Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10963 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10963 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13022/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende.
–
ricorrente – contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, ex lege domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis.
–
contro
ricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRENTO n. 259/2021 depositata il 16/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
COGNOME COGNOME conveniva avanti al Tribunale di Trento la Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento dei danni tutti patiti, patrimoniali e non, ai sensi degli artt. 2 e 3 della legge n. 117 del 1988 in tema di responsabilità civile dei magistrati.
Allegava a sostegno della domanda: che era stato vittima di un reato di truffa nel corso della vendita di un autoveicolo di sua proprietà; che aveva sporto denuncia; che il successivo procedimento penale si era tuttavia concluso con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
Lamentava quindi che il comportamento tenuto dal Pubblico Ministero procedente, che peraltro non individuava nominativamente, aveva violato gli artt. 2 e 3 della legge n. 117 del 1988 nonché l’art. 6 CEDU; a suo dire, infatti, il p.m. infatti era incorso sia in colpa grave, per non aver rispettato il termine di conclusione delle indagini preliminari, sia in diniego di giustizia, dato che era rimasto inerte di fronte alle reiterate istanze di esso esponente, in allora persona offesa, volte a sollecitare la conclusione delle indagini preliminari ed il conseguente rinvio a giudizio, con conseguente violazione dell’art. 6 della CEDU.
Lamentava, in ultima analisi, che a causa del comportamento omissivo del p.m. nell’esercizio delle sue funzioni, egli, persona offesa dal reato, era stato irreparabilmente privato del diritto di far valere la sentenza penale di condanna degli imputati agli effetti civili, e dunque anche della possibilità di avanzare in sede civile le proprie pretese risarcitorie nei confronti dei soggetti a cui aveva venduto il proprio autoveicolo e che lo avevano truffato, rilasciando cambiali rimaste insolute e rimanendo quindi inadempienti all’obbligazione di pagamento del prezzo.
Con sentenza n. 289 del 2020 il Tribunale civile di Trento rigettava la domanda risarcitoria, pur ritenendo che lo COGNOME, per la sua posizione di persona offesa nel procedimento penale, fosse titolare di una posizione giuridica qualificata, tale da renderlo astrattamente legittimato attivo a dolersi dal prospettato diniego di giustizia.
Avverso tale sentenza lo COGNOME proponeva appello e, con il primo motivo, anche censurava la nullità della sentenza del tribunale per mancata concessione dei termini a difesa di cui all’art. 183, comma sesto, cod. proc. civ.
3.1. Si costituiva la Presidenza del Consiglio dei Ministri, resistendo al gravame e proponendo appello incidentale.
Con sentenza n. 259 del 16 novembre 2021 la Corte d’appello di Trento rigettava l’appello.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero ha depositato la sua requisitoria con la quale chiede il rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 183 sesto comma cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma uno, n. 4, cod. proc. civ.’.
Deduce di aver richiesto sin dal primo grado la concessione dei termini ex art. 183, comma sesto, cod. proc. civ. e che la corte di merito ha invece erroneamente affermato che a tale concessione egli aveva rinunciato.
Siffatta erronea valutazione del comportamento processuale
della parte avrebbe determinato dunque la mancata concessione dei termini di allegazione e prova, con conseguente lesione del diritto di difesa, di talchè l’impugnata sentenza sarebbe nulla per error in procedendo .
1.1. Il primo motivo è inammissibile, per plurime ragioni.
E’ ben vero che questa Suprema Corte ha avuto modo di affermare, in relazione alla disciplina ratione temporis applicabile, che ‘la concessione del termine di cui all’articolo 184 cod. proc. civ. -nel testo applicabile ratione temporis , ossia nella formulazione introdotta con legge 20 dicembre 1995, n. 534, e vigente sino alla entrata in vigore della legge 14 maggio 2005, n. 80 -non è rimessa alla discrezionalità del giudice, ma consegue automaticamente alla richiesta proveniente dalla parte, ove funzionale alla corretta estrinsecazione del diritto di difesa negato’ (v. Cass., n. 23314/2018; Cass., n. 4497/2011; Cass., n. 13946/2014).
Tuttavia, nel caso di specie, per un verso l’odierno ricorrente afferma di aver reiterato la domanda di concessione dei termini ex art. 183, comma sesto, cod. proc. civ. ancora in sede di precisazione delle conclusioni, ma omette di specificare se, dove e quando, nel contesto processuale, abbia formulato tale istanza, neppure riportata nel suo contenuto, in manifesta violazione dell’art. 366, n. 6 cod. proc. civ. (v., tra le tante, Cass., n. 8117/2022: ‘Va rammentato che il requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., consiste in un’esposizione che deve garantire a questa Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia ma anche del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U., 28 novembre 2018, n. 30754, che richiama Cass. n. 21396 del 2018); la valutazione in termini d’inammissibilità del ricorso non esprime, naturalmente, un
formalismo fine a sé stesso, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 e ribaditi da Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950, bensì il richiamo al rispetto di una precisa previsione legislativa volta ad assicurare uno “standard” di redazione degli atti che, declinando la qualificata prestazione professionale svolta dalla difesa e presupposta dall’ordinamento, si traduce nel sottoporre al giudice nel modo più chiaro la vicenda processuale permettendo, in quel perimetro, l’apprezzamento delle ragioni della parte (Cass., Sez. U., n. 30754 del 2018, cit.); si tratta, come evidente, di una ricaduta del principio di specificità del gravame, calato nel giudizio a critica vincolata qual è quello della presente sede di legittimità’).
Per altro verso, poi, dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che, nell’accogliere l’appello incidentale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la corte di merito ha espressamente ritenuto ‘l’impossibilità di scorgere in capo allo Zane la posizione giuridica di parte richiesta dalla legge n. 117/88, perché semplice persona offesa al tempo dell’asserita inerzia del magistrato inquirente’ (v. p. 7), ed ha affermato l’inammissibilità della domanda proposta, per carenza di legittimazione (v. p. 8).
Ne deriva, pertanto, che l’ulteriore motivazione, qui censurata dall’odierno ricorrente, secondo cui lo COGNOME avrebbe tacitamente rinunciato ai termini ex art. 183, comma sesto, cod. proc. civ., risulta essere stata resa soltanto ad abundantiam , mentre la motivazione si consolida rispetto alla preliminare ed assorbente ratio decidendi -che nel motivo il ricorrente omette invece di censurare – del difetto di legittimazione attiva del medesimo in ordine alla proposizione dell’azione (v. Cass., 28/06/2023, n. 18403; Cass., 14/02/2012, n. 2108; Cass., 27/07/2017, n. 18641).
Inoltre, secondo consolidato orientamento di legittimità,
rispetto al quale il ricorso non offre elementi di cambiamento, anche a voler escludere che nel caso di specie l’attore non avesse rinunciato alla richiesta ex art. 183, comma 6, cod. proc. civ., il giudice istruttore non era tenuto alla concessione dei termini di trattazione ed istruttori, una volta effettuata una valutazione di completezza della causa ai fini decisori, come previsto dall’art. 80bis disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 187 cod. proc. civ., e pertanto, nessun appunto di illegittimità può essere formulato (Cass., n. 32577/2023; Cass., n. 7474/2017; Cass., n. 8287/2017).
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 L. n. 117/1988 in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.’.
Lamenta che, erroneamente riformando la sentenza di prime cure, la corte territoriale lo ha ritenuto privo della legittimazione attiva a proporre domanda di risarcimento del danno, ed in tal modo sarebbe incorsa nella violazione sia dell’art. 2 della legge n. 117/1988 in tema di responsabilità dei magistrati, sia dell’art. 6 della CEDU, ‘che offre delle garanzie che debbono essere riconosciute senza alcun limite riconducibile a concetti formali di ‘fase’ o ‘parte’ sanciti dal diritto interno, dovendosi fare riferimento alla sostanza della situazione concreta (cfr. sentenza RAGIONE_SOCIALE‘ (v. p. 13 del ricorso).
2.1. Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente svolge delle critiche – a proprio uso ed al fine di rimettere in discussione le valutazioni in fatto e le conseguenti statuizioni in diritto rese dalla corte di merito – che non si correlano affatto alla motivazione resa dalla corte di merito, la quale si incentra sul rilievo per cui che ‘l’intento dello COGNOME fosse stato quello di ottenere un ristoro a fronte di lamentate lungaggini procedurali’ e sulla precisazione, quindi, secondo cui ‘egli avrebbe potuto e dovuto agire non ai sensi della L. 117/88,
ma sulla base della cd. Legge Pinto’ (v. p. 8 dell’impugnata sentenza), legge che intende, espressamente richiamandola, costituire concreta e diretta applicazione dell’art. 6 della CEDU nell’ordinamento interno, ed alla quale soltanto si riferisce la sentenza resa dalla CEDU il 7 dicembre 2017 nella causa RAGIONE_SOCIALE, invece impropriamente evocata dall’allora appellante, oggi ricorrente, in relazione ad una domanda di tutela di natura risarcitoria e non indennitaria.
Va quindi ribadito il costante orientamento di questa Suprema Corte secondo cui quando la sentenza di merito impugnata si fonda, come nel caso in esame, su più rationes decidendi autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che il soccombente le censuri tutte, dato che l’omessa impugnazione di una di esse rende definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, e le restanti censure non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (v. Cass., 28/06/2023, n. 18403; Cass., 14/02/2012, n. 2108; Cass., 27/07/2017, n. 18641).
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 legge numero 117/1988 in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.’.
Nuovamente, come nel motivo precedente, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge in tema di responsabilità civile dei magistrati nonché la violazione e falsa applicazione del successivo art. 3, lamentando che la corte di merito non avrebbe considerato che nella sentenza di prime cure era stato evidenziato come egli avesse depositato presso l’ufficio del p.m. ‘ben cinque istanze di prelievo … rimaste tutte inevase’ e che tale evenienza avesse finito per integrare il mancato rispetto dei termini di durata massima delle indagini preliminari, che avrebbe dovuto essere qualificato, in relazione
alle norme richiamate, in termini di ‘grave violazione di legge’ e di ‘diniego di giustizia’, altresì foriero di danno ingiusto, consistito ‘nell’impossibilità di far valere nella prescelta sede penale la propria domanda risarcitoria’ (v. pp. 16, 18 e 19 del ricorso).
3.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
3.2. E’ inammissibile là dove, come nel secondo motivo, pretende di censurare la motivazione, invece congrua e scevra da vizi logicogiuridici, che ha portato ad escludere l’applicazione al caso di specie dell’art. 2 della legge n. 117/1988 ed a limitare la qualificazione giuridica della fattispecie soltanto in relazione alla specifica ipotesi di ‘diniego di giustizia’ di cui al successivo art. 3 della legge citata, secondo cui ‘
Costituisce principio di diritto consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui “l’interpretazione e la qualificazione dell’eccezione, come della domanda, rientra tra i poteri del giudice di merito, il quale non è condizionato in tale compito dalla formula adottata dalla parte, dovendo tener conto del contenuto sostanziale dell’eccezione (o della pretesa), così come desumibile dalla situazione dedotta in causa: la suddetta interpretazione non è censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata, tuttavia le censure concernenti il difetto motivazionale non possono risolversi in una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice, ma devono indicare quale sia il vizio logico del ragionamento decisorio” (cfr. Cass., 10/03/2021, n. 6762; Cass., 10/05/2000, n. 5945; Cass., 10/02/2010, n. 3012).
la persona offesa dal reato o il querelante, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 212 del 2015, che ha rafforzato la posizione della vittima del reato, non possono considerarsi parti del procedimento penale prima della loro costituzione come parte civile, non avendo un autonomo diritto a che il reo sia sottoposto a pena, e neppure, dunque, alla tempestività della decisione di assoluzione o di condanna dell’imputato in sé sola considerata, senza che ciò contrasti con gli artt. 3 e 24 Cost., ben
potendo la persona offesa svincolarsi dall’esito del procedimento penale, promuovendo un’autonoma domanda risarcitoria in sede civile ovvero, quando possibile, costituirsi parte civile nel procedimento penale, senza alcuna compromissione del proprio diritto di difesa (Cass., 21/12/2016, n. 26625; Cass., 5294/2012).
Per altro verso, poi, l’impugnata sentenza perviene ad escludere che la lamentata perdita del diritto al risarcimento del danno si sia verificata come conseguenza immediata e diretta della prospettata inerzia del magistrato requirente, motivando in conformità all’orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui: a) i lamentati danni non possono essere considerati direttamente riconducibili, sotto il profilo causale, allo svolgimento delle indagini preliminari, dato che la persona offesa non è obbligata a presentare la denunzia-querela per agire civilmente; b) la costituzione di parte civile, parimenti, non è l’unico strumento giuridico per l’esercizio dell’azione civile risarcitoria; c) la lamentata prescrizione dell’azione risarcitoria è anche essa attribuibile in via esclusiva all’odierno ricorrente, dato che la presentazione della denunzia penale e lo svolgimento delle indagini preliminari non impediscono la proposizione dell’azione civile (v. Cass., 27 luglio 2005, n. 11293, che richiama la precedente Cass., 991/1996).
3.4. Pertanto, pur avendo proposto denuncia-querela e nonostante il decorso dei termini delle indagini preliminari, l’odierno ricorrente, che neppure specifica esattamente quale danno civilistico gli sia derivato dalla intervenuta prescrizione del reato, aveva a disposizione l’azione civile per chiedere l’esatto adempimento ovvero la risoluzione del contratto, con le conseguenti restituzioni e risarcimenti; il danno asseritamente patito risulta quindi interamente ed esclusivamente riconducibile alla negligenza del danneggiato che ha lasciato che l’azione
civile si prescrivesse nella cura e nell’esercizio dei propri diritti.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza