Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24063 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24063 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: LA BATTAGLIA NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24683/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, COGNOME erede di NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’A vv. AVV_NOTAIO RAGIONE_SOCIALE (C.F. CODICE_FISCALE) per procura speciale in calce al ricorso; domiciliata ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (C.F. CODICE_FISCALE) per procura speciale allegata al controricorso; domiciliata ex lege in Roma, presso la cancelleria della Corte di cassazione; – controricorrente – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Lecce n. 286/2022, depositata il 02/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/06/2024 dal dott. NOME COGNOME BATTAGLIA.
MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. L ‘ arch. NOME COGNOME ottenne un decreto ingiuntivo per il pagamento dei compensi professionali relativi a due progetti di lottizzazione edilizia, predisposti su incarico di NOME COGNOME. Nell’ambito del susseguente giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il Tribunale di Lecce nominò c.t.u. l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, incaricandolo di verificare ‘se il progetto originario di lottizzazione, commissionato dalla COGNOME al COGNOME, corrispondeva o meno alle direttive contenute nella lettera d’incarico del 27.9.1978′. Il giudizio ebbe esito sfavorevole per la COGNOME, la COGNOME quindi convenne, in separato processo , l’AVV_NOTAIO COGNOME, ritenendolo responsabile di averne determinato la soccombenza mediante la redazione di una c.t.u. falsa, e invocandone, pertanto, la condanna al risarcimento dei danni.
Il Tribunale di Lecce (con sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello) accolse l’eccezione di prescrizione formulata dall’Ing. COGNOME, osservando come non potesse riconoscersi efficacia interruttiva della stessa alla raccomandata inviatagli dalla COGNOME in data 5 aprile 1994, mancando l’elemento oggettivo della costituzione in mora del convenuto, dato che non vi era contenuta alcuna intimazione né richiesta di pagamento, né vi era manifestato in modo inequivocabile la volontà di intraprendere il giudizio in caso di mancato pagamento. Secondo la Corte d’appello salentina , infatti, con la suddetta raccomandata, la COGNOME si era limitata a manifestare la teorica possibilità di proporre il giudizio a seguito dell’intervenuta applicazione dell’amnistia.
Investita del ricorso della COGNOME, la Corte di cassazione, ritenendo che la prescrizione fosse stata efficacemente interrotta, con ordinanza n. 19511 del 2019 cassò la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’appello di Lecce.
In sede di rinvio, quest’ultima , pur uniformandosi alla pronuncia della S.C. (escludendo che fosse maturata la prescrizione del diritto al risarcimento del danno), rigettò nel merito la domanda della COGNOME, non rinvenendo alcun profilo non solo di dolo, ma neppure di colpa, nel contegno del COGNOME, il COGNOME aveva correttamente evidenziato che l’elaborato progettuale dell’Ing. COGNOME , pur attenendosi ai termini dell’incarico ricevuto, scontava il limite intrinseco di avere ad oggetto terreni di proprietà non della sola COGNOMECOGNOME ma anche di altri soggetti, ciò che inevitabilmente implicava l’impossibilità d el rispetto delle distanze legali delle progettate costruzioni, sì da indurre il Comune di Galatone a non approvarlo. NOME COGNOMECOGNOME COGNOME erede della sorella NOMENOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi. Ha depositato controricorso l’AVV_NOTAIO COGNOME. La ricorrente ha depositato altresì memoria ex art. 381bis .1 c.p.c.
Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 373 c.p. e 64 c.p.c. ‘e dei principi di diritto in materia di falsa perizia’ , per non aver riscontrato, nella condotta del controricorrente, profili di dolo o (quantomeno) di colpa grave.
Il secondo motivo censura l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, n. 5, c.p.c., ‘attinente alla violazione della direttiva n. 2’ . Il riferimento è alla indicazione di cui alla lettera d’incarico della committente – circa la necessità del rispetto delle distanze legali, che non sarebbe stata tenuta in considerazione dai giudici di secondo grado.
Il terzo motivo di ricorso è intitolato ‘omessa motivazione motivazione apparente’ : la sentenza impugnata avrebbe omesso di motivare ‘sul perché il posizionamento di edifici in proprietà altrui comportasse ‘automaticamente’ il mancato rispetto delle distanze legali’ (pag. 13 del ricorso).
Il quarto motivo censura la ‘motivazione manifestamente illogica’ , ancora in relazione al punto della sentenza di merito che
ritiene adempiuta la prestazione del COGNOME, senza considerare (secondo la ricorrente) che l’impossibilità di osservare le distanze legali (come da lei richiesto) rendeva il progetto inutilizzabile tout court , privando il professionista del diritto al compenso.
Tutti i motivi sopra esposti (al cui esame congiunto può procedersi, attesane l’evidente connessione) sono infondati, quando non radicalmente inammissibili. Alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, ‘in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali’ (Cass., n. 7090/2022).
Nel caso di specie, la motivazione rispetta ampiamente il minimo costituzionale, fondando il rigetto della domanda dell’odierna ricorrente sull’inconfigurabilità del reato ex art. 373 c.p. (nonché della responsabilità ex art. 64 c.p.c.) per mancanza dell’elemento soggettivo, essendo stata esclusa dal giudice di secondo grado non solo il dolo, ma financo la colpa del consulente. Le censure relative alla ‘utilità’ o alla difformità, rispetto all’incarico ricevuto, del progetto a suo tempo redatto dall’ AVV_NOTAIO COGNOME, si mostrano, pertanto, del tutto inconferenti in questa sede, laddove a venire in questione non è l’operato professionale di quest’ultimo, bensì un comportamento prospettato come penalmente rilevante dell’AVV_NOTAIO. COGNOME
COGNOME (comportamento che -lo si ripete la Corte d’appello ha motivatamente escluso, spiegando la ragione per la COGNOME la mancata evidenziazione della violazione delle distanze legali non potesse ascriversi a mala fede del consulente, essendo tale violazione, per così dire, necessariamente co-implicata da un progetto di lottizzazione su terreni non tutti di proprietà della committente).
I motivi in esame mirano, quindi, in definitiva, a fornire una diversa ricostruzione del merito della fattispecie, inammissibilmente contrapponendo una propria valutazione dei fatti di causa a quella fatta propria dal giudice di secondo grado (come tale, incensurabile in cassazione).
Il quinto ed ultimo motivo di ricorso denunzia la violazione dell’art. 91 c.p.c., per avere la Corte d’appello salentina condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali afferenti a tutti i gradi di giudizio (compresi i primi tre, conclusisi con la sentenza della Cassazione che accolse il suo ricorso, escludendo che fosse maturata la prescrizione).
Anche questo motivo è infondato, tenuto conto che, ‘ in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicché non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, può legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte’ (Cass., n. 32906/2022).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in € 4.200,00 per compensi professionali ed € 200,00 per spese, oltre a spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, del contributo unificato relativo al ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza sezione