Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13334 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13334 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12501/2021 R.G., proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv. NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME in virtù di procura in calce al ricorso, con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. E NOME COGNOME in virtù di procura in calce al controricorso, con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
e di
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura rilasciata su foglio separato congiunto al controricorso, con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza n. 1069/2021 del la CORTE d’APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 22 marzo 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13
febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2001, NOME COGNOME fu sottoposto a procedimento penale dalla Procura della Repubblica di Napoli per il reato di estorsione aggravata dalla partecipazione ad associazione di tipo camorristico, per avere, in concorso con altre persone appartenenti al ‘Clan La Torre’, estorto ad un imprenditore caseario, operante nell’area di Mondragone , la somma di Lire 3.500.000, sotto la minaccia, reiterata più volte, di ‘ far saltare in aria il caseificio e di attentare all’ incolumità fisica sua e dei suoi familiari ‘.
Poiché il giorno 2 luglio 2001, erano state intercettate due telefonate partite da una cabina di Mondragone, le quali, sulla base di alcuni indizi, apparivano riconducibili alla persona di NOME COGNOME o, in alternativa, a quella di suo fratello NOME COGNOME, il pubblico ministero, nel corso del procedimento per le indagini preliminari, affidò una consulenza tecnica all’ ing. NOME COGNOME con l’incarico di accertare se la voce registrata nelle due telefonate fosse appunto quella di NOME COGNOME o quella di NOME COGNOME; p er svolgere l’incarico il consulente tecnico si avvalse, per la comparazione, delle telefonate effettuate dai due indagati ed acquisite presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere. A ll’esito dell’indagine tecnica, l’ ing. COGNOME ritenne di identificare la voce dell’autore delle telefonate con quella di NOME COGNOME.
Il pubblico ministero chiese (e ottenne dal GIP del Tribunale di Napoli, con decreto del 14 luglio 2003) il rinvio a giudizio degli indagati per il reato sopra decritto e, in sede dibattimentale, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dispose perizia fonica sulle due telefonate, dando l’incarico al dott. NOME COGNOME; anche il dott. COGNOME usò per la comparazione le telefonate effettuate dai due indagati presso la Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, avendogli il Tribunale negato l’ autorizzazione ad eseguire un saggio fonico sulle voci dei fratelli COGNOME. All’esito della sua indagine, anche il perito del giudice dibattimentale ritenne che le telefonate del 2 luglio 2001 fossero state fatte da NOME COGNOME.
Con sentenza del 10 aprile 2007, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dichiarò colpevole NOME COGNOME del reato ascrittogli e lo condannò alla pena di anni otto e mesi due di reclusione, oltre alla multa; assolse NOME COGNOME per non aver commesso il fatto.
Con ordinanza del 26 giugno 2007 lo stesso Tribunale dispose la custodia cautelare in carcere di NOME COGNOME; l ‘imputato si rese latitante per circa sei mesi sino al 5 febbraio 2008, allorché fu tratto in arresto.
La Corte d’appello di Napoli, adìta con impugnazione dell’imputato, rinnovò la perizia, nominando un terzo tecnico, il dott. NOME COGNOME cui concesse di svolgere, sull’imputato medesimo, quel saggio fonico che i tecnici precedenti non erano stati autorizzati ad eseguire.
All’ esito della seconda perizia (e del terzo accertamento tecnico), il dott. COGNOME ritenne che la voce delle due telefonate non fosse quella di NOME COGNOME pur evidenziando che essa presentava accento e cadenza ‘comuni’ rispetto a quella del l’imputato appellante .
Sulla scorta di questo diverso esito, la Corte d’appello, con sentenza del 30 gennaio 2009, assolse NOME COGNOME per non aver commesso il fatto e ne ordinò la scarcerazione dopo circa undici mesi di custodia cautelare.
Con citazione del 21 ottobre 2010, NOME COGNOME citò in giudizio risarcitorio dinanzi al Tribunale di Napoli i primi due tecnici, ovverosia il consulente del pubblico ministero, NOME COGNOME e il perito del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, NOME COGNOME sull’assunto che avessero svolto in modo negligente e con esito erroneo il loro incarico, causando la sua ingiusta condanna in sede penale ad oltre otto anni di reclusione, la conseguente sottoposizione ad un periodo di ingiusta detenzione di oltre undici mesi preceduto da un periodo di forzata latitanza di sei mesi e la perdita del posto di lavoro, con pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali quantificabili nel complessivo importo di Euro 252.166,72.
Il Tribunale civile di Napoli istruì la causa con un ulteriore accertamento tecnico (il quarto), svolgendo due consulenze d’ufficio affidate ai dottori NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali ribadirono il giudizio già espresso dal perito della Corte d’ appello penale, secondo cui la voce delle due telefonate non apparteneva ad NOME COGNOME.
All’ esito di tale accertamento, con sentenza del 20 dicembre 2016, il Tribunale accolse parzialmente la domanda attorea, condannando i due convenuti, NOME COGNOME e NOME COGNOME a pagare ad NOME COGNOME la somma complessiva di Euro 122.464,20.
La sentenza fu appellata, principalmente e incidentalmente, sia dai convenuti (che ne chie sero la riforma nell’ an , con esclusione della loro responsabilità e con rigetto della domanda attorea), sia dall’attore ,
che ne chiese una riforma nel senso dell’aumento del quantum risarcitorio.
La Corte d’ appello di Napoli, con sentenza 22 marzo 2021, n.1069, ha accolto i gravami dei tecnici NOME COGNOME e NOME COGNOME e, riformando integralmente la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di NOME COGNOME.
La Corte territoriale ha così deciso sulla base dei seguenti rilievi:
Ianzitutto, troverebbe applicazione, anche in relazione al perito nominato dal giudice penale e al consulente tecnico nominato dal pubblico ministero nelle indagini preliminari, l’art. 64, secondo comma, cod. proc. civ.; peraltro, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, l’ultimo periodo di tale comma dovrebbe leggersi in relazione al primo periodo, per cui la responsabilità sarebbe circoscritta (oltre che al dolo) alla colpa grave, « in verità l’unica prospettata da parte attrice »;
IItuttavia, nella fattispecie, non si sarebbero integrati né il dolo né la colpa (neppure di grado lieve) in capo ai due tecnici convenuti, avuto riguardo, tra l’altro : 1) alla circostanza che in tutte le relazioni tecniche, anche quelle con esito diverso rispetto alle indagini svolte dai convenuti, era stato dato atto che la voce di un individuo è cangiante in relazione al contingente stato d’animo, all e condizioni di salute, all’ eventuale assunzione di una bevanda, al trascorrere del tempo, alla tipologia del canale di trasmissione (telefono o altro); 2) alla non fondatezza del rilievo circa la scarsità del materiale utilizzato dai dottori COGNOME e COGNOME per svolgere i loro accertamenti, posto che anche gli altri tecnici avevano osservato che invece il materiale era sufficiente, ai fini delle indagini da svolgere; 3) alla non persuasività degli addebiti rivolti dal primo giudice specificamente all’ ing. COGNOME circa l’ inidoneità del
metodo da lui utilizzato (c.d. ‘metodo scientifico non riproducibile ‘ ), reputato invece generalmente valido dalla comunità scientifica, tanto più che l’ ing. COGNOME ad onta delle critiche ricevute in ordine alla mancata indicazione dell ‘apparecchiatura utilizzata per il suo esame, aveva specificamente avvertito di avere adope rato lo ‘ spettografo digitale DSP 4200 della Key Elements ‘; 4) alla non fondatezza dei rilievi mossi al dott. COGNOME da un altro tecnico (il dott. COGNOME) circa la non correttezza dei tre metodi d’indagine seguiti (elettroacustico, timbrico e linguistico) a fronte della mancata indicazione di metodiche alternative vincolanti che quegli avrebbe disatteso; 5) alla circostanza che lo stesso dott. COGNOME (perito nominato dalla Corte d’ appello penale), pur ribaltando l ‘ esito dei precedenti due accertamenti, aveva tuttavia dichiarato che nel caso di specie le voci avevano comune accento e cadenza e che egli aveva potuto accertare l’ estraneità di NOME COGNOME alle telefonate del 2 luglio 2001 solo attraverso la pronuncia di alcune parole, tra cui, in particolare, l a parola ‘NOME‘ (il nome con cui il parlatore si era presentato al suo interlocutore), nonché attraverso lo studio delle ‘forma n ti’ , reso possibile attraverso il saggio fonico che i tecnici COGNOME e COGNOME non erano stati autorizzati ad eseguire;
IIIinfine, al di là della sussistenza o meno dell’elemento soggettivo (la colpa, lieve o grave), mancava anche la riferibilità causale del rinvio a giudizio e della condanna penale di NOME COGNOME all’esito delle indagini tecniche svolte dai dottori COGNOME e COGNOME dal momento che il pubblico ministero aveva chiesto il rinvio a giudizio e il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva emesso la sentenza penale di condanna sulla base di diversi elementi probatori, consistenti, in particolare: 1) nelle dichiarazioni degli ufficiali di Polizia Giudiziaria
che avevano condotto le intercettazioni sulle telefonate del 2 luglio 2001, i quali avevano riferito che tali chiamate erano partite da una cabina telefonica di Mondragone ad opera di un uomo qualificatosi come ‘ NOME ‘ , da loro immediatamente riconosciuto per NOME COGNOME, persona che avevano ascoltato anche nel corso di altre indagini in cui la sua utenza telefonica era stata messa sotto controllo; 2) nelle dichiarazioni della persona offesa dall’estorsione, l a quale aveva riferito che, cedendo alle reiterate minacce, si era messo d’accordo sulla cifra da pagare con tale NOME COGNOME presentatosi a lui come esattore del gruppo criminale ‘Clan La Torre’; 3) nelle conseguenti dichiarazioni dello stesso COGNOME, il quale, divenuto collaboratore di giustizia, aveva ammesso il suo coinvolgimento nell ‘estorsi one, dichiarando che la stessa era stata organizzata nell’abitazione di NOME COGNOME ove in genere si tenevano le riunioni per preparare estorsioni, pestaggi e altre azioni del sodalizio criminale; 4) nell ‘avvenuto arresto , in data 6 agosto 2001, di due latitanti in un deposito di proprietà di NOME COGNOME: nell’occasione quest’ultimo si era dato alla fuga, ma poco dopo era stato fermato ed erano state trovate nella sua disponibilità le chiavi di una automobile rubata, parcheggiata nei pressi del deposito, in cui erano custodite bottiglie di materiale incendiario e uno stoppino.
Avverso la sentenza della Corte partenopea propone ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di tre motivi.
Rispondono con distinti controricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME.
In data 16 novembre 2023, il consigliere a ciò delegato ha proposto la definizione del ricorso ai sensi dell’art.380 -bis cod. proc. civ., sul presupposto dell’inammissibilità di tutti i motivi in cui era articolato.
Ricevuta la comunicazione della proposta, il difensore del ricorrente ha peraltro formulato tempestiva istanza di decisione della causa, ribadendo altresì la richiesta, già proposta con il ricorso, di fissare « udienza di discussione come per legge ».
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ..
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.
Il ricorrente e il controricorrente NOME COGNOME hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, in relazione alla richiesta -formulata in ricorso e ribadita nell’istanza di decisione ex art. 380 -bis cod. proc. civ. -di fissazione dell’« udienza di discussione », va osservato che, ai sensi dell’ art. 375 cod. proc. civ. (nella formulazione applicabile ratione temporis ), la Corte di cassazione, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza quando la questione di diritto è di particolare rilevanza, nonché nei casi di cui all’art. 391 quater cod. proc. civ..
In mancanza di norme specifiche, la parte può sì sollecitare il potere officioso del presidente della sezione perché il ricorso sia trattato in pubblica udienza, ma ciò richiede che sia prospettata una questione di diritto di particolare rilevanza, che non sussiste nella fattispecie in esame, ovvero che si ricorra nei casi di cui alla norma appena citata, il che non è nella specie.
La richiesta di fissazione dell’ « udienza di discussione » va dunque disattesa per mancanza dei presupposti, dovendosi peraltro in generale ribadire che la decisione sul punto è rimessa alla discrezionalità del
presidente ed è fondata su questioni di opportunità legate alla funzione nomofilattica della questione giuridica da decidere.
2.1. Con il primo motivo viene denunciata « violazione e falsa applicazione dell’art. 64 cpc, in combinato disposto con l’art. 360 c.p.c. numero 3 violazione e falsa applicazione norme di diritto, violazione e falsa applicazione art. 2043 c.c. in relazione all’ipotesi di responsabilità del ctu per ‘colpa grave’ e / o ‘colpa lieve ».
La sentenza impugnata è censurata per avere reputato, per un verso, che in base all’ar t. 64 cod. proc. civ., la responsabilità civile del consulente tecnico sarebbe limitata alla colpa grave; per altro verso, che la domanda risarcitoria fosse stata fondata solo sulla colpa grave dei convenuti.
Il ricorrente, da un lato, sostiene che, in base al disposto testuale della citata norma codicistica, il consulente tecnico risponderebbe civilmente in ogni caso e quindi non solo in ipotesi di colpa grave ma anche in ipotesi di colpa lieve; dall’altro lato , che egli non aveva circoscritto la domanda risarcitoria all’ accertamento della colpa grave ma aveva chiesto « l’ accertamento di qualsiasi responsabilità collegata a negligenza ed imperizia dei convenuti ».
2.2. Con il secondo motivo viene denunciata « violazione e falsa applicazione art. 64 cpc, in combinato disposto con art. 2043 c.c. ed art. 360 c.p.c. numero 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Delle risultanze delle relazione degli esperti nel primo grado del presente giudizio; errore della Corte d ‘ Appello e censura al modo in cui il Giudice procedente ha effettuato la ricostruzione. Travisamento dei fatti e ricostruzione errata ».
Viene censurato il giudizio circa la mancanza di colpa dei convenuti espresso dalla Corte d ‘appello .
Il ricorrente deduce che, nel l’esprimere tale giudizio, la Corte di merito avrebbe travisato i fatti, non tenendo conto, in particolare: del « dato incontrovertibile e, oramai, pacifico » della « errata identificazione del parlante con la voce di NOME COGNOME » da parte dei due tecnici officiati nella fase delle indagini preliminari e del dibattimento penale di primo grado, che aveva costituito la causa esclusiva della sua condanna ad oltre otto anni di reclusione; dei numerosi errori compiuti dai detti tecnici nell’ impostazione ed elaborazione della loro indagine, con particolare riferimento alla insufficienza ed inidoneità del materiale su cui era stata basata la comparazione; della circostanza che il perito nominato dalla Corte d’appello penale (come anche i consulenti del primo giudice civile) aveva reputato insufficiente ai fini dell’indagine il materiale utilizzato dal consulente del pubblico ministero e dal perito del tribunale penale, evidenziando, tra l’altro, di avere « proceduto all’ascolto soggettivo in ambiente digitale e ottico ottenendo così un risultato più attendibile rispetto a quello cui erano pervenuti i precedenti periti ».
2.3. Con il terzo motivo viene denunciata « Violazione e falsa applicazione dell’art. 64 cpc in relazione all’art. 360 numero 3 in relazione alla riferibilità della causale della condanna di appello penale di NOME COGNOME ».
Viene censurato il giudizio espresso dalla Corte d’ appello sul difetto di relazione causale tra la condanna penale e gli esiti della consulenza tecnica e della perizia espletate, rispettivamente, dall’ ing. COGNOME e dal dott. COGNOME
Il ricorrente sostiene che, nel valorizzare, a tal fine, gli altri elementi indiziari a suo carico indicati nella sentenza penale di condanna di primo grado , la Corte d’ appello civile avrebbe omesso di tenere conto che tale sentenza era stata integralmente riformata da quella d’ appello, che lo aveva assolto per non aver commesso il fatto « proprio per la pochezza degli indizi »; sentenza che non era stata impugnata con ricorso per cassazione e che era quindi passata in giudicato.
3 . I tre motivi di ricorso -da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione -sono inammissibili, conformemente a quanto esattamente osservato nella proposta di decisione accelerata del 16 novembre 2023.
3.1. Il primo motivo difetta di decisività per omesso confronto con la ratio della decisione impugnata.
L a Corte d’ appello , infatti, pur ritenendo, in generale, che l’esatta interpretazione dell’art. 64 cod. proc. civ. limiterebbe la responsabilità civile del consulente tecnico all’ipotesi di colpa grave e pur individuando nella colpa grave dei convenuti la causa petendi della domanda risarcitoria dell’attore , in concreto ha rigettato questa domanda, non già sul rilievo della mancata integrazione di tale grado di colpa (e, quindi, sul presupposto della sussistenza della colpa lieve), bensì sul diverso presupposto della assoluta insussistenza sia della colpa (anche nella forma lieve) sia del nesso causale e, dunque, sul rilievo della assoluta mancanza dei requisiti sia oggettivi che soggettivi del dedotto comportamento illecito.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure non pertinenti rispetto al decisum della sentenza impugnata, comporta l’inammissibilità del
ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. (Cass. 3/08/2007, n. 17125; Cass. 18/02/2011, n. 4036; Cass. 21/07/2020, n. 15517).
