Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31666 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31666 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/12/2024
Oggetto: titoli di credito
AC – 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28038/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del l.r.p.t., rappresentata e dife sa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
Banca di Cividale s.p.a. , in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Trieste, seconda sezione civile, n. 323/2021 del 5 agosto 2021, resa nel procedimento n.r.g. 34/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 6 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Unipolsai Assicurazioni s.p.a. ha proposto ricorso in cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Trieste, riformando la decisione di primo grado resa dal Tribunale di Pordenone, ha respinto la domanda da essa proposta e avente a oggetto la richiesta di condanna della Banca di Cividale s.p.a. al risarcimento del danno derivante dalla negoziazione, presso la filiale di quest’ultima in San Vito al Tagliamento, di tre assegni di traenza non trasferibili di origine assicurativa, sottratti dopo la loro spedizione a mezzo del servizio postale e successivamente contraffatti e incassati presso uno sportello dell’istituto di credito convenuto mediante versamento su conto corrente bancario aperto presso la medesima filiale pochi giorni prima.
La Corte territoriale, per quanto ancora in questa sede interessa, ha ritenuto: a) che nel caso di specie era incontroverso che gli assegni fossero stati presentati all’incasso dal soggetto che risultava intestatario dei titoli e versati su un conto corrente dallo stesso aperto alcuni giorni prima presso la medesima filiale, con la conseguenza che, essendo avvenuto il pagamento a persona apparentemente legittimata come imprenditore, non sussisteva alcuna responsabilità da parte dell’istituto negoziatore, atteso che nel caso concreto non erano state debitamente evidenziate anomalie
emergenti dalle copie fotostatiche degli assegni, che non presentavano evidenti segni di abrasione, né cancellazioni o alterazioni; sotto diverso profilo, il presentatore era stato precedentemente identificato al momento dell’apertura del rapporto di conto corrente e la sua identità era stata nuovamente verificata al momento della presentazione dei titoli, dovendo ulteriormente rilevarsi che dalla disamina del documento esibito non era in alcun modo percepibile la contraffazione della carta d’identità; vi era, inoltre, coincidenza tra il luogo di emissione dei titoli e quello di negoziazione e la distanza tra il luogo in cui era situata la filiale e quello di residenza del presentatore era poco più di 20 chilometri; b) da tanto conseguiva l’obbligo di Unipol di restituire alla banca l’importo dei tre assegni oggetto di negoziazione maggiorato degli interessi legali ovvero, se di maggior misura, della rivalutazione monetaria con decorrenza dal giorno del pagamento non dovuto.
Banca di Cividale s.p.a. ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso lamenta:
a. «1) Violazione (ovvero falsa applicazione) dell’art. 43 Regio Decreto 21 dicembre 1933, n. 1736 (in rel. art. 360, n. 3, c.p.c.): principio di diritto espresso dalla Suprema Corte a Sezioni Unite nel 2018 (e nel 2020)» deducendo l’erroneità della sentenza impugnata nell’ avere nella specie ritenuto provata l’esclusione di r esponsabilità della banca negoziatrice.
Il motivo è in ammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1) cod. proc. civ., essendo quanto dedotto contrario alla costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 25581 del 2018; Cass. n. 34107 del 2019; Cass., SU, n. 9769 del 2020; Cass. n. 9842
del 2021; Cass. nn. 15638, 15642, 15643, 15651, 15818, 6781 e 16782 del 2022; Cass. nn. 12861 e 35755 del 2023; Sez. 1, Ordinanza n. 19351 del 2024), cui va data continuità, secondo cui dopo la pronuncia di questa Corte a Sezioni Unite n. 12477 del 2018, avuto riguardo alla natura di clausola generale dell’art. 1176, comma 2, cod. civ., il giudizio di diligenza professionale, riferito alla banca negoziatrice di un assegno di traenza, compiuto dal giudice di merito per integrare il parametro generale contenuto nella predetta “norma elastica”, costituisce una vera e propria attività di interpretazione della norma – e non meramente fattuale, limitandosi tale profilo alla ricostruzione del fatto – dando concretezza a quella “parte mobile” della stessa che il legislatore ha voluto tale per adeguarla ad un determinato contesto storico-sociale, ovvero a determinate situazioni non esattamente ed efficacemente specificabili a priori, con l’ulteriore conseguenza che proprio perché si tratta di giudizio di diritto, tale valutazione è censurabile in sede di legittimità, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., quando si ponga in contrasto con i principi dell’ordinamento e con quegli standard valutativi esistenti nella realtà sociale che concorrono con detti principi a comporre il diritto vivente. Di talché, nel concreto della fattispecie, va evidenziato che la carta d’identità costituisce nel nostro ordinamento il fondamentale strumento di identificazione personale (come si evince dagli artt. 3 e 4 e ss. del r.d. n. 773/1931; dall’art. 1, lett. c) e d), del d.P.R. n. 445/2000; dall’art. 292 del r.d. n. 635/40). Pertanto, contrariamente a quanto statuito dal giudice d’appello, l’istituto bancario non è in linea generale tenuto, nell ‘ identificazione del portatore del titolo, al compimento di attività ulteriori non previste dalla legge, come
si evince anche dalla normativa antiriciclaggio ex d.lgs. n. 231 del 2007, la quale stabilisce le modalità tipiche con cui gli istituti di credito devono identificare la clientela e non prevede il ricorso “ad ogni possibile mezzo”, né alcuna indagine presso il comune di nascita. Ne consegue che l’impostazione della corte d’appello di non ritenere in alcun modo liberatoria la prova dell’avvenuta identificazione con documento di identità -tenuto conto, peraltro, che dalla sentenza impugnata non risulta che il titolo presentasse alcun segno di alterazione o contraffazione -si pone in contrasto con i principi dell’ordinamento e con gli standard valutativi esistenti nella realtà sociale (cfr. in tal senso, Cass. nn. 3649 e 12573 del 2021; Cass. nn. 3078, 6356, 15638, 15643, 15651, 15818, 16781 e 16782 del 2022; Cass. nn. 12861 e 35755 del 2023; Cass. nn. 209, 10711 e 12802 del 2024).
Secondo motivo: «2): Travisamento della prova (art. 115 c.p.c.): nullità della sentenza d’appello (in rel. art. 360, n. 4, c.p.c.)» deducendo che la sentenza impugnata avrebbe travisato le prove in atti, atteso che gli assegni contenevano in effetti indici di anomalia (irrituali asterischi), il presentatore non sarebbe stato nuovamente identificato al momento dell’ incasso (come invece affermato in sentenza) e non vi sarebbe stata coincidenza tra il luogo di emissione e quello di negoziazione dei titoli.
Il motivo è inammissibile, atteso che, come da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 5792 del 2024), il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso
dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4) c.p.c. mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale.
Da tanto consegue che, ove il motivo in esame debba essere inteso come deducente un effettivo travisamento della prova nei termini sopra indicati, il rimedio esperibile non è in ricorso per cassazione laddove ove il motivo si debba, invece, intendere come inerente alla scorretta interpretazione del materiale probatorio oggetto di contraddittorio tra le parti, vertendosi nell’ipotesi di specie di lettura del fatto sostanziale, la censura avrebbe dovuto essere formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5), c.p.c., peraltro nella ricorrenza dei presupposti di ammissibilità di siffatta ipotesi, e cioè con l’indicazione dei fatti storico-naturalistici oggetto di contraddittorio asseritamente omessi e non già ai sensi dell’art. 360, n. 4), c.p.c ., la cui ammissibilità è limitata all’ ipotesi di deduzione di errores in procedendo . In conclusione, anche questo motivo di ricorso è totalmente versato in fatto, pretendendo da questa Corte un ‘ ennesima e diversa valutazione delle prove acquisite in atti, non consentita in detti termini in questa fase di legittimità.
La soccombenza regola le spese, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna Unipolsai Assicurazioni s.p.a. a rifondere a Banca di Cividale s.p.a. le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 dicembre