Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27271 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 27271 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27953/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO , rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura speciale allegata al ricorso. -ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in RAGIONE_SOCIALE, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli avvocati COGNOME NOME (EMAIL), COGNOME NOME (EMAIL), COGNOME NOME
(EMAIL), COGNOME NOME (EMAIL), COGNOME NOME (EMAIL), giusta procura in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente – avverso la sentenza della Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE n. 493/2022 depositata il 28/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/07/2024 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
COGNOME NOME conveniva avanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE chiedendone la condanna per aver consentito il ritiro di tre carnet di assegni a soggetto non titolare del conto corrente a lei intestato, in relazione ai quali erano poi stati elevati nei suoi confronti ben undici protesti.
Per quanto ancora rileva in questa sede, l’attrice in particolare allegava: di aver acceso presso l’Agenzia di RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE, poi divenuta RAGIONE_SOCIALE, il proprio conto corrente; di non aver mai richiesto, in relazione a detto conto, il rilascio di carnet di assegni; di aver appreso, in occasione della presentazione di richiesta di finanziamento presso il centro commerciale “Ipercoop” di Surbo (LE), di essere stata iscritta nel Registro Nazionale dei Protesti tenuto dalla RAGIONE_SOCIALE in relazione a undici protesti elevati nel periodo dal 2 novembre 2009 al 25 novembre 2009 per il mancato pagamento di altrettanti assegni, tutti recanti firma apocrifa; di aver quindi appurato che, nelle date del 17, del 27 e del 28 settembre 2009 erano state presentate alla banca richieste per il rilascio di tre carnet di assegni, anch’esse recanti sottoscrizione apocrifa; di aver sporto denuncia presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, a seguito della quale era stato iscritto procedimento a carico del di lei padre COGNOME NOME; di aver subìto, a causa della iscrizione del suo nominativo nel Registro dei protesti, danni da lesione della propria immagine, della reputazione personale e del proprio onore e di aver
perso alcune occasioni di lavoro.
Deduceva quindi la responsabilità della banca per aver consegnato, in assenza di qualsivoglia autorizzazione o delega, i carnet di assegni a soggetto diverso da essa attrice, il quale aveva così potuto procedere all’abusivo ed illecito riempimento dei titoli ed alla loro emissione.
Si costituiva resistendo RAGIONE_SOCIALE.
1.1. Con sentenza n. 3676/2016 il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE rigettava la domanda.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME proponeva appello; si costituiva la banca, resistendo al gravame.
2.1. Con sentenza n. 493/2022 del 28 aprile 2022 la Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE rigettava l’appello, rilevando: a) che, sebbene la perizia grafica acquisita agli atti avesse accertato la falsità anche delle firme apposte sui moduli di richiesta e di ritiro dei carnet di assegni, oltre che delle firme sugli assegni emessi, la falsificazione, come evidenziato dal perito, non era agevolmente rilevabile, essendo state in qualche modo riprodotte le modalità espressive di COGNOME NOME, sicché le discordanze riscontra te avevano richiesto l’utilizzo di specifici strumenti di indagine grafologica certamente non in possesso di un normale impiegato di banca; b) che, pertanto, il rilascio dei tre carnet di assegni a persona diversa dall’attrice era stato reso possibile dall a falsificazione delle firme apposte sui relativi moduli; tuttavia, alcuna responsabilità poteva essere addebitata alla banca, proprio in considerazione delle indicate caratteristiche della falsificazione delle firme, non rilevabile in base alle conoscenze del bancario medio; c) che le considerazioni svolte in ordine alla difficoltà di accertare la falsità delle firme valevano anche con riferimento alle firme apposte sugli assegni, che, posti all’incasso, erano stati protestati: anche in questo caso infatti, nessun rilievo poteva essere mosso alla condotta del dipendente della banca riguardo alla verifica eseguita circa la autenticità della firma apposta sui titoli mediante il controllo ed il confronto con lo specimen depositato presso l’istituto di credito; d) che neppure risultava provato che i carnet di assegni fossero stati prelevati dal padre dell’appellante, NOME, fatto che avrebbe reso evidente la responsabilità della banca, giacché, in tal caso, sarebbe stata immediatamente accertabile la non
corrispondenza tra la titolare del conto corrente ed il soggetto che richiedeva i carnet di assegni firmando il relativo modulo; del resto, la responsabilità del COGNOME per la falsificazione delle firme della figlia non era stata accertata neanche in sede penale.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste la banca con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, dedotto ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denunzia ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1375, 1992 e 2043 cod. civ., in combinato disposto con gli art. 15, 18 e 19 del d.lgs. n. 231 del 21 novembre 2007, c on l’art. 6 l. 386/1990, nonché delle istruzioni di vigilanza per le banche dettate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia il 10 aprile 2007′.
Lamenta che, erroneamente, la corte territoriale ha escluso la responsabilità della banca, trascurando il fatto che la stessa, in violazione degli obblighi inderogabili e cogenti di controllo ed identificazione del cliente, non ha verificato l’identità effettiva del soggetto richiedente ed ha provveduto a rilasciare ben tre carnet di assegni ad altra persona non autorizzata o delegata che, abilmente, ha falsificato la firma di COGNOME NOME.
Con il secondo motivo, dedotto ex art. 360, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denunzia ‘Errore in giudicando e violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ.’
Lamenta che la corte d’appello avrebbe fatto mal governo della regola di riparto dell’onere della prova, perché ha erroneamente attribuito all’odierna ricorrente l’onere di provare la consegna dei carnet a suo padre NOME COGNOME ovvero ad altro soggetto non autorizzato.
Con il terzo motivo, dedotto ex art. 360, n. 3, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente denunzia ‘Nullità della sentenza; omesso o totalmente
erroneo esame dei fatti non contestati, decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti; violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per omessa motivazione della richiesta di esame dei fatti non contestati e comunque documentalmente dimostrati ‘.
Lamenta che il giudice di appello ha omesso di esaminare l’intero materiale probatorio ed i fatti, decisivi, tali da dimostrare inconfutabilmente come la banca abbia ripetutamente, e non soltanto in occasione della richiesta e consegna dei carnet di assegni, violato gli obblighi di vigilanza e controllo e le norme regolanti il rapporto di conto corrente di NOME COGNOME; violazione degli obblighi che si appalesa ancora più grave alla luce della circostanza, incontestata, della accensione presso lo stesso istituto di credito -ma con altra agenzia- di un altro conto, intestato alla ricorrente ed al padre NOME COGNOME, a totale insaputa della stessa.
Con il quarto motivo la ricorrente denunzia, in relazione all’art. 360, n. 3, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., ‘Nullità della sentenza; omesso esame dei motivi di impugnazione, dei fatti non contestati e provati; violazione degli artt. 1223, 2043, 2059, 27 27, 2729 e 2697 sulla prova del danno’.
Ripropone le medesime doglianze avanzate con l’atto d’appello avverso la decisione di prime cure, sul rilievo per cui ‘I Giudici di seconde cure nell’affermare la correttezza dell’operato della banca non hanno deciso le ulteriori critiche mosse in appello dalla odierna ricorrente alla sentenza di primo grado che sono rimaste assorbite dalla prima pronuncia’ e per la considerazione secondo la quale ‘La medesima ricorrente, avendo fiducia nell’accoglimento dei precedenti motivi di impugnazione, intende comunq ue avanzare le medesime doglianze formulate in appello allo scopo di agevolare una diretta decisione della causa da parte della Ecc.ma Corte adita’.
Censura, dunque, la decisione di prime cure là dove ha ritenuto che il danno non fosse stato provato in misura sufficiente e là dove ha affermato che, in ogni caso, nessun risarcimento avrebbe potuto essere riconosciuto, poiché il mancato ritiro degli avvisi di mancato pagamento degli assegni per difetto di provvista ex art. 9 bis l. n. 386/1990 da parte della ricorrente, per sua colpa, sarebbe circostanza idonea a determinare la rottura del nesso
causale.
5. Il primo motivo è infondato.
Sotto la formale invocazione della violazione o falsa applicazione di legge, sollecita un riesame del fatto e della prova -stante la valutazione espressa dal giudice di merito, sulla base dell’espletata perizia grafica acquisita agli atti, per cui le caratteristiche della falsificazione delle firme erano tali da renderla non rilevabile ictu oculi in base alle conoscenze del bancario medio- precluso in sede di legittimità, fatti salvi i ristretti limiti in cui può essere dedotto il vizio di cui al n. 5 dell’ art. 360 cod. proc. civ. (v. Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054).
Neppure il motivo potrebbe essere accolto, previa sua riqualificazione nel senso della deduzione del vizio di omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, dato che risulterebbe essere stato invocato in presenza di cd. doppia conforme, non avendo il ricorrente dimostrato che siano diverse le ragioni delle pronunce in primo ed in secondo grado, con conseguente violazione dell’art. 348 -ter cod. proc. civ. (v. Cass., 09/08/2022, n. 24508: ‘Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’a rt. 348ter cod. proc. civ., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse’; v. anche Cass., 5528/2014).
Nel rilevare, in fatto, che la falsità della sottoscrizione non fosse in alcun modo riconoscibile, la corte di merito ha escluso la negligenza e della responsabilità dell’istituto bancario applicando il principio di diritto posto da questa Suprema Corte, secondo cui ‘Nel caso di pagamento da parte di una banca di un assegno con sottoscrizione apocrifa, l’ente creditizio può essere ritenuto responsabile non a fronte della mera alterazione del titolo, ma solo nei casi in cui tale alterazione sia rilevabile ictu oculi , in base alle conoscenze del bancario medio, il quale non è tenuto a disporre di particolari attrezzature strumentali o chimiche per rilevare la falsificazione, né è tenuto a mostrare le qualità di un esperto grafologo’ (Cass., 19/06/2018, n. 16178; Cass .,
26/01/2016, n. 1377)
6. Il secondo motivo è infondato.
La corte territoriale ha correttamente applicato la regola di riparto del l’onere della prova, e poi, con motivata valutazione delle risultanze probatorie acquisite, in particolare della perizia grafica acquisita agli atti, ha ritenuto che non fosse possibile per la banca, nonostante la diligenza richiestale, avvedersi della falsità.
Per un verso, infatti, la corte di merito, nel confermare la sentenza del tribunale, ha riconosciuto la particolare difficoltà che il perito del procedimento penale ha riscontrato nel determinare la falsità delle firme, circostanza idonea ad escludere qualsivoglia responsabilità della banca per le condotte a lei contestate.
D’altra parte, poi, la corte d’appello ha evidenziato come l’appellante, oggi ricorrente, non sia riuscita, a sua volta, a provare che i carnet di assegni siano stati prelevati da suo padre NOME COGNOME, e dunque non sia riuscita a dimostrare che, in tale evenienza, l’impiegato della banca avrebbe potuto immediatamente accertare la non corrispondenza tra la titolare del conto corrente ed il soggetto che si era presentato a richiedere i carnet di assegni, sottoscrivendo il relativo modulo.
Il motivo tenta di contrapporre a queste valutazioni del giudice di merito una diversa ricostruzione in fatto, non deducendo tuttavia correttamente la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
Si rammenta, infatti, che in tema di ricorso per cassazione, la censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base dell a decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero ancora abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., Sez. Un., 22/06/2017, n. 15486; Cass., 25/05/2022, n. 16922).
Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che -per il tramite dell’art. 132 cod. proc. civ., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.
Siffatta ricostruzione giurisprudenziale trova continuità e conferma nel recente arresto delle Sezioni Unite di questa Suprema Corte, in tema di travisamento della prova, che ha posto il principio per cui ‘Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale” (Cass., Sez. Un., sentenza n. 5792/2024).
Il terzo motivo, che cumula differenti censure, è integralmente infondato.
La deduzione del vizio ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. è svolta in violazione dell’art. 348 -ter cod. proc. civ., data la presenza di cd. doppia conforme. Peraltro, emerge dalla motivazione dell’impugnata sentenza che i fatti sono stati esaminati.
La violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., anche in questo caso, non viene dedotta secondo il costante insegnamento di questa Corte e finisce per
sostanzialmente sollecitare un riesame del fatto e della prova.
Neppure viene correttamente dedotto il vizio di cui al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. n. 4, perché viene criticata la motivazione resa dall’impugnata in relazione alle istanze istruttorie e non, invece, rispetto al suo contenuto intrinseco (v. Cass., Sez. Un., 07/04/2014, n. 8053 e n. 8054 e successive conformi).
Il quarto motivo è infondato.
Mira, espressamente, ad una diretta decisione del merito, dato che si duole: a) della mancata considerazione della data in cui furono inoltrati gli avvisi ex art. 9 bis l. n. 386/1990 (e cioè appena prima del primo protesto), nonché della mancata considerazione delle prove atte a dimostrare che la banca fosse a conoscenza del reale indirizzo di residenza della ricorrente; b) della errata valutazione delle prove testimoniali atte a dimostrare la sussistenza del danno.
Le censure proposte sono quindi esclusivamente fondate sulla valutazione del materiale probatorio effettuata in primo ed in secondo grado, che certamente non può essere oggetto di riesame alcuno nella presente sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.800,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE nella camera di consiglio della Terza Sezione