Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4237 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4237 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4389/2021 proposto da:
NOME COGNOME, in proprio e quale titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE nonché quale amministratore unico e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocatessa NOME COGNOME;
– controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE, Rappresentanza generale per l’Italia, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1050/2020 della CORTE D’APPELLO DI TORINO depositata il 23/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/01/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 23/10/2020, la Corte d’appello di Torino ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato NOME COGNOME alla corresponsione, in favore di NOME COGNOME, della somma di euro 12.109,42 (oltre accessori) a titolo di risarcimento del danno e -condannata la RAGIONE_SOCIALE a tenere indenne l’COGNOME dalle conseguenze di tale condanna (al netto della franchigia convenuta) -ha rigettato le restanti domande avanzate dallo COGNOME per la condanna dell’COGNOME e di NOME COGNOME al risarcimento degli ulteriori danni asseritamente subiti dall’istante in conseguenza dell’inadempimento, da parte dei convenuti, dei propri doveri professionali di commercialista assunti nei confronti dello COGNOME;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come il giudice di primo grado avesse correttamente limitato la condanna pronunciata nei confronti dell’COGNOME al
risarcimento dei soli danni connessi a taluni inadempimenti minori in cui l’COGNOME era incorso nell’esercizio RAGIONE_SOCIALE proprie incombenze di commercialista di fiducia dello COGNOME, atteso che le ulteriori richieste risarcitorie dell’attore -con particolare riguardo alle conseguenze del contestato inadempimento dell’COGNOME e del COGNOME consistito nella mancata proposizione di un ricorso per cassazione avverso una pronuncia della Commissione tributaria regionale avente ad oggetto la contestata legittimità di taluni accertamenti fiscali eseguiti a carico dello COGNOME -dovevano ritenersi sostanzialmente prive di fondamento, avuto riguardo all’insussistenza di ragionevoli o significative probabilità di un esito favorevole della lite tra lo COGNOME e l’amministrazione fiscale;
da ultimo, la corte d’appello ha confermato la legittimità della pronuncia del primo giudice, nella parte in cui aveva disatteso la domanda dello COGNOME volta alla restituzione RAGIONE_SOCIALE somme versate all’COGNOME a titolo di compenso, non avendo lo COGNOME proposto alcuna domanda di risoluzione (e, dunque, non avendo provocato alcuna caducazione) del titolo contrattuale sulla base del quale tale compenso era stato legittimamente prestato;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE resistono ciascuna con un proprio controricorso;
la RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria;
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 40 cod. pen., ai sensi
dell’art. 360, co. 1, n. 3 e dell’art. 384, comma 2 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente escluso il ricorso di un preciso nesso di causalità, in relazione all’art. 1176 cod. civ, tra gli inadempimenti dei convenuti e la totalità dei danni denunciati dallo COGNOME, avendo i professionisti sottratto a quest’ultimo la possibilità di ricorrere per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale e, dunque, di ottenere una pronuncia di legittimità certamente favorevole, attraverso la decisione nel merito della controversia a favore dello COGNOME;
con il secondo motivo, il ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata ex art. 360 comma 1, n. 3, 342, 345 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell’art. 40 cod. pen., per avere la corte territoriale erroneamente escluso il ricorso di un preciso nesso di causalità tra gli inadempimenti RAGIONE_SOCIALE controparti e la totalità dei danni denunciati dall’originario attore, in relazione all’art. 1176 cod. civ., nonché per aver travalicato i limiti propri del processo di appello, tenuto conto che, anche nel caso in cui la Corte di cassazione avesse annullato con rinvio la sentenza della Commissione tributaria regionale, il giudice del rinvio avrebbe accolto in toto le ragioni dello COGNOME o, quantomeno, avrebbe accolto il ricorso introduttivo dello COGNOME dichiarando la radicale nullità dell’accertamento per l’anno 2003 e, sotto vari profili specifici, degli accertamenti per gli anni 2004 e 2005;
entrambi i motivi -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione -sono inammissibili;
la corte territoriale ha proceduto a una analitica disamina dei contenuti del giudizio tributario e ha specificato come, sulla base degli elementi istruttori disponibili, dovesse escludersi la significativa possibilità di un qualunque esito favorevole per lo COGNOME, tanto in sede di legittimità quanto, eventualmente, in caso di cassazione con rinvio
(per l’avvenuto riconoscimento di un errore di diritto in cui era incorsa la Commissione tributaria regionale), attesa l’effettiva sussistenza di elementi indiziari complessivamente idonei a supportare la fondatezza dell’accertamento fiscale conAVV_NOTAIOo dall’RAGIONE_SOCIALE a carico dello COGNOME;
in particolare, il giudice a quo ha evidenziato come l’errore di diritto in cui incorse la Commissione tributaria regionale (con particolare riguardo ai criteri di valutazione dei maggiori ricavi derivanti dalla vendita di immobili) -errore di diritto espressamente riconosciuto dalla stessa corte d’appello nel corso di questo procedimento -fu tale da non spiegare alcuna concreta incidenza in termini positivi sulle possibilità di risultato favorevole a vantaggio dello COGNOME, avendo la corte territoriale ampiamente argomentato sulla correttezza degli accertamenti fiscali operati dall’RAGIONE_SOCIALE a carico di quest’ultimo e, dunque, sull’impossibilità di un risultato giudiziario favorevole per l’odierno ricorrente; e ciò, tanto nel caso in cui la Corte di cassazione avesse annullato la pronuncia della Commissione tributaria regionale giudicando nel merito (con il rigetto dell’impugnazione dello COGNOME), quanto nel caso in cui, annullando con rinvio, avesse rimesso al giudice del rinvio di definire la controversia tributaria, che sarebbe comunque terminata, secondo la corte territoriale, con una pronuncia sfavorevole per lo COGNOME;
ciò posto, le censure in esame, lungi dal soffermarsi sulla contestata violazione di legge concernente le regole sulla diligenza del debitore e sul nesso di causalità tra inadempimento e danno -e, dunque, lungi dal contestare l’erronea ricognizione della fattispecie astratta prevista dei parametri normativi concretamente evocati -si risolvono, nella sostanza, nella proposta di una rilettura nel merito dei fatti di causa e RAGIONE_SOCIALE prove (segnatamente concernenti la sussistenza
della chance di risultato favorevole del processo tributario); e tanto, sulla base di un’impostazione critica non consentita in sede di legittimità;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 40 cod. pen., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, e dell’art. 384, comma 2 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente interpretato l’art. 1176 cod. civ., escludendo in modo illegittimo il riconoscimento della responsabilità del professionista per non aver messo il cliente in condizione di poter ricorrere in Cassazione, provocandone la conseguente perdita della possibilità di accesso alla definizione agevolata del contenzioso ancora in atto prevista all’art. 11 del d.l. n. 50/2017 conv. in legge 96/2017;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la circostanza di fatto consistente nell’eventualità di accedere alla definizione agevolata del contenzioso tributario, con la possibilità di un ipotetico risparmio fiscale da parte dello COGNOME, non risulta mai deAVV_NOTAIOa in giudizio da quest’ultimo , né tale circostanza risulta menzionata in alcuna parte del testo della sentenza impugnata;
al riguardo, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di puntuale e completa allegazione del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della
suddetta questione (cfr. ex plurimis , Sez. 2 – , Sentenza n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 -01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018, Rv. 649332 – 01);
non avendo il ricorrente in alcun modo provveduto alle ridette allegazioni, la censura in esame deve ritenersi per ciò stesso inammissibile;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 40 cod. pen., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente interpretato gli art. 2043 e 117 6 cod. civ. ritenendo che allo COGNOME non spettasse alcun risarcimento per la perdita RAGIONE_SOCIALE chances connesse alla presentazione di ricorso di cassazione avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, in quanto le probabilità di successo del prosieguo del processo sarebbero state quantificabili nella sola misura del 15%, laddove la rilevata certezza della fondatezza del ricorso per cassazione avrebbe comportato il riscontro della probabilità di successo nella misura del 100%;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, nel proporre la censura in esame, il ricorrente dimostri di non aver colto con esattezza la ratio della decisione impugnata, avendo la corte territoriale, da un lato, certamente affermato che il ricorso per cassazione in sede tributaria sarebbe stato verosimilmente accolto in ragione della violazione di legge in cui era incorsa la Commissione territoriale regionale (segnatamente sul punto concernente i criteri di accertamento del maggiori valori di realizzo dei compendi immobiliari), ma dall’altro anche aggiunto che, una volta pervenuti al giudizio di merito (che avrebbe potuto essere emesso dalla stessa Corte di cassazione oppure, in alternativa, dal giudice del rinvio), lo COGNOME avrebbe certamente
perduto, sussistendo in atti sufficienti elementi indiziari di riscontro della correttezza dell’accertamento fiscale compiuto dall’RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente infondatezza dell’originaria impugnazione avanzata in sede tributaria dallo COGNOME;
in forza di tali premesse, l’affermazione dell’odierno ricorrente, secondo cui il ricorso per cassazione sarebbe stato accolto al 100%, non si confronta con la ragione di decisione elaborata dalla corte d’appello per cui la chance perduta non avrebbe dovuto essere riguardata con riferimento all’eventuale esito positivo del solo passaggio di legittimità, bensì con riguardo all’esito definitivo della lite, che la stessa corte d’appello ha pronosticato del tutto negativo per lo COGNOME;
con il quinto motivo, il ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata per violazione di legge (art. 360 n. 3 c.p.c., artt. 1176, 1453 c.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’avvenuta proposizione, da parte dell’attore, di una domanda di risoluzione per inadempimento del contratto professionale deAVV_NOTAIOo in giudizio, tenuto conto che la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte, ben potendo la stessa essere implicitamente contenuta in un’altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione (così come riconosciuto da Cass. civ., ordinanza, sez. VI, 23 ottobre 2017, n. 24947), con la conseguente fondatezza della domanda di restituzione degli importi già corrisposti dallo COGNOME in favore della controparte a titolo di compenso professionale;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione della censura in esame, l ‘odierno ricorrente si sia limitato ad affermare l’astratta
possibilità, in iure , di interpretare la domanda proposta dall’attore come contenente, implicitamente, una domanda di risoluzione contrattuale, da tale premessa deducendo che la corte d’appello avrebbe dovuto interpretare la propria originaria domanda come implicitamente estesa alla richiesta di risoluzione del contratto professionale concluso con gli odierni controricorrenti;
ciò posto, è appena il caso di considerare come, benché sia vero che, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la volontà di risolvere un contratto per inadempimento non deve necessariamente risultare da una domanda espressamente proposta dalla parte in giudizio, ben potendo essere implicitamente contenuta in un’altra domanda, eccezione o richiesta, sia pure di diverso contenuto, che presupponga una domanda di risoluzione (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 19513 del 18/09/2020, Rv. 659132 -01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24947 del 23/10/2017, Rv. 646052 – 01), è altresì vero che tale orientamento si fonda sul principio secondo cui il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata RAGIONE_SOCIALE domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura RAGIONE_SOCIALE vicende deAVV_NOTAIOe e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (Sez. 1, Sentenza n. 23794 del 14/11/2011, Rv. 620426 -01 espressamente richiamata dallo stesso ricorrente: v. pag. 19 del ricorso) (v. anche conf. Sez. 2, Ordinanza n. 7322 del 14/03/2019, Rv. 652943 -01; Sez. 6 – 1, Sentenza n. 118
del 07/01/2016, Rv. 638481 -01; Sez. 3, Sentenza n. 26159 del 12/12/2014, Rv. 633524 – 01);
la censura in esame, pertanto, deve ritenersi tale da risolversi nella sostanziale evocazione del potere interpretativo del giudice di merito, nella specie chiamato a riconoscere, nel quadro del testo in cui si sostanzia la domanda della parte, l’avvenuta implicita proposizione di un ‘ ulteriore diversa domanda, rispetto a quelle desumibili testualmente all’atto processuale e, segnatamente, di una domanda di risoluzione contrattuale;
in forza di tali premesse, al caso di specie dovrà trovare applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale l’interpretazione operata dal giudice di appello, riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale, è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione e, a tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale (Sez. 3, Ordinanza n. 25826 del 01/09/2022, Rv. 665645 -01; Sez. 2, Sentenza n. 4205 del 21/02/2014, Rv. 629624 -01; Sez. L, Sentenza n. 17947 del 08/08/2006, Rv. 591719 -01; Sez. L, Sentenza n. 2467 del 06/02/2006, Rv. 586752 – 01);
nella specie, il ricorrente, lungi dallo specificare i modi o le forme dell’eventuale scostamento del giudice a quo dai canoni ermeneutici
legali che ne orientano il percorso interpretativo (anche) della domanda giudiziale, risulta essersi limitato ad argomentare unicamente il proprio dissenso dall’interpretazione fornita dal giudice d’appello, così risolvendo la censure proposta ad una questione di fatto non proponibile in sede di legittimità;
sulla base di tali premesse, dev’essere dato atto della inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore di ciascuna parte controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio, liquidate, per ciascun controricorrente, in complessivi euro 11.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione del 15/01/2024.
Il Presidente
NOME COGNOME