifica delle cessioni e non solo a seguito dell’accoglimento della domanda tardiva di ammissione al passivo che, peraltro, ella sarebbe stata ‘costretta’ a proporre (al pari della successiva, parziale opposizione) nonostante non fosse più richiesta a partire dall’entrata in vigore del d. lgs. n. 5/2006.
3.8. Con il quinto motivo, che denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., COGNOME sostiene che, contrariamente a quanto affermato dalla corte d’appello, ella e COGNOME avevano fatta propria la domanda di concordato presentata dal fallito sin
dal maggio del 2007 e che la domanda era stata accolta nell’aprile del 2008 solo perché sino a tale data la curatrice ne aveva omesso l’esame, senza alcuna motivazione.
3.9. Con il sesto motivo, che denuncia la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e 324 c.p.c. e 2909 c.c., la ricorrente torna a ripetere che il giudice delegato non aveva mai sospeso l ‘ esecuzione del piano di riparto parziale, che anzi aveva regolarmente approvato ; contesta poi l’affermazione del giudice d’appello secondo cui la curatrice avrebbe dato immediata esecuzione al concordato, rilevando che in realtà ella aveva trattenuto ben 200.000 euro, restituendoli solo nel 2010 e solo su ordine del collegio: secondo la ricorrente, la corte del merito avrebbe f into l’esistenza di un provvedimento di sospensione dei riparti e non avrebbe rilevato che l ‘ inadempimento della curatrice (‘ per evitarsi la non approvazione del conto di gestione ‘) era già stato accertato dal giudice delegato con decreto del 9/12/2009, dal tribunale con decreto del 10/3/2010 e dalla corte d ‘ appello di Roma in data 23/3/2009.
3.10. Con il settimo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 110, 26 e 130 l.fall., degli artt. 112, 115, 116 e 324 c.p.c. nonché dell ‘ art. 2909 c.c., la ricorrente ribadisce, ancora una volta, che non vi erano provvedimenti degli organi della procedura di sospen sione dell’ obbligo di riparto parziale , e che anzi vi erano due riparti, predisposti ed approvati (aprile-luglio 2007 e marzo 2008), non eseguiti dalla curatrice; il G.D., il 2.7.08, avrebbe invece emesso un decreto di sospensione dell’esecuzione del concordato, onde ottenere la ‘non opposizione’ al conto di gestione d i Iacomino.
3.11. Con l ‘ ottavo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 101, 113 e 115 l.fall., COGNOME censura la sentenza impugnata per avere la corte d ‘ appello
escluso la responsabilità della curatrice nel periodo anteriore a quello in cui ella aveva assunto la qualifica di creditore concorsuale, rilevando che, anche in presenza di una domanda di concordato, il piano di riparto ben poteva e doveva essere eseguito ‘ almeno per i creditori non cedenti ‘ e ‘ depositando (in attesa della sostituzione dei cedenti i crediti con i cessionari’) le somme per i cedenti i crediti ‘; mentre ‘ trattenendo le somme si costringeva all ‘ approvazione del conto di gestione del curatore ‘ . La ricorrente ripete poi, per l’ennesima volta, che l ‘ esecuzione dei riparti parziali era stata omessa pur in mancanza di specifici provvedimenti che ne autorizzavano la sospensione e ribadisce che, a seguito della modifica dell ‘ art. 115 l.fall., la sostituzione dei cedenti non doveva necessariamente avvenire nelle forme previste dell ‘ art. 101 l.fall., sicché l ‘ affermazione della ‘ necessità ‘ di tale procedimento avrebbe illegittimamente posticipato ‘ l ‘ acquisizione dei creditori cessionari del credito tra i creditori concorsuali ‘ .
3.12. I motivi, esaminabili congiuntamente, sono in parte infondati e (in massima parte) inammissibili.
3.13. Sono infondati là dove (sembrano) sostenere che la legittimazione di COGNOME a richiedere i danni da mancata esecuzione del riparto sarebbe sorta sin dal momento della notifica delle cessioni, dovendosi rilevare, in contrario, che il diritto a ottenere la tempestiva esecuzione dei riparti spetta unicamente ai creditori concorsuali e che nelle procedure fallimentari che, come quella di COGNOME, erano assoggettate alla disciplina vigente anteriormente all’entrata in vigore, i l 16/7/2006, della riforma di cui al d. lgs. n. 5/2006, il subingresso di un soggetto ad un altro nella titolarità di un credito concorsuale già ammesso al passivo non dispensava il nuovo creditore, a prescindere dalla causa del subingresso
(cessione di credito ovvero surrogazione) dall ‘ onere di presentare domanda di insinuazione ai sensi dell ‘ art. 101 l.fall. (Cass. n. 1997 del 1995, n. 6469 del 1998, n. 11038 del 2002).
3.14. Per il resto i motivi, palesemente e inutilmente ripetitivi: i) dopo aver condiviso (v. motivo 2) i presupposti di diritto su cui si fonda il capo della decisione impugnato, rivolgono critiche quanto mai generiche e assertive all ‘accertamento del giudice d’appello (frutto di un’autonoma valutazione delle risultanze processuali, certamente non preclusa dall’ eventuale inesistenza di un provvedimento ad hoc del giudice delegato) secondo cui ‘più che opportunamente’ gli organi fallimentari avevano omesso di effettuare un riparto parziale nel periodo gennaio 2008/luglio 2008 ( intercorso fra l’acquisto da parte di COGNOME della qualità di creditrice concorsuale e l’esecuzione del concordato) in attesa della definizione della procedura di concordato, mentre non indicano il fatto decisivo omesso che, ove considerato dalla corte del merito, avrebbe condotto all’accoglimento del gravame; ii) assumono la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che sono configurabili solo quando, rispettivamente, il giudice di merito abbia posto a fondamento della decisione prove non dedotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, o quando abbia disatteso il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente pr evista o, all’opposto, abbia valutato una prova legale secondo il suo prudente apprezzamento (Cass. SU n. 20867 del 2020; Cass. SU n. 16598 del 2016; Cass. n. 11892 del 2016); iii) lamentano la mancata presa d’atto di accertamenti contenuti in provvedimenti giudiziali di cui la sentenza impugnata, però, non fa menzione e che non risultano specificamente allegati al ricorso, senza
neppure chiarire se e quando quei provvedimenti siano stati prodotti in causa e quale ne fosse la rilevanza ai fini della verifica della responsabilità della curatrice (peraltro affermandone erroneamente il passaggio in giudicato, ancorché si trattasse di decreti del G.D. e del tribunale fallimentare inidonei ad assumere valenza di giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c. e, quindi, a precludere l’accertamento dell’insussistenza di detta responsabilità nel giudizio di cognizione ordinaria); iv) introducono questioni di fatto (il ritardo di COGNOME nell’esame della domanda di concordato; la sospensione dell’esecuzione del concordato omologato per ‘forzare’ l’approvazione del rendiconto della curatrice) che non risultano aver formato oggetto della cognizione devoluta alla corte d’ appello e che dunque non potevano essere dedotte nella presente sede di legittimità; v) investono il capo della pronuncia con cui la corte d’appello ha (del tutto inutilmente, stante il difetto di legittimazione di COGNOME a far valere un diritto eventualmente spettante agli originari creditori concorsuali) escluso la responsabilità di COGNOME anche per il periodo anteriore al l’ammissione dell’odierna ricorrente allo stato passivo, che quest’ultima , proprio perché priva di legittimazione a dolersi di un danno, in ipotesi, sorto in capo a terzi, non ha alcun interesse ad impugnare; vi) pretendono, in definitiva, una lettura delle risultanze processuali diversa da quella compiuta dalla corte del merito che però, come noto, non è sindacabile da questa Corte di legittimità.
3.15. I motivi dal nono al l’undicesimo investono la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria fondata sull’indebito trattenimento, da parte della curatrice, della somma necessaria al pagamento dell’ICI e dell’imposta di registro.
3.16. Con il nono motivo, che denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., la ricorrente lamenta che corte d ‘ appello, dopo aver esposto una ‘ cronologia di eventi scelti alla rinfusa ‘, abbia ritenuto che la somma in discussione fosse di soli 107.732,27 euro, mentre in realtà si trattava di oltre 200.000,00 euro, poi ridottisi a 130.000,00 ‘ solo dopo aver elargito, dopo la chiusura del fallimento, circa € 80.000 a (l) curatore, (al) difensore per l ‘ appello avverso la sentenza di rigetto del primo concordato, e (al) CTU, compaesano e amico del GD ‘.
3.17. Con il decimo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 31 e ss. e 136 l.fall., la ricorrente deduce che i fatti in basi ai quali la corte del merito ha escluso la responsabilità di COGNOME per l’indebito trattenimento della somma di 107.732,27 euro sono smentiti ‘ dalla Agenzia delle Entrate e dalla sentenza della CTR ‘ poiché ‘ nulla era dovuto per imposta di registro ‘ e ‘ nulla era dovuto ‘ per l’ ICI, per cui ‘ nulla doveva essere trattenuto ‘ . A dire di COGNOME la curatrice era tenuta a consegnare la somme agli assuntori , responsabili del pagamento verso l ‘ Agenzia delle Entrate, e, comunque, a dare esecuzione ai provvedimenti del 9/10/2009 e del 14/12/2009 del giudice delegato, che avevano chiarito, rispettivamente, che ‘ le imposte dovevano essere pagate dalla curatela con la liquidità esistente ‘ e ‘ la curatela doveva fornire all ‘ Agenzia le informazioni come da richiesta degli assuntori ‘ e che la curatrice non poteva trattenere le somme ‘ ma doveva decidersi a fare i conti di quanto effettivamente ancora dovuto e liberare il resto in favore degli assuntori ‘ . La ricorrente aggiunge che il tribunale, con decreto del 24/3/2010, aveva rilevato che, a distanza di circa due anni dall ‘ omologa del concordato fallimentare, non risultavano ancora pagate le imposte relative agli immobili trasferiti agli assuntori, per cui ‘ quello che nella
sentenza impugnata viene richiamato come documento che giustifica l ‘operato del curatore è, di fatto, un provvedimento … che … nel merito riconosce responsabilità in capo al curatore ed addirittura (ingenuità santa) in capo al GD …’. La corte d ‘ appello, del resto, chiosa la ricorrente, non ha indicato ‘ quali provvedimenti avrebbero emesso gli Organi Fallimentari per impedire … il completamento dell’ esecuzione del concordato ‘, avendo, piuttosto, sentito ‘ come al solito ‘ ‘ la necessità di coprire l ‘ operato del curatore magari criticando l’operato degli altri Organi Fallimentari ‘, laddove , in realtà, ‘ se il curatore non vuole o non sa fare il curatore deve fare altro, né rapporti personali, anche se previo corrispettivo, possono giustificare deroghe ed i provvedimenti di copertura non possono né debbono esistere, né rilevare ‘: ‘ chi assume un pubblico incarico, ed il particolare un curatore, deve rispondere dei danni che provoca a prescindere dai rapporti personali che intrattiene, con o senza corrispettivo ‘, tanto più a fronte del fatto che il precedente curatore era stato surrogato proprio per non aver eseguito i riparti parziali, ‘ per cui non può ammettersi una evidente disparità di trattamento ‘.
3.18. Con l ‘ undicesimo motivo, che lamenta la violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., COGNOME denuncia il vizio di motivazione apparente o illogica del capo della sentenza impugnata, per avere la corte d ‘ appello afferma to l’esistenza di fatti in realtà inesistenti (un provvedimento di autorizzazione al trattenimento di somme) ed ignorato i fatti esistenti (i riparti approvati e l’ordine del giudice delegato di restituire quanto non occorrente per la procedura)
3.19. I motivi, da trattare congiuntamente, sono inammissibili.
3.20. Escluso, infatti, ogni rilievo agli accertamenti delle lamentate violazioni asseritamente contenuti in provvedimenti giudiziali passati ‘ in giudicato ‘, al pari delle censure proposte a norma dell ‘ art. 115 e dell ‘ art. 116 c.p.c., in ragione di quanto in precedenza esposto sub. 3.14, punti ii) e iii), rileva la Corte che la ricorrente con i motivi in esame non si confronta realmente con la sentenza che ha impugnato . La corte d’appello, infatti, ha escluso la responsabilità dell ‘ appellata per aver trattenuto dal luglio 2008 al maggio 2010 la somma di €. 107.732,27, affermando, con accertamenti rimasti del tutto privi di censura tanto sotto il profilo della corretta ricognizione della fattispecie concreta, quanto sotto il profilo della corretta applicazione delle norme di legge: i) che era stato il giudice delegato, con decreto del 9/10/2009, a ritenere che il concordato fallimentare, in mancanza del pagamento dell ‘ imposta di registro e dei chiarimenti (evidentemente ritenuti necessari) in ordine al pagamento dell ‘ ICI, non era stato in realtà ancora compiutamente eseguito ed a stabilire, quindi, che ‘ gli importi giacenti sul libretto non potevano essere restituiti, essendo la cessione di ogni bene agli assuntori subordinata alla integrale esecuzione del concordato ‘ ; ii) che solo con decreto del 26/5/2010 il tribunale aveva autorizzato la curatrice ad estinguere il libretto di deposito e a restituire agli assuntori la somma esistente sullo stesso; iii) che dunque, nel periodo considerato, gli importi residui esistenti sul libretto bancario intestato alla procedura erano stati trattenuti dalla curatrice per la necessità di provvedere ai pagamenti dell’ ICI e dell’ imposta di registro … e comunque in esecuzione di provvedimenti del G.D. , ‘ che peraltro non apparivano assolutamente illegittimi ‘ ; iv) che andava inoltre escluso, non essendo stata fornita alcuna prova a riguardo, che COGNOME avesse volutamente o
colposamente rallentato la definizione delle problematiche insorte o che potesse autonomamente disattendere le prescrizioni del G.D., perché ciò avrebbe comportato la violazione dei suoi doveri d’ufficio.
3.21. Va escluso, per altro verso, che tali assunti risultino smentiti dal riportato contenuto del decreto che sarebbe stato adottato dal G.D. il 14/12/2009, che si limitava a sollecitare la curatrice ad accertare quanto era ancora dovuto all’erario.
3.22. E’ appena il caso di rilevare, infine, che le censure illustrate nell’undicesimo motivo , là dove sembrano negare che quello richiamato in sentenza fosse l’effettivo contenuto del decreto del G.D. del 29/10/2009, non ineriscono a un vizio motivazionale, ma a un vizio revocatorio, denunciabile esclusivamente ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c.
3.23. Con il dodicesimo motivo, che denuncia la violazione degli artt. 112, 115, 116, 324 c.p.c. e 2909 c.c. c.p.c., la ricorrente imputa alla corte d’appello di aver respinto la domanda risarcitoria con motivazione apparente e comunque contraddittoria e valutando solo una piccola parte delle risultanze documentali, senza considerare che la curatrice aveva ‘ totalmente omesso i riparti parziali per 18 mesi ed omesso l ‘ esecuzione del concordato (pagamenti dei creditori) per oltre due anni ‘ e che il precedente curatore, con decreto che costituiva cosa giudicata, era stato surrogato per le stesse omissioni, e di aver pertanto violato ‘ il principio che vieta disparità di trattamento ravvisabile nell ‘ aver giustificato per la convenuta un comportamento per il quale si era giunti alla surroga in danno del precedente curatore, senza fornire a sostegno alcuna giustificazione ‘.
3.24. Il motivo è inammissibile: fermo restando quanto già si è detto in ordine al difetto di legittimazione della ricorrente a
dolersi di condotte della curatrice antecedenti il gennaio 2008, nessun vizio di motivazione contraddittoria può riscontrarsi in dipendenza di una presunta disparità di trattamento adottata dal giudice del merito nel valutare le condotte dei curatori succedutisi nella gestione del Fallimento COGNOME, per l’evidente ragione che nel giudizio promosso dagli assuntori nei confronti di COGNOME non si discuteva della responsabilità del curatore revocato, la cui condotta, pertanto, non poteva formare (e non ha formato) oggetto di valutazione da parte del tribunale e della corte d’appello.
3.25. Resta assorbito, alla stregua di tutte le considerazioni sin qui esposte, il quattordicesimo motivo, con il quale la ricorrente ribadisce che la corte del merito non avrebbe tenuto conto del ‘giudicato’ costituito dal provvedimento del 10.3.2010 del tribunale fallimentare e che la curatrice avrebbe lasciato ineseguiti due riparti parziali e disatteso l’ordine del G.D. e torna a pretendere una lettura delle risultanze processuali diversa da quella compiuta dal giudice d’appello.
3.26. Con il tredicesimo motivo, che denuncia la violazione dell ‘ art. 91 c.p.c., la ricorrente lamenta di essere stata condannata alla rifusione delle spese di lite. Assume che, in ragione della sentenza del tribunale fallimentare n. 8725/2012, ‘ costituente sul punto giudicato ‘, la sua domanda non poteva né doveva essere rigettata, né ella poteva essere condannata al pagamento delle spese ‘ aggiungendosi in tal modo altro danno oltre la beffa ‘ ; aggiunge che la corte d ‘ appello doveva certamente ‘ formarsi in diversa composizione per pervenire a decisioni diverse ‘ ‘ ma tant ‘ è, prima o poi vi sarà un salto di qualità del Sistema Giustizia ‘.
3.27. Il motivo (che non chiarisce quale fosse il contenuto della sentenza n. 8725/2102, né se in grado d’appello ne fosse
stata invocata la asserita valenza di giudicato esterno, e che adombra l’esistenza di un pregiudizio dei giudici nei confronti degli assuntori del concordato, che però non risulta essere stato denunciato in separate sedi) va respinto per la semplice ragione che la corte del merito, nel condannare l’appellante al rimborso delle spese di lite, si è attenuta, com ‘ era suo dovere, al principio della soccombenza (art. 91, comma 1°, c.p.c.).
Anche le spese di questo giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
La Corte dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Le espressioni gratuitamente offensive utilizzate in ricorso dall’Avvocato NOME COGNOME a partire da quelle sopra trascritte nell’esposizione del nono , del decimo e del tredicesimo motivo di ricorso, impongono la segnalazione, a norma dell’art. 88, comma 2°, c.p.c., al Consiglio Distrettuale di Disciplina presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, a mezzo della trasmissione del ricorso e della presente ordinanza.
P.Q.M.
La Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio, che liquida nella somma di €. 1 3.0 00,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto; dispone la trasmissione del ricorso e della presente ordinanza al Consiglio Distrettuale di Disciplina presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima