Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23390 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23390 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30914/2020 R.G. proposto da: CASSA RURALE ED ARTIGIANA DI BINASCO, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 2033/2020 depositata il 31/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio RAGIONE_SOCIALE lamentando il pagamento di un assegno bancario non trasferibile per l’importo di € 5.000,00 tratto sul proprio conto corrente a soggetto diverso dal legittimo prenditore.
A seguito della segnalazione di mancata ricezione del titolo la RAGIONE_SOCIALE accertava che il titolo era stato incassato presso la banca resistente da persona con nome e cognome identici a quelli del beneficiario tramite esibizione di documenti falsi, previa falsificazione della firma disconosciuta dall’effettivo beneficiario, come da denuncia all’autorità competente in data 24/03/2011. Pertanto, la ricorrente provvedeva a pagare nuovamente l’assegno al corretto beneficiario richiedendo la restituzione dell’importo alla banca.
Chiedeva, pertanto, dichiararsi la responsabilità della banca e la restituzione di quanto pagato a soggetto diverso dal beneficiario oltre interessi e rivalutazione.
Si costituiva la Banca chiedendo il rigetto delle domande.
Il Tribunale di Pavia con ordinanza respingeva le domande rilevando che la denuncia sporta dall’effettivo beneficiario non potesse costituire prova dei fatti in essa narrati; pertanto, ad avviso del giudice di prime cure non si sarebbe formata idonea prova in ordine all’incasso da parte di persona diversa dal beneficiario dell’assegno di cui è causa. Inoltre, il Tribunale condannava la ricorrente
alle spese di lite e al danno ex art 96 c.p.c.
RAGIONE_SOCIALE interponeva appello insistendo nelle domande formulate in primo grado cui si opponeva la RAGIONE_SOCIALE, chiedendone il rigetto.
La Corte di Appello di Milano, in riforma dell’ordinanza emessa dal Tribunale, condannava la Banca al pagamento in favore della società assicuratrice della somma di € 5.000,00 oltre rivalutazione ed interessi legali. Respingeva, inoltre, la domanda di condanna per lite temeraria a carico di RAGIONE_SOCIALE con condanna della Banca alle spese dei due gradi di giudizio.
La Corte territoriale rilevava la responsabilità dell’operatore bancario sulla scorta di numerosi elementi , che, unitariamente valutati, consentivano di ritenere negligente la condotta dell’operatore bancario.
In particolare, si evidenziava come la condotta del soggetto che residente a Livorno aveva aperto un conto corrente presso la filiale della Banca ad Opera, senza mai operarvi, ma al solo fine di versare l’assegno non trasferibile non rivestisse i caratteri della linearità, cosa che avrebbe imposto al cassiere di svolgere i necessari approfondimenti finalizzati a verificare l’esatta identità del prenditore del titolo.
In altri termini, ad avviso della Corte di Appello, l’operazione presentava caratteri anomali nella misura in cui il prenditore del titolo, qualificatosi con il nome del reale beneficiario, pur residente a Livorno, aveva aperto un conto corrente ad Opera (MI) versando sullo stesso l’assegno di cui è causa.
Inoltre, la corte territoriale ha ritenuto attendibile, unitamente agli elementi soprariportati, la ricostruzione
operata dalla RAGIONE_SOCIALE nella denuncia sporta dal reale beneficiario in considerazione ‘del rilievo penalistico di una falsa denuncia, con la possibilità, tutt’altro che remota, di incorrere nel reato di simulazione di reato’.
La sentenza, notificata il 08/10/2020, è stata impugnata dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui la RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Tutte le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 2700, c.c. in relazione al valore probatorio attribuito alla denuncia sporta dal beneficiario dell’assegno in data 24/03/2011.
La Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato le norme di cui agli artt. 2697 e 2700, c.c. attribuendo un errato valore probatorio alla denuncia con cui il beneficiario aveva disconosciuto la firma con cui il falso prenditore aveva incassato l’assegno di cui è causa. A tal proposito la ricorrente lamenta una violazione delle predette norme, laddove la corte territoriale avrebbe ritenuto provata la sottrazione dell’assegno sulla base della denuncia che non è idonea a provare le dichiarazioni in essa contenute, ma soltanto i fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o da lui stesso compiuti.
Orbene, la censura non coglie nel segno. La sentenza di secondo grado, infatti, non fonda la propria motivazione sulla fidefacienza della denuncia ai sensi dell’art. 2700, c.c., ma attribuisce alla stessa una significativa valenza
probatoria in virtù del rilievo penalistico di una falsa denuncia con