Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12141 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12141 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20282/2021 R.G. proposto da :
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende, con cui elett. domicilia in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME
PICCOLOMINI, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 4270/2020 depositata il 13/01/2021, RG 2776/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 4270 del 2020 , ha rigettato l’appello principale proposto dal Comune di Morcone nei confronti di NOME COGNOME avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Benevento.
In accoglimento dell’appello incidentale della lavoratrice, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, per il resto confermata, ha condannato il Comune di Morcone al pagamento in favore della lavoratrice dell’indennizzo ex art. 32 l. n. 182/2010, p ari a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, nonché al risarcimento del danno da commisurarsi alle retribuzioni dovute per una prestazione pari a 108 ore mensili, con decorrenza dal 16 aprile 2012 fino al 31 dicembre 2016, oltre interessi legali dalla data di maturazione di ciascun credito.
La lavoratrice aveva agito in giudizio per l’accertamento dell’illegittimità dei contratti di lavoro a termine e delle proroghe intercorsi, con il Comune quale ente capofila dell’Ambito territoriale B5 (già B4), nonché in proprio quale partecipante all’Ambito stesso , per la dichiarazione di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, con condanna al pagamento differenze retributive e risarcimento dei danni.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il Comune di Morcone articolando dieci motivi di ricorso.
Resiste la lavoratrice con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo. Error in procedendo , nullità della sentenza per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Ambito. Violazione degli artt. 102 e 331, cpc.
Assume il ricorrente di essersi costituito in primo grado sia in proprio sia quale rappresentante dell’Ambito. Il Comune osserva di aver proposto appello esclusivamente in proprio, notificandolo solo alla Pocino. La Pocino ha proposto appello incidentale che è stato notificato sia al Comune che all’Ambito.
Deduce, quindi la mancanza della verifica da parte della Corte d’Appello della corretta instaurazione del contraddittorio ed integrazione dello stesso, sia quanto alla mancata notifica dell’appello principale all’ A mbito, sia perché l’appello incidentale era notificato a indirizzi del Comune di Morcone. A ciò conseguirebbe la nullità dell’intero procedimento.
1.1. Il motivo è inammissibile in quanto pur richiamando documenti e fondandosi sugli stessi, notifica ricorso principale e ricorso incidentale, non ne riproduce il contenuto al fine del vaglio di rilevanza da parte di questa Corte, anche considerando che la Corte d’Appello ha correttamente disatteso l’eccezione di difetto di legittimazione passiva del Comune affermando, tra l’altro, che il Comune ha la rappresentanza dell’Ambito.
Secondo motivo. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 della legge 328/2000, dell’art. 31 del TU 267/2000, dei prin cipi in tema di riconoscimento della personalità e soggettività giuridica. È contestata la statuizione che ha ritenuto che il Comune capofila debba essere ritenuto direttamente responsabile per le obbligazioni assunte dall’Ambito territoriale. Ciò anche in r agione della sentenza della Corte costituzionale n. 226 del 2012, che ha considerato gli ambiti territoriali quali consorzi obbligatori, qualificabili come enti
locali ex art. 31, TU n. 267 del 2000, come tali dotati di personalità giuridica.
2.1. Il motivo non è fondato. Le vicende in esame iniziano nel 2000. Viene in rilievo la legge n. 328 del 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali’, che ha previsto all’art. 19, comma 1: ‘I comuni associati, negli ambiti territoriali di cui all’articolo 8, comma 3, letter a a), a tutela dei diritti della popolazione, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, provvedono, nell’ambito delle risorse disponibili, ai sensi dell’articolo 4, per gli interventi sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni del piano regiona le di cui all’articolo 18, comma 6, a definire il piano di zona(…)’.
Con la legge Regione Campania n. 11 del 2007 ‘Legge per la dignità e la cittadinanza sociale. attuazione della legge 8 novembre 2000, n. 328’, si è poi previsto all’art. 7 che: ‘I comuni esercitano in forma associata i compiti e le funzioni amministrative loro attribuite dalla presente legge fatto salvo il caso in cui il territorio di un singolo comune coincida con l’estensione territoriale dell’ambito determinato ai sensi dell’articolo 19’.
L’art. 10, comma 1, della medesima legge regionale prevede: ‘I comuni sono titolari della programmazione, della realizzazione e valutazione a livello locale degli interventi sociali e, di concerto con le ASL, degli interventi socio-sanitari, nonché delle funzioni amministrative inerenti l’erogazione dei servizi e d elle prestazioni del sistema integrato locale’.
L’art.11 ha previsto ai commi 1 e 2: ‘1. È istituito il coordinamento istituzionale d’ambito, quale soggetto deputato alla funzione d’indirizzo programmatico, di coordinamento e di controllo della realizzazione della rete integrata d’interventi e servizi s ociali e sociosanitari d’ambito. 2 Il coordinamento istituzionale è composto, per ciascuno degli ambiti territoriali, dai sindaci dei comuni associati, dal
presidente della provincia e, in materia d’integrazione socio -sanitaria, dai sindaci dei comuni associati, dal presidente della provincia e dal direttore generale della ASL di riferimento’.
Il comma 3, lettera c), del medesimo art. 11 stabilisce che il coordinamento istituzionale ‘attribuisce, sino alla adozione di forme associative e modalità di gestione permanenti, ad uno dei comuni associati il ruolo di comune capofila d’ambito, con funzioni di coordinamento e responsabilità di gestione amministrativa e contabile del piano di zona’.
La suddetta ricostruzione della legislazione statale e regionale, che trova applicazione negli atti giuntali e amministrativi riportati nella sentenza di appello, dettata in merito alla tipologia di ambito che viene in rilievo, indica l’infondatezza delle doglianze del ricorrente.
Né è pertinente il richiamo a Corte cost. n. 226 del 2012 che riguarda la diversa figura dell’Autorità d’Ambito di cui all’art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006.
Terzo motivo. Nullità della sentenza per difetto del minimo costituzionale di motivazione. Motivazione apparente, manifesta ed irriducibile contraddittorietà. Nella sentenza di appello non sarebbe stata illustrata la ragione della sussistenza della responsabilità del Comune, di cui a tteso che la rappresentanza dell’Ambito spettava al Sindaco del Comune di Morcone.
3.1. Il motivo è inammissibile.
È applicabile alla fattispecie l’art. 360 , n. 5, c.p.c., nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., S.U., n. 1981 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente
intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge. Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, ‘in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, non ravvisabili nella specie, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
Quarto motivo. Violazione del principio di immedesimazione organica di cui alle norme in tema di rappresentanza.
Assume il ricorrente che il legale rappresentante di un ente pubblico o di una organizzazione non è mai responsabile in proprio delle obbligazioni assunte, che sono imputabili al soggetto rappresentato.
4.1. Il motivo non è fondato per gli argomenti di non fondatezza ed inammissibilità esposti nella trattazione dei precedenti motivi di ricorso.
Quinto motivo. Error in procedendo . Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, violazione dell’art. 112
cpc. Deduce il ricorrente che la Pocino aveva chiesto di accertare e dichiarare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra essa ricorrente e l’Ambito B05, e la condanna in solido del Comune al pagamento delle somme chieste a vario titolo in quanto soggetto capofila. Il giudice di appello, quindi, non poteva accogliere la domanda nei confronti del Comune ritenendolo responsabile del rapporto di lavoro, con conseguente violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
5.1. Il motivo è inammissibile. La Corte d’Appello ha accertato che il Comune ha direttamente intrattenuto i rapporti lavorativi con la ricorrente e che pertanto non poteva che essere ritenuto responsabile di tutte le conseguenze economiche che da tali rapporti discendono. Nella sostanza le deduzioni del ricorrente contestano l’accertamento di fatto svolto dalla Corte d’Appello, e si sostanziano nella censura della valutazione del materiale probatorio effettuato dalla Corte d’Appello che è rimessa al giudic e del merito.
Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (si v., Cass. n. 11176 del 2017): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.
La valutazione delle prove raccolte anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla
ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 1234 del 2019, n. 20553 del 2021).
La Corte d’Appello, nella fattispecie in esame, invero, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha ritenuto, in fatto, che fosse provato che i rapporti di lavoro erano intercorsi direttamente tra il Comune e la lavoratrice.
Sesto motivo. Violazione dei principi generali che regolano l’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni (necessità della forma scritta e della delibera di autorizzazione a contrarre). Assume il ricorrente la prevalenza del contratto rispetto a meri comportamenti di fatto successivi ascrivibili ai soggetti privi del parti
potere di impegnare l’Amministrazione, non potendo le apportare modifiche alla disciplina concordata in via di mero fatto.
6.1. Il motivo non è fondato; lo stesso non considera la contrattualizzazione dei rapporti di impiego pubblico, nel cui ambito ricade la fattispecie in esame, e la irrilevanza del nomen iuris del contratto rispetto al concreto conformarsi del rapporto di lavoro, come nella specie accertato dal giudice di merito. La qualificazione del rapporto di lavoro, operata dalle parti, non assume rilievo dirimente in presenza di elementi fattuali – quali la previsione di un compenso fisso, di un orario di lavoro stabile e continuativo, il carattere delle mansioni, nonché il collegamento tecnico organizzativo e produttivo tra la prestazione svolta e le esigenze aziendali – che costituiscono indici rivelatori della natura subordinata del rapporto stesso, anche se svolto per un arco temporale esiguo (cfr., ex aliis , Cass., n. 7024 del 2015).
Settimo motivo Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2094 cc. I contratti in questione avevano ad oggetto attività di assistenza sociale che costituisce oggetto di una professione. Tale attività era stata svolta in piena autonomia senza alcuna ingerenza da parte del
coordinamento sul contenuto intrinseco delle prestazioni, mancando, pertanto, i requisiti della subordinazione.
7.1. Il motivo è inammissibile per le ragioni già indicate nella trattazione del quinto motivo, in quanto la censura nella sostanza chiede una rivalutazione dell’accertamento effettuato dalla Corte d’Appello alla luce delle risultanze probatorie.
Ottavo motivo. Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1418 e 2126 cc. Attesa la nullità del rapporto non poteva essere accolta la domanda di pagamento dele retribuzioni maturate e maturande fino alla scadenza pattuita.
8.1. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidenti della sentenza di appello che ha attribuito tali somme alla lavoratrice a titolo risarcitorio e non come corrispettivo.
Nono motivo. Omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte d’Appello aveva valutato le ragioni che avevano indotto la lavoratrice a non stipulare un nuovo contratto, mentre avrebbe dovuto dare rilievo alle ragioni addotte nella comunicazione di recesso.
9.1. Il motivo è inammissibile atteso che la censura non rientra nel perimetro del vizio invocato. L’ ‘omesso esame’ va infatti riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità le censure, nella specie, irritualmente formulate (si v., ex multis , Cass., n. 2268 del 2022).
Decimo motivo Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 e della Direttiva 1999/70/CE Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2697 cc. Violazione dei principi in materia di risarcimento dei danni. È censurata la statuizione che ha riconosciuto alla lavoratrice il diritto al
risarcimento dei danni per abusiva reiterazione dei contratti a termine. Assume il ricorrente che nel caso in cui l’assunzione sia stata effettuata in violazione delle norme sull’assunzione, e non di quelle per l’apposizione del termine, il lavoratore non subisce alcun danno. Inoltre, il danno deve essere allegato e provato e ciò costituisce presupposto per l’applicazione dell’art. 32 , l. 182/2010.
10.1. Il motivo è inammissibile in quanto non è articolato nel rispetto dei principi di critica vincolata e specificità richiesti per il ricorso per cassazione, con riguardo alla ratio decidendi della sentenza di appello (Cass. 11603 del 2018), non indicando specifici argomenti rispetto al consolidato orientamento delle Sezioni Unite sul cd. ‘danno comunitario’.
Nella specie la Corte d’Appello ha riconosciuto il danno da abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato, come accertato di natura subordinata, intercorsi tra le parti, facendo corretta applicazione dei principi, già affermati da Cass., S.U., n. 5072 del 2016, rispetto alla reiterazione abusiva dei contratti a termine, secondo cui « In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo,
l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito».
Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo u nificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro