Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 6 Num. 13568 Anno 2019
Civile Ord. Sez. 6 Num. 13568 Anno 2019
Presidente: GENOVESE NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2019
ORDINANZA
sul ricorso 27335-2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Procuratore Speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente
RAGIONE_SOCIALE
– intimata – avverso la sentenza n. 1666/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. NOME COGNOME
FATTO E DIRITTO
1.- Con atto di citazione del settembre 2004, la s.p.aRAGIONE_SOCIALE Unipol (come allora denominata Fondiaria RAGIONE_SOCIALE ha convenuto avanti al Tribunale di Bologna Unicredit s.p.a. (già Credito Italiano) e Intesa SanPaolo (già Banca Intesa) s.p.a. per sentirle condannare al pagamento di una somma di danaro pretesa a titolo di risarcimento danni.
La domanda ha tratto origine dalla negoziazione di un assegno di traenza – emesso da Unipol a seguito di un sinistro e in base a una convenzione di conto corrente con Banca Intesa -, che, contraffatto nell’importo e nell’indicazione del beneficiario, era stato posto all’incasso presso il Credito. Ed è stata fondata sull’affermazione della responsabilità della banca negoziatrice e
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contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Procuratore Speciale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
contro
di quella trattaria ai sensi dell’art. 43 legge ass., nonché per mancata diligenza del riscontro del titolo, non avendo le stesse rilevato le alterazioni delle indicazioni (importo e beneficiario) originariamente apposte sull’assegno.
2.- All’esito delle prove testimoniali e della disposta CTU, il Tribunale, con sentenza dell’agosto 2012, ha dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione passiva la domanda proposta nei confronti di Unicredit, rigettando nel merito, perché infondata, quella formulata nei confronti di Intesa.
3.- Con pronuncia depositata il 13 luglio 2017, la Corte di Appello di Bologna ha poi respinto l’appello proposto da Unipol, confermando integralmente la sentenza impugnata.
4.- In proposito, la Corte territoriale ha ritenuto che la norma dell’art. 43 legge assegni non contempli un caso di responsabilità oggettiva, limitandosi a prevedere un caso di responsabilità per colpa. Così impostato il tema, la pronuncia ha rilevato che il comportamento tenuto dalle banche appellate non aveva violato il prescritto canone della diligenza.
Rifacendo alle valutazioni formulate dal CTU, si è affermato, in specie, ha ritenuto che era «altamente difficoltoso, se non impossibile usando la normale diligenza, accorgersi delle falsificazioni e non nel senso che il dubbio circa la possibile contraffazione dovesse sorgere in modo così naturale da convincere l’impiegato che il titolo fosse contraffatto, né tanto meno, data l’evidente contraddizione con la tesi» dell’appellante, «che il titolo non contraffatto».
«Nessun rilievo probatorio potrebbe assumere» – si è ancora aggiunto – «la sentenza penale pronunciata dal tribunale di Napoli, in quanto l’accertamento dell’avvenuta falsificazione del titolo non supera il dato incontestabile che, al momento della negoziazione, non sussistevano le condizioni perché l’operatore
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bancario, secondo la diligenza richiesta, potesse dubitare sia dell’identità del Tesone NOME, che della regolarità dell’assegno».
5.- Avverso la richiamata pronuncia ha proposto ricorso Unipol articolando due motivi di cassazione.
Unicredit ha resistito con controricorso; come pure ha fatto Intesa SanPaolo.
6.- Il ricorrente e le resistenti hanno anche depositato memorie.
7.- Il primo motivo di ricorso riguarda l’interpretazione della norma dell’art. 43 legge assegni.
Assume in particolare il ricorrente che tale disposizione prevede una figura di «responsabilità oggettiva della banca circa il pagamento del titolo all’effettivo beneficiario»; che «la colpa, nel caso di pagamento a terzi non legittimati di un assegno munito di clausola di intrasferibilità, è irrilevante»
8.- Il motivo non merita di essere accolto.
Secondo quanto rilevato dalla sentenza di Cass., Sezioni Unite, 21 maggio 2018, n. 12477, infatti, «ai sensi dell’art. 43, comma 2 r.d. n. 1736/1933 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell’assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola di non trasferibilità a persona diversa dall’effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l’inadempimento non le è imputabile, per avere esse assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, cod. civ.».
9.- Il secondo motivo di ricorso assume «violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 cod. civ. circa la prova liberatoria
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(onere liberatorio) di cui è onerato il debitore inadempiente nell’ambito delle obbligazioni contrattuali».
Nel concreto, il motivo intende muovere due distinte censure alla sentenza della Corte di Appello di Bologna.
La prima attiene alla «irrilevanza dell’apparenza colposa». Rifacendosi in modo espresso alla sentenza di questa Corte, 20 marzo 2014, n. 6513, il ricorrente rileva che «sarà giusto seguire quel che dice la SRAGIONE_SOCIALE., che “spalmata” sulla questione qui dibattuta, importa che nulla si sia provato che possa equivalere a un corretto assolvimento della dovuta prova liberatoria – dovuta in ossequio all’affermata responsabilità contrattuale – non foss’altro perché controparte non ha mai affermato di avere indagato – con qualche minimo strumentario di semplice reperibilità (come indica la S.C.) – le contraffazioni di cui si discute».
La seconda censura fa riferimento alla sentenza del Tribunale penale di Napoli (n. 76 del 2008), propriamente relativa al profilo penale de caso qui in esame, che ha stabilito che la fattispecie concreta «appare idonea a integrare tanto il reato di truffa, dal momento che attraverso l’alterazione dell’assegno veniva percepita una somma di gran lunga superiore a quella effettivamente erogata, che l’alterazione materiale del titolo». Ad avviso del ricorrente, ciò comportare che «non si può dire» (come per contro ha fatto la sentenza impugnata) che «non sussistessero le condizioni perché l’operatore bancario non dovesse accorgersi delle anomalie concernenti quelle operazioni».
10.- Il motivo non merita di essere accolto.
Lo svolgimento argomentativo della sentenza della Corte bolognese non si pone in contraddizione con, o comunque su linee divergenti (da), i dettami della pronuncia di Cass., n.
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6513/2014, posto che quest’ultima – nel declinare la diligenza del banchiere nel riscontrare la regolarità dell’assegno presentatogli – non esclude affatto l’autonomia e sufficienza di una verifica condotta «attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell’assegno da parte dell’impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teoriche/tecniche».
Cade, per altro verso, in un fraintendimento della sentenza impugnata l’osservazione svolta dal ricorrente a proposto della eventuale rilevanza della sentenza penale emessa dal tribunale di Napoli. La Corte bolognese, in effetti, si è limitata a rilevare che l’accertata esistenza di una truffa da parte del presentatore dell’assegno non implica, di per sé, che la verifica compiuta dalla Banca non abbia rispettato i canoni della richiesta diligenza. A pensare diversamente, in effetti, si tornerebbe sostanzialmente ad assegnare alla norma dell’art. 43 legge assegni la forza di prescrivere una responsabilità di impianto oggettivo.
11.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.
Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida e… .1,14 GLYPH g liGuAr. nella somma di C 3.100.00 (di cui C 100,00 per esborso , . 4. 1 1 4%; G odt4,4Xe Dà atto, ai sensi dell’13 comma 1 quater d.p.r. n. 115/2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo il disposto del comma 1 bis dell’art. 13.
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Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile, addì 5 febbraio 2019.