Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21367 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21367 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14952/2021 proposto da:
NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentati e difesi dell’AVV_NOTAIO
(EMAIL);
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME (EMAIL), COGNOME (EMAIL) e NOME COGNOME (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 996/2021 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 29/03/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3/06/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 29/03/2021, la Corte d’appello di Milano, pronunciando quale giudice del rinvio ex art. 622 c.p.p. a seguito di cassazione in sede penale (sentenza n. 21744 del 16 gennaio 2019), ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME per la condanna della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni subiti dagli attori in conseguenza del comportamento asseritamente truffaldino e, in ogni caso, colpevolmente decettivo, tenuto da taluni dipendenti della banca nella gestione delle risorse finanziarie degli attori;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base degli elementi istruttori complessivamente disponibili, fosse rimasta esclusa l’attribuibilità, a carico dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE, di comportamenti illeciti, tanto dolosi quanto colposi, dovendo, per altro verso, escludersi la responsabilità risarcitoria della RAGIONE_SOCIALE in relazione al comportamento del dipendente COGNOME, in quanto estraneo alla stessa banca;
avverso la sentenza della corte d’appello, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
la RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria;
considerato che,
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale illegittimamente omesso la considerazione dell’insieme degli elementi istruttori analiticamente richiamati in ricorso emersi nel corso del procedimento penale, in ipotesi idonei a determinare, ove opportunamente considerati, una diversa decisione della lite;
in particolare, la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto di escludere la responsabilità ex art. 2049 c.c. della banca basando la propria decisione sulle sole dichiarazioni rese dalle persone offese;
sotto altro profilo, i ricorrenti sostengono che la Corte di cassazione in sede penale avrebbe riconosciuto che le conAVV_NOTAIOe dei dipendenti di RAGIONE_SOCIALE avrebbero facilitato materialmente le conAVV_NOTAIOe truffaldine del COGNOME, e che la loro condanna fu esclusa unicamente a causa della dichiarazione di inammissibilità del ricorso presentato dal pubblico ministero, siccome affetto da genericità: circostanza, quest’ultima, tale da costituire il fatto storico decisivo ai fini del decidere;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come gli odierni ricorrenti abbiano prospettato il vizio in esame secondo il paradigma dell’omesso esame di fatti decisivi controversi in coerenza al disposto di cui all’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 5;
ciò premesso, tuttavia, le critiche avanzate attraverso la proposizione della censura in esame appaiono nel loro complesso tutte orientate, non già alla denuncia di un preteso omesso esame di specifici accadimenti o di particolari circostanze in senso storico-naturalistico (sul punto v. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019, Rv. 655413 – 01), bensì a sollecitare una rivalutazione dei mezzi probatori
assunti nel giudizio di merito, nel caso di specie consistenti nel complesso delle informazioni rinvenute da altro procedimento penale;
si tratta di un’impostazione critica che, rivendicando una rivalutazione nel merito dei fatti di causa e delle prove, deve ritenersi non consentita in sede di legittimità;
è peraltro appena il caso di rilevare come l’insieme delle circostanze deAVV_NOTAIOe attraverso la denuncia del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. risultino comunque puntualmente rilevate ed esaminate nel provvedimento impugnato, avendo il giudice a quo specificamente motivato, per ciascuna di esse, la relativa inconferenza ai fini dell ‘ individuazione di un ‘ eventuale responsabilità della Deutche RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’ art. 2059 c.c.;
con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99, 100, 112 c.p.c. e dell’art. 622 c.p.p., nonché dell’art. 132 c.p.c. comma 1 n. 4, degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2049 c.c. (in relazione all’art. 360, nn. 3, e 4, c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente escluso, non solo il dolo dei dipendenti COGNOME e COGNOME, ma anche la loro colpa, sulla base di una errata applicazione delle norme di diritto e in particolare dell’art. 2049 c.c.;
rilevano i ricorrenti come l’indagine del giudice d’appello avrebbe dovuto ricomprendere anche l’esame dell’elemento soggettivo degli altri dipendenti della filiale di INDIRIZZO della banca, sì da lasciare emergere, da un lato, la colpa dei dipendenti di RAGIONE_SOCIALE e, dall’altro, la circostanza dell’avvenuto utilizzazione, da parte della RAGIONE_SOCIALE, dell’attività del COGNOME, al di là dell’insussistenza di alcun rapporto di dipendenza dello stesso dalla banca;
sotto altro profilo, i ricorrenti si dolgono della pronuncia impugnata per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’applicabilità dell’art. 2049 c.c. al caso concreto e dunque per non aver considerato il COGNOME alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE: affermano i ricorrenti che la responsabilità in relazione ai danni causati da un falso promotore, quale sarebbe nel caso COGNOME, debba essere vagliata ex art. 2049 c.c. poiché, trattandosi di rapporto di fatto, non assumerebbero decisivo rilievo, né la natura, né la fonte del rapporto tra preponente e preposto, e non sarebbe necessario che lo stesso abbia carattere di continuità od onerosità;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, attraverso la proposizione del motivo in esame, i ricorrenti -lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate -si siano limitati ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo , della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione, neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo ;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ ubi consistam delle censure sollevate
dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 n. 5 c.p.c. ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro, 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione