Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 25938 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 25938 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24415/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1625/2022 depositata il 20/07/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
NOME COGNOME convenne dinanzi al Tribunale di Ravenna la Banca di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguiti a incaute informazioni fornite mediante la cd. bene emissione circa la regolarità di un titolo di pagamento (un vaglia postale ) emesso da tale sig. ‘NOME per l’acquisto di un’autovettura; titolo risultato poi falsificato nel contesto di una truffa orchestrata dal medesimo NOME e da tale NOME COGNOME, asserito acquirente.
Nello specifico la domanda fu ancorata al fatto che la cassiera di turno della menzionata banca, alle ore 15,20 del 29-1-2015, su richiesta dell’attore e dei presunti contraenti si era assunta l’onere di verificare la cd. bene emissione del vaglia ; all’uopo , dopo essersi messa in contatto telefonico con l’agenzia postale di Buttanuco (BG) , al numero peraltro fornito da NOME, aveva comunicato di avere in effetti ricevuto conferma della bene emissione del titolo in risposta alla telefonata fatta su quel numero, poi rivelatosi non corrispondente a quello dell’agenzia emittente; s icché l’attore era stato indotto a dar corso alla vendita senza conseguire il prezzo, attesa per l’appunto la successivamente riscontrata falsità del titolo di pagamento.
La domanda, respinta dal tribunale nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (già Banca di RAGIONE_SOCIALE), è stata accolta dalla C orte d’appello di Bologna all’esito del gravame de l Riceputi.
Per quanto di interesse in questa sede, la corte d’appello fermi i fatti di cui sopra – ha motivato la decisione in questo modo:
(i) al vaglia postale, diversamente da quanto sostenuto dalla banca, devono estendersi i principi riferibili all’assegno circolare, in ragione della sostanziale equiparazione prevista dall’art. 6, quarto comma, del d.P.R. n.
144/2001 (” ai vaglia postali si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni applicabili all’assegno circolare “);
(ii) la richiesta di “bene emissione” su un vaglia postale, operata da parte del soggetto che risulta cartolarmente essere il beneficiario del titolo medesimo, costituisce circostanza di per sé sufficiente a porre in relazione qualificata la banca emittente con l’ordinatario;
(iii) nel momento in cui la banca, su specifica richiesta del proprio cliente, accetta di effettuare la verifica di “bene emissione”, si instaura un rapporto contrattuale riconducibile al mandato, con ogni conseguenziale obbligo, atteso che la dichiarazione del “bene emissione” si risolve nell’assunzione di un obbligo di protezione, “senza prestazione principale”, che deriva dal contatto sociale qualificato tra le parti;
(iv) difatti la banca può decidere di rifiutare la propria assistenza, ma, ove accolga la richiesta del cliente, il riscontro deve essere effettuato secondo i criteri della diligenza professionale ex art. 1176, secondo comma, cod. civ.; cosa che nella specie era mancata, essendo emersa dalla prova testimoniale la superficialità della condotta tenuta dal personale della banca a fronte della conferma della bene emissione sulla base della semplice dichiarazione di un ignoto interlocutore telefonico, senza ulteriore minima verifica.
In tale contesto la corte d’appello ha concluso per la sussistenza della responsabilità della banca nei confronti del proprio cliente, per aver indotto questi a fare affidamento sulla bontà del vaglia postale, rivelatosi poi falsificato, mediante l’ omessa attuazione della corretta procedura del “bene emissione”. E ha disatteso anche la subordinata richiesta della banca di riduzione del danno per concorso di colpa dell’attore, da escludere in ragione della decisività causale della ridetta certificazione, sufficiente a ingenerare nel cliente un legittimo affidamento rispetto alla bontà del titolo.
La banca ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza d’appello, deducendo sei motivi.
L’intimato ha replicato con controricorso.
La ricorrente ha depositato una memoria.
Ragioni della decisione
-Col primo motivo la banca denunzia la falsa applicazione del d.P.R. n. 144/2001 e la conseguente erronea equiparazione fra prodotti bancari e prodotti postali, oltreché l’erronea prospettazione dell’esistenza di un servizio
di ‘bene emissione’ riferito anche ai prodotti postali. Censura la sentenza sottolineando che Banco Posta non è una banca, non avendone licenza, non è soggetta al controllo della vigilanza della Bce o della Banca d’Italia, non è iscritta all’ABI, non aderisce al RAGIONE_SOCIALE né agli altri circuiti interbancari, ivi compreso quello che consente la verifica della ‘bene emissione’. Pertanto la ‘compatibilità’ prevista dal legislatore come base per l’equiparazione dell’ assegno circolare bancario e del vaglia postale non integra il riconoscimento tout court ai secondi dei servizi assicurati esclusivamente ai primi (assegni circolari bancari).
In definitiva, secondo la ricorrente, non esisterebbe né potrebbe esistere alcun servizio di ‘bene emissione’ riferito a un titolo postale .
II. -Col secondo motivo la banca assume essere errata la qualificazione del rapporto intercorso tra la banca e il cliente, non avendo la banca mai accettato di offrire al cliente il servizio di bene emissione; e ancora sostiene la f alsa applicazione delle norme di legge che regolano l’interpretazione del contratto (artt. 1362-1371 cod. civ.), poiché la diversa tesi della corte territoriale non avrebbe ‘ trovato fondamento alcuno negli elementi emersi in corso di giudizio ‘, e poiché sulla s pecifica questione la corte, pur riconoscendo l’antitetica posizione dell’istituto di credito , avrebbe ritenuto di qualificare egualmente la prestazione come ‘verifica di bene emissione’ senza motivare al riguardo.
III. -Col terzo mezzo la ricorrente eccepisce l’e rrata qualificazione della diligenza imputata alla banca e la falsa applicazione delle norme che disciplinano la diligenza delle parti nell’adempimento delle obbligazioni (art. 1176 cod. civ.).
Ciò in quanto il funzionario di banca non aveva offerto in verità alcun servizio bancario, ma si era solo reso disponibile a chiamare l’ ufficio postale come insistentemente richiesto dal cliente, e al numero da questo messo a disposizione. Ne sarebbe derivata al più la possibilità di utilizzare, ai fini della verifica della diligenza, la più blanda fattispecie della diligenza ordinaria, attenuata peraltro dalla gratuità del mandato, non anche invece quella della diligenza professionale ex art. 1176, secondo comma, cod. civ.
In ogni caso, anche a voler seguire il percorso logico-giuridico del giudice d ‘ appello, non si sarebbe potuta riscontrare la fattispecie di responsabilità, avendo l’impiegato di banca svolto ogni più opportuna verifica,
e arrestato correttamente l’attività dopo aver cercato, vanamente, di contattare l’ u fficio postale al numero ‘istituzionale’ ; mentre -sostiene la ricorrente -era stata la controparte a insistere perché il funzionario facesse uso dell’ulteriore numero messo a disposizione del suo accompagnatore (sig. NOMENOME; sicché l’impiegato aveva utilizzato il numero fornito solo su espressa autorizzazione del cliente, che quindi si era assunto -lui – tale responsabilità.
IV. -Col quarto motivo la banca sostiene che sarebbe errata o incompleta la valutazione del materiale probatorio, ed errata l’ applicazione delle norme sulla ripartizione dell’onere della prova (art. 2697 cod. civ.).
Sarebbero state inoltre falsamente applicate le norme che regolano l’incasso c.d. ‘salvo buon fine’ .
Censura la sentenza per aver detto che non era risultata la prova in ordine all’avviso dato al cliente circa il fatto che l’accredito del vaglia sarebbe in ogni caso avvenuto salvo buon fine; e ancora per aver affermato che la somma in ogni caso sarebbe stata resa disponibile il giorno seguente l’operazione .
N el primo caso l’asserto di mancanza di prova si era rivelato in contrasto con la diversa valutazione del giudice di primo grado; nel secondo l’affermazione si sarebbe distinta per contrasto con la normativa bancaria, visto che l’accredito non è in sé definitivo, ma si consolida solo al ‘buon fine’ della negoziazione del titolo presentato, e atteso che la stessa impiegata di banca aveva ben avvisato l’attore che le condizioni bancarie prevedevano un giorno di valuta.
V. -Col quinto motivo è dedotta l’e rrata valutazione delle norme che regolano il concorso di colpa (art. 1227 cod. civ.), giacché, diversamente da quanto sostenuto dalla corte d’appello, la condotta dell’attore era stata essa stessa superficiale e incauta. Egli non conosceva le controparti della compravendita, e ciò nonostante aveva accettato un titolo diverso da quello concordato (un vaglia postale, in luogo di un assegno bancario circolare); aveva autorizzato l’utilizzo del numero di telefono fornito da uno sconosciuto e accettato la risposta; era stato avvertito che l’incasso sarebbe avvenuto ‘salvo buon fine’ e che occorreva atte ndere il buon esito della negoziazione per avere la certezza dell’incasso ; e ciò nonostante aveva ritenuto di procedere egualmente alla vendita dell’autovettura .
VI. -Infine col sesto motivo la banca denunzia il vizio di motivazione apparente e di falsa applicazione delle norme che regolano il danno risarcibile (artt. 1223 e ss. cod. civ.), sia sotto il profilo sostanziale (per l’individuazione e quantificazione del danno), sia sotto il profilo processuale (in ordine all’onere della prova), non essendo state ‘specificatamente trattate le eccezioni’ sollevate dalla difesa della banca.
VII. – Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La tesi della ricorrente è compendiabile nel rilievo che le caratteristiche differenziali del titolo postale rispetto a ll’assegno bancario osterebbero l’estensione del servizio di ‘bene emissione’ . Per ripetere le parole della banca, non esisterebbe né potrebbe esistere alcun servizio di ‘bene emissione’ riferibile al vaglia postale.
È tuttavia agevole constatare che la censura non riflette l’essenza della ratio decidendi della sentenza, in quanto la corte d’appello non ha affermato che il servizio di bene emissione deve essere automaticamente esteso alla negoziazione del vaglia postale. La corte d’appello ha stabilito, invece, che nel concreto la banca, tramite il suo impiegato, si era assunta -su richiesta del proprio cliente l’onere di svolgere l’afferente verifica di bene emissione. Dopodiché ha ritenuto che la banca avesse agito superficialmente nelle circostanze date , in contrasto con la diligenza richiesta dall’incarico assunto : in particolare aveva mancato di trasmettere e richiedere una conferma scritta del “bene emissione” nonostante la difficoltà riscontrata nel contattare il numero telefonico dell’ufficio postale di Bottanuco; aveva omesso di verificare l’identità dell’interlocutore telefonico, sebbene contattato a un numero fornito da soggetto non conosciuto (tale NOME), senza alcuna ulteriore verifica; aveva infine omesso di informare il cliente dei rischi connessi a un accredito fatto salvo buon fine.
Si tratta di un classico accertamento di fatto, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo d ell’ omesso esame di fatti storici distinti per portata decisiva (v. in generale Cass. Sez. U n. 8053-14); profilo e fatti non dedotti.
VIII. – Il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente per connessione, sono a loro volta inammissibili.
Si è dinanzi a censure che, sotto spendita di inesplicati riferimenti ai criteri di interpretazione del contratto, riflettono un chiaro tentativo di
revisione del su esposto giudizio di fatto, a fronte di una vicenda storica ricostruita dalla corte territoriale con puntualità di riferimenti, secondo corretto uso della potestà di accertamento a essa istituzionalmente riservata.
IX. – Eguale ragione di inammissibilità mina il quarto motivo di ricorso.
Il motivo genericamente ripropone -in spregio dei noti limiti e della ancor più nota funzione del giudizio di legittimità -una ipotesi ricostruttiva diversa da quella validata dal giudice del merito in punto di prova dell’ avvertimento del cliente circa l’accredito del vaglia (nonostante la bene emissione) salvo buon fine.
È appena il caso di precisare che non assume alcuna rilevanza il fatto (mero) che la detta differente ipotesi ricostruttiva sia stata condivisa dal giudice di primo grado, essendo assegnata al fisiologico andamento del giudizio in doppio grado di merito l’eventualità che il giudice d’appello (la cui sentenza è interamente sostitutiva di quella di prime cure) fornisca un diverso apprezzamento della prova.
Preme inoltre ribadire che il giudizio dell’esito probatorio, ove motivato (come nella specie), non è sindacabile in cassazione, salvo che non risultino specificati, in relazione all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ., fatti storici decisivi (principali o secondari) dal giudice del merito interamente omessi (v. Cass. Sez. U n. 8053-14).
X. – Il quinto e il sesto mezzo sono infine inammissibili a loro volta.
Il quinto motivo dà per presupposto un fatto (l’avvertimento appena detto) che l’impugnata sentenza ha invece ritenuto non provato.
Il sesto è del tutto generico, facendo vana discettazione di (in verità) inesistenti carenze motivazionali a proposito della determinazione del danno risarcibile, e riferendo di asserite ‘eccezioni’ difensive non trattate (o non adeguatamente trattate), senza specificazione di oggetto, luogo e modalità di deduzione.
XI. -Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile in ragione dell’inammissibilità di tutti i motivi.
Le spese seguono la soccombenza.
p.q.m.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in 6.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi,
oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile, addì