Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23837 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23837 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
Sul ricorso n. 17724/2020 R.G.
proposto da
RAGIONE_SOCIALE di FRAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in virtù della procura speciale in atti;
ricorrente
contro
Regione Umbria , in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa dall’ avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Perugia, INDIRIZZO INDIRIZZO presso il Servizio Avvocatura Regionale, in virtù di procura speciale in atti;
contro
ricorrente
avverso la sentenza n. 814/2019 della Corte d’appello di Perugia, pubblicata il 24/12/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’ambito dei progetti di sostegno all’occupazione sostenuti dalla Comunità europea, la Regione Umbria approvava il bando denominato
‘POR Ob. 3 2000 -2006 ‘, contenente disposizioni per la presentazione di progetti integrati regionali finalizzati a promuovere l’occupazi one femminile, a seguito del quale RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (di seguito, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, Impresa individuale RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, costituite in Associazione Temporanea di Scopo (di seguito, ATS) ai sensi e per gli effetti del d.P.R. n. 554 del 1999 (con mandato collettivo con rappresentanza conferito alla capofila RAGIONE_SOCIALE, chiedevano alla Regione Umbria di essere ammesse a finanziamento per il progetto denominato “RAGIONE_SOCIALE editoriale nel settore dei beni culturali”. Il progetto prevedeva due misure funzionalmente collegate: 1) l’organizzazione e lo svolgimento di un corso di formazione; 2) l’accompagnamento all’occupazione dei soggetti formati.
L’Amministrazione regionale con D.D. n. 3334/2003 ammetteva a finanziamento il suddetto progetto.
Assunto il relativo impegno di spesa, in data 20/12/2003 veniva stipulata la convenzione tra la RAGIONE_SOCIALE, capofila dell ‘ATS , e la Regione Umbria.
Le modalità di svolgimento degli interventi di formazione finalizzati all’occupazione, delle misure di accompagnamento e delle azioni di sistema venivano regolamentate dalla suddetta convenzione, mentre quelle relative all’assunzione delle allieve formate, erano rimesse ad un successivo atto di impegno, che veniva sottoscritto il 18/02/2005.
La Regione liquidava due successivi acconti di € 33.800,00 ciascuno, ma, a conclusione del percorso formativo, presentato il rendiconto dall’ATS, la Regione non erogava alcuna somma.
La RAGIONE_SOCIALE otteneva, quindi, decreto ingiuntivo nei confronti della Regione per il pagamento della somma di € 12.684,21, oltre interessi.
Avverso il menzionato decreto la Regione proponeva opposizione, notificando atto di citazione recante anche una domanda riconvenzionale, con la quale chiedeva la condanna, previo accertamento dei dedotti
inadempimenti, alla restituzione della somma complessiva di € 98.050,00 (€ 75.800,00 per attività formativa, di sistema, di accompagnamento, ed €. 22.250,00 per aiuti all’assunzione), risultante dalla differenza tra l’importo complessivamente liquidato e quanto in parte restituito dall’ATS, oltre interessi legali dalla data delle erogazioni al saldo e rivalutazione.
Costituitasi in giudizi la RAGIONE_SOCIALE, acquisiti documenti ed escussi alcuni testi, con la sentenza n. 2041/2016 il Tribunale di Perugia accoglieva l’opposizione e, revocato il decreto ingiuntivo opposto, accoglieva la domanda riconvenzionale della Regione.
La RAGIONE_SOCIALE appellava la sentenza. Con il primo motivo di gravame, la società deduceva il proprio difetto di legittimazione passiva e la violazione dell’art. 102 c.p.c. per mancata integrazione del contradditorio nei confronti dei litisconsorti necessari, le altre società aderenti all’A TS. Con il secondo motivo lamentava la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia o pronuncia apparente sulla sussistenza del credito azionato con il ricorso per decreto ingiuntivo. Con il terzo motivo ribadiva l’eccezione d’inammissibilità e infondatezza della domanda riconvenzionale per insussistenza del vincolo di solidarietà, dell’inadempimento e del controcredito vantato dalla Regione Lazio. Con il quarto motivo contestava la decisione impugnata, nella parte in cui le aveva addebitato le spese di lite negli importi indicati. In via istruttoria, insisteva per l ‘espletamento delle prove orali non ammesse dal Tribunale di Perugia.
Si costituiva in giudizio la Regione dell’Umbria, chiedendo il rigetto dell’appello.
Respinte le richieste istruttorie, la Corte d’appello respingeva il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite.
La Corte, sul primo motivo di gravame, respingeva l’eccezione di difetto di legittimazione della RAGIONE_SOCIALE, evidenziando che quest’ultima era la capofila mandataria di tutte le imprese associate nell’ATS , munita di procura, che aveva assunto direttamente nei confronti della Regione la
responsabilità per l’adempimento di tutte le obbligazioni previste nel Bando. La stessa Corte escludeva che vi era litisconsorzio tra le imprese associate, le quali erano solo obbligate in solido al pagamento delle somma richieste in restituzione in via riconvenzionale.
La Corte territoriale, in ordine al secondo motivo di gravame, escludeva la dedotta omessa pronuncia sulla domanda monitoria, in quanto strettamente connessa con la domanda riconvenzionale della Regione, non condividendo la distinzione operata dall’appellante -secondo cui il credito da lei reclamato era relativo alla regolare attuazione del corso di formazione, mentre l’inadempimento invocato dalla Regione riguardava la misura di accompagnamento al lavoro -poiché non era possibile separare i due rapporti, trattandosi di un unico rapporto distinto in due fasi , tant’è vero che nell’art. 10 del bando era prevista, in caso di mancata assunzione o di licenziamento entro 24 mesi, la restituzione sia dei contributi ricevuti a titolo di aiuti all’assunzione sia di quelli ricevuti per formazione, azioni di sistema e misure di accompagnamento.
Secondo la Corte d’appello, nel processo, era emerso che per le cinque allieve da assumere, non era stata rispettata l’obbligazione di mantenere il posto di lavoro nei 24 mesi successivi all’assunzione e che alcune imprese consorziate avevano violato il divieto di cumulo dei benefici di cui all’art. 9 del medesimo, sicché era è stata giustamente disposta dal Tribunale la restituzione dell’intero contributo (per formazione, azioni di sistema, misure di accompagnamento e aiuti all’assunzione), ai sensi dell’art. 10, comma 5, del bando, aggiungendo che sia l’Impresa individuale RAGIONE_SOCIALE che la RAGIONE_SOCIALE avevano riconosciuto il loro inadempimento, anche se avevano restituito solo la somma di € 4.000,00 .
Per tale motivo non era accoglibile il terzo motivo d’appello, risultando la domanda riconvenzionale pienamente legittima e fondata, come ritenuto dal Tribunale, senza che la liquidazione degli acconti avesse valore di riconoscimento di debito, poiché tal liquidazione era intercorsa
prima della verifica della regolarità del corso da parte dei funzionari della Direzione Provinciale del Lavoro.
Anche la censura sulla condanna alle spese di lite era ritenuta infondata.
La RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, affidato a tre motivi di ricorso.
Si è difesa con controricorso la Regione.
La ricorrente ha depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione d ell’art. 102 c.p.c., per avere la Corte d’appello escluso l a necessità di integrare il contraddittorio nei confronti delle altre imprese aderenti all ‘ATS , nei cui confronti la statuizione era destinata a produrre effetti, mentre, invece, avrebbe dovuto tenere conto che le cause proposte nei confronti di più condebitori in solido sono inscindibili e danno luogo al litisconsorzio processuale, quando le relative cause siano in rapporto di dipendenza -ovvero quando le distinte obbligazioni presentino una obiettiva interrelazione, cosicché la responsabilità dell’uno presupponga la responsabilità dell’altro senza che abbia rilievo il fatto che la RAGIONE_SOCIALE fosse la capofila dell’ATS , poiché la procura a contrattare e la legittimazione processuale sono fenomeni distinti dalla titolarità delle obbligazioni dedotte.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 2733 c.c., avendo la Corte di merito tratto convincimento in ordine alla responsabilità della ricorrente da dichiarazioni rese da due delle imprese associate, attribuendo ad esse carattere confessorio, mentre invece le stesse avrebbero potuto avere semmai valenza presuntiva o indiziaria, in mancanza dell’elemento soggettivo richiesto per la confessione, aggiungendo che, comunque, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti non costituisce prova legale ed è liberamente apprezzata dal giudice.
Con il terzo motivo di ricorso (erroneamente contraddistinto con il numero 4) è dedotta la violazione e falsa applicazione della Decisione CE 2065 del 31/08/2000, della Delibera della Giunta Regionale n. 1207 del 18/10/2000 e successi atti (D.D. 100121 del 06/11/2002; D.D. 7064 del 03/07/2003; D.D. 913 del 12/02/2002; D.D. 334 del 23/04/2003), per avere la Corte d’appello accolto la domanda riconvenzionale errand o nell’interpretazione del bando di gara, poiché la capofila era tenuta a dirigere e organizzare il corso di formazione curando, poi, l’inserimento delle lavoratrici presso le singole imprese, ma solo queste ultime erano destinatarie dei contributi previsti per la cosiddetta ‘seconda misura’ , relativa all’accompagnamento occupazionale , senza che la Mediaware fosse tenuta a compiere alcun accertamento sull’operato delle imprese datrici di lavoro, una volta instaurato il relativo rapporto.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Parte ricorrente ha richiamato l’ orientamento interpretativo che ravvisa il litisconsorzio processuale necessario in sede di impugnazione, e dunque la necessità di integrare il contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c., nei casi in cui il giudizio sia in origine promosso nei confronti di più obbligati in solido, ma poi l’impugnazione coinvolga solo alcuni di essi, sebbene le cause siano tra loro dipendenti, ovvero le distinte posizioni dei coobbligati presentino una obiettiva interrelazione (Cass.. Sez. 3, Sentenza n. 15358 del 06/07/2006; v. anche da ultimo Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 34899 del 28/11/2022).
Tale orientamento riguarda, tuttavia, ipotesi del tutto diverse da quella in esame, ove la domanda riconvenzionale è stata formulata già in primo grado nei confronti di uno solo tra gli obbligati in solido, sicché non vi è litisconsorzio (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 4065 del 14/02/2024), non essendovi il rischio di giudicati non uniformi in ordine ad accertamenti comunque tra loro interdipendenti (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4303 del 13/02/2023).
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La ricorrente ha attribuito alla pronuncia del giudice un significato diverso da quello inequivocamente espresso, poiché la Corte d’appello non ha attribuito valenza di piena prova, ai sensi dell’art. 2733 c.c. , al riconoscimento dell’inadempimento operato dalle due imprese associate, l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, ma ha proceduto alla valutazione di tale fatto, unitamente ad altri ( l’obiettiva emerg enza della cessazione del rapporto di lavoro prima dei 24 mesi dall’assunzione e la restituzione da parte delle menzionate imprese di parte del finanziamento ottenuto), per ritenere pr ovato l’inadempimento delle obbligazioni assunte.
La censura non coglie dunque la ratio della decisione e sanziona con la violazione di legge una valutazione rientrante nel libero apprezzamento del giudice, insindacabile in sede di legittimità.
Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
La ricorrente ha prospettato la ritenuta impossibilità di configurare l’esistenza di una propria obbligazione avente ad oggetto anche la conservazione del rapporto di lavoro per almeno 24 mesi, in relazione alle donne che avevano partecipato al corso di formazione, ma non ha censurato in modo specifico la statuizione della Corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE aveva «assunto direttamente nei confronti della R egione la responsabilità per l’adempimento di tutte le obbligazioni previste nel Bando» (p. 3 della sentenza impugnata), indicando eventuali clausole della convenzione stipulata dalla ricorrente e dalla Regione, in grado di condurre a una conclusione diversa da quella cui è pervenuta la Corte d’appello.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
Ai sensi del l’art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
La Corte
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite sostenute dalla controricorrente che liquida in € 3.000,00 per compenso , oltre € 200 per esborsi e accessori di legge;
dà atto, ai sensi del l’art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile