Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31844 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 31844 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso 28500-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME, COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
CICIULLA RITA;
R.G.N. 28500/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 09/07/2024
PU
avverso la sentenza n. 508/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 27/02/2020 R.G.N. 181/2015; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/07/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 27.2.2020, la Corte d’appello di Catania, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta dall’INPS nei confronti di Unicredit s.p.a. volta al risarcimento dei danni cagionatigli unitamente a NOME COGNOME per aver indebitamente corrisposto a costei somme per ratei di pensione di reversibilità dovuti alla di lei madre in epoca successiva al decesso di quest’ultima.
I giudici territoriali, in particolare, hanno ritenuto che, non essendo configurabile tra l’ente previdenziale e l’istituto di credito alcun rapporto di tipo contrattuale, la responsabilità dell’istituto per non aver verificato la persistente legittimazione della figlia a riscuotere la pensione della madre (e specialmente l’autenticità delle firme di quest’ultima apposte in calce alle deleghe presentate per l’incasso) dovesse ricondursi a quella di cui all’art. 2043 c.c., con conseguente applicabilità del termine quinquennale di prescrizione, sicché, non ricorrendo l’ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 2947 c.c., stante l’assenza di circostanze che potessero far supporre che i dipendenti dell’istituto di credito fossero a conoscenza del decesso dell’aven te diritto e partecipi della truffa posta in essere dalla di lei figlia, hanno ritenuto prescritto il diritto al risarcimento dei danni,
risalendo l’ultimo degli incassi indebiti al dicembre 2000 e solo al 31.10.2007 il primo atto di costituzione in mora.
Avverso tale pronuncia l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura. Unicredit s.p.a. ha resistito con controricorso. NOME COGNOME, già contumace nelle precedenti fasi di merito, è rimasta intimata. La causa è stata rimessa alla pubblica udienza, a seguito di infruttuosa trattazione camerale, con ordinanza del 26.3.2024.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione degli artt. 1218, 1173 e 2946 c.c. nonché falsa applicazione degli artt. 2043 e 2947 comma 1° c.c. per avere la Corte di merito ritenuto compiuta la prescrizione dell’azione risarcitoria in conseguenza della qualificazione della responsabilità dell’istituto di credito in termini di responsabilità extracontrattuale: ad avviso dell’Istituto ricorrente, infatti, tale qualificazione si porrebbe in contrasto con i principi di diritto affermati da Cass. S.U. n. 14712 del 2007, la quale, nel qualificare piuttosto in termini di responsabilità contrattuale la responsabilità della banca per aver negoziato un assegno non trasferibile in favore di soggetto non legittimato, avrebbe valorizzato la peculiare funzion e del banchiere a tutela dell’interesse generale alla regolare circolazione dei titoli di credito e in specie dell’interesse di quanti ripongano affidamento sulla sua specifica professionalità per garantire la regolarità delle operazioni compiute in relazione ad uno specifico titolo di credito.
Il motivo, nei termini che seguono, è fondato.
Va premesso che i giudici territoriali, nel riformare la decisione di prime cure, hanno richiamato, a sostegno della predicata responsabilità extracontrattuale dell’istituto di credito, un’affermazione di Cass. n. 11123 del 2015, che –
statuendo in una vicenda in cui il prenditore di un assegno rimasto insoluto aveva imputato ad un istituto di credito di aver acceso un rapporto di conto corrente senza adottare la dovuta diligenza nell’identificazione del correntista (rivelatosi poi persona inesistente) e di aver rilasciato a costui un carnet di assegni dal quale era stato tratto quello rimasto insoluto -ha effettivamente sostenuto, in parte motiva, che ‘la Corte di merito ha correttamente affermato che la banca è tenuta ad osservare un grado di diligenza commisurato alla natura dell’attività esercitata e che può incorrere in responsabilità extracontrattuale laddove il funzionario incaricato non abbia usato la dovuta diligenza’.
Va nondimeno rilevato che, in quella vicenda, la pronuncia di merito era stata impugnata per cassazione non già per far valere un diverso titolo di responsabilità dell’istituto di credito, ma semplicemente per vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. (nel testo precedente alla modifica apportata dall’art. 54, d.l. n. 83/2012, conv. con l. n. 134/2012), sostenendosi da parte ricorrente che i giudici di merito non avrebbero concretamente spiegato in che cosa fosse consistita la negligenza imputata al funzionario della banca. E avendo la sentenza accolto il ricorso solo in relazione all’anzidetto motivo di censura, resta escluso che l’affermazione dianzi riportata possa assurgere a principio di diritto rilevante ai fini di quella tendenziale fedeltà ai propri precedenti che questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 10615 del 2003) suole far discendere dall’art. 65 ord. giud. e dall’art. 111 Cost.: l’art. 384 c.p.c. circoscrive infatti l’enunciazione di principi di diritto al caso in cui questa Corte decida il ricorso proposto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. e ad ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi, risolva una questione di diritto di particolare importanza, così evidenziando che in tanto si può parlare di ‘principio di diritto’ in quanto
l’affermazione e l’argomentazione di questa Corte siano volte a risolvere una questione sottopostale con uno specifico motivo di censura, degradando ogni altra affermazione contenuta nella parte motiva a mero obiter dictum . La riprova è che la costante giurisprudenza di legittimità reputa giuridicamente irrilevante una censura che investa un principio di diritto enunciato dal giudice di merito e ritenuto erroneo dal ricorrente, o anche realmente tale, quando esso non costituisca la ratio decidendi della sentenza impugnata (cfr. in tal senso già Cass. n. 3837 del 1954).
Chiarito, pertanto, che Cass. n. 11123 del 2015 non offre alcun ‘principio di diritto’ utile a regolare la fattispecie per cui è causa, reputa il Collegio che al quesito concernente la natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità di un istituto di credito che abbia pagato ad un delegato somme per ratei di pensione non più spettanti per l’avvenuto decesso del delegante debba darsi risposta in termini di responsabilità contrattuale.
Costituisce orientamento ormai consolidato di questa Corte il principio secondo cui la responsabilità nella quale incorre ‘il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta’ (art. 1218 c.c.) può dirsi contrattuale non soltanto nel caso in cui l’ obbligo di prestazione derivi propriamente da un contratto, nell’accezione che ne dà il successivo art. 1321 c.c., ma anche in ogni altra ipotesi in cui essa dipenda dall’inesatto adempimento di un’obbligazione preesistente alla condotta lesiva, posta dall ‘ordinamento a carico di determinati soggetti; e situazioni del genere sono state ravvisate nell’ambito dell’esercizio di attività professionali c.d. ‘protette’, ossia riservate dalla legge a determinati soggetti, sottoposti a previa verifica della loro specifica idoneità e a permanente controllo nel loro svolgimento, quali quelle del medico ospedaliero, dell’avvocato (cfr.,
rispettivamente, Cass. S.U. nn. 577 del 2008 e 6216 del 2005) e, più recentemente, del notaio (Cass. nn. 7746 del 2020 e 19849 del 2024), sul presupposto che, quando il danno sia derivato dalla violazione di una o più precise regole di condotta imposte dalla legge allo specifico fine di tutelare i terzi potenzialmente esposti ai rischi dell’attività svolta dal soggetto in questione, il fondamento normativo della responsabilità di quest’ultimo dev’essere individuato nel riferimento dell’art. 1173 c.c. agli a ltri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico (cfr. Cass. n. 11642 del 2012).
Con specifico riferimento all’attività bancaria, è stata perciò considerata contrattuale la responsabilità della banca negoziatrice di un assegno bancario nei confronti di tutti gli interessati alla corretta circolazione del titolo (Cass. S.U. n. 14712 del 2007, già cit.) e, più recentemente, anche quella derivante dal pagamento mediante bonifico in favore di beneficiario sprovvisto di conto di accredito presso l’istituto intermediario, ove il beneficiario sia rimasto insoddisfatto a causa dell’inesatta ind icazione del c.d. codice IBAN (Cass. n. 17415 del 2024): come messo in evidenza dalle Sezioni Unite di questa Corte, il banchiere è infatti soggetto dotato di specifica professionalità, che si riflette necessariamente sull’intera gamma delle attività da lui svolte nell’esercizio dell’impresa bancaria e sui rapporti che in quelle attività sono radicati, trattandosi di rapporti per la corretta attuazione dei quali egli dispone di strumenti e competenze che normalmente gli altri soggetti interessati non hanno e che giustificano, per un verso, l’affidamento di tutti gli interessati nel puntuale espletamento, da parte sua, dei compiti inerenti al servizio bancario e, per altro verso, la specifica responsabilità in cui egli incorre nei confronti di coloro che con lui entrano in contatto per avvalersi di quel servizio, ove,
viceversa, egli non osservi le regole al riguardo prescritte dalla legge (così Cass. S.U. n. 14712 del 2007, cit., in motivazione).
Tanto ricordato, balza evidente l’errore di diritto commesso dalla sentenza impugnata: una volta assunto che la condotta addebitata dall’INPS all’istituto di credito consiste nell’avere ‘corrisposto ratei di pensione alla senza richiedere, volta per volta, il rilascio di apposita dichiarazione e senza verificare l’autenticità della firma della in calce alle deleghe presentate’ (così la sentenza impugnata, pag. 1), non v’ha dubbio che la responsabilità de qua debba essere considerata di carattere contrattuale, venendo appunto in rilievo lo speciale affidamento che chiunque si avvalga di un intermediario bancario per effettuare un pagamento è legittimato a riporre nell’adozione, da parte dell’intermediario medesimo, di t utte le cautele necessarie al fine di scongiurare il rischio di un’erronea individuazione del beneficiario del pagamento ed essendo il banchiere soggetto che, a causa della sua professionalità, è tenuto ad uno sforzo maggiore, in termini di correttezza, pr otezione e tutela dell’affidamento, rispetto a quello che si può attendere dal quisque de populo . Basti dire che -come si evince dal contenuto dell’atto di citazione dell’INPS, riportato per stralcio nel controricorso il pagamento della pensione si assume in specie essere avvenuto mediante assegni postali di conto corrente speciale, ex art. 1, d.P.R. n. 429/1986, la cui riscossione, in forza di delega rilasciata alla beneficiaria ai sensi del successivo art. 17, era stata consentita presso l’Agenzia dell a Banca di Roma (oggi Unicredit s.p.aRAGIONE_SOCIALE) di INDIRIZZO, in Catania, e che l’art. 17, cit., nel testo vigente pro tempore , stabiliva al secondo comma che ‘la banca delegata risponde dell’autenticità della firma del delegante’.
Il ricorso, pertanto, va accolto e, cassata la sentenza impugnata, la causa va rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, che si atterrà all’anzidetto principio di diritto e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio e