Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6480 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6480 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21822/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, alla INDIRIZZO, presso l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) – ricorrenti –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, alla INDIRIZZO, presso l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) – controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in ROMA, alla INDIRIZZO, presso l’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) – controricorrente avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di BOLOGNA n. 2001/2020 depositata il 10/07/2020.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 13/12/2023, dal Consigliere relatore NOME COGNOME, osserva quanto segue.
FATTI DI CAUSA
I fratelli NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME, in proprio e in qualità di eredi del padre NOME, nonché la madre NOME COGNOME in proprio e anch’ella quale erede, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Ravenna la società RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE per sentirne accertare la responsabilità in relazione alla morte del loro congiunto, in data 02/10/1996, ritenendo che il padre e coniuge, non autosufficiente, in quanto affetto da morbo di Alzheimer, non era stato adeguatamente sorvegliato ed assistito, durante il pasto, dal personale della struttura per anziani gestita dalla detta RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ed era deceduto a seguito dell’ostruzione delle vie respiratorie causata da un torsolo di frutta o comunque da cibo non adeguatamente sezionato.
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE resisteva alla domanda e chiamava in manleva la propria compagnia assicuratrice, RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, la quale sollecitava la chiamata in causa della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, quale soggetto tenuto alla somministrazione dei pasti e in generale alla vigilanza sui ricoverati.
Quest’ultima si costituiva in giudizio, chiedendo anch’essa di chiamare in manleva la propria assicuratrice RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale di Ravenna, con sentenza n. 1560 del 2011, rigettava la domanda nei confronti della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e della sua compagnia assicuratrice RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, respingeva le eccezioni preliminari sollevate dalle controparti degli attori e, nel merito, riteneva infondate le domande da questi proposte sulla base delle risultanze del processo penale -in quanto vi era stata assoluzione degli operatori preposti alla casa di riposo -con condanna alle spese.
I soccombenti proponevano appello, contestando la decisione in merito: all’applicabilità dell’art. 2049 cod. civ.; per aver erroneamente ritenuto vincolante nel giudizio civile il giudicato penale; per omessa applicazione della regola probatoria «del più probabile che non»; per aver erroneamente valutato la responsabilità contrattuale, extracontrattuale, e da contatto sociale in capo alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE; per averli condannati alle spese nonostante il rigetto delle questioni preliminari di controparte; per non aver condannato la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, quale assicuratrice della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, alla rifusione delle spese.
La Corte d’appello di Bologna , con sentenza n. 97 del 9/01/2015, confermava la sentenza del Tribunale di Ravenna, condannando gli appellanti al pagamento delle spese di lite in favore di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, dichiarando compensate quelle tra gli appellanti e compagnia assicuratrice della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
I fratelli COGNOME, in proprio e quali eredi del padre e della madre NOME COGNOME, deceduta in corso di causa, proponevano ricorso per cassazione.
Resistevano con controricorso la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, che aveva rilevato la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, e la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
Questa Corte, con sentenza n. 4724 del 19/02/2019 accoglieva, per quanto di ragione, i primi quattro motivi del ricorso, dichiarando assorbito il tredicesimo e inammissibili i restanti motivi, cassava, pertanto, la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviava, anche per il regolamento delle spese fra i COGNOME, la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, alla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione.
I COGNOME, in proprio e in qualità di eredi del padre e della madre, riassumevano, avanti la Corte d’appello di Bologna, il giudizio nei confronti della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale, con sentenza n. 2001 del 10/07/2020, rigettava l’appello e condannava i COGNOME alla rifusione delle spese in favore della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE nonché in favore della società assicuratrice, e le compensava tra gli appellanti e l’assicuratrice della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorso per cassazione, con atto affidato a dieci motivi, NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME.
Resistono con separati controricorsi la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
Tutte le parti hanno depositato memoria per l’adunanza camerale del 13/12/2023, alla quale il ricorso è stato trattenuto in decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I COGNOME propongono i seguenti motivi.
incomprensibilità della sentenza d’appello in punto di compensazione delle spese di lite nel rapporto processuale con l’ RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, quale compagnia assicuratrice della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in quanto questa non era più parte del giudizio.
II) vizio processuale ai sensi dell’ art. 112 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello ritenuto nuova e quindi inammissibile la domanda di affermazione di responsabilità contrattuale per mutamento della domanda ( mutatio libelli ) da reato e da contratto e negoziale. La Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto attuata un mutamento della domanda in sede di comparsa conclusionale, essendosi solo in detto atto estesa la causa dall’originaria domanda di accertamento della responsabilità
extracontrattuale, a ipotesi di responsabilità contrattuale e da cd. contatto sociale.
III) vizio processuale ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., nullità della sentenza ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., poiché è stata erroneamente ritenuta rinunciata la domanda di responsabilità contrattuale e da contatto sociale.
IV) vizi di diritto e processuali ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., per mancato inquadramento della domanda sulla base di quanto prospettato. I ricorrenti lamentano che la Corte d’appello in sede di rinvio non ha adeguatamente esaminato il ricorso in riassunzione.
V) nullità della sentenza e violazione art. 112 cod. proc. civ. per palese mancata comprensione delle questioni trattate relative agli artt. 652 e 654 cod. proc. pen. I ricorrenti affermano che la Corte d’appello avrebbe erroneamente richiamato la sentenza civile del Tribunale di Ravenna, travolta dalla sentenza d’appello della stessa Corte territoriale, successivamente cassata.
VI) violazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 652 e 654 cod. proc. pen., i ricorrenti sostengono che l’assoluzione in sede penale dei dipendenti della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, e in particolare della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, non ha avuto effetti vincolanti, poiché non è stato individuato il soggetto che doveva impedire l’evento. L’assoluzione , sostengono i ricorrenti, comunque fa stato tra le sole parti del processo penale, ma non si estende a soggetti terzi.
VII) violazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per violazione del principio del «più probabile che non» in relazione alle modalità dell’accadimento, ex art. 1223 cod. civ. Il giudice del rinvio avrebbe negato l’applicabilità del principio del «più probabile che non», pur ammettendo che attraverso un
contro
llo «totale» su NOME COGNOME, l’evento sarebbe stato evitato.
VIII) violazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 1176, 1655, 2043, 1228, 2049 cod. civ. La Corte d’appello ha erroneamente applicato dette norme in forza dell’assunto secondo cui la circostanza che l’evento dannoso si fosse verificato dopo il termine del pasto era sufficiente ad escludere la fondatezza dell’addebito di inadeguata somministrazione del cibo e difetto di sorveglianza durante il pasto.
IX) violazione e (o) falsa applicazione del contratto di appalto intercorso tra le parti, ossia tra la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, nonché degli artt. 1229 e 1655 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. I ricorrenti lamentano l’erronea interpretazione della convenzione intercorsa tra le parti e ritengono che quest’ultima non individuava quali sarebbero state le specifiche funzioni di controllo gestionale in capo alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
X) violazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 112, 115, 116 cod. proc. civ. e 2694 cod. civ. I ricorrenti affermano che la Corte d’appello ha invertito l’onere della prova che doveva essere posto in capo alla controparte.
È opportuno premettere che nell’esposizione dei motivi di ricorso, e segnatamente nella loro rubrica, non è sempre indicata quale sia la norma asseritamente violata e secondo quale parametro processuale, ossia se per la violazione e (o) falsa applicazione di norme di diritto, per nullità della sentenza o del procedimento o per omesso esame, il che di per sé comporta una disagevole ricostruzione delle ragioni di critica e talvolta non ne consente l’esatta individuazione, come meglio si esporrà in seguito.
Il primo motivo di ricorso è fondato. La sentenza n. n. 2001 del 10/07/2020 ha dichiarato compensate le spese di lite tra i RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, ossia della compagnia assicuratrice della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE che, tuttavia, non era parte nel giudizio di appello a seguito del rinvio disposto da questa Corte con la sentenza n. 4724 del 19/02/2019.
In accoglimento di detto motivo di ricorso, deve, pertanto, disporsi l’eliminazione, dalla motivazione e dal dispositivo della sentenza n. 2001 dell’anno 2020 della Corte d’appello di Bologna , la statuizione relativa alla compensazione delle spese di lite tra i RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso possono essere congiuntamente scrutinati, in quanto strettamente connessi, poiché attengono al profilo della domanda di risarcimento danni sulla base oltre che della responsabilità extracontrattuale anche da contratto o da cd. contatto sociale.
Essi sono infondati e inammissibili. La Corte territoriale ha affermato che il tema della diversa fonte di responsabilità venne posto, dinanzi al Tribunale di Ravenna, soltanto con la comparsa conclusionale. La parte ricorrente non ha in alcun modo adeguatamente impugnato detta affermazione decisoria, ponendosi in un’ottica di mera contestazione e non di vera e argomentata critica e, peraltro, ha omesso del tutto di riportare adeguatamente le parti salienti degli atti processuali, anteriori alla comparsa conclusionale dinanzi al Tribunale civile di Ravenna, nei quali la detta domanda sarebbe stata proposta anche assumendo a fondamento altre fonti delle obbligazioni risarcitorie, quale, appunto, il cd. contatto sociale.
Come esattamente prospettato dalla sentenza impugnata, l’apertura a diverse forme di responsabilità avrebbe implicato, inammissibilmente, data la fase di giudizio in cui il riferimento al
contatto sociale è stato effettuato, un diverso atteggiarsi del riparto dell’onere probatorio , in quanto implicato dalla diversità di fatti costitutivi da provare. Da detta tardiva allegazione della diversa fonte di responsabilità deriva l’infondatezza del terzo motivo, in quanto la Corte d’appello non ha ritenuto in alcun modo che la domanda di condanna al risarcimento dei danni da cd. contatto sociale fosse stata abbandonata, non essendovi nel testo del provvedimento alcun cenno nel senso prospettato dal motivo.
L’inammissibilità del quarto motivo consegue anch’essa all’impossibilità di ritenere ritualmente introdotta in causa la tematica della responsabilità da cd. contatto sociale, cosicché alcun obbligo motivazionale ulteriore, rispetto a quello assolto con l’affermazione dell’essere stata la prospettazione della responsabilità da cd. contatto sociale effettuata soltanto con la comparsa conclusionale in primo grado, poteva dirsi sussistente in capo alla Corte territoriale. Deve peraltro rilevarsi che in alcuno degli atti processuali anteriori alla comparsa conclusionale in primo grado e richiamati dalla difesa dei COGNOME vi è un accenno alla responsabilità da contatto sociale: lo stesso stralcio del ricorso in riassunzione riportato dai COGNOME nel ricorso per cassazione, nella parte tra virgolette alla pag. 44, non comprende il riferimento alla responsabilità suddetta, che è richiamata nella parte non virgolettata. I ricorrenti non riportano in alcun modo parti o stralci dell’originaria citazione dinanzi al Tribunale di Ravenna, nei confronti della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, dal quale possa comprendersi se effettivamente avessero posto il tema della responsabilità da contatto sociale e comunque della responsabilità dell’appaltatore
Il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso sono, pertanto, disattesi.
Il quinto e il sesto motivo del ricorso possono pure essere congiuntamente trattati, in quanto entrambi aventi riferimento agli
esiti penali della vicenda e sono imperniati sulla disciplina di cui agli artt. 652 e 654 cod. proc. pen., che regolano gli effetti delle sentenze penali in ambito civile e amministrativo (di danno e non).
Occorre evidenziare che sul versante penalistico della complessa vicenda, a una prima sentenza del Tribunale di Ravenna, affermativa della responsabilità di tre dipendenti, tra le quali la RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, era seguita l’assoluzione da parte della Corte territoriale, confermata da lla sentenza di questa Corte di Cassazione, sezione IV penale, n. 20019 del 12/05/2009.
La sentenza civile del Tribunale di Ravenna, afferma la difesa dei ricorrenti, sarebbe stata travolta dalla cassazione della sentenza d’appello che essa aveva confermato. L’assunto tende ad affermare che di detta sentenza civile di primo grado la Corte territoriale non poteva più tenere conto. L’assunto dell’essere stata la sentenza di prime cure del tutto privata di rilevanza è infondato, in quanto la cassazione della sentenza d’ appello è stata disposta, da questa Corte, per motivi processuali, i primi quattro del ricorso, con assorbimento dei restanti, eccetto il tredicesimo. L’assorbimento comportava che le questioni sottese ai motivi assorbiti dovevano essere vagliate nel giudizio di rinvio, e non che fossero divenute irrilevanti e dunque non più soggette a scrutinio. La prospettazione relativa alla preclusione alla valutazione della sentenza di primo grado da parte del giudice d’appello è pertanto errata. L a Corte d’ appello, inoltre, con la sentenza in scrutinio, e in aderenza alla giurisprudenza di questa Corte, ha compiuto un’autonoma valutazione dei fatti di rilevanza penale ai fini civili, escludendo comunque profili di responsabilità in capo all’unica dipendente della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, la COGNOME, che era stata assolta in sede penale «perché il fatto non costituisce reato», con la conseguenza che l’accertamento del giudice penale non aveva
efficacia vincolante «nel giudizio civile di danno ai sensi dell’art. 652 c.p.p., nel quale – attesa l’autonomia e la separatezza tra giudizio civile e giudizio penale sottolineata anche dalle Sezioni Unite penali della S.C. (sent. n. 22065 del 2021) – compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio, e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del processo penale» (Cass. n. 36638 del 25/11/2021 Rv. 663298 -01 e , prima dell’intervento delle Sez U penali Cass. n. 22883 del 30/10/2007 Rv. 600388 – 01 e Cass. n. 3193 del 14/02/2006 Rv. 590619 – 01).
Ne consegue, pertanto, che tutti i dipendenti delle due società, ossia la RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE In RAGIONE_SOCIALE sono stati assolti in sede penale, soltanto la COGNOME con formula che non fa stato in sede civile, ma i giudici di merito hanno escluso comunque profili di responsabilità suo carico, con accertamento di fatto relativo alla circostanza che NOME COGNOME non era del tutto non autosufficiente e aveva inghiottito il torsolo di mela, o di pera, fuori dalla sala da pranzo, mentre stava tornando alla sua camera.
La prima sentenza della Corte d’appello in sede civile è stata cassata da questa Corte relativamente al profilo della inammissibilità della domanda nei confronti della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, ma la seconda sentenza d’appello, ossia quella in questa sede impugnata, ha riaffrontato tutti i temi relativi alle responsabilità da reato del personale coinvolto e le relative statuizioni non sono impugnate in modo idoneo, trattandosi, sostanzialmente, di censure che tendono a rimettere in discussone le valutazioni del giudice di merito e ciò anche con riferimento al riparto dei compiti tra appaltante (RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE) e appaltatore (RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE).
Giova, sul punto evidenziare sin da ora che i COGNOME (e la loro madre) proposero la domanda risarcitoria unicamente avverso la El
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e soltanto in seguito venne disposta la chiamata in causa, non su loro impulso, della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e della relativa compagnia assicuratrice.
Il settimo, l’ottavo e il non motivo di ricorso concernono tutti il tema della responsabilità e della diligenza dell’appaltatore, ossia della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
La Corte d’appello nella sentenza impugnata ha adeguatamente vagliato le risultanze documentali di causa, pervenendo alla conclusione che, sulla base del contratto di appalto che legava la detta RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, la responsabilità per i livelli quantitativi e qualitativi dei servizi competeva soltanto alla appaltante, ossia alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE
I motivi settimo, ottavo e nono, ben lungi dal censurare con critica argomentata le affermazioni decisorie del giudice territoriale, si limitano a contrapporre ad esse una propria visione dei fatti e una propria lettura del contratto di appalto, finendo per chiedere, ancora una volta, un diverso apprezzamento dei fatti, già adeguatamente valutati dal giudice del merito.
In particolare, non risulta infirmata dal compendio censorio la statuizione relativa al fatto che la qualità della prestazione richiesta era rimessa alla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, che doveva determinare, con le proprie direttive, i livelli quantitativi e qualitativi delle prestazioni in favore degli ospiti della residenza per anziani.
A tanto consegue, nella adeguata e coerente motivazione della Corte territoriale, che il personale della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto determinare quale fossero i comportamenti cui erano tenuti i dipendenti e comunque i collaboratori della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, non potendosi a questi, e soltanto a questi, imputare il verificarsi di eventi avvenuti al di fuori di ambiti, spaziali e organizzativi, sui quali avrebbero dovuto, a tenore di direttive, vigilare.
Ne risulta, pertanto, esclusa ogni addebitabilità al persona della RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, e quindi in definitiva alla stessa detta società cooperativa, della circostanza che, con maggiore grado di verosimiglianza, risulta avere determinato il decesso di NOME COGNOME, persona affetta da morbo di Alzheimer ma non del tutto non autosufficiente, consistita nell’ingestione, al di fuori della sala da pranzo, di un torsolo di mela (o di pera), con conseguente soffocamento.
I detti tre motivi di ricorso sono, pertanto, anch’essi disattesi.
Il decimo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto assolutamente privo di adeguata specificità poiché si limita ad affermare che l’onere della prova doveva essere posto sulla controparte, ossia sulla RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, senza alcuna ulteriore affermazione a sostegno della censura, che rimane, così, del tutto apodittica. Ove si voglia intendere il motivo come riferito alla diversa prospettazione di responsabilità da contatto sociale, ossia che l’onere probatorio doveva essere diversamente ripartito dal giudice del merito, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ per essere diversa la fonte della pretesa risarcitoria vale quanto già esposto in relazione ai motivi che precedono, circa la tardività, con conseguente inammissibilità, della prospettazione risarcitoria da cd. contatto sociale. Il motivo si conclude, e tanto ne tradisce ulteriormente la apoditticità, con una serie di affermazioni di dubbia valenza relative alla condotta processuale di parti che avrebbero indotto testi, precostituendo in tal modo tesi difensive accusando un defunto.
In conclusione, il primo motivo è accolto e il ricorso è nel resto rigettato.
Le spese di lite seguono la prevalente soccombenza dei ricorrenti e tenuto conto del valore della controversia in relazione all’attività processuale espletata, e dell’accoglimento soltanto in
minima parte del ricorso, con riferimento a statuizione decisoria priva di concreta incidenza, sono liquidate come da dispositivo in favore di ciascuna delle controparti costituite.
Non deve farsi luogo all’attestazione relativa alla debenza dell’eventuale raddoppio del contributo unificato in quanto l’impugnazione non è stata integralmente rigettata o dichiarata inammissibile o improcedibile.
Il deposito della motivazione è fissato nel termine di cui al secondo comma dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e per l’effetto elimina dalla sentenza impugnata la statuizione relativa alle spese di lite tra NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME e RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE; rigetta il ricorso nel resto; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore delle controricorrenti, che liquida, in favore di ciascuna, in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di