Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 22705 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 22705 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9094/2024 R.G.
proposto da
C.C. 31/3/2022
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE rappresentati e difesi dall ‘ avv. NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE, con domicilio digitale ex lege
– ricorrenti –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, rappresentata e difesa ex lege dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato (c.f. NUMERO_DOCUMENTO, con domicilio digitale ex lege
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Salerno n. 1216 del 3/10/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Ad. 27/6/2025 CC R.G.N. 9094/2024
Responsabilità civile magistrati
RILEVATO CHE
-i presupposti fattuali della causa si sviluppavano a partire dal 27 gennaio 2006, quando il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Crotone disponeva il sequestro preventivo dei beni aziendali delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in tale occasione, veniva nominato custode giudiziario NOME COGNOME, poi revocato in data 18 ottobre 2007;
-a seguito della revoca veniva nominato custode NOME COGNOMEgià legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, il quale, con lettera raccomandata del 10 novembre 2007, rifiutava l ‘ incarico, motivando la decisione con l ‘ eccessiva distanza tra la propria residenza in Lombardia e la sede delle aziende in Calabria;
-pertanto, stando al ricorso, le aziende rimanevano prive di custodia fino al dissequestro, avvenuto il 2 novembre 2011, data in cui i rappresentanti legali delle società tornavano in possesso dei beni aziendali e constatavano lo stato di devastazione degli immobili e la perdita della documentazione contabile;
-con atto di citazione notificato il 24/2/2016, NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE prospettavano la responsabilità civile dei magistrati della Procura e del Tribunale di Crotone (individuati solo con successiva memoria del 29/7/2016, dopo che il primo giudice aveva dichiarato la nullità dell ‘ atto introduttivo per carenza di causa petendi , non essendo stati precisati i comportamenti e i provvedimenti giudiziari asseritamente dannosi) per l ‘ omessa sostituzione del custode giudiziario delle aziende e avanzavano domanda risarcitoria ai sensi della Legge n. 117 del 1988, chiedendo la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento dei danni, quantificati in Euro 7.000.000,00;
-il Tribunale di Salerno, con la sentenza n. 127 del 10/1/2022, rigettava la domanda, ritenendola inammissibile poiché i fatti contestati non rientravano tra le ipotesi di colpa grave previste dalla
normativa vigente ratione temporis ; in particolare, ritenuta infondata l ‘ eccezione di decadenza dall ‘ azione sollevata dall ‘ Amministrazione, si escludeva la sussistenza di dolo, colpa grave o diniego di giustizia;
-venivano proposti impugnazione principale dagli odierni ricorrenti e appello incidentale dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri;
-la Corte d ‘ appello di Salerno, con la sentenza n. 1216 del 3 ottobre 2023, accoglieva parzialmente l ‘ appello incidentale e, in assorbimento di quello principale, confermava la sentenza di primo grado, regolando le spese di lite;
-per quanto qui rileva, la Corte di merito affermava: «… in via preliminare, occorre chiarire che, nel caso in esame, le condizioni dell ‘ azione di responsabilità civile dei magistrati ed i fatti costitutivi di detta fattispecie speciale di responsabilità sono disciplinati, ratione temporis , rispettivamente dall ‘ art. 4, commi 2 e 3, e dall ‘ art. 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18. In mancanza di una disciplina transitoria nella legge n. 18 del 2015, vale la regola generale di irretroattività dettata dall ‘ art. 11 delle preleggi, per cui la legge applicabile è quella vigente al sorgere del diritto al risarcimento del danno. Ossia nel momento in cui si sono verificati i danni dedotti in giudizio (il furto e la devastazione dei beni e della documentazione aziendale, constatati al momento del dissequestro del 2.11.2011, anteriormente alla legge n. 18 del 2015). … Secondo la rappresentazione degli appellanti, il fatto illecito è dato dai provvedimenti di nomina di COGNOME NOME a custode dei beni sottoposti a sequestro e di rigetto delle sue istanze di sostituzione. Tali provvedimenti, relativi alla custodia delle aziende sottoposte a sequestro preventivo, a norma dell ‘ art. 321, commi 1 e 2, c.p.p. (disposto dal G.i.p. del Tribunale di Crotone con ordinanza di applicazione di misure cautelari del 27.1.2006), non sono suscettibili di impugnazione. … Rispetto a provvedimenti non impugnabili, l’ art. 4,
comma 2, della legge n. 117/88, prevede una duplice condizione (temporale) dell ‘ azione, la quale può essere proposta soltanto ‘ quando sia esaurito il grado del procedimento nell ‘ ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno ‘ ed entro il termine di due anni decorrenti ‘ dal momento in cui l ‘ azione è esperibile ‘ . Sotto tale aspetto, la Suprema Corte (7.4.2016, n. 6810) ha chiarito, riguardo ad ipotesi in cui non siano contemplati rimedi avverso l ‘ atto o il provvedimento che si assume pregiudizievole, che il termine decadenziale è ancorato, non già al momento in cui si è esaurito il procedimento nel cui ambito si è verificato il danno, bensì al procedimento nell ‘ ambito del quale si è ‘ verificato il fatto che ha cagionato il danno ‘ , avendo, dunque, riguardo al cd. fatto dannoso, frutto della condotta (commissiva od omissiva) lesiva e non alle sue conseguenze pregiudizievoli (c.d. danno conseguenza, che integra il danno risarcibile civile). Nel caso di specie, il provvedimento di nomina di COGNOME NOME quale custode delle aziende sequestrate è stato emesso (in data 18.10.2007), contestualmente al decreto che dispone il giudizio, ex art. 429 c.p.p., mentre le istanze di sostituzione avanzate dal COGNOME ed il rigetto si collocano nella fase predibattimentale. Il ‘ grado del procedimento nell ‘ ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno ‘ è, dunque, rappresentato dal giudizio penale di primo grado in sede dibattimentale, conclusosi con sentenza del Tribunale di Crotone emessa in data 27.2.2013 (nel procedimento iscritto al n. 901/07 R.G. Trib. e al n. 3033/05 R.G.n.r.). Ne consegue che l ‘ azione risarcitoria poteva essere esercitata solo dopo la data del 27.2.2013 (momento in cui si è esaurito ‘ il grado del procedimento nell ‘ ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno ‘ ) e non oltre la data del 27.2.2015 (il termine di due anni decorrenti ‘ dal momento in cui l ‘ azione è esperibile ‘ ). Nel caso di specie, l ‘ atto di citazione di primo grado è stato notificato in data 24.2.2016, oltre la scadenza del termine biennale di decadenza dell ‘azione. Risulta, così …
fondato il secondo motivo, stante l ‘ errore di diritto in cui è incorso il primo giudice (secondo cui ‘ non è corretto individuare un dies a quo , da cui far decorrere il termine biennale, qualsiasi esso sia ‘ ) e la fondatezza dell ‘ eccezione di decadenza dall ‘ azione risarcitoria, a norma dell ‘ art. 4, comma 2, cit., essendo decorso il termine di due anni dal momento in cui l ‘ azione era esperibile.»;
-avverso la predetta sentenza NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE proponevano ricorso per cassazione, affidato a un unico articolato motivo;
-resisteva con controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri;
-all ‘ esito della camera di consiglio del 27/6/2025, il Collegio si riservava il deposito dell ‘ ordinanza nei successivi sessanta giorni, a norma dell ‘ art. 380bis .1, comma 2, c.p.c.;
CONSIDERATO CHE
-la parte ricorrente deduce: «Violazione dell ‘ art. 112 cpc. -mancata correlazione tra richiesto e pronunciato -violazione della normativa sull ‘ appello -violazione dell ‘ art. 132 c.p.c. violazione dell ‘ art. 11 delle preleggi e legge 13 aprile 1988, n. 117 e della legge 27 febbraio 2015, n. 18 -violazione della normativa sulle spese giudiziali. Tutto in relazione all ‘ art. 360 n. 3 cpc. Difetto di motivazione su capi essenziali dell ‘ appello Error in procedendo .»;
-il ricorso è inammissibile per plurime ragioni;
-innanzitutto, si rileva che la censura non rispetta il disposto dell ‘ art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.;
-nell ‘ unico motivo sono articolati plurimi profili di doglianza -omessa considerazione dei motivi d ‘ appello, carenza di motivazione, lacunosa ed errata esposizione dei fatti, natura processuale o sostanziale dei termini di decadenza, individuazione del dies a quo per l ‘ esercizio dell ‘ azione risarcitoria, omessa menzione nelle conclusioni
delle richieste probatorie, mancata ammissione dei mezzi istruttori, omessa considerazione di fatti rivelatori della responsabilità -e tale modalità espositiva determina ex se l ‘ inammissibilità del ricorso perché non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, «dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d ‘ impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse» (così Cass. Sez. 2, 23/10/2018, n. 26790, Rv. 651379-01); -quanto poi alla pretesa violazione di eterogenee disposizioni normative tra loro cumulate -art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., «normativa sull ‘ appello» ( sic ), art. 11 preleggi, legge n. 117 del 1988, legge n. 18 del 2015, «normativa sulle spese giudiziali» -si ribadisce che «l ‘ onere di specificità dei motivi, sancito dall ‘ art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denuncia il vizio di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d ‘ inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa». (Cass. Sez. U., 28/10/2020, n. 23745, Rv. 659448-01);
-inoltre, è gravemente lacunosa l ‘ esposizione del fatto processuale, prescritta dall ‘ art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c.: difatti, si lamenta la mancata considerazione del primo motivo del gravame, ma questo non è riportato nel testo dell ‘ atto introduttivo, sicché è comunque preclusa a questa Corte la valutazione della censura; si
richiamano istanze di revoca di ordinanze rese dal primo giudice -non considerate dalla Corte di merito -senza riportare il contenuto né dei predetti provvedimenti, né delle richieste avanzate, e senza nemmeno accennare alla decisività di tale doglianza (ove si voglia ipotizzare una critica alla declaratoria di nullità dell ‘ atto di citazione, non consta dal ricorso che la questione sia stata sottoposta al giudice d ‘ appello, né, in ogni caso, è riportato il testo dell ‘ originario atto introduttivo); si sostiene che il termine decadenziale doveva decorrere dal decreto di archiviazione della denuncia per abuso d ‘ ufficio presentata nei confronti dei magistrati crotonesi, ma di tale provvedimento (così come della denuncia) non sono riportati i dettagli essenziali (si indica solo genericamente che risale al maggio 2014, data comunque non significativa, atteso che solo il 29/7/2016 gli odierni ricorrenti hanno provveduto a sanare l ‘ atto di citazione dichiarato nullo per carenze della causa petendi );
-manifestamente infondato (e, come tale, comunque inammissibile), infine, è il motivo nella parte in cui afferma, apoditticamente e senza confrontarsi con la decisione di merito, che il termine decadenziale era, nel caso de quo , triennale e non biennale: «In tema di responsabilità civile dei magistrati, il termine triennale di decadenza per la proposizione dell ‘ azione risarcitoria, introdotto dall ‘ art. 3, comma 1, lettera a), l. n. 18 del 2015 – che ha modificato l ‘ art. 4, comma 2, della l. n. 117 del 1988, che prevedeva un termine biennale – non è applicabile ai giudizi relativi a fatti intervenuti in epoca antecedente alla sua entrata in vigore, perché, in mancanza di disposizioni transitorie, tale norma non ha efficacia retroattiva.» (Cass. Sez. 3, 27/07/2024, n. 21079, Rv. 671831-01);
-in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile;
-consegue a tale declaratoria la condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate, secondo i parametri normativi (e in
considerazione dell ‘ ammontare della richiesta risarcitoria avanzata), nella misura indicata nel dispositivo;
-va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti ed al competente ufficio di merito, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , D.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p. q. m.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere alla controricorrente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 20.000,00 per compensi, oltre a spese eventualmente prenotate a debito;
ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti ed al competente ufficio di merito, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, qualora dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione