Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10477 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10477 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7830/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (in cui è stata incorporata per fusione la società RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante in atti indicato, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME già elettivamente domiciliata presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME ed attualmente domiciliata per legge presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata del difensore di fiducia; -ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME quale erede di COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOMECOGNOME presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata della quale è domiciliato per legge;
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME
-intimato-
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di MILANO n. 2674/2021, depositata il 20/09/2021; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Lecco NOME COGNOME e UnipolSai Assicurazioni, deducendo di essere stato indotto con artifici e raggiri compiuti dal COGNOME, fratello di sua nuora e agente assicurativo, a sottoscrivere inconsapevolmente nel 2002 la cessione gratuita in favore del medesimo COGNOME della polizza assicurativa Vita, in precedenza stipulata sempre per il tramite del medesimo e a incrementare successivamente, nell’erronea convinzione di essere ancora intestatario della polizza, con ulteriori versamenti, il capitale di polizza fino ad euro 235.759,67. Tanto dedotto, chiedeva:
accertarsi l’inesistenza, la nullità, l’annullabilità della scrittura di cessione datata 7.2.2002 della polizza assicurativa, l’inadempimento di Unipol Sai Assicurazioni, con conseguente condanna della società assicurativa al pagamento dell’importo di euro 499.066,92, importo quantificato in base al rendimento previsto nelle condizioni di polizza alla data di richiesta di riscatto;
ovvero, in via alternativa principale, l’accertamento che le condotte del COGNOME costituivano un illecito ex art 2049 c.c. e la conseguente condanna di Unipol Sai, solidalmente con COGNOME, al pagamento dell’importo di euro 499.066,92, oltre accessori e al risarcimento del danno anche non patrimoniale;
in subordine, formulava le medesime domande riducendo l’importo richiesto a euro 235.759,67 pari ai versamenti effettuati nella polizza suddetta.
Entrambi i convenuti si costituivano contestando la domanda attorea. In particolare, la compagnia: in via preliminare, disconosceva la documentazione prodotta dalla controparte; nel merito, chiedeva
rigettarsi la domanda attorea, dovendo ritenersi il COGNOME unico responsabile; in via subordinata, insisteva per il riconoscimento di una corresponsabilità dello stesso attore ex art. 1227 c.c.; in ipotesi di condanna, chiedeva di essere manlevata dallo stesso COGNOME.
La causa veniva istruita mediante acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, ctu contabile e interrogatorio formale del COGNOME e del COGNOME
Il Tribunale di Lecco, con sentenza n. 638/2019:
in accoglimento della domanda attorea, dichiarava l’inesistenza del contratto di cessione e l’inefficacia dell’atto di riscatto della polizza assicurativa numero 0053196, poi trasformata nella polizza 3118913, e condannava la compagnia al pagamento in favore del COGNOME della somma di euro 363.813,84, oltre interessi legali dal 26 settembre 2013 al 7 marzo 2016 ed interessi ex articolo 1284, comma quarto, codice civile, dal 7 marzo 2016 al saldo;
in accoglimento della domanda di manleva, condannava altresì il COGNOME al pagamento in favore di compagnia della somma di euro 363.813,84 oltre interessi legali dalla pubblicazione della sentenza;
regolava infine le spese di lite condannando l’assicurazione a rifondere quelle sostenute dall’attore COGNOME ed il COGNOME a rifondere quelle sostenute dall’assicurazione.
Avverso la sentenza di primo grado Unipol Sai proponeva appello. Si costituiva il COGNOME eccependo l’inammissibilità e infondatezza dell’impugnazione, mentre il COGNOME rimaneva contumace.
La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2674/2021, confermava la sentenza di primo grado, condannando la compagnia appellante alla rifusione delle spese processuali in favore del COGNOME.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso Unipol Sai.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME (secondo la documentazione prodotta), nelle more deceduto.
Per l’odierna adunanza il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte.
I Difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria.
La Corte si è riservata il deposito della motivazione entro il termine di giorni sessanta dalla decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Giova preliminarmente ripercorrere il contenuto delle sentenze emesse dai giudici di merito.
1.1. In sintesi, il Tribunale ha: a) ritenuto provato che il COGNOME era stato indotto con l’inganno a sottoscrivere l’atto di variazione di contraenza, atto che qualificava nei termini di una mera dichiarazione di scienza; b) ritenuto mai avvenuto un negozio di cessione della polizza e, conseguentemente, c) dichiarato inefficace nei confronti del COGNOME la liquidazione della polizza, operata da Unipol in favore di COGNOME, ravvisando nella condotta della società assicurativa la colpa grave che, ai sensi dell’art. 1889 c.c., non libera l’assicurazione che abbia provveduto alla liquidazione al legittimato apparente; d) ritenuto i successivi versamenti del COGNOME imputabili al medesimo rapporto in ragione del contenuto delle quietanze rilasciate da COGNOME ed altresì del tenore confessorio delle dichiarazioni dell’agente assicurativo.
1.2. D’altra parte, la corte territoriale, dopo aver respinto l’eccezione di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c.: a) ha ritenuto che il giudice di primo grado aveva correttamente valorizzato le dichiarazioni rese dal COGNOME in sede di interrogatorio formale ed aveva correttamente individuato in tali dichiarazioni e nella sentenza di patteggiamento per il reato di truffa, emessa nei confronti dell’assicuratore per il reato di truffa, elementi indiziari a suffragio della dolosa induzione alla sottoscrizione del modulo di richiesta di variazione dell’intestazione della polizza e della inconsapevolezza del COGNOME rispetto alla natura e funzione del documento che aveva sottoscritto; b) ha ritenuto che le ricevute, redatte su carta intestata della
compagnia assicurativa e sottoscritte dal COGNOME, chiudevano il quadro probatorio, in quanto <>; c) dopo aver espressamente richiamato, facendolo proprio, un passo motivazionale della sentenza di primo grado, ha ritenuto che la circostanza di fatto per cui il soggetto che avrebbe dovuto controllare la validità della variazione della intestazione di contraenza era lo stesso nuovo beneficiario, avrebbe dovuto indurre la compagnia ad utilizzare una maggiore cautela nel provvedere alla liquidazione a mani dell’agente, verificando tramite il precedente intestatario la correttezza della variazione; d) ha concluso affermando: d1) la mancata efficacia liberatoria del pagamento effettuato da Unipol Sai a titolo di riscatto della polizza nelle mani del solo apparente legittimato COGNOME; d2) la responsabilità della compagnia ex art. 2049 c.c. per l’operato dell’agente anche per quanto attiene ai versamenti successivamente effettuati dal COGNOME e trattenuti dall’agente COGNOME.
La compagnia Unipol Sai articola in ricorso sette motivi.
2.1 Con il primo motivo, la compagnia denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha fondato la presunzione su fatti storici privi di gravità e/o precisone e/o concordanza laddove ha affermato che dal giudice di prime cure erano stati correttamente valorizzati gli elementi indiziari al fine di ritenere provata: da un lato, la dolosa induzione da parte del COGNOME alla sottoscrizione da parte del COGNOME della modulo di richiesta di variazione dell’intestazione di polizza; e, dall’altro, la inconsapevolezza del COGNOME rispetto alla natura e funzione del documento che aveva sottoscritto.
Sottolinea che la corte territoriale ha enfatizzato la rilevanza ai sensi dell’art. 2729 c.c. di alcuni elementi (le dichiarazioni confessorie del COGNOME; la sentenza di patteggiamento; le ricevute redatte su carta intestata della Compagnia assicurativa sottoscritte dall’agente e prodotte in giudizio), che sarebbero privi dei caratteri di gravità, precisione e concordanza.
Quanto alla dichiarazione confessoria del COGNOME, di cui al verbale di udienza del 9.5.2018 – che indica come ad essa non opponibile ad essa Compagnia – osserva che essa verte sui versamenti effettuati dopo il mutamento della contraenza e spiega come i resoconti venivano predisposti dallo stesso COGNOME, che poi tratteneva le somme ricevute, ma nulla dice né sulla variazione di contraenza né su come i rendiconti venivano proposti per la firma al COGNOME.
Sostiene che, in assenza di una univoca interpretazione del significato da fornire ai versamenti effettuati successivamente al mutamento di contraenza, non poteva dirsi provata la dolosa induzione alla sottoscrizione. Tanto più che il COGNOME in sede stragiudiziale aveva disconosciuto la firma apposta sulla variazione di contraenza, così come in citazione, per poi in sede di giudizio di merito sostenere invece che la predetta variazione era stata firmata con altra documentazione che gli aveva sottoposto il COGNOME, di cui si fidava, con l’inganno.
Quanto alla sentenza di patteggiamento, invocando il principio affermato da Cass. n. 20170/2018, sostiene che essa, attesa la fragilità del quadro indiziario, nessun valore poteva rivestire nel giudizio civile di merito.
In definitiva, secondo la compagnia, l’evidente difetto di concordanza tra i vari elementi emergenti avrebbe dovuto indurre il giudice di merito a ritenere non provata la dolosa induzione alla sottoscrizione della variazione di contraenza.
2.2. Con il secondo motivo, che indica strettamente connesso al precedente, la compagnia denuncia: <>.
Sottolinea che la corte di merito ha dedotto la dolosa induzione alla sottoscrizione della variazione di contraenza dal fatto che il COGNOME, continuando ad effettuare anche successivamente alla variazione di contraenza i versamenti sulla stessa polizza riscattata, non poteva che essere stato indotto con raggiri a sottoscriverla.
Osserva che non è dato di comprendere in che modo l’asserito raggiro abbia inciso sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà all’esito della quale il contraente si sia determinato a stipulare, con ciò difettando la prova necessaria a legittimare l’applicazione alla fattispecie de qua dell’art. 1427 del codice civile.
2.3. Con il terzo motivo la compagnia denuncia: <> nella parte in cui la corte di merito, avvallando in toto il ragionamento del Giudice di primo grado, ha desunto l’esistenza della prova in punto di assenza da parte del COGNOME della volontà di sottoscrivere la variazione di contraenza della polizza a nome di COGNOME NOME dalla dichiarazione confessoria del COGNOME.
Ribadisce che le dichiarazioni confessorie del COGNOME vertevano sulla falsificazione della documentazione successiva al riscatto della polizza all’esito della variazione di contraenza e confermavano il trattenimento delle somme versate dal COGNOME successivamente al predetto riscatto; ma nulla dicevano in relazione alla variazione di contraenza.
Sostiene che dalla dichiarazione confessoria la Corte avrebbe dovuto trarre argomenti a conforto della consapevolezza da parte del COGNOME della sottoscrizione della variazione di contraenza, in quanto il rilascio di quietanze riportanti quale contraente l’amico e parente NOME COGNOME sarebbero chiaro indice della consapevolezza da parte del COGNOME dell’effettuata variazione di contaenza (e, quindi, del suo colpevole affidamento).
2.4. Con il quarto motivo la compagnia denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto (p. 17) <>.
Sostiene che: a) la problematica in essere tra cedente e cessionario (o meglio, in materia assicurativa, tra contraente cedente e colui nei confronti del quale è stata effettuata la variazione di contraenza) non coinvolge il debitore (la Compagnia); b) essendo il comportamento del debitore (Compagnia) giuridicamente dovuto ed essendo per questi indifferente la persona nelle mani della quale adempiere, il relativo credito sia liberamente trasferibile da parte del creditore; c) con la conseguenza che essa Compagnia, verificata la corretta variazione di contraenza, ben aveva effettuato il pagamento al richiedente il riscatto, non potendo ad essa essere opposta la
problematica in ordine al consenso o alla volontarietà della sottoscrizione della contraenza.
In definitiva, secondo la compagnia, il pagamento era stato da essa effettuato correttamente a chi era legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, ovvero in base ad un atto di variazione di contraenza, correttamente sottoscritto dal precedente contraente e dal contraente cessionario, non essendo su onere effettuare accertamenti ulteriori in presenza della correttezza nella compilazione del modulo sottoposto al riscatto.
2.5. Con il quinto motivo la compagnia denuncia: <> nella parte in cui la corte di merito ha ritenuto provati anche i versamenti successivi alla variazione di contraenza, osservando al riguardo: <>.
Sottolinea che <>.
Osserva che l’ex agente in sede di interpello formale ha ammesso di essersi sbagliato negli importi indicati nella quietanza, che alcuni
importi venivano pagati in contanti, altri con assegni; ma che, a fronte del disconoscimento della documentazione da essa compagnia effettuato, il COGNOME avrebbe dovuto superare il richiesto disconoscimento o con un’istanza di verificazione o quantomeno con la prova degli esborsi (produzione degli estratti conti correnti). Tanto più che molte delle quietanze dimesse agli atti riportavano quali contraente non più il COGNOME, bensì il COGNOME.
2.6. Con il sesto motivo la compagnia denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale ha erroneamente ritenuto (p. 18) che: <>.
Sostiene che il preteso nesso di occasionalità è stato interrotto dalla anomala condotta dal COGNOME: l’intermediario era una persona di famiglia, frequentava la famiglia COGNOME da oltre sei anni, si recava direttamente a casa del COGNOME NOME; questi, ex imprenditore e libero professionista, era tutt’altro che sprovveduto, aveva sottoscritto la variazione di contraenza nella propria abitazione ed aveva ricevuto quietanzamenti per i versamenti successivi riportanti in gran parte, quale contraente, NOME COGNOME Questi agiva con ampia autonomia organizzativa, neppure usufruendo dei locali preposti alla sua attività di Agente.
In definitiva, secondo la compagnia, i giudici di merito avrebbero dovuto escludere la sua responsabilità ex articolo 2049 del codice civile, non solo per la accertata corretta attività di cambio contraenza della polizza, ma anche alla luce delle successive fasi dei rapporti che sono intercorsi interamente ed unicamente tra il COGNOME e il COGNOME: la
particolare modalità con cui si erano realizzati gli illeciti da parte del COGNOME, probabilmente con la stessa complicità del COGNOME, erano tali da escludere qualsiasi sua concorrente responsabilità.
2.7. Con il settimo motivo, strettamente connesso al precedente, la compagnia denuncia: <<violazione falsa applicazione dell'articolo 1227 codice civile riferimento all'articolo 360, primo comma numero 3 c.p.c. nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c., nella parte in cui la corte territoriale, esaminando un motivo del suo atto di appello, ha affermato: <>.
Si duole che la corte territoriale nulla ha argomentato in relazione al prospettato concorso di responsabilità ex articolo 1227 codice civile dello stesso COGNOME.
Sostiene che <>.
Il motivo quarto – che viene qui considerato per primo, in considerazione del suo carattere assorbente – è in parte infondato e in parte inammissibile.
3.1. Dal giudizio di merito è emerso che: a) il COGNOME ha operato come agente per la Winterthur (poi Unipol Sai), presso un’agenzia di Monza, dal 1994 al 2012; e) NOME COGNOME (classe 1930) era amico di vecchia data del COGNOME, al quale era anche legato da rapporti di parentela, essendo il COGNOME il fratello della nuora; b) la polizza per
cui è ricorso era un prodotto assicurativo trattato dalla compagnia ed i moduli utilizzati dal COGNOME con il COGNOME erano in uso presso la compagnia; c) gli incontri tra l’agente COGNOME e l’assicurato COGNOME si sono svolti al di fuori dei locali dell’agenzia (e, in particolare, presso l’abitazione del COGNOME).
Dal giudizio di merito è emerso altresì che: a) il COGNOME ha fatto sottoscrivere al COGNOME la polizza …196 con decorrenza dal 28 febbraio 1994 sulla quale erano confluiti versamenti per 102.500.000 delle vecchie lire; b) detta polizza è stata sostituita dalla polizza …913, con decorrenza dal 28 febbraio 1999, sulla quale sono stati effettuati versamenti per euro 83,255,43; c) nel 2002 è pervenuto alla compagnia l’atto di variazione di contraenza dal nome di COGNOME NOME al nome di COGNOME NOME; d) il COGNOME nell’atto introduttivo del giudizio di merito ha dedotto di non aver mai sottoscritto l’atto di variazione di contraenza, ma nel prosieguo del giudizio ha sostenuto che detto atto era stato da lui firmato con altra documentazione, che il COGNOME, di cui si fidava, gli aveva sottoposto con l’inganno; e) sempre nel 2002 la polizza è stata riscattata dal nuovo contraente COGNOME per l’importo di euro 121.484,50; e) successivamente al riscatto della polizza, il COGNOME ha effettuato ulteriori versamenti al parente/amico COGNOME che in alcuni casi li ha falsamente quietanzati come relativi alla polizza (non più esistente), mentre in altri ha indicato in quietanza sé stesso come contraente.
Dal giudizio di merito, infine, è emerso che nell’atto di variazione viene previsto che: <>.
3.2. Orbene, nella impugnata sentenza, la corte di appello – dopo aver ritenuto provato: a) in relazione al momento della cessione della polizza, il fatto che il COGNOME aveva dolosamente indotto il COGNOME a
sottoscrivere l’atto variazione di contraenza e, al contempo, il fatto che il COGNOME, nel sottoscrivere detto atto, fosse inconsapevole della natura e della funzione del documento sottoscritto; b) in relazione ai versamenti effettuati successivamente al riscatto della polizza, il fatto che il COGNOME, dopo aver riscattato a suo nome la polizza (che gli era stata ceduta dal COGNOME), ha continuato a ricevere dal COGNOME pagamenti di denaro, che tratteneva, simulando la persistenza della polizza, tanto da rilasciare al COGNOME ricevute su carta intestata della compagnia – ha comunque ritenuto che il pagamento, effettuato dalla compagnia, nelle mani del COGNOME, non ha avuto efficacia liberatoria, in quanto, come già rilevato dal giudice di primo grado (pp. 17-18):
<<nell'apprezzamento della legittimazione di NOME COGNOME la società convenuta è palesemente incorsa in grave negligenza, tale da integrare l'eccezione prevista dalle norme citate. Infatti RAGIONE_SOCIALE, nel verificare la regolarità della comunicazione ricevuta, non ha rispettato le cautele minime da essa stessa congegnate nella predisposizione del modulo, fondate sul controllo della effettività della sottoscrizione da parte di un proprio agente.
<<Tale cautela, a pena di cadere nella capziosità o nel più vuoto formalismo, corrisponde alla constatazione, da parte di un agente terzo, dell'apposizione spontanea e consapevole della firma e non può certo ridursi alla mera attestazione che la sottoscrizione è stata vergata dal cliente, a prescindere dal modo con cui è stata ottenuta.
<<Dunque nel caso di specie, la coincidenza tra cessionario della polizza ed agente 'autenticatore' rendeva particolarmente evidente l'aggiramento del sistema di controllo predisposto dalla stessa Assicurazione.
<<Quindi la 'richiesta di variazione' sarebbe dovuta essere considerata inidonea, con la possibilità di richiedere integrazioni o effettuare accertamenti diretti.
<>.
3.3. Orbene, il motivo quarto, qui in esame, è inammissibile nella parte in cui denuncia violazione dell’art. 1189 c.c., in quanto parte ricorrente contesta al giudice di merito, non di aver errato nella individuazione della norma regolatrice della controversia, bensì di avere erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi costitutivi d’una determinata fattispecie normativamente regolata (quale per l’appunto è quella del pagamento a creditore apparente): tanto fa inammissibilmente, in quanto detta valutazione comporta, non un giudizio di diritto, ma un giudizio di fatto.
Il motivo è inoltre infondato nella parte in cui denuncia vizio motivazionale, in quanto la corte di merito – dopo aver riportato il passo argomentativo sopra indicato – ha sottolineato la peculiarità del caso (costituita dal fatto che il soggetto che avrebbe dovuto controllare la validità della variazione della intestazione di contraenza era lo stesso nuovo beneficiario) ed ha motivato la ritenuta mancata efficacia liberatoria del pagamento, argomentando ulteriormente che <>.
Dunque, contrariamente a quanto ritenuto la compagnia ricorrente, il dictum della corte di merito non è affatto privo di motivazione.
D’altronde, il motivo sarebbe comunque inammissibile, in quanto l’affermazione che precede integra autonoma ratio, che non ha formato oggetto di censura da parte della compagnia ricorrente.
La reiezione del quarto motivo implica il consolidamento di una delle ragioni della decisione, di per sé sola idonea a sorreggere la conclusione raggiunta dalla gravata sentenza: tanto rende irrilevante l’evenienza della fondatezza delle censure avverso le altre ragioni, che non è, pertanto, neppure necessario prendere in esame.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida in euro 10.700 per compensi, oltre, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2025, nella camera di consiglio