Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15107 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15107 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19235/2021 R.G. proposto da
COGNOME NOME COGNOME , elettivamente domiciliati VIAREGGIO (LU), INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo
Oggetto: Banche -Responsabilità banca per illegittimo diniego mutuo
R.G.N. 19235/2021
Ud. 29/05/2025 CC
rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME NOMECOGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MILANO n. 1442/2021 depositata il 06/05/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 29/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1442/2021 pubblicata in data 6 maggio 2021, la Corte d’appello di Milano, nella regolare costituzione dell’appellata BANCO BPM SPARAGIONE_SOCIALE ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Milano n. 8653/2019, pubblicata in data 26 settembre 2019.
NOME COGNOME e NOME COGNOME avevano convenuto BANCO BPM SPA, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti da una erronea segnalazione al CRIF.
Avevano infatti dedotto di aver presentato all’odierna controricorrente richiesta di erogazione di un mutuo ipotecario e di aver successivamente rinunciato allo stesso, rivolgendosi ad altro Istituto di credito che però aveva negato l’accoglimento della richiesta a causa della presenza di una segnalazione al CRIF di ‘rifiuto concessione mutuo’ effettuata da BANCO BPM SPA.
Costituitasi regolarmente la convenuta, il Tribunale di Milano aveva integralmente respinto la domanda.
La Corte d’appello di Milano ha disatteso il gravame, ritenendo, in sintesi, che non vi fosse prova né di una condotta illegittima della
Banca né del nesso causale tra la segnalazione al CRIF e la dedotta impossibilità per gli odierni ricorrenti di accedere al credito né dei danni lamentati dai medesimi.
Quanto al primo profilo, la Corte d’appello, ha osservato che BANCO BPM RAGIONE_SOCIALE, interpellato dall’Istituto di credito cui gli appellanti si erano successivamente rivolti, aveva immediatamente chiarito che l’annotazione si riferiva ad una rinuncia alla pratica e non andava intesa come rifiuto.
Quanto al secondo profilo, la Corte territoriale, sulla scorta della ricostruzione cronologica degli eventi, ha escluso che potesse ritenersi sussistente la prova di un nesso causale tra la condotta ascritta alla banca ed i danni lamentati dagli appellanti, i quali peraltro avevano successivamente ottenuto il finanziamento da altra banca.
Quanto all’ultimo profilo, è stata esclusa la sussistenza di adeguata prova del danno da lucro cessante e del danno non patrimoniale lamentato dagli appellanti.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Resiste con controricorso BANCO BPM SPA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1218, 1374, 1375 e 2729 c.c.; 119 TUB; 2 Cost.
Si censura la decisione impugnata per aver escluso la sussistenza della responsabilità della controricorrente sulla base di una
ricostruzione fattuale che si fonderebbe su ipotesi non provate e non tenendo conto della sussistenza della condotta illegittima della controricorrente medesima.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1375, 1337, 2043, 2050, 2056 c.c.; 11 e 15 Codice della Privacy; 18, Legge n. 675/1996 ‘poi trasposto nel d.lgs.196/2003’ .
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha escluso sia il nesso di causalità tra la condotta della Banca controricorrente, richiamando sul punto gli obblighi di condotta che gravano sugli Istituti di credito e la tutela dei dati personali.
Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.
2.1. Si deve preliminarmente richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, per cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la
violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Orbene, entrambi i motivi di ricorso, ben lungi dal procedere a questa doverosa illustrazione e dall’evidenziare concretamente un inadeguato governo delle previsioni di legge applicate dalla Corte territoriale, si sostanziano in una mera censura al merito vero e proprio della decisione, contestando la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove operata dalla Corte territoriale, con un insieme di argomentazioni che risulta radicalmente estraneo all’ambito operativo dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
2.2. Ulteriormente, si deve rilevare che, della triplice ratio decidendi posta alla base della decisione impugnata -assenza di prova sia del comportamento illecito dell’odierna controricorrente, sia del nesso causale tra tale ipotetico comportamento illecito ed il danno lamentato sia, infine, della stessa esistenza del danno -non risulta censurata -se non in misura ancora più apodittica rispetto ai primi due motivi -l’ultima ratio , dovendo conseguentemente trovare applicazione il principio per cui qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi , neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019).
2.3. Con specifico riferimento al secondo motivo, poi, si deve rilevare che il profilo della violazione delle previsioni in tema di tutela del diritto alla riservatezza non risulta essere stato in alcun modo affrontato nella decisione impugnata, ed anzi solo dal controricorso sembra emergere -senza che peraltro ciò sia indicato con la necessaria specificità – che lo stesso sia stato dedotto in sede di prime cure e, una volta disatteso, non sia stato fatto oggetto di gravame.
Non avendo i ricorrenti né dedotto di aver sollevato la questione nei precedenti gradi di giudizio o -come potrebbe emergere dalle difese della controricorrente – di averla dedotta in sede di prime cure, facendone poi oggetto di uno specifico motivo di appello -e ciò individuando, in ossequio all’art. 366 c.p.c., l’atto o gli atti nei quali sarebbe avvenuta tale deduzione o impugnazione -deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente
enunciato da questa Corte, per cui qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima