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Responsabilità bancaria per informazioni errate

La Corte di Cassazione conferma la condanna di una banca per aver fornito a un cliente informazioni superficiali sulla validità di un vaglia postale, poi rivelatosi falso. L’ordinanza sottolinea la responsabilità bancaria che sorge quando l’istituto, accettando di effettuare una verifica su richiesta del cliente, non adotta la diligenza professionale richiesta, inducendo il cliente a un falso affidamento e causandogli un danno economico.

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Pubblicato il 21 dicembre 2025 in Diritto Bancario, Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Responsabilità bancaria: quando la verifica di un titolo costa cara

La fiducia nel proprio istituto di credito è un pilastro fondamentale nel rapporto tra cliente e banca. Ma cosa succede quando un’informazione fornita frettolosamente da un dipendente causa un grave danno economico? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito la responsabilità bancaria in un caso di truffa legata a un vaglia postale falso, offrendo importanti spunti di riflessione sulla diligenza richiesta agli operatori del settore.

I Fatti di Causa

Un cittadino, in procinto di vendere la propria autovettura, viene contattato da un potenziale acquirente che propone di pagare tramite un vaglia postale. Per cautelarsi, il venditore si reca presso la sua banca di fiducia chiedendo di verificare la validità e la copertura del titolo. Un’impiegata dell’istituto, su richiesta del cliente e alla presenza dei presunti acquirenti, acconsente a effettuare un controllo. La dipendente contatta telefonicamente un numero fornitole dal truffatore, presentatole come quello dell’ufficio postale emittente. Dall’altro capo del telefono, un complice conferma la “bene emissione” del vaglia.

Rassicurato da questa verifica, il venditore conclude la vendita e consegna il veicolo. Purtroppo, scoprirà in seguito che il vaglia era falso e di non poter incassare la somma pattuita, subendo una perdita totale.

L’iter giudiziario e la responsabilità bancaria in Appello

Inizialmente, il Tribunale di primo grado aveva respinto la richiesta di risarcimento del cliente. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato la decisione, accogliendo le ragioni del venditore truffato. I giudici di secondo grado hanno stabilito che, nel momento in cui la banca accetta di eseguire una verifica per conto del cliente, si instaura un rapporto contrattuale riconducibile al mandato.

Questo incarico impone alla banca di agire con la diligenza professionale prevista dall’art. 1176, secondo comma, del codice civile. La Corte ha ritenuto che l’impiegata avesse agito con grave superficialità, basando la sua conferma su una semplice telefonata a un numero sconosciuto e fornito da una parte potenzialmente inaffidabile, senza effettuare ulteriori e più approfondite verifiche. Questo comportamento negligente ha creato un falso affidamento nel cliente, inducendolo a concludere un affare dannoso.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La banca ha impugnato la sentenza d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo, tra le altre cose, l’inesistenza di un servizio di “bene emissione” per i vaglia postali e contestando la qualificazione del rapporto come mandato.

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la responsabilità bancaria. Il punto centrale della decisione non è se esista o meno un servizio standardizzato di verifica per i vaglia postali, ma il fatto che la banca, tramite il suo dipendente, si sia concretamente assunta l’onere di svolgere tale verifica. Una volta accettato l’incarico, la banca era tenuta a eseguirlo secondo i canoni della diligenza professionale.

La Corte ha evidenziato diverse mancanze:

1. Superficialità della verifica: Basarsi su una chiamata a un numero non verificato, fornito dalla controparte del proprio cliente, è stato ritenuto un comportamento gravemente negligente.
2. Mancata richiesta di conferma scritta: Di fronte a una situazione incerta, sarebbe stato doveroso richiedere una conferma scritta dall’ufficio postale.
3. Omissione di informazioni sui rischi: L’impiegata non ha adeguatamente informato il cliente sui rischi connessi a un accredito “salvo buon fine”, che non garantisce l’effettiva disponibilità dei fondi.

La Cassazione ha concluso che la valutazione della Corte d’Appello era un accertamento di fatto, ben motivato e non sindacabile in sede di legittimità.

Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio cruciale: la responsabilità bancaria non deriva solo dall’esecuzione di servizi standard, ma anche dagli impegni specifici assunti nei confronti dei clienti. Se una banca accetta di fornire un’informazione o di effettuare una verifica, anche a titolo di cortesia, deve farlo con la massima diligenza e professionalità. Una condotta superficiale che genera un falso affidamento nel cliente e gli provoca un danno è fonte di responsabilità e obbliga l’istituto al risarcimento. Per i clienti, è un monito a pretendere sempre chiarezza e verifiche approfondite, mentre per le banche è un richiamo a formare adeguatamente il personale sui rischi connessi anche alle operazioni apparentemente più semplici.

Una banca può essere ritenuta responsabile per aver verificato un vaglia postale, anche se non esiste un servizio formale di “bene emissione” per tali titoli?
Sì. Secondo la Corte, la responsabilità non sorge dall’esistenza di un servizio standardizzato, ma dal fatto che la banca, tramite un suo dipendente, ha accettato di assumersi l’onere di effettuare la verifica. Una volta accettato l’incarico, è tenuta a eseguirlo con diligenza professionale.

Quale livello di diligenza è richiesto a un impiegato di banca in queste situazioni?
È richiesta la diligenza professionale qualificata (ex art. 1176, co. 2, c.c.), che è superiore a quella del cittadino medio. L’impiegato non può limitarsi a una verifica superficiale, come una telefonata a un numero non certificato, ma deve adottare tutte le cautele necessarie per fornire un’informazione affidabile.

Il fatto che il cliente abbia insistito per la verifica o fornito il numero di telefono esonera la banca da responsabilità?
No. La Corte ha ritenuto che la condotta superficiale della banca sia stata la causa decisiva del danno. Anche se il cliente ha sollecitato il controllo, spetta al professionista (la banca) eseguire l’incarico secondo le regole dell’arte e informare il cliente dei rischi, non potendo scaricare su di lui la responsabilità di una verifica negligente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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