Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4270 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4270 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14128/2022 R.G. proposto da :
NOME, domiciliato per legge in ROMA, alla INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica in atti
– ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente in carica, domiciliato per legge in ROMA alla INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende, domiciliazione telematica in atti
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO CALTANISSETTA n. 143/2022 depositata il 11/05/2022.
Udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 3/12/2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME osserva quanto segue.
FATTI DI CAUSA
La sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta, n. 143 del l’ 11/05/2022, così espone i fatti ancora in questa sede rilevanti.
Con sentenza n. 286 del 16/06/2017 il Tribunale di Caltanissetta dichiarava inammissibile il ricorso proposto, ai sensi della legge n. 117 del 13/04/1988, da NOME COGNOME nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per ottenere l’accertamento della responsabilità civile dei componenti del collegio della Corte d’appello di Palermo sezione lavoro, che aveva emesso la sentenza n. 680 del 2015, con la quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto dallo stesso NOME COGNOME avverso la sentenza n. 141 del 2014 della stessa sezione lavoro della Corte d’appello di Palermo, che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Palermo, sezione lavoro, di rigetto della domanda del Favata, nei confronti di Trenitalia S.p.a., di accertamento dello svolgimento di mansioni superiori di ottava categoria, per il periodo dal 13/08/1992 al 31/05/1995, con conseguente condanna alla corresponsione delle differenze retributive, per preclusione da giudicato di cui alla sentenza della Corte di Cassazione n. 3375 del 11/02/2009.
La sentenza n. 143 del 2022 della Corte d’appello di Caltanissetta ha dichiarato inammissibile l’impugnazione di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Caltanissetta n. 286 del 2017, con condanna dell’impugnante alle spese del grado.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 143 del 2022, con atto affidato a plurime censure.
Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, difesa dall’Avvocatura erariale.
Il Procuratore Generale non ha presentato conclusioni per l’ odierna adunanza camerale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso proposto da NOME COGNOME si compone di sedici pagine; di esse la prima pagina risulta duplicata, e ulteriori undici pagine, fino ai due terzi della pagina dodici, sono dedicate alla descrizione degli antefatti processuali, e le pagine dalla fine della dodicesima in poi sono dedicate all’esposizione delle censure e alle conclusioni. Il ricorso manca di un momento di sintesi delle censure, che, come detto, sono poste dalla fine della pag. 12 in poi.
Gli antefatti processuali sono esposti in modo confusionario e in parte riguardano precedenti controversie, proposte da NOME COGNOME davanti alla Pretura del lavoro di Palermo e al Tribunale di Roma e terminate con sentenze della Corte di Cassazione, la prima, quella incardinata a Palermo e proposta nei confronti di Trenitalia SRAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE e dell’INPS, conclusa con sentenza n. 3467 del 20/02/2004 di inammissibilità del ricorso e la seconda, proposta nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e rete Ferroviaria RAGIONE_SOCIALE e conclusa con sentenza n. 3375 del 11/02/2009, pure di inammissibilità del ricorso.
Le censure esposte sono così rubricate: «in relazione all’art. 360, n. 5 c.p.c., per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in ordine alla citata sentenza decisa dalla Corte Suprema di Cassazione Sezione Lavoro n. 3375/2009 pag. 3 primo capoverso; nonché in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. con una motivazione solo apparente con la quale la Corte Nissena aveva ritenuto la violazione dell’art. 4 comma 2 l. 117/88».
Il ricorrente censura l’affermazione della Corte d’appello di Caltanissetta di mancata proposizione del ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 680 del 2015 della Corte d’appello di Palermo, con la quale era stato dichiarato inammissibile il ricorso per
revocazione proposto dallo stesso NOME COGNOME avverso la sentenza n. 141 del 2014 della stessa sezione lavoro della Corte d’appello di Palermo, che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Palermo, sezione lavoro, di rigetto della domanda del Favata, nei confronti di Trenitalia S.p.a., di accertamento dello svolgimento di mansioni superiori di ottava categoria per il periodo dal 13/08/1992 al 31/05/1995.
In via preliminare, il Collegio rileva che l’esposizione dei fatti rilevanti, ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 3 c.p.c., pur nella meno analitica formulazione precedente alle modifiche della norma, di cui al d.lgs. n. 149 del 10/10/2022, che ora richiede «la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso» è del tutto inadeguata e non consente di addivenire alla comprensione dei fatti stessi, risultato che viene raggiunto soltanto attraverso la lettura del controricorso e della sentenza impugnata. In particolare, dalla detta carenza espositiva deriva una inidonea esposizione delle censure, che concorre alla decisione di inammissibilità dell’impugnazione, non risultando questa correlata alla motivazione della sentenza impugnata. Invero esito pressoché identico, di inammissibilità per mancata idonea esposizione dei fatti, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., avevano avuto le impugnazioni per cassazione decise dalle richiamate sentenze n. 3375 del 2009 e n. 3467 del 2004 di questa Corte, richiamate dallo stesso COGNOME a ritenuto sostegno delle sue prospettazioni.
Ove fosse possibile superare il rilievo di inosservanza dell’art. 366 n. 3 c.p.c. e potesse procedersi allo scrutinio, si dovrebbe rilevare che le censure sono inammissibili tanto con riferimento al parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. quanto avuto riguardo a quello di cui allo stesso primo comma , n. 4 dell’art. 360 del codice di rito civile.
Avuto riguardo al primo profilo, relativo all’omesso esame, è evidente, dalla piana lettura del ricorso, che le censure non si
muovono sull’esatto discrimine dell’omesso esame di un fatto fenomenico specifico, come ritenuto necessario dalla giurisprudenza nomofilattica di questa Corte (Sez. U n. 8053 del 7/04/2014 Rv. 629831 -01 e da ultimo, ex multis , Cass. n. 17005 del 20/06/2024 Rv. 671706 – 01), ma richiedono una diversa articolazione del percorso motivazionale del giudice del merito quanto alla ricostruzione della quaestio facti , il che è, notoriamente, inammissibile in sede di legittimità alla stregua della riformulazione dell’art. 360, comma primo n. 5 c.p.c.
Le censure sono, inoltre, inammissibili anche se esse siano, seguendo la prospettazione del Favata, ritenute inquadrabili nel parametro del n. 4 dell’art. 360, comma primo, c.p.c., atteso che la dedotta nullità della motivazione, per essere essa del tutto apparente, e quindi carente, non sussiste. La Corte d’appello di Caltanissetta ha ritenuto inammissibile l’impugnazione del Favata avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede in quanto, come già affermato dal primo giudice, la sentenza n. 680 del 2015 della Corte d’appello di Palermo non era stata gravata di ricorso per cassazione, cosicché essa era passata in giudicato senza che fossero stati esperiti tutti i rimedi impugnatori, nella specie il ricorso per cassazione, pacificamente ammesso avverso le sentenze che decidono sulla revocazione, previsti dall’ordinamento e prescritti a pena di inammissibilità prima che sia esperita l’azione di responsabilità civile ai sensi dell’art. 117 del 1988.
La sentenza impugnata, alla pag. 5 della motivazione, richiama le difese dell’Avvocatura erariale e , condividendole, evidenzia che la sentenza del Tribunale di Palermo, di inammissibilità del ricorso proposto ai sensi della legge n. 117 del 1988, è corretta in rito, poiché l’art. 5 comma 4, della legge n. 117 del 1988, che prevedeva una fase di vaglio preliminare di ammissibilità dell’azione, da concludersi con decreto, è stato abrogato dall’art. 3, comma 2, della legge n. 18 del 27/02/2015, entrata in vigore nel termine ordinario,
e quindi il 19/03/20215, in quanto pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 4/03/2015 , cosicché la decisione sull’azione di responsabilità è ora resa, sin dal primo grado, in forma di sentenza e senza una preventiva fase di ammissibilità.
La sentenza della Corte territoriale è, inoltre, immune dalle censure che le vengono mosse, poiché con motivazione logica e ampia il giudice di merito ha ritenuto che la decisione di primo grado era basata sull’esatto presupposto, di cui all’art. 4, comma 2, della legge n. 117 del 1988 del mancato esperimento dell’impugnazione per cassazione avverso la sentenza n. 680 del 2015, della Corte d’appello di Palermo, sezione lavoro, di rigetto della revocazione avverso la sentenza n. 141 del 2014 della stesa sezione lavoro della Corte d’appello di Palermo, che aveva confermato la sentenza del Tribunale di Palermo, sezione lavoro, di rigetto della domanda del Favata, nei confronti di Trenitalia S.p.a. ai sensi dell’art. 2113 c.c.
Il ricorso è, pertanto, dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente nei confronti della controricorrente e, tenuto conto dell’attività processuale espletata in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo.
La decisione di inammissibilità del ricorso comporta che deve attestarsi, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di