Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6795 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6795 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2024
sul ricorso 30349/2018 proposto da:
COGNOME NOME; COGNOME NOME; – in proprio e quali eredi di COGNOME NOME; COGNOME NOME– quale erede di COGNOME NOME-, elett.te domic. presso l’AVV_NOTAIO , dal quale sono rappres. e difesi, per procura speciale in atti;
-ricorrenti –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t.; COGNOME NOME; COGNOME NOME;
-intimati- avverso la sentenza n. 600/2018 della Corte d’appello di Firenze , pubblicata in data 15.03.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11 /01/2024 dal Cons. rel., dottAVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME citavano innanzi al Tribunale di Grosseto NOME COGNOME, NOME COGNOME e l’RAGIONE_SOCIALE, al fine di ottenere, previo accertamento della nullità di quattro polizze assicurative RAGIONE_SOCIALE, da loro stipulate il 2.5.2003 presso la subRAGIONE_SOCIALE Ina di Ribolla, gestita da NOME COGNOME, la condanna dell’RAGIONE_SOCIALE all’adempimento delle obbligazioni contrattuali rappresentate dalla restituzione del capitale indicato nelle polizze, ormai scadute, oltre agli interessi legali e rivalutazione dalla scadenza di ciascuna polizza o, in subordine, la condanna del COGNOME, in solido con NOME COGNOME (quale agente Ina all’epoca dei fatti) e con l’RAGIONE_SOCIALE, al pagamento della somma di euro 45.754,55 a titolo di responsabilità extracontrattuale, oltre interessi, rivalutazione monetaria e risarcimento dei danno non patrimoniale.
Gli attori esponevano: di aver sottoscritto le suddette polizze fin dal 2000 e negli anni successivi, fino al 2003, riempiendo un modulo recante il logo INA che conteneva la proposta di assicurazione; di aver saputo, dalla stampa locale, della truffa commessa dal COGNOME in danni dei propri assicurati; di aver sporto querela nei confronti del COGNOME, dopo aver appreso dall’RAGIONE_SOCIALE di Piombino – di cui era titolare il COGNOME– che le polizze in questione non risultavano essere state mai emesse dalla sua RAGIONE_SOCIALE.
Si costituivano il COGNOME e l’INA che proponeva domanda riconvenzionale nei confronti del COGNOME al fine di essere manlevato dal medesimo in caso di condanna, in accoglimento della domanda degli attori.
Con sentenza del 22.3.12, il Tribunale, accogliendo la domanda principale, condannava l’INA al pagamento, in favore degli attori, al pagamento della somma indicata quale capitale nelle polizze assicurative annuali, oltre ai frutti e agli interessi legali, osservando –
dopo aver respinto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva dei convenuti- che: sebbene il COGNOME non fosse munito dei poteri di rappresentanza dell’RAGIONE_SOCIALE nella conclusione dei contratti in questione (avendo egli avuto solo il potere di procacciare affari in favore dell’agente RAGIONE_SOCIALE INA, NOME COGNOME), tali polizze erano valide ed efficaci nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, in forza del principio dell’apparenza del diritto in ipotesi di rappresentanza senza potere, atteso che quest’ultima, nel 2003, a seguito della comunicazione del COGNOME dell’avvenuta cessazione del rapporto con il COGNOME, aveva colposamente omesso di procedere alla rimozione dell’insegna INA, collocata all’interno dei locali della sub –RAGIONE_SOCIALE, e di adottare le misure necessarie affinché i clienti del medesimo fossero messi a conoscenza della sua carenza di potere rappresentativo della RAGIONE_SOCIALE assicurativa, o controllare l’avvenuto ritiro da parte del COGNOME della modulistica INA in possesso del COGNOME.
Con sentenza del 15.2 .2018, la Corte d’appello accoglieva l’appello dell’INA, osservando che: disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione passiva, gli agenti assicuratori erano imprenditori che potevano avvalersi di subagenti ai quali era estranea l’impresa assicuratrice; il subagente assumeva l’incarico stabile di promuovere la conclusione di contratto di assicurazione nella zona affidata all’agente; i l contratto di RAGIONE_SOCIALE era diverso da quello di sub-RAGIONE_SOCIALE, in quanto in quest’ultimo si promuov e la conclusione dei contratti solo per conto dell’agente e non per conto dell’impresa; i contratti di RAGIONE_SOCIALE e sub-RAGIONE_SOCIALE, pur avendo il medesimo contenuto, si differenziavano, in quanto nel primo il preponente era l’impresa, mentre nel secondo era l’a gente; la sub-RAGIONE_SOCIALE era una specie di contratto derivato, funzionalmente collegato a quello di RAGIONE_SOCIALE; al contratto di subRAGIONE_SOCIALE non s’applicavano le norme in tema di
rappresentanza con riferimento alla posizione dell’impresa assicurativa, perché il rapporto intercorreva solo tra il preponente/agente e il sub-agente; nella specie, le polizze in questione non erano valide ed efficaci nei confronti dell’INA e, oltre ad essere false, risultavano emesse dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del COGNOME su proposta del COGNOME, e non direttamente dal primo; erano ravvisabili i presupposti dell’apparenza del diritto non nei confronti dell’INA, ma del COGNOME, in quanto il COGNOME, nel periodo antecedente ai fatti di causa, aveva collaborato come procacciatore d’affari soltanto con l’RAGIONE_SOCIALE di Piombino gestita da quest’ultimo, mentre non emergevano condotte colpose addebitabili all’INA.
A quest’ultimo riguardo, la Corte territoriale rilevava altresì che: l’RAGIONE_SOCIALE, non avendo rapporti di lavoro subordinato con i titolari delle agenzie generali, o con i loro collaboratori, non doveva essere posta a conoscenza delle eventuali dimissioni di quest’ultimi, trattandosi di fatti all’uopo irrile vanti per la società, né aveva obbligo di comunicazione di detto evento ai clienti dei medesimi o di controllo sul loro operato o sul materiale in loro possesso; l’immobile nel quale era collocata l’insegna NOME, locato al COGNOME, era stato in precedenza condotto dal COGNOME; né quest’ultimo, né gli attori avevano fornito alcuna prova in ordine al fatto che l’insegna fosse di proprietà dell’COGNOME, invece che del conduttore, o che fosse materialmente possibile per l’I NA rimuovere un’insegna posta all’interno di un locale che non si trovava nella sua disponibilità; ne conseguiva che il terzo contraente aveva soltanto la facoltà, e non anche l’obbligo, di controllare, a norma dell’art. 1393 c.c., i poteri di colui che si qualifichi rappresentante; la responsabilità del COGNOME era indubbia, ex art. 2043 c.c., per il danno subito dagli attori per truffa aggravata (il procedimento penale si era concluso con sentenza di patteggiamento emessa dal g.u.p. il 18.10.06), anche alla
luce della mancata costituzione del COGNOME; parimenti responsabile era il COGNOME per la condotta illecita del COGNOME, una volta provata la cessazione del rapporto di sub-RAGIONE_SOCIALE al 6.5.02 in base alla lettera prodotta dagli attori- priva di data certa- in virtù del principio dell’apparenza del diritto, considerando altresì i numerosi assegni consegnati dal COGNOME al COGNOME nel 2003- e la polizza rca validamente stipulata con NOME COGNOME nel giugno 2002- attestanti la permanenza del rapporto in data successiva a quella indicata nella predetta missiva, ex art. 2049 c.c.; non erano stati provati i danni non patrimoniali.
NOME COGNOME, NOME COGNOME– in proprio e quali eredi di NOME COGNOME– deceduto nelle more del giudizio- e NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, ricorrevano in cassazione avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello , con sei motivi.
Non hanno svolte difese le parti intimate; con ordinanza interlocutoria, la Corte ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la notifica del ricorso a NOME COGNOME, effettuata regolarmente a mezzo posta, in mani di persona incaricata della ricezione degli atti.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 116, 215, c.p.c., per aver la Corte d’ appello ritenuto la falsità delle polizze assicurative, per averle l’INA contestate per la prima volta con l’atto d’appello.
Al riguardo, i ricorrenti assumono che: l’appellante, pur avendo nelle memorie ex art. 183 c.p.c. fatto riferimento alla falsità delle polizze, non le aveva però disconosciute, né proposto querela di falso, anche riguardo agli altri documenti prodotti (assegni e quietanze di pagamento), tutti c ontenenti la firma dell’agente COGNOME, l’effigie della RAGIONE_SOCIALE INA e la firma dell’agente COGNOME, né aveva disconosciuto le proposte assicurative redatte su carta intestata della stessa RAGIONE_SOCIALE dove era attestato il versamento delle somme di euro 5.000,00 in
contanti al 30.5.03 e di euro 2.500,00 nel 2002; le polizze erano state sottoscritte su carta dell’appellante, all’interno della sub –RAGIONE_SOCIALE della stessa RAGIONE_SOCIALE ove era collocata l’insegna Ina e materiale pubblicitario relativo.
I ricorrenti deducono da quanto esposto che, anche se non si ritenesse applicabile all’INA il principio dell’apparenza del diritto, la Corte territoriale avrebbe dovuto confermare la sentenza di condanna con diversa motivazione, accogliendo cioè la domanda contrattuale, poiché le quattro polizze non erano mai state disconosciute nella firma apposta dall’agente COGNOME.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 31 TUIF 58/98 , dato che le polizze in questione presentavano la natura di strumenti finanziari, alla luce della responsabilità della società d’intermediazione, in solido, per i danni arrecati a terzi dai promotori per illecito penale da quest’ultimi commesso, ex art. 2049 c .c.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 2049 cc, e 116 c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto insussistente l’apparenza del diritto in ordine all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ma non rispetto alla sub –RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente responsabilità del solo COGNOME, in solido con il COGNOME.
Al riguardo, i ricorrent i assumono che nell’ambito degli atti d’ indagini penali espletati nell’ufficio di NOME COGNOME era stata rinvenuta l’ins egna INA, esposta al pubblico, documenti, carta intestata, certificati d’assicurazione, detenuti dal V alori legittimante, per cui riguardo ai terzi di buona fede non vi era una rilevante differenza tra l’RAGIONE_SOCIALE e la sub-RAGIONE_SOCIALE, rilevando invece il fatto oggettivo che presso il medesimo ufficio il COGNOME era titolato a vendere contratti assicurativi e finanziari i n nome e per conto dell’RAGIONE_SOCIALE.
I ricorrenti richiamano anche le norme del codice delle RAGIONE_SOCIALE private (artt. 118, 119), circa la responsabilità dell’impresa d’assicurazione per i danni arrecati dagli intermediari da essa incaricati. Il quarto motivo denunzia violazione degli artt. 2049 e 2697, cc, per aver la Corte d’appello omesso di valutare un fatto decisivo, provato documentalmente e non contestato, relativo alla firma delle polizze da parte del RAGIONE_SOCIALE, sicché la responsabilità solidale dell’RAGIONE_SOCIALE non poteva essere esclusa per la co ndotta di quest’ultimo, il quale non aveva mai contestato le proprie sottoscrizioni.
Il quinto motivo denunzia violazione degli artt. 1226, 2059 c.c., e 185 c.p.c ., per non aver la Corte d’appello riconosciuto il danno morale per mancanza di prova, pur essendo stati riconosciuti parti offese e civili nel procedimento penale a carico del COGNOME, avrebbero dunque avuto diritto ad un liquidazione equitativa del danno morale prodotto da reato.
Il sesto motivo denunzia omessa pronuncia sulla condanna al pagamento delle spese della costituzione di parte civile- omessa dal g.u.p. nella sentenza di patteggiamento- e chiedendo una condanna, per la mancanza di necessità di ulteriore istruttoria.
Il primo, terzo e quarto motivo- esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi- sono fondati.
Anzitutto, va osservato che non è condivis ibile l’argomentazione della Corte territoriale, a tenore della quale non sarebbe configurabile l’apparenza del diritto (e dunque il legittimo l’affidamento dei ricorrenti) in ordine al contratto di RAGIONE_SOCIALE, ma solo riguardo al subagente NOME COGNOMECOGNOME
Occorre premettere che il Tribunale aveva invece ritenuto che, sebbene il COGNOME non fosse munito dei poteri di rappresentanza dell’RAGIONE_SOCIALE nella conclusione dei contratti in questione (avendo egli avuto solo il potere
di procacciare affari in favore dell’agente RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME), tali polizze erano valide ed efficaci nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE, in forza del principio dell’apparenza del diritto in ipotesi di rappresentanza senza potere, atteso che quest’ultima, ne l 2003, a seguito della comunicazione del COGNOME dell’avvenuta cessazione del rapporto con il COGNOME, aveva colposamente omesso di procedere alla rimozione dell’insegna INA, collocata all’interno dei locali della sub –RAGIONE_SOCIALE, e di adottare le misure necessarie affinché i clienti del medesimo fossero messi a conoscenza della sua carenza di potere rappresentativo della RAGIONE_SOCIALE assicurativa, o controllare l’avvenuto ritiro da parte del COGNOME della modulistica INA in possesso del COGNOME.
La Corte territoriale, invece, ha affermato che: l’RAGIONE_SOCIALE, non avendo rapporti di lavoro subordinato con i titolari delle agenzie generali, o con i loro collaboratori, non doveva essere posta a conoscenza delle eventuali dimissioni di quest’ultimi, trattandosi di fatti all’uopo irrilevanti per la società, né aveva un obbligo di comunicazione di detto evento ai clienti dei medesimi, o di controllo sul loro operato o sul materiale in loro possesso; l’immobile nel quale era collocata l’insegna INA, locato al COGNOME, era stato in precedenza condotto dal COGNOME; né quest’ultimo, né gli attori avevano fornito alcuna prova in ordine al fatto che l’insegna fosse di proprietà dell’RAGIONE_SOCIALE, invece che del conduttore, o che fosse materialmente possibile per l’RAGIONE_SOCIALE rimuovere un’insegna posta all’interno di un locale che non si trovava nella sua disponibilità.
La motivazione in questione non è conforme ai principi generali in materia di tutela dell’affidamento dei terzi.
Va osservato che la responsabilità indiretta della RAGIONE_SOCIALE assicuratrice per il fatto illecito del sub-agente, fondata, ai sensi dell’art. 2049 c.c., sul nesso di occasionalità necessaria tra le
incombenze di quest’ultimo e il danno subìto dal terzo, postula che le funzioni esercitate abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso è irrilevante che il preposto abbia superato i limiti delle mansioni affidategli o abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali, a condizione, però che la sua condotta abbia costituito il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni (Cass., n. 31675/23).
La responsabilità indiretta della RAGIONE_SOCIALE assicuratrice per il fatto illecito del sub-agente, fondata, ai sensi dell’art. 2049 c.c., sul nesso di occasionalità necessaria tra le incombenze di quest’ultimo e il danno subìto dal cliente, postula che il fatto dannoso sia stato agevolato o reso possibile dall’inserimento del sub-agente nell’organizzazione dell’impresa e sussiste, pertanto, nonostante la tendenziale autonomia della posizione del sub-agente rispetto all’assicuratore, nell’ipotesi in cui quest’ultimo, quale primo preponente, abbia conferito al subagente un autonomo e diretto potere rappresentativo oppure mantenga comunque un controllo diretto anche sul suo operato o, ancora, si avvalga di un’organizzazione imprenditoriale articolata in un reticolo di agenzie che operano di regola a mezzo di sub-agenti abilitati a vendere i suoi prodotti assicurativi, nonché nell’ipotesi in cui ricorra la prova di un’apparenza di rapporto diretto del sub-agente con la RAGIONE_SOCIALE per ottenere prodotti assicurativi in nome e per conto di essa (Cass., n. 23973/19; v. anche SU, n. 13246/09, seppure per una fattispecie di illecito commesso da dipendente pubblico).
E’ stato altresì statuito che, n el giudizio sulla responsabilità di una RAGIONE_SOCIALE, ex art. 2049 c.c., per il fatto illecito del suo agente, che abbia venduto un prodotto assicurativo “fantasma” impossessandosi del denaro versato dal risparmiatore per l’acquisto, il giudice di merito, accertata la responsabilità dell’agente, è tenuto a
verificare la sussistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra l’attività di questi e la commissione dell’illecito, ravvisabile ove sia stata agevolata o resa possibile dalle incombenze affidate all’agente, mentre non è necessario che il danneggiato provi il dolo o la colpa della società assicuratrice, ovvero di aver verificato la reale esistenza e la riconducibilità alla stessa del prodotto venduto (Cass., n. 18860/15).
Circa il perimetro del principio dell ‘apparenza del diritto , mediante il quale viene tutelato l’affidamento incolpevole del terzo che abbia contrattato con colui che appariva legittimato ad impegnare altri, esso trova operatività alla duplice condizione che sussista la buona fede di chi ne invoca l’applicazione e un comportamento almeno colposo di colui che ha dato causa alla situazione di apparenza (Cass., n. 23448/14).
Nella specie, come detto, il sub-agente RAGIONE_SOCIALE non era munito dei poteri di rappresentanza dell’RAGIONE_SOCIALE nella conclusione dei contratti in questione, avendo egli avuto solo il potere di procacciare affari in favore dell’agente RAGIONE_SOCIALE INA, NOME COGNOME. Tuttavia, nel lo svolgimento della sua attività, il sub-agente stipulava, su mandato dell’agente RAGIONE_SOCIALE, polizze assicurative con gli attori, utilizzando moduli riferibili all’INA – in quanto recanti effigie e logo della società assicuratrice- in un immobi le al cui interno era collocata un’insegna della stessa INA.
Ora, dagli atti emerge anzitutto la buona fede degli attori i quali avevano fatto affidamento sull’imputabilità delle polizze stipulate all’RAGIONE_SOCIALE sulla scort a dei suddetti elementi di fatto ed ambientali, che nella comune esperienza inducono terzi a collegarli a quanto viene esposto e pubblicizzato, salvo elementi di segno contrario, cioè rivelatori di una certa negligenza dei clienti, non verificatisi nella specie.
Nel caso concreto, a l contrario, la Corte d’appello , non soffermandosi sulla buona fede degli attori, ha erroneamente- in violazione dei richiamati principi in tema di tutela dell’affidamento – escluso in sostanza che vi fosse un onere dell’INA di rimuovere ogni elemento esteriore che potesse essere inteso dai clienti del sub-agente come segno di riferibilità delle polizze alla medesima RAGIONE_SOCIALE.
Al riguardo, giova evidenziare che gli stessi attori hanno prodotto una lettera, datata 6.5.02 (ma priva di data certa) inviata dall’agente RAGIONE_SOCIALE al COGNOME con la quale si comunicava la cessazione del rapporto di sub-RAGIONE_SOCIALE, al fine di dedurne che la condotta del COGNOME e del subagente fosse stata fraudolenta e diretta a creare l’apparenza di una situazione di ordinaria imputabilità all’INA delle polizze in questione (in ciò sostanzialmente è consistita la condotta di reato truffaldina, cioè far credere ai clienti che tali contratti fossero stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE di primaria importanza in Italia).
Infatti, nel caso concreto è emerso che il sub-agente abbia, in concorso con l’agente RAGIONE_SOCIALE, consumato il fatto illecito (truffa, mediante la stipula di polizze inesistenti in quanto, sebbene firmate dal COGNOME e dal COGNOME, sostanzialmente non riferibili all’INA, con incasso fraudolento delle somme incassate), fondato sul nesso di occasionalità necessaria tra le incombenze del sub-agente e il danno subito dal terzo, funzioni che hanno determinato o agevolato lo stesso reato, essendo pertanto irrilevante che il preposto abbia superato i limiti delle sue funzioni o abbia agito con dolo e per finalità personali.
Il legittimo affidamento degli attori può certo trarsi, come affermato dal Tribunale, da una serie di elementi oggettivi, quali: l’uso di moduli con il logo dell’Ina e la stipula delle polizze in un locale nel quale vi era l’insegna INA; il protrarsi dell’utilizzazione di tali moduli e della suddetta insegna, anche dopo la cessazione del rapporto di sub-
RAGIONE_SOCIALE avvenuta in data 6.5.02 in base alla lettera prodotta dagli attori.
Tali condotte esprimono , inoltre, anche la mancata diligenza dell’RAGIONE_SOCIALE nell’escludere ogni p ossibile equivoco tra i clienti circa la riferibilità delle polizze sottoscritte all’RAGIONE_SOCIALE.
Al riguardo, per l’affermazione del principio della tutela dell’affidamento dei terzi, giova richiamare ancora la giurisprudenza di questa Corte- sebbene con riguardo alle attività illecite poste in essere dal promotore finanziario non legato da un rapporto contrattuale con la banca, ma applicabile alla fattispecie dibattuta- a tenore della quale sussiste la responsabilità indiretta di quest’ultima qualora la promozione sia svolta con modalità tali da ingenerare negli investitori l’incolpevole affidamento su uno stabile inserimento del promotore nell’attività della banca (Cass., n. 18928/17: nella fattispecie, il promotore finanziario operava nei locali delle agenzie della banca dove erano accesi i conti degli investitori e negoziava i titoli collocati presso l’istituto di credito, quale incaricato dei servizi ricezione e negoziazione degli ordini dei correntisti).
Pertanto, può affermarsi che la Corte territoriale, nell’escludere che i fatti di causa integrassero una fattispecie di apparenza del diritto in ordine alla imputabilità all’INA della stipula delle polizze per cui è causa, abbia applicato in maniera non co rretta l’art. 2049 c.c., interpreta ndolo in modo avulso dal principio di tutela dell’affidamento dei terzi incolpevoli.
Sul tema dell’apparenza del diritto, è stato altresì affermato che l’intermediario finanziario può essere chiamato a rispondere di un illecito compiuto in danno di terzi da chi appaia essere un suo promotore, ed in tale apparente veste abbia commesso l’illecito, ogni qual volta l’affidamento del terzo risulti incolpevole, e alla falsa
rappresentazione della realtà abbia invece concorso un comportamento colpevole (ancorché solo omissivo) dell’intermediario medesimo.
Invero, al riguardo va osservato che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass., n. 16700/2020).
Nella specie, infatti, i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata, attraverso esaurienti argomenti che attingono dai richiamati orientamenti della giurisprudenza di legittimità, volti a dimostrare il contrasto della motivazione della Corte d’appello con le indicate norme regolatrici della fattispecie.
Il secondo motivo può dirsi assorbito dall’accoglimento dei suddetti tre motivi; comunque, esso è inammissibile per difetto di autosufficienza in quanto i ricorrenti non hanno allegato, né trascritto, il contenuto delle polizze, al fine di qualificare le stesse come di natura finanziaria o meno (posto che, come noto, polizze assicurative in senso stretto non producono rendimenti, ma garantiscono ai contraenti l’indennizzo nel caso di verificazione dell’evento assicurato).
Pertanto, non sarebbe comunque possibile applicare le norme in tema d’investimenti finanziari.
Il quinto motivo è infondato.
La risarcibilità del danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c. e in relazione all’art. 185 c.p., non richiede che il fatto illecito integri in concreto un reato, né occorre una condanna penale passata in giudicato, ma è sufficiente che il fatto stesso sia astrattamente previsto come reato, sicché la mancanza di una pronuncia del giudice penale non costituisce impedimento all’accertamento ad opera del giudice civile, con valenza “incidenter tantum”, della sussistenza degli elementi costitutivi – materiale e psicologico – del detto reato, negli esatti termini previsti dalla legge penale (Cass., n. 3371/20, n. 13085/15).
La lesione di un diritto inviolabile non determina, neanche quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, la sussistenza di un danno non patrimoniale “in re ipsa”, essendo comunque necessario che la vittima abbia effettivamente patito un pregiudizio, il quale va allegato e provato, anche attraverso presunzioni semplici (Cass., n. 11269/18). Il danno non patrimoniale, con particolare riferimento a quello cd. esistenziale, non può essere considerato “in re ipsa”, ma deve essere provato secondo la regola RAGIONE_SOCIALE dell’art. 2697 c.c., dovendo consistere nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione della personalità e nello sconvolgimento dell’esistenza del soggetto. Ne consegue che la relativa allegazione deve essere circostanziata e riferirsi a fatti specifici e precisi, non potendo risolversi in mere enunciazioni di carattere generico, astratto, eventuale ed ipotetico (Cass., n. 28742/18; n. 19434/19; n. 33276/23).
Nella specie, i ricorrenti hanno solo invocato la mancata liquidazione del danno morale da reato, senza allegare e specificare il concreto pregiudizio di natura non patrimoniale che avrebbero subito.
Il sesto motivo è, infine, inammissibile.
In tema di patteggiamento, allorquando la Corte di cassazione annulli la pronuncia del giudice relativamente alla liquidazione delle spese a
favore della parte civile, il rinvio deve essere fatto al giudice penale “a quo”, nel caso in cui la statuizione sul punto sia del tutto omessa o, invece, al giudice civile competente per valore in grado d’appello, ai sensi all’art. 622 cod. proc. pen., nel caso in cui l’annullamento riguardi la statuizione circa il diritto della parte civile alla liquidazione delle spese o la determinazione della somma effettivamente liquidata (Cass. pen., n. 48081/23; SU pen., n. 40288/11; n. 14335/14: in applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio al giudice civile la decisione che aveva liquidato unitariamente i compensi del patrono di parte civile, senza rappresentare le voci considerate in relazione alle singole attività difensive svolte e omettendo di indicare il criterio di valutazione della congruità della somma liquidata, discostandosi sensibilmente dai parametri medi tabellari).
Nel caso concreto, dato che la sentenza di patteggiamento non ha liquidato le spese alle persone offese dal reato, sarebbe stato necessario impugnare tale sentenza al fine di annullarla, con rinvio al giudice penale, trattandosi di omessa pronuncia.
Per quanto esposto, in accoglimento dei motivi primo, terzo e quarto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, terzo e quarto motivo del ricorso, assorbito il secondo, rigetta il quinto, e dichiara inammissibile il sesto.
Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del grado di legittimità.
Così deciso nella ca mera di consiglio dell’11 gennaio 2024.