Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27158 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 27158  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/10/2025
Oggetto
Responsabilità professionale – Consulente del lavoro
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25370/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e da ll’AVV_NOTAIO , domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata  e  difesa  dall’AVV_NOTAIO , domiciliata  digitalmente ex  lege ed  elettivamente  domiciliata  ai  fini della presente causa, in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte  d’Appello  di Firenze,  n.  2096/2023, depositata in data 17 ottobre 2023.
Udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  17  settembre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Firenze, il AVV_NOTAIO NOME COGNOMECOGNOME proprio consulente del lavoro a far data dal 1° gennaio 2015, chiedendone la condanna al risarcimento del danno subì to a causa del negligente adempimento dell’incarico conferitogli nel marzo dello stesso anno di curare le pratiche di assunzione di due dipendenti con la fruizione degli sgravi contributivi previsti dalla legge, esponendo essa istante al successivo recupero da parte dell’RAGIONE_SOCIALE di tali sgravi a causa della esistenza di irregolarità contributive pregresse non sanate nei termini a tal fine concessi dallo stesso Istituto previdenziale, come da relative comunicazioni inviate a mezzo p.e.c. al COGNOME, ma da lui non trasmesse alla societ à̀ .
Con sentenza n. 1054 del 2021 il Tribunale rigettò la domanda, avendo ritenuto  che  la  responsabilità  per  le  irregolarità  contributive fosse  imputabile  alla  società  stessa;  in  accoglimento  della  domanda riconvenzionale del convenuto condannò, invece, la società attrice al pagamento in suo favore dell’importo di Euro 3.000,13, per compensi maturati, oltre che alle spese processuali.
In parziale accoglimento del gravame interposto da RAGIONE_SOCIALE e in parziale riforma di tale decisione la Corte d’appello di Firenze, con sentenza n. 2096/2023, depositata in data 17 ottobre 2023, ha accolto la domanda risarcitoria liquidando il danno nell’ importo di Euro 12.000,00, ridotto poi ad Euro 9.000,00 per compensazione con il credito di Euro 3.000,00 la cui spettanza all’appellato , a titolo di compensi professionali, ha confermato rigettando il relativo motivo di gravame. Ha quindi disposto la compensazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio per il 50%, ponendo la restante quota a carico del COGNOME.
3.1. La Corte fiorentina ha così ricostruito, sulla base delle prove
acquisite, la cronologia dei fatti rilevanti:
-il  24  novembre 2014  l’RAGIONE_SOCIALE  emette  cartella  di  pagamento, notificata a mezzo posta raccomandata direttamente a RAGIONE_SOCIALE, per  il  recupero  di  contributi  previdenziali  omessi  relativi  al  mese  di aprile 2014, per il complessivo importo di euro 4.081,09;
-il 29 maggio 2015 l’RAGIONE_SOCIALE invia a RAGIONE_SOCIALE, tramite cassetto previdenziale, l’invito a regolarizzare entro quindici giorni la posizione contributiva con riferimento al mese di dicembre 2014, avvisandola che, se non fossero state sanate entro trenta giorni, le irregolarità riscontrate avrebbero impedito alla società il godimento dei benefici previdenziali del mese di maggio 2015 e pregressi; l ‘invito viene comunicato via e-mail a COGNOME NOME, nella veste di ‘intermediario’ e comunque tenutario del cassetto previdenziale;
-il 30 maggio 2015 COGNOME NOME trasmette la nota suindicata alla RAGIONE_SOCIALE;
-i l 7 giugno 2015 l’RAGIONE_SOCIALE comunica a RAGIONE_SOCIALE il differimento dei termini relativi all’invito a regolarizzare la posizione previdenziale (da quindici a trenta giorni);
-in data 8 giugno 2015 COGNOME NOME trasmette la nota, via e-mail, alla RAGIONE_SOCIALE;
-in data 8 settembre 2018 l’RAGIONE_SOCIALE trasmette una nota di rettifica con  la  quale  comunica  di  procedere  al  recupero  per  irregolarità contributiva pregressa degli sgravi concessi per euro 11.106,46, oltre sanzioni civili pari a euro 931,25 per il complessivo importo di euro 12.037,71;
-l’ 11  settembre  2018  COGNOME  comunica  ad  RAGIONE_SOCIALE  il recupero, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, degli sgravi nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per il periodo compreso fra settembre 2016 e dicembre 2017.
3.2. Ciò premesso, la Corte toscana ha riconosciuto la responsabilità del COGNOME per non aver verificato preventivamente l’assenza  di  pendenze  contributive  e  per  aver  omesso  di  informare
direttamente  RAGIONE_SOCIALE  degli  avvisi  di  regolarizzazione  inviati dall’RAGIONE_SOCIALE ,  respingendo  le  tesi  difensive  dell’appellato  sulla  base  dei seguenti rilievi:
-non vi è prova del fatto che la societ à̀ fosse stata resa edotta dell’invito a regolarizzare la posizione entro il termine di trenta giorni, in quanto la nota dell’I nps, comunicata via e-mail a COGNOME, venne girata alla RAGIONE_SOCIALE ma non anche alla società effettiva destinataria;
-non è provato che il COGNOME avesse avvisato telefonicamente la società: non è specificato con chi e quando egli avrebbe parlato e d’altra  parte  è  assai  strano  che  RAGIONE_SOCIALE,  resa  edotta  della questione, non si sia in alcun modo attivata, per esempio chiedendo di regolarizzare la sua posizione, anche a mezzo di un pagamento rateale, considerato  il  grave  rischio  che  avrebbe  corso  nel  caso  non  avesse ottemperato all’avviso di m essa in mora;
-non  è  al  riguardo  invocabile  il  principio  di  non  contestazione perché,  dalla  valutazione  complessiva  delle  tesi  sostenute  da  parte attrice,  si  evince  come  RAGIONE_SOCIALE  abbia  sempre  negato  di  aver appreso dell’avviso rivoltole dall’RAGIONE_SOCIALE;
-è palese il profilo colposo nella condotta di parte convenuta che, dopo aver girato la mail alla RAGIONE_SOCIALE, non si è poi preoccupata di apprendere se anche RAGIONE_SOCIALE, che avrebbe dovuto effettuare il pagamento, fosse stata informata, nonostante il termine fosse stato prorogato;
-il  consulente del lavoro, comunque, ancor prima di avviare le pratiche per l’assunzione di nuovi dipendenti, con i benefici previdenziali previsti dalla legge, avrebbe dovuto informarsi previamente  dell’esistenza  di  eventuali  pendenze  contributive  della società;
-il convenuto era stato certamente reso edotto dell’esistenza della cartella  notificata  nel  mese  di  novembre  2014  nel  momento  in  cui
aveva  ricevuto  dall’RAGIONE_SOCIALE,  quale  tenutario  del  cassetto  previdenziale, l’intimazione di pagamento ;
-non è determinante la circostanza che RAGIONE_SOCIALE fosse comunque venuta a conoscenza della cartella di pagamento inviata dall’I RAGIONE_SOCIALE, come è comprovato dall’avere essa poi ri chiesto la rateizzazione per il pagamento, in quanto tale richiesta è stata inoltrata ben oltre la data del l’ 8 luglio 2015, quando era ormai scaduto il termine per regolarizzare la posizione contributiva e la società aveva perso la possibilità di conservare i benefici contributivi; risulta, per contro, che soltanto nel 2018 a RAGIONE_SOCIALE venne comunicata la perdita dei benefici previdenziali disposta dall’I RAGIONE_SOCIALE in seguito alla decadenza dovuta alla mancata regolarizzazione dei versamenti;
-non può ritenersi decisivo il fatto che RAGIONE_SOCIALE sapesse che la cartella del 24 novembre 2014 veniva gestita dalla RAGIONE_SOCIALE, in quanto ciò non avrebbe fatto venir meno l’obbligo, in capo a COGNOME, di  tenere  informata  RAGIONE_SOCIALE dell’avviso  di  messa  in  mora comunicatogli dall’I RAGIONE_SOCIALE o, comunque, di assicurarsi che la societ à fosse stata tempestivamente informata;
-l’esistenza di una collaborazione fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto escludere il rapporto diretto fra il medesimo COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, anche perché il consulente del lavoro deve comunque tenere informata in primis la società di cui è tenuto a curare gli interessi, avuto riguardo al rapporto con i dipendenti; in ogni caso, il COGNOME è venuto meno all’obbligo di preventiva informazione della società sulla necessit à di non avere pendenze con l’I nps per poter usufruire di benefici previdenziali, circostanza che COGNOME avrebbe dovuto e potuto previamente verificare, mediante un semplice collegamento telematico con l’RAGIONE_SOCIALE.
 Avverso  tale  decisione  NOME  COGNOME  propone  ricorso  per cassazione articolando nove motivi, cui resiste RAGIONE_SOCIALE depositando controricorso.
 La  trattazione  è  stata  fissata  in  adunanza  camerale  ai  sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero. Il ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
 Con  il  primo  motivo  il  ricorrente  denuncia  « omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. in relazione al ruolo di RAGIONE_SOCIALE quale medium per le comunicazioni  tra professionista e RAGIONE_SOCIALE ».
La  censura  investe  la  sentenza  impugnata  nella  parte  in  cui, nell’esaminare i rapporti fra i vari soggetti, afferma che « l’esistenza di una collaborazione tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto  escludere  il  rapporto  diretto  tra  il  medesimo  COGNOME  e  la RAGIONE_SOCIALE »  e  che,  comunque,  COGNOME  avrebbe  dovuto  assicurarsi della ricezione delle informative da parte della cliente.
Lamenta il ricorrente che tale motivazione non tiene conto del fatto, dedotto sin dal primo grado ed emergente da due e-mail della stessa società prodotte in atti ─ una del 16 novembre 2015 con oggetto ‘RAGIONE_SOCIALE‘, da cui si desume, in thesi , che RAGIONE_SOCIALE trasmetteva gli avvisi RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE » ( sic ) e non a COGNOME; l’altra del 4 agosto 2015, anch’essa veicolo di trasmissione di avvisi RAGIONE_SOCIALE alla sola RAGIONE_SOCIALE e non a COGNOME ─ che, per quanto riguarda le comunicazioni, egli non aveva alcun rapporto diretto con RAGIONE_SOCIALE, essendo lo stesso sempre mediato dalla RAGIONE_SOCIALE, del quale emergeva il ruolo di intermediario nelle comunicazioni tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha espressamente tenuto conto dell’esistenza di rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ma  l’ha giudicata motivatamente inidonea ad escludere l’inadempimento del COGNOME nei confronti della società, evidenziando ─ come del resto ricorda lo
stesso ricorrente nella illustrazione del motivo ─ che quel rapporto non la esonerava dal riferire direttamente a RAGIONE_SOCIALE gli inviti e gli avvisi dell’RAGIONE_SOCIALE e soprattutto di informarsi, ancor prima di avviare le pratiche per l’assunzione di nuovi dipendenti con i benefici previdenziali previsti per legge, circa l’esistenza di eventuali pendenze contributive e correlativamente informarla del rilievo impeditivo di tali pendenze e del connesso pericolo di successivi recuperi degli sgravi da parte dell’ente previdenziale, con le conseguenti sanzioni.
La  Corte  d’appello,  dunque,  lungi  dal  non  considerare  l’attività svolta  da  RAGIONE_SOCIALE  la  considera  irrilevante,  ma  di  tale valutazione  di  irrilevanza  la  censura  si  disinteressa,  non  svolgendo alcun argomento critico ad essa specificamente riferito, ma limitandosi a prospettare implicitamente una oppositiva valutazione di rilevanza, con  ciò  comunque  ponendosi  bel  al  di  fuori  del  paradigma  censorio dell’evocato vizio di omesso esame.
L’assunto implicitamente sotteso alla censura è che vi fosse tra le parti un accordo per cui il consulente fosse autorizzato da RAGIONE_SOCIALE a interfacciarsi per qualsiasi comunicazione inerente al suo incarico solo ed esclusivamente con RAGIONE_SOCIALE alla quale era al contempo attribuito un potere di rappresentanza della società RAGIONE_SOCIALE nei rapporti con il consulente del lavoro, ma tale ‘fatto’ (vale a dire l’esistenza di un mandato di rappresentanza del quale fosse stato reso anche edotto il consulente del lavoro) ha una identità oggettiva ben diversa da quello dell’esistenza di mere interlocuzioni per e-mail tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE da un lato e il RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE dall’altro (di per sé, come detto, certamente considerato in sentenza ma ritenuto irrilevante).
Della prospettazione in giudizio  di una tale fatto oggettivamente diverso non emerge traccia alcuna in sentenza, né il ricorrente indica, tanto meno nel rispetto degli oneri di specificità imposti dall’art. 366 n. 6 c.p.c., se, come e quando fosse stato specificamente dedotto.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia « violazione di legge ex art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 115 c.p.c. per non aver ritenuto provati fatti non contestati ».
Il riferimento è anzitutto alla circostanza ─ dedotta nella memoria ex art. 183, sesto comma, num. 2, c.p.c. e che si dice non contestata nella prima difesa successiva, ovverosia nella memoria ex art. 183, sesto comma, num. 3, c.p.c. ─ secondo cui egli non aveva « rapporto diretto con RAGIONE_SOCIALE ma soltanto con la RAGIONE_SOCIALE, la quale fungeva da ‘commercialista’, accedeva alle p.e.c. aziendali, raccoglieva le presenze mensili dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE che girava a COGNOME per l’elaborazione delle buste paga ».
Ma altro error in procedendo dello stesso tipo è dedotto anche in relazione  alla  ritenuta  mancanza  di  prova  a  supporto  della  dedotta esistenza  di  una  chiamata  telefonica  da  RAGIONE_SOCIALE  a  RAGIONE_SOCIALE contestuale all’avviso RAGIONE_SOCIALE del 29 maggio 2015.
Rileva in proposito il ricorrente che:
– in realtà, egli aveva specificatamente indicato nella comparsa di costituzione e risposta di aver parlato con la società (sottinteso, con il legale rappresentante dell’epoca) e aveva anche aggiunto che RAGIONE_SOCIALE  era  comunque  già  informata  dell’avviso  RAGIONE_SOCIALE  giunto  per  p.e.c. all’indirizzo elettronico aziendale (e non solo alla p.e.c. del consulente lavoro);
tali circostanze non erano state specificamente contestate dalla controparte nella memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, c.p.c..
2.1. Il motivo è inammissibile.
La  natura  di  vizio  processuale  per  violazione  del  principio  di  cui all’art.  115  c.p.c.  consente  e  impone  bensì  a  questa  Corte,  quale giudice del fatto processuale, di verificare se in tal modo la Corte di merito abbia fatto retto governo della regola processuale evocata.
Al riguardo, però, è pur sempre necessario che il ricorrente metta la  Corte  di  cassazione  in  grado  di  svolgere  con  immediatezza  tale
verifica  e  senza  necessità  di  previa  compulsazione  degli  atti  del processo nel rispetto degli oneri imposti 366, primo comma, n. 6, e 369,  secondo  comma,  n.  4,  c.p.c.  (v.  Cass.  Sez.  U  22/05/2012,  n. 8077).
A tal fine, in particolare, ove si denunci, come nella specie, l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dalla assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, il ricorrente deve indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto attraverso la specifica indicazione, da un lato delle allegazioni fattuali che si assumono non specificamente contestate dalla controparte, dall’altro de l contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, evidenziando in modo puntuale la genericità o l’eventuale totale assenza di contestazioni sul punto (v. Cass. n. 12840 del 22/05/2017).
Nella specie, tale ultimo onere non risulta rispettato, essendosi il ricorrente limitato a richiamare gli atti difensivi di controparte ma senza tuttavia offrirne specifica indicazione del contenuto né delle ragioni per le quali da esso dovrebbe desumersi l’assenza di contestazioni sul punto in questione; indicazione nella specie tanto più necessaria avendo la Corte di merito espressamente escluso possa utilmente invocarsi il principio di non contestazione in relazione alle circostanze in oggetto, sul rilievo – con il quale il ricorrente omette di confrontarsi – che « dalla valutazione complessiva delle tesi sostenute da parte attrice, si evince come RAGIONE_SOCIALE ha sempre negato di aver appreso dell’avviso rivoltole dall’RAGIONE_SOCIALE ».
2.2. È appena il caso di aggiungere, poi, quanto alla allegazione relativa ai rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che:
─ l’onere di specifica contestazione riguarda, ex artt. 167 c.p.c. e 183, sesto comma, num. 1, c.p.c. (nel testo previgente,  applicabile
ratione temporis ), le allegazioni fattuali tempestivamente introdotte in giudizio e tali non sono certamente quelle contenute nella memoria ex art.  183,  sesto  comma,  num.  2,  concesso  (solo)  per  « replicare  alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le  eccezioni  che  sono  conseguenza  delle  domande  e  delle  eccezioni medesime  e  per  l’indicazione dei mezzi  di prova e produzioni documentali » (cfr. Cass., Sez. 2, 25/01/2022, n. 2223);
─  quand’anche  tali  rapporti  potessero  ritenersi  oggetto  di  non contestazione, varrebbero le considerazioni sopra svolte circa la non decisività della circostanza, donde l’inammissibilità del motivo, per tale parte, anche ai sensi dell’art. 360bis n. 2 c.p.c..
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia « violazione di legge in relazione all’art. 115 c.p.c. in tema di interpretazione della eccezione ex art. 1227 c.c. avanzata da questa difesa ».
Lamenta  che  la  Corte  di  merito  non  abbia  esaminato  nella  sua interezza l’eccezione formulata a pag. 4 della comparsa di risposta in primo  grado  là  dove  si  deduceva  che  il  mancato  rispetto  della rateazione  concordata,  avvenuto  nel  2018,  aveva  determinato  la decadenza con notifica di ulteriori cartelle con sanzioni e interessi.
Deduce che la Corte, nel limitare il proprio esame ai fatti del 2015, e  nel  basarsi  sulla  sola  asserita  omessa  comunicazione  da  parte dell’esponente  (e  sugli  asseriti  obblighi  di  rapportarsi  con  RAGIONE_SOCIALE quale committente) non ha correttamente interpretato la suddetta eccezione, con conseguente violazione dell’art. 115 c.p.c. in tema di interpretazione della domanda giudiziale.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato, quando non inammissibile.
Non è chiara anzitutto – in quanto non illustrata in ricorso –  la rilevanza, rispetto al tema di lite (che riguarda, conviene ricordarlo, l’ascrivibilità a responsabilità professionale del danno rappresentato dal recupero, con le connesse sanzioni, degli sgravi contributivi di cui la
società ha beneficiato per l’assunzione di due dipendenti nel marzo del 2015)  della  questione  ad  oggetto  della  eccezione  di  cui  si  lamenta l’omesso esame: con la quale -si dice- si era rappresentata l’esistenza di  ulteriori  addebiti  comunicati  dall’ente  previdenziale  nascenti  dal mancato rispetto della rateizzazione richiesta dalla società successivamente al luglio del 2015.
In ogni caso, è da escludere che al riguardo possa fondatamente dedursi un vizio di omessa pronuncia da parte della Corte di merito su tale eccezione (tale è nella sostanza l’oggetto della doglianza, al di là dell’improprio riferimento in rubrica all’art. 115 c.p.c.) non risultando che la stessa, che si dice proposta in primo grado, sia stata riproposta in appello né ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (ove si fosse trattato di eccezione rimasta assorbita, come è probabile, in primo grado), né con appello incidentale condizionato (ove tale eccezione fosse stata espressamente considerata, e rigettata, dal primo giudice), nulla al riguardo deducendosi nella illustrazione del motivo.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia « violazione di legge ex art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 115 c.p.c. e 1362 e segg. c.c. per quanto riguarda la quantificazione del danno in relazione all’interpretazione della nota RAGIONE_SOCIALE 8.09.2018 ed in relazione alla mancata prova dello stesso ».
Lamenta  che  la  quantificazione  del  danno  sia  erroneamente ricavata in sentenza dalla  summenzionata nota dell’RAGIONE_SOCIALE dell’8 settembre 2018, che in realtà non la contiene.
Rileva al riguardo che:
 in  tale  nota  in  più  occasioni  si  fa  riferimento  a  tre  o  più dipendenti, mentre l’errore professionale attribuito ad esso ricorrente riguarda gli sgravi indebitamente ottenuti per due dipendenti, per cui non è dato capire quale sia l’importo costituente danno;
essa  presenta  inoltre  addebiti  per  numerose  causali  e  non  è indicato quali siano riferibili alla vicenda per cui è causa;
tali addebiti si estendono ad un periodo oltremodo lungo (sino al settembre 2017), senza che vi sia prova che si abbia a riferimento il recupero dei contributi non dovuti oggetto della presente lite.
Sostiene  che  l’interpretazione  data  dalla  Corte  al  contenuto  del documento non risponde ai criteri di interpretazione ex artt.  1362 e segg.  c.c.  (ed  in  particolare  al  tenore  letterale  dello  stesso),  dal momento che da esso non risultano né la somma di Euro 12.000, né le relative causali.
Lamenta,  inoltre,  con  una  seconda  censura,  che  la  Corte  abbia liquidato il danno in mancanza di prova del pagamento di tale importo da parte della società.
4.1.  Il  motivo  è  inammissibile  con  riferimento  ad  entrambe  le censure al suo interno svolte.
4.1.1.  La  prima  di  esse  esibisce  una  consistenza  prettamente meritale, diretta com’è a contestare una valutazione circa la conducenza  ed  efficacia  probatoria  di  un  documento,  riservata  al giudice del merito.
Il ricorrente si limita ad affermare, in modo inammissibilmente apodittico, il preteso tradimento, da parte dei giudici di merito, del senso letterale delle parole (ai sensi dell’art. 1362 c.c.), orientando l’argomentazione critica rivolta nei confronti dell’interpretazione della Corte territoriale, non già attraverso la prospettazione di un’obiettiva e inaccettabile contrarietà, a quello comune, del senso attribuito alle parole interpretate, o della macroscopica irrazionalità o intima contraddittorietà dell’interpretazione complessiva dell’atto, bensì attraverso l’indicazione degli aspetti della ritenuta non condivisibilità della lettura interpretativa criticata, rispetto a quella ritenuta preferibile, in tal modo travalicando i limiti propri del vizio della violazione di legge ( ex art. 360 c.p.c., n. 3) attraverso la sollecitazione della Corte di legittimità ad una non consentita rinnovazione della valutazione di merito.
4.1.2. La seconda censura è parimenti inammissibile.
Essa  introduce  infatti  una  questione  implicante  accertamenti  di fatto (quella del mancato pagamento delle somme oggetto di indebito sgravio e di conseguente recupero da parte dell’RAGIONE_SOCIALE), che non risulta in alcun modo trattata né posta all’attenzione del giudice di merito.
Va al riguardo rammentato che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo a questa Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (v., tra le tante, Cass. n. 15430 del 2018).
Difatti, il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare  la  difformità  della  decisione  del  giudice  di  merito  dalle norme e dai principi  di  diritto,  sicché  sono  precluse  non  soltanto  le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (tra le molte, Cass. n. 15196 del 2018; n. 31227 del 2019).
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia « violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 1223 c.c. in ordine alla valutazione della conoscibilità del debito contributivo risalente al 2014 ».
Il motivo investe la sentenza impugnata là dove afferma che, quale tenutario del cassetto previdenziale, il COGNOME avrebbe dovuto essere edotto della esistenza dell’avviso di pagamento del 2014 e gli addebita di  essere  venuto  « meno all’obbligo  di  preventiva  informazione  della società  sulla  necessità  di  non  avere  pendenze  con  l’RAGIONE_SOCIALE  per  poter
usufruire  di  tali  benefici  previdenziali,  circostanza  che  …  avrebbe dovuto previamente verificare ».
Sostiene  che,  ove  a  tali  affermazioni  debba  intendersi  attribuito valore  fondante  della  riconosciuta  responsabilità  da  inadempimento, tale  conclusione  dovrebbe dirsi erronea per violazione dell’art. 1223 cod. civ. dal momento che « l’asserito danno lamentato ex adverso non è conseguenza immediata e diretta di tale presunto inadempimento », ma piuttosto della mancata regolarizzazione dei pregressi inadempimenti, contestati dall’RAGIONE_SOCIALE con missive 29 maggio 2015  e del 1° giugno 2016.
A tal riguardo rileva che la produzione in primo grado di tali missive da parte della controparte prova che RAGIONE_SOCIALE già conosceva nel 2015 (e non nel 2018) l’invito dell’Istituto a regolarizzare la posizione degli sgravi contributivi concessi, essendo in possesso dei documenti cartacei.
5.1. Il motivo è inammissibile in quanto postula un accertamento di fatto (vale a dire la prova che RAGIONE_SOCIALE già conoscesse nel 2015 l’invito  a  regolarizzare  la  posizione  degli  sgravi  concessi)  diverso  da quello contenuto in sentenza.
La  critica,  dunque,  investe  non  la  qualificazione  giuridica  della fattispecie ma la ricognizione stessa della fattispecie concreta, quale emergente dalle prove raccolte così come valutate dai giudici d’appello.
Va rammentato al riguardo che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., giusta il disposto di cui all’art. 366, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando
altrimenti consentito alla  RAGIONE_SOCIALE  di  adempiere  al  proprio  compito istituzionale  di  verificare  il  fondamento  della  denunziata  violazione (Cass.  nn.  16132/05,  26048/05,  20145/05,  1108/06,  10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13).
In altri termini, non è il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina  l’esistenza  del  vizio  di  cui  all’art.  360  c.p.c.,  n.  3  ma l’impostazione  giuridica  che,  espressamente  o  implicitamente,  abbia seguito  il  giudice  di  merito  nel  selezionare  le  norme  applicabili  alla fattispecie e nell’interpretarle.
 Con  il  sesto  motivo  il  ricorrente  denuncia  « violazione  e  falsa applicazione di legge ex art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. in relazione all’art.  1227  c.c.,  del  D.M.  30.01.2015,  dell’art.  1  comma  1175  L. 296/2006,  e  dell’art.  115  c.p.c.  con  riferimento  alla istanza  di rateazione 3.12.2015 ed ai suoi effetti ».
Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che la successiva presentazione di una istanza di rateazione da parte di  RAGIONE_SOCIALE,  avvenuta  in  data  3  dicembre  2015,  è  « non determinante, in quanto la richiesta è stata inoltrata ben oltre la data del 8 luglio 2015, quando  caduto il termine per regolarizzare la posizione contributiva e la RAGIONE_SOCIALE aveva perso la possibilità di evitare di perdere i benefici contributivi ».
Deduce che tale motivazione implica violazione sia dell’art. 1227 cod. civ. (dato il comportamento colposo della asserita danneggiata), sia dell’art. 115 c.p.c. (per non avere la Corte tenuto conto delle doglianze dell’appellata sul punto), sia della normativa previdenziale, ed in particolare del d.m. 30 gennaio 2015, art. 3, comma 2, e dell’art. 1, comma 1175, legge n. 296 del 2006, che subordina il diritto a benefici contributivi alla presenza del DURC, con sospensione (e non decadenza) dagli stessi.
Sostiene  che,  in  base  a  tale  normativa,  la  presentazione  della richiesta di rateazione in data 3 dicembre 2015, se rispettata, avrebbe
sterilizzato gli effetti della vicenda, limitando di gran lunga i danni ai soli  periodi  (iniziali)  di  mancanza  del  Durc,  come  comprovato anche dalla stessa comunicazione dell’RAGIONE_SOCIALE del 29 maggio 2015.
Rileva inoltre, con una seconda censura, che per quanto riguarda il recupero dei contributi e le sanzioni successive al 2015, per il periodo in cui RAGIONE_SOCIALE era priva del DURC, per non aver rispettato una rateazione, nessuna responsabilità poteva essere a lui imputata, con conseguente applicazione dell’art. 1227 c.c., atteso che ─ secondo allegazione difensiva specificamente proposta nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado della quale la Corte non avrebbe tenuto conto – della necessità di pagare le rate relative egli aveva debitamente e reiteratamente informato con e-mail la legale rappresentante della società.
6.1. La prima censura è infondata.
Le  argomentazioni  svolte,  alquanto  confuse,  non  infirmano  il convincimento espresso dal giudice del merito secondo cui la richiesta di regolarizzazione della posizione contributiva pregressa alla fruizione degli sgravi per cui è causa, in quanto successiva al termine ultimo concesso dall’ente previdenziale con note del maggio e poi di giugno 2015, non avrebbe potuto evitarne la decadenza.
Dalle norme menzionate in rubrica – le quali disciplinano rispettivamente l’attività di verifica della regolarità contributiva (d.m. 30 gennaio 2015) e le condizioni per godere dei benefìci normativi e contributivi (art. 1, comma 1175, legge n. 296 del 2006, nel testo applicabile ratione temporis ) -non si ricava affatto che la regolarizzazione della posizione contributiva successiva allo scadere del termine predetto avrebbe consentito di evitare la decadenza già maturata dagli sgravi per cui è causa, relativi – giova rimarcarlo ancora – all’assunzione di due dipendenti nel marzo del 2015.
Del resto, non diversa conclusione è giustificata dalla stessa nota RAGIONE_SOCIALE del 29 maggio 2015, richiamata in ricorso, atteso che in essa si
rappresenta  che  « la  mancata  regolarizzazione  nei  termini  indicati consoliderà … i DURC interni negativi attualmente presenti » e che « per tali mensilità saranno, pertanto, disconosciuti i benefici ».
6.2. Ne discende anche l’inammissibilità della seconda censura, per la palese irrilevanza della questione che con essa si agita, dal momento che, per le ragioni sopra  dette, il  contegno  del  consulente  e, rispettivamente, della società dallo stesso assistita, relativamente alla richiesta  di  regolarizzazione  avanzata  successivamente  alla  ormai maturata decadenza, non varrebbe comunque  ad escludere la responsabilità del primo in relazione a tale decadenza.
Con il settimo motivo il ricorrente denuncia « o messo esame di un fatto decisivo ex art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., in relazione agli inadempimenti di RAGIONE_SOCIALE che hanno causato i danni richiesti ».
Si fa riferimento alle  medesime e-mail già menzionate  nel precedente motivo (datate rispettivamente 6 ottobre 2017 e 9 marzo 2018), con le quali -si dice- egli aveva chiesto chiarimenti in ordine al mancato  rispetto delle rate concordate con l’RAGIONE_SOCIALE ai fini della regolarizzazione contributiva.
La tesi è che, posto che tali richieste non avevano ricevuto risposta né il nuovamente sollecitato pagamento della rate concordate aveva avuto seguito, se ne sarebbe dovuto desumere, in via presuntiva, che, anche ove prontamente informata, RAGIONE_SOCIALE non avrebbe avuto le risorse per sanare la propria posizione contributiva.
7.1. Il motivo è inammissibile.
Anche  in  tal  caso  si  prospetta  inammissibilmente,  in  termini peraltro  meramente  congetturali,  una  diversa  ricostruzione  della fattispecie  concreta  quanto  alla  valutazione  del  nesso  causale  tra inadempimento del consulente del lavoro e danno.
Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia « violazione di legge ex art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 115 c.p.c. per non aver giudicato iuxta alligata et probata».
Il motivo investe la sentenza impugnata nella parte in cui si afferma che solo nel 2018 RAGIONE_SOCIALE avrebbe appreso per la prima volta di aver perso i benefici previdenziali, quando ormai irrimediabilmente era decaduta dagli stessi.
Si sostiene che tale convincimento è frutto dell’ error in procedendo dedotto  in  rubrica,  data  la  presenza  di  prove  documentali  che retrodatavano tale conoscenza.
Si  lamenta  altresì  la  violazione  dell’art.  2729  cod.  civ.,  per  non avere  la  Corte  ritenuto  la  sussistenza  di  indizi gravi, precisi e concordanti, da cui dedurre una conoscenza ben antecedente al 2018.
Si fa riferimento in tal senso a:
 una mail del  16  novembre  2015  con  la  quale  RAGIONE_SOCIALE inoltrava al consulente del lavoro gli avvisi giunti per p.e.c. presso la casella elettronica di RAGIONE_SOCIALE, in cui si dava atto della esclusione dei benefici contributivi de quibus ;
un avviso RAGIONE_SOCIALE del 9 novembre 2016, anch’esso pervenuto via p.e.c.  a  RAGIONE_SOCIALE,  con  cui,  testualmente,  l’ente  previdenziale avvisava  la  società  di  « aver  proceduto  al  controllo  della  posizione contributiva » relativa a maggio 2015.
8.1. Il motivo è palesemente inammissibile.
Anzitutto per la sua consistenza prettamente meritale.
Al riguardo va rammentato che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, anche a Sezioni Unite, per dedurre la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad
altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’articolo 116 cod. proc.  civ.  (Cass.  Sez.  U.  30/09/2020,  n.  20867;  Cass.,  Sez.  Un., 5/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 20/10/2016, n. 21238).
Può  comunque  soggiungersi  che,  per  le  ragioni  sopra  dette, quand’anche fosse da farsi risalire alle date indicate la conoscenza della società della maturata decadenza dagli sgravi concessi, non ne sarebbe potuta derivare alcuna conseguenza in ordine alla responsabilità per essa attribuita al consulente, essendo a quella data già maturata la decadenza dai benefici contributivi.
Con il nono motivo il ricorrente denuncia « violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione agli artt. 115, 116, e 244 c.p.c. in riferimento alla mancata ammissione delle prove testimoniali richieste e dell’art. 2697 secondo comma c.c. in tema di prova di fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa attorea ».
Lamenta il ricorrente la mancata ammissione di capitoli di prova per testi e la mancata richiesta di informazioni alla P.A. ex art.  213 c.p.c., miranti a comprovare il ruolo di ‘mediatore’ nelle comunicazioni con RAGIONE_SOCIALE svolto da RAGIONE_SOCIALE
9.1. Il motivo è inammissibile.
Anzitutto,  e  in  via  assorbente,  per  la  palese  non  decisività  delle circostanze che si chiedeva di provare, e ciò per le ragioni già esposte con riferimento ai primi due motivi di ricorso, cui si rinvia.
Varrà comunque rilevare anche:
la manifesta genericità delle circostanze poste ad oggetto del primo capitolo di prova per testi (« Vero che la RAGIONE_SOCIALE, durante il rapporto contrattuale 2015-2018, aveva rapporti professionali con il AVV_NOTAIO COGNOME mediati dalla RAGIONE_SOCIALE di Castelfranco di Sotto (PI) »;
b) la totale inconferenza del secondo capitolo (« Vero che dopo aver chiesto ad Equitalia il 12.12.2015 … il rateizzo della cartella per cui è
causa avete pagato soltanto sette bollettini mensili poi è stato sospeso il pagamento ») rispetto all’obiettivo probatorio perseguito: si rinvia in tal senso alle considerazioni svolte con riferimento al settimo motivo;
l’insindacabilità della determinazione, del tutto discrezionale del giudice di merito, di non richiedere le informazioni alla P.A. ex art. 213 c.p.c.; varrà rammentare al riguardo che i poteri istruttori attribuiti al giudice ex art. 213 cod. proc. civ. non possono valere a sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla parte e che inoltre, secondo prevalente indirizzo, hanno natura prettamente discrezionale e il loro mancato esercizio non è sindacabile dalla Corte di cassazione .
La memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente, ai  sensi  dell’art.  380bis.1 ,  primo  comma,  cod.  proc.  civ.,  non  offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi.
Per le considerazioni che precedono il  ricorso deve essere in definitiva  rigettato,  con  la  conseguente  condanna  del  ricorrente  alla rifusione,  in  favore  della  controricorrente,  delle  spese  processuali, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge  24  dicembre  2012,  n.  228,  di  un  ulteriore  importo  a  titolo  di contributo unificato, in  misura pari a quello previsto per il ricorso, ove
dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta  il  ricorso.  Condanna  il  ricorrente  alla  rifusione,  in  favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME