Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3917 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3917 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
composta dai signori magistrati:
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 1976 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto da
NOME COGNOMEA TORRE NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentati e difesi, giusta procura allegata al ricorso, dall’avvocato NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrenti-
nei confronti di
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentati e difesi, giusta procura a margine del controricorso, dagli avvocati NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) ed NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE
-controricorrenti- per la cassazione COGNOME sentenza COGNOME Corte d’a ppello di Roma n. 5983/2020, pubblicata in data 30 novembre 2020; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 15 gennaio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME, NOME e NOME COGNOME hanno agito in giudizio nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per ottenere il risarcimento dei danni che
Oggetto:
RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE CONSULENTI TECNICI DEL P.M.
Ad. 15/01/2024 C.C.
R.G. n. 1976/2021
Rep.
asseriscono di avere subito in conseguenza del negligente svolgimento, da parte di questi ultimi, dell’incarico di consulenti tecnici del pubblico ministero nel procedimento penale avente ad oggetto l’omicidio di NOME COGNOME, moglie di NOME COGNOME e madre di NOME e NOME COGNOME.
La domanda è stata accolta dal Tribunale di Roma, che ha condannato i convenuti al pagamento dell’importo di € 11.020,00 a titolo di danno patrimoniale e dell’importo di € 120.000,00 a titolo di danno non patrimoniale.
La Corte d’a ppello di Roma, in riforma COGNOME decisione di primo grado, l’ha invece integralmente rigettata .
Ricorrono NOME e NOME COGNOME (anche quali eredi di NOME COGNOME, deceduto nel corso del giudizio di merito), sulla base di nove motivi.
Resistono con controricorso NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data COGNOME camera di consiglio.
Ragioni COGNOME decisione
Con il primo motivo del ricorso si denuncia « violazione e falsa applicazione dell’ art. 64, comma 2, cpc in relazione all’ art. 360, comma l, n. 3 cpc ».
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha affermato che non sarebbe applicabile, nel caso di specie, l’art. 64, comma 2, c.p.c., e che, di conseguenza, i convenuti difetterebbero « di legittimazione passiva rispetto alla pretesa avanzata dagli odierni appellati ». Il motivo è fondato.
1.1 L a corte d’appello ha affermato che la decisione di primo grado avrebbe erroneamente fondato la responsabilità dei convenuti sulla previsione di cui all’art. 64, comma 2, c.p.c., in quanto:
la predetta norma non sarebbe applicabile, nella fattispecie, perché i convenuti « quali consulenti designati dal P.M in sede di indagini preliminari, operano esclusivamente quali ausiliari del giudice in funzione del superiore interesse dalla RAGIONE_SOCIALE, difettando pertanto di legittimazione passiva rispetto alla pretesa avanzata dagli odierni appellati »;
b) inoltre, il tribunale avrebbe omesso di « fornire la prova del requisito soggettivo COGNOME colpa grave che asserisce essere sussistente »
1.2 È certamente erronea, in diritto, l’ affermazione COGNOME corte d’appello secondo la quale il tribunale non avrebbe correttamente applicato l’art. 64 c.p.c., perché avrebbe dovuto « fornire la prova COGNOME colpa grave che asserisce essere sussistente ».
1.2.1 In primo luogo, ai fini COGNOME responsabilità civile dei consulenti tecnici prevista da ll’art. 64 c.p.c., non è richiesta la colpa grave (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 13010 del 23/06/2016, Rv. 640396 -01: « il perito di stima nominato dal giudice dell ‘ esecuzione risponde nei confronti dell ‘ aggiudicatario, a titolo di responsabilità extracontrattuale, per il danno da questi patito in virtù dell ‘ erronea valutazione dell ‘ immobile staggito, solo ove ne sia accertato il comportamento doloso o colposo nello svolgimento dell ‘ incarico, tale da determinare una significativa alterazione COGNOME situazione reale del bene destinato alla vendita, idonea ad incidere causalmente nella determinazione del consenso dell ‘ acquirente »).
Potrebbe, al limite, discutersi dell’applicabilità , nel caso di specie, dell’art. 2236 c.c., ma si tratta di una questione che non risulta posta o, comunque, affrontata nel corso del giudizio di
merito e che certamente non è stata presa in considerazione nella decisione impugnata, onde la stessa deve ritenersi del tutto estranea all’oggetto del ricorso.
D’altra parte, è assorbente, sul punto, la considerazione che i presupposti per l’operatività dei limiti di responsabilità previsti dall’art. 2236 c.c., sulla base del consolidato indirizzo di questa Corte, cui va certamente data continuità, devono essere allegati e provati dal professionista convenuto, il che, nella specie, non risulta sia avvenuto, tanto che la corte territoriale non fa alcun riferimento ad una siffatta eccezione (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 8496 del 06/05/2020, Rv. 657807 -01: « il perito nominato dal giudice delegato ai fallimenti per la stima degli immobili del fallito risponde, a titolo di responsabilità extracontrattuale, nei confronti dell’aggiudicatario per il danno da questi patito in conseguenza dell’erronea valutazione del b ene qualora, nell’esecuzione COGNOME prestazione, non osservi la diligenza professionale qualificata richiesta -ex artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. -allo specialista in relazione alla natura dell’attività esercitata ed alle circostanze concrete del caso, incombendo, comunque, sul medesimo professionista di dare la prova COGNOME particolare difficoltà COGNOME detta prestazione »).
1.2.2 È, poi, appena il caso di rilevare che, anche se fosse stata necessaria la colpa grave ai fini COGNOME responsabilità dei convenuti, non sarebbe stato certo il giudice di primo grado a doverne ‘ fornire ‘ la prova -come pare affermare la corte d’appello, con una formulazione dell’argomentazione logica e giuridica a sostegno COGNOME sua decisione che appare quanto meno oscura -ma i danneggiati.
Di conseguenza, la disposizione di cui all’art. 64 c.p.c. avrebbe dovuto essere ritenuta correttamente applicata dal giudice di primo grado, laddove quest’ultimo, valutando le prove, avesse ritenuto sussistente tale prova.
Ed è la stessa corte d’appello a riconoscere che il tribunale aveva, in effetti, espressamente ritenuto sussistere la colpa grave dei convenuti (si vedano i righi 5 e 6 dei ‘ Motivi COGNOME decisione ‘) .
D’altra parte, la corte d’appello, nella parte COGNOME decisione qui in esame, neanche effettua una motivata diversa valutazione delle prove, sul punto, limitandosi ad affermare che il tribunale non avrebbe ‘ fornito la prova ‘ COGNOME colpa grave, formula verbale di cui si è già segnalata l’oscurità logica e giuridica e che, in ogni caso, risulterebbe quanto meno del tutto apodittica e, come tale, sarebbe da ritenere espressione di motivazione meramente apparente.
1.3 Va, inoltre, considerato che la parte COGNOME motivazione COGNOME sentenza impugnata in esame parrebbe esprimere una prima ed autonoma ratio decidendi , considerata dalla stessa corte d’appello in realtà assorbente di ogni altra questione sulla effettiva responsabilità dei convenuti, avendo riguardo alla loro stessa legittimazione sostanziale passiva in relazione all’azione proposta nei loro confronti (tanto che le successive considerazioni sulla effettiva diligenza nell’espletamento dell’incarico appaiono formulate esclusivamente ad abundantiam ).
Ma, per quanto fin qui esposto, e contrariamente a quanto sostengono i controricorrenti, almeno con riguardo al preteso presupposto COGNOME colpa grave dei consulenti, in realtà, tale parte COGNOME motivazione non è idonea ad esprimere alcuna effettiva, comprensibile e logica statuizione: non si può ritenere, infatti, che sia stata valutata ed esclusa la sussistenza COGNOME colpa grave (fatto salvo quanto di dirà in relazione alla seconda, successiva e autonoma ratio decidendi espressa nella seconda parte COGNOME motivazione).
Deve, dunque, ritenersi che la corte territoriale, esprimendo la indicata prima e autonoma ratio decidendi a sostegno COGNOME motivazione COGNOME statuizione finale, che è specificamente
censurata con il motivo di ricorso in esame (e a meno di non ritenere tale parte COGNOME motivazione del tutto insanabilmente viziata da contraddittorietà sul piano logico e, come tale, radicalmente nulla), abbia solo inteso escludere l’applicabilità dell’art. 64 c.p.c. , nel caso di specie, per il difetto di legittimazione passiva sostanziale dei convenuti rispetto a tale azione.
1.4 Ma, sotto tale ultimo profilo, il motivo di ricorso è manifestamente fondato.
È sufficiente considerare, in proposito, che l’art. 64 c.p.c., norma intitolata « responsabilità del consulente » e, quindi, destinata a regolare proprio i casi di responsabilità penale e civile del consulente tecnico (anche di quello nominato dal pubblico ministero in sede penale) nei confronti delle parti, al comma 2, ultimo periodo, afferma espressamente che « in ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti », facendo chiaro riferimento alla responsabilità risarcitoria gravante direttamente sullo stesso consulente per i danni provocati alle parti. Del resto, secondo lo stesso indirizzo di questa Corte, la responsabilità del consulente nei confronti delle parti è addirittura esclusiva e non concorre con quella COGNOME pubblica amministrazione COGNOME RAGIONE_SOCIALE (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 18313 del 18/09/2015, Rv. 636725 -01: « il consulente tecnico d ‘ ufficio svolge, nell ‘ interesse COGNOME RAGIONE_SOCIALE, funzioni ausiliarie del giudice di natura non giurisdizionale, sicché è obbligato a risarcire i danni cagionati in violazione dei doveri connessi all ‘ ufficio senza che sia ipotizzabile una concorrente responsabilità del RAGIONE_SOCIALE »).
Dunque, certamente non è conforme a diritto la conclusione COGNOME corte d’appello, secondo la quale tale disposizione non sarebbe applicabile nel caso di specie, in quanto i consulenti difetterebbero, in radice, « di legittimazione passiva rispetto alla pretesa avanzata dagli odierni appellati », in considerazione COGNOME loro posizione di ausiliari dell’autorità giudiziaria.
Il primo motivo del ricorso va, pertanto, accolto.
La seconda parte COGNOME motivazione COGNOME sentenza impugnata, come già chiarito, parrebbe intendere esprimere una ulteriore, autonoma ratio decidendi , valida a prescindere dalla prima, in quanto la corte d’appello esordisce con la seguente premessa: « anche laddove si dovesse ritenere applicabile al caso di specie l’art. 64 c.p.c. e provato il requisito soggettivo COGNOME colpa grave ».
Sembrerebbe, in altri termini, che tale seconda ratio decidendi sia enunciata dalla corte territoriale esclusivamente ad abundantiam , dal momento che il difetto di legittimazione dei convenuti rispetto alla domanda proposta contro di essi ai sensi dell’art. 64 c.p.c. sarebbe di per sé assorbente di ogni altra questione.
2.1 Anche il senso di questa seconda ratio decidendi appare quanto meno di ardua comprensione, sotto il profilo logico, dal momento che la corte d’appello prende le mosse dall’affermazione testuale per cui « anche laddove si dovesse ritenere … … provato il requisito soggettivo COGNOME colpa grave », cioè dalla premessa logica per cui i consulenti debbano assumersi (sia pure in via ipotetica) in colpa grave, per poi aggiungere, in modo quanto meno contraddittorio, che « appare viziato da illogicità il ragionamento del Tribunale secondo il quale la negligenza dei consulenti deve desumersi anche alla luce dei risultati positivi ottenuti dai RIS » e che « si rilevano in modo analogo illogiche le considerazioni del Tribunale circa la mancata analisi da parte dei periti dell’orologio indossato dalla vittima il giorno dell’omicidio ».
In altri termini, parrebbe che la corte intenda affermare che, anche ammessa l’applicabilità dell’art. 64 c.p.c. al caso di specie e la sussistenza COGNOME colpa grave dei consulenti convenuti nello svolgimento del loro incarico, vi sarebbero ulteriori ragioni
idonee a giustificare il rigetto COGNOME domanda proposte nei loro confronti.
Però, in realtà, le ragioni che espone successivamente non sono affatto tali da giustificare il rigetto COGNOME domanda anche una volta ammessa, in conformità alla premessa logica (ipotetica), la sussistenza COGNOME responsabilità per colpa grave dei consulenti ai sensi dell’art. 64 c.p.c., ma sembrano semplicemente argomentazioni volte ad escludere del tutto la loro negligenza, cioè addirittura anche la loro colpa lieve.
Si tratta, dunque, di argomentazioni del tutto incompatibili, sul piano logico, con la premessa (cioè, con la ammessa ipotetica sussistenza COGNOME loro colpa grave nello svolgimento dell’incarico).
2.2 Anche questa seconda parte COGNOME motivazione, potrebbe ritenersi, dunque, di per sé viziata da insanabile contraddittorietà sul piano logico e, come tale, radicalmente nulla.
Peraltro, anche a volere ‘interpretare’ la complessiva motivazione COGNOME decisione impugnata come se -nonostante la sua innegabile oscurità sul piano espositivo -la corte d’appello, oltre ad affermare l’inapplicabilità dell’art. 64 c.p.c., avesse in realtà semplicemente inteso escludere, in fatto, la negligenza dei consulenti nello svolgimento del loro incarico e, quindi, anche la stessa loro colpa lieve, le conclusioni finali non muterebbero.
2.3 La negligenza dei consulenti parrebbe, infatti, esclusa, nella sentenza impugnata, sotto due aspetti concreti dell’attività da essi svolta:
sotto l’aspetto dell’omesso esame dell’orologio indossato dalla vittima al momento dell’omicidio ( sul quale sono, poi, state rinvenute tracce biologiche dell’assassino, decisive ai fini COGNOME sua individuazione): in proposito, la corte d’appello ha ritenuto giustificato il mancato esame dell’orologio da parte dei consulenti convenuti, in quanto tale orologio, consegnato
spontaneamente agli organi inquirenti dal coniuge COGNOME vittima, non era stato oggetto di sequestro probatorio ai sensi dell’art. 253 c.p.p., sebbene esso fosse stato acquisito al procedimento e fosse presente tra i reperti sottoposti agli stessi consulenti; b) sotto l’aspetto del corretto esame del lenzuolo con il quale la vittima era stata strangolata, sul quale i consulenti convenuti non individuarono tracce biologiche dell’assassino, avendo proceduto a campione su un numero limitato di macchie di sangue, mentre successivamente, tali tracce furono riscontrate dai nuovi consulenti, ad un successivo esame svolto su un numero superiore di tali macchie: in proposito, la corte ha ritenuto che il riscontro delle tracce biologiche dell’assassino sul lenzuolo, da parte dei tecnici dei R.I.S. (nominati in sostituzione dei consulenti convenuti, per la rinnovazione delle operazioni tecniche dagli stessi già svolte senza esito), fosse riconducibile, da una parte, al ruolo di ‘soggetti inquirenti’ , e non di meri consulenti tecnici, dei suddetti RAGIONE_SOCIALE e, dall’altra parte, ai maggiori elementi di cui questi ultimi potevano disporre, grazie alle intercettazioni telefoniche acquisite successivamente in ordine all’esistenza di una ferita al gomito riportata dall’assassino, che avrebbero consentito di ‘ selezionare i reperti su cui eseguire gli esami ‘ e di ricercare le tracce biologiche dell’assassino, invece di quelle COGNOME vittima sugli abiti degli indagati.
Con riguardo ad entrambi tali aspetti concreti, la conformità a diritto COGNOME decisione impugnata viene in realtà contestata dai ricorrenti.
I motivi del ricorso si possono raggruppare ed esaminare congiuntamente, in relazione a tali due aspetti.
Quelli dal secondo al quinto riguardano, infatti, la questione dell’omesso esame dell’orologio; quelli dal sesto al nono, la questione dell’esame del lenzuolo.
Tali motivi risultano anch’essi fondati anche a prescindere dai già segnalati vizi logici COGNOME decisione impugnata -per le ragioni che saranno esposte di seguito.
Con il secondo motivo si denunzia « violazione e falsa applicazione dell’ art. 253 cpp in relazione all’ art. 360, comma l, n. 3 cpc ».
Con il terzo motivo si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’ art. 360, comma l, n. 5 cpc ».
Con il quarto motivo si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’ art. 360, comma l, n. 5 cpc ».
Con il quinto motivo si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’ art. 360, comma l, n. 5 cpc ».
I ricorrenti sostengono, in primo luogo (in particolare, con il secondo motivo), che la circostanza che l’orologio COGNOME vittima non fosse stato oggetto di sequestro, ai sensi dell’art. 253 c.p.p., non avrebbe affatto impedito il suo esame ai consulenti del pubblico ministero, incaricati di ricercare tracce biologiche dell’assassino sui reperti disponibili.
Sostengono, inoltre (con i successivi motivi), che la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare, sul punto, fatti controversi e decisivi, quali: a) la circostanza che il sequestro dell’orologio non era stato affatto richiesto dalle parti civili e negato dal pubblico ministero, come pare invece erroneamente affermato nella sentenza impugnata (terzo motivo); b) la circostanza che l’orologio era incluso tra i reperti posti a disposizione dei consulenti per gli esami a loro affidati dal pubblico ministero (av endo quest’ultimo conferito ai suddetti tecnici « ampio mandato al fine di analizzare tutti i reperti onde riscontrarvi l ‘ eventuale presenza di tracce biologiche degli indagati »; cfr. pag. 3 del ricorso, laddove si richiama il doc. 6 COGNOME produzione
allegata) tanto che essi, in effetti, acquisirono anche tamponi dello stesso, ma poi non ne effettuarono l’analisi (quarto motivo); c) la circostanza che, d’altra parte, l’incarico conferito successivamente ai nuovi consulenti (R.I.S.) aveva lo stesso identico oggetto del precedente e l’orologio venne da questi ultimi esaminato e analizzato (con il positivo riscontro delle tracce biologiche dell’assassino), senza che fosse intervenuto alcun provvedimento di sequestro (quinto motivo).
Come già chiarito, si tratta di motivi connessi, sul piano logico e giuridico, come tali da esaminare congiuntamente. Essi sono tutti fondati.
3.1 Si premette, in diritto, che il sequestro probatorio di cui all’art. 253 c.p.p. costituisce una misura cautelare il cui scopo è impedire la possibile dispersione delle prove: non si tratta, invece, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, di un provvedimento necessario per acquisire le cose pertinenti al reato sulle quali possono essere reperite prove COGNOME colpevolezza dell’indagato e sulle quali possono essere svolte le indagini dei consulenti tecnici del pubblico ministero. Già sotto tale aspetto, la decisione risulta, quindi, viziata.
3.2 Tanto premesso, è peraltro opportuno chiarire che la relativa questione di diritto (processuale penale), in realtà, non rileva direttamente ai fini dell ‘esito del presente ricorso.
Infatti, ciò che è rilevante ai fini COGNOME eventuale responsabilità civile dei consulenti del pubblico ministero convenuti nel presente giudizio è esclusivamente l’oggetto dell’incarico loro conferito.
Non spetta certo ai consulenti tecnici porre (e risolvere) questioni processuali relative alla regolare acquisizione di determinati reperti nel corso delle indagini, ma esclusivamente analizzare i reperti che il pubblico ministero li abbia incaricati di analizzare.
Sotto questo aspetto, quindi, risulta assorbente di ogni altra questione il rilievo per cui l’argomentazione espressa dalla corte d’appello in ordine alla necessità del sequestro, ai fini COGNOME responsabilità dei consulenti, deve considerarsi del tutto inconferente sul piano logico-giuridico: la corte non avrebbe affatto dovuto valutare se era avvenuta regolarmente, sotto il profilo processuale, l’acquisizione dell’orologio tra i reperti disponibili ai fini delle indagini, pur senza il suo formale sequestro (sequestro che, d’altra parte, avrebbe sempre potuto essere disposto anche successivamente, se necessario), ma esclusivamente se ai consulenti fosse stato dato l’incarico di ricercare le tracce biologiche degli indagati esaminando tutti i reperti disponibili, ovvero solo quelli già oggetto di sequestro probatorio.
3.3 Per completezza, è in ogni caso opportuno osservare che l’ampiezza dell’ambito dell’incarico affidato ai consulenti convenuti, diretto a ricercare tracce biologiche degli indagati su tutti i reperti disponibili (tra i quali l’orologio indossato dalla vittima, spontaneamente consegnato agli inquirenti dai familiari), parrebbe in realtà già potersi desumere dal fatto incontestato che lo stesso G.I.P. aveva disposto la riapertura delle indagini, tra l’altro proprio sul rilievo che non si era mai proceduto all’esame di tale orologio, nonché dal fatto che quest’ultimo era tra i reperti messi a disposizione dei predetti consulenti (che ne avevano anche tratto tamponi) e successivamente esso risulta essere stato analizzato dai nuovi consulenti, sulla base del medesimo mandato fornito ai primi, senza che nelle more fosse intervenuto alcun sequestro probatorio.
3.4 In definitiva, quindi, la decisione impugnata, sotto l’aspetto in esame, senz’altro non è conforme a diritto e va cassata, affinché si proceda, in sede di rinvio, ad una nuova valutazione COGNOME eventuale responsabilità dei consulenti convenuti, sulla base dei corretti presupposti di fatto e di diritto fin qui indicati, segnatamente sulla base COGNOME esatta individuazione dell’ambito
oggettivo dell’incarico ad essi affidato dal pubblico ministero, onde stabilire se tale incarico sia stato svolto in modo corretto e completo: e ciò a prescindere dalle questioni di rito processuale penale, rispetto alle quali i consulenti stessi, di fronte ad uno specifico incarico conferito dell’autorità giudiziaria, restano di regola estranei, non avendo certamente titolo per sindacare l’este nsione e la regolarità del proprio mandato (e potendo, al più, chiedere chiarimenti al pubblico ministero, in caso di dubbi sulla esatta individuazione dei limiti di detto mandato).
Con il sesto motivo si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’ art. 360, comma l, n. 5 cpc ».
Con il settimo motivo si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’ art. 360, comma l, n. 5 cpc ».
Con l’ottavo motivo si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’ art. 360, comma l, n. 5 cpc ».
Con il nono motivo si denunzia « omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’ art. 360, comma l, n. 5 cpc ».
4.1 In primo luogo, si rileva che i motivi di ricorso in esame potrebbero addirittura ritenersi logicamente assorbiti in virtù del l’accoglimento dei precedenti , considerando che il solo esame dell’orologio sarebbe stato presumibilmente sufficiente, anche da solo, ad impedire l’evento dannoso, cioè la necessità di rinnovare le indagini tecniche alla ricerca di tracce biologiche dell’indagato .
In ogni caso, anche in questo caso si tratta di motivi connessi, sul piano logico e giuridico, come tali valutabili congiuntamente, che risultano tutti fondati.
4.2 I ricorrenti sostengono che la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare, sul punto relativo alla valutazione delle
modalità dell’ esame tecnico del lenzuolo con cui era stata strangolata la vittima, fatti controversi e decisivi, quali:
la circostanza che i R.I.S. erano stati successivamente incaricati quali meri consulenti tecnici scientifici del pubblico ministero, sulla base di un mandato identico a quello conferito ai convenuti e non erano state loro affatto delegate indagini, quali organi di polizia giudiziaria;
la circostanza che la ferita al gomito dell’indagato, risalente all’epoca dell’omicidio, era in realtà già nota, risultando dagli atti delle indagini svolte anni prima (segnatamente: dall’interrogatorio dell’indagato e dalle consulenze svolte sulla sua persona) e non era affatto emersa da successive intercettazioni telefoniche, che, in ogni caso, erano state effettuate anch’esse anni addietro, al tempo delle prime indagini, mentre la loro traduzione in italiano era stata effettuata solo successivamente allo svolgimento delle indagini dei R.I.S.;
la circostanza che, in definitiva, gli elementi che secondo la corte d’appello avrebbero consentito ai RAGIONE_SOCIALE di indirizzare le proprie indagini su una parte circoscritta del lenzuolo erano già noti anche ai convenuti, quando fu loro conferito l’incarico.
4.3 E ffettivamente, la corte d’appello non risulta avere considerato adeguatamente le circostanze di fatto indicate dai ricorrenti.
4.3.1 In primo luogo, pare pacifico -in effetti neanche gli stessi controricorrenti lo contestano specificamente -che ai RAGIONE_SOCIALE venne conferito il medesimo incarico di consulenza già loro conferito, e non una vera e propria delega di indagini.
Dunque, i RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. vennero incaricati di rinnovare le operazioni di consulenza già svolte, evidentemente in modo non ritenuto soddisfacente, dai convenuti.
Di conseguenza, sul piano logico, l’ affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui gli esiti differenti di tali indagini possano essere derivati dalla natura di organi investigativi
degli stessi R.I.S., denota, quanto meno, l’omesso esame di tale circostanza di fatto.
4.3.2 Inoltre, risulta altrettanto pacifico, in fatto:
che le intercettazioni telefoniche da cui emergevano gravi indizi nei confronti di quello che poi risulterà essere l’assassino (il quale aveva contattato telefonicamente un potenziale ricettatore de i gioielli sottratti alla vittima in occasione dell’omicidio) erano state effettuate nel corso delle indagini svolte nell’immediatezza dei fatti;
che tali intercettazioni (per le conversazioni in lingua straniera) furono traAVV_NOTAIOe in italiano solo successivamente, dopo lo svolgimento dell’incarico da parte dei RAGIONE_SOCIALE.;
che la ferita al gomito dell’assassino era già nota ( emergendo dal suo primo interrogatorio) e, comunque, che essa di certo non era emersa dalle intercettazioni telefoniche, nel periodo di tempo tra l’incarico conferito ai convenuti e quello conferito ai R.I.S..
Di conseguenza , l’affermazione COGNOME corte territoriale secondo cui questi ultimi disponevano di maggiori elementi utili ad indirizzare le indagini scientifiche loro commissionate sconta anch’essa la mancata considerazione di fatt i decisivi e controversi.
I controricorrenti sostengono che, in realtà, le traduzioni delle intercettazioni erano già state rese note ai RAGIONE_SOCIALE in via ufficiosa mentre svolgevano il loro incarico, ma ciò non è documentato in alcun modo, né risulta che tale questione venne in qualche modo posta nel corso del giudizio di merito, trattandosi, quindi, eventualmente di una questione nuova di fatto, non valutabile nella presente sede.
4.3.3 Più radicalmente, comunque, deve ritenersi addirittura assorbente di ogni altra questione la considerazione che, ai fini COGNOME presente controversia, non è rilevante se i R.I.RAGIONE_SOCIALE. abbiano regolarmente svolto il loro incarico, con riguardo all’esame del
lenzuolo, e se tale incarico sia risultato più o meno agevole e, tanto meno, può considerarsi decisivo il confronto tra l’attività svolta dai RRAGIONE_SOCIALE. e quella svolta dai convenuti.
La corte d’appello avrebbe , infatti, dovuto esclusivamente valutare:
se i consulenti convenuti avessero svolto in modo diligente l’incarico ad essi conferito, con riguardo all’esame del lenzuolo, accertando, cioè, se -sul piano scientifico e COGNOME diligenza dovuta nell’adempimento COGNOME prestazione le analisi effettuate a campione per la ricerca delle tracce biologiche esistenti su detto lenzuolo fossero sufficienti come numero e se i campioni da esaminare fossero stati individuati e prelevati in modo corretto dallo stesso lenzuolo (anche con riguardo alla loro posizione), sul piano COGNOME tecnica professionale, in considerazione degli elementi disponibili (in questo modo accertando o escludendo una conAVV_NOTAIOa colposa dei medesimi consulenti sul piano professionale);
laddove vi fossero state negligenze, se le analisi compiute correttamente avrebbero, con sufficiente grado di probabilità (cioè, in base al criterio di accertamento del nesso causale cd. del ‘ più probabile che non ‘ ), determinato il risultato del positivo riscontro delle tracce biologiche dell’omicida sul lenzuolo ed impedito l’evento dannoso, cioè la necessità di ripetere tali indagini (in questo modo accertando, o negando, il nesso di causa tra conAVV_NOTAIOa colposa o, comunque, inadempiente, ed evento dannoso).
4.3.4 Dunque, anche sotto l’ aspetto in esame la decisione impugnata risulta carente, con riguardo al corretto e completo esame dei fatti decisivi e controversi e/o alla coerenza logica dell’argomentazione.
Sulla base di tutto quanto sin qui esposto, il ricorso va senz’altro accolto , affinché i fatti effettivamente decisivi, ai fini dell’eventuale affermazione COGNOME responsabilità dei consulenti
convenuti (vale a dire la loro conAVV_NOTAIOa colposa ed il nesso di causa con l’evento dannoso) siano nuovamente, correttamente e adeguatamente valutati in sede di rinvio, sulla base di quanto chiarito in motivazione.
Il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata, con rinvio alla Corte d’a ppello di Roma, in diversa composizione,