L’esigenza di specificità del motivo di ricorso esige, infatti, la sua riferibilità alla decisione di cui si chiede la cassazione, non essendo ammissibili nel giudizio di legittimità doglianze non aventi specifica attinenza alle ragioni che sostengono la sentenza sottoposta ad impugnazione (Cass. 31/08/2015, n. 17330; Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 9/04/2024, n. 9450).
Il primo motivo va dunque dichiarato inammissibile.
3.2. Gli altri motivi censurano, peraltro con argomentazioni generiche e talora ai limiti della comprensibilità, l’accertamento di merito compiuto dalla Corte d’ appello in ordine all’assenza della colpa dei convenuti e alla mancanza del nesso di causalità tra la condotta da loro tenuta nel procedimento e nel processo penale a carico dell’attore e l’evento dannoso della condanna emessa nei confronti di quest’ultimo.
Anche queste censure sono inammissibili, in quanto tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di fatto in contrapposizione a quello espresso dalla Corte territoriale, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento ad esso funzionale -delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
La Corte territoriale, con valutazione incensurabile in questa sede, ha motivatamente ritenuto, come si è veduto, che la condotta tenuta dall’ ing. COGNOME e dal dott. COGNOME nella rispettiva qualità di consulente del pubblico ministero e di perito del giudice, non presentasse alcun profilo di negligenza o imperizia e che, inoltre, sul piano oggettivo, non avesse concretato un antecedente causale necessario della condanna di NOME COGNOME per essere questa fondata su una serie di cospiranti elementi probatori, costituiti dalle dichiarazioni della persona offesa dal reato di estorsione, da quelle del collaboratore di giustizia, da quelle degli ufficiali di polizia giudiziaria che avevano condotto le intercettazioni telefoniche e da quelle di coloro che avevano posto in essere l’ arresto di due latitanti in un deposito di proprietà dell’attore, prima di rinvenire nella disponibilità di quest’ultimo le chiavi di un’ autovettura rubata parcheggiata nei pressi, in cui era contenuto materiale incendiario e uno stoppino.
La censura secondo cui di tali elementi avrebbe tenuto conto la sentenza penale di primo grado ma non quella d’appello, lungi dall’indebolirlo, ra fforza il giudizio di merito circa la mancanza del nesso causale tra la condotta dei convenuti e l’evento dannoso subìto dall’attore, poiché tale evento dannoso viene identificato, oltre e più che nel rinvio a giudizio, proprio nella sentenza di condanna emessa dal giudice penale di primo grado, che avrebbe dato adìto alle conseguenze pregiudizievoli dell’ingiusta detenzione, della perdita del posto di lavoro e di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali lamentati.
Avuto riguardo alle motivate e incensurabili valutazioni della Corte d ‘ appello, i motivi di ricorso in esame si palesano inammissibili, in quanto tendono a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle
risultanze istruttorie e un apprezzamento delle circostanze di fatto diversi da quelli motivatamente forniti dal giudice di merito, i quali sono insindacabili in questa sede di legittimità.
In definitiva, il ricorso proposto da NOME COGNOME va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza del ricorrente e vengono liquidate per ciascun controricorrente nella misura indicata in dispositivo in relazione all’attività difensiva spiegata .
I n applicazione del disposto di cui all’art.380 -bis , ultimo comma, cod. proc. civ., il ricorrente va anche condannato al pagamento, in favore di ciascun controricorrente, di una somma equitativamente determinata in Euro 5.000 ,00, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ., oltre interessi legali dal deposito della presente sentenza al saldo, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si stima equo liquidare in Euro 2.000,00, ai sensi dell’art.96, quarto comma, cod. proc. civ.;
A norma dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida, per NOME COGNOME, in Euro 5.800,00 per compensi e per NOME COGNOME in Euro 7.600,00 per compensi, oltre, per ciascun controricorrente, alle spese forfetarie, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge;
condanna il ricorrente a pagare a ciascun controricorrente la somma di Euro 5.000,00 ai sensi dell’art. 96 , terzo comma, cod. proc. civ., oltre interessi legali dal deposito della presente sentenza al saldo, e alla cassa delle ammende la somma di Euro 2.000,00, ai sensi dell’art. 9 6, quarto comma, cod. proc. civ.;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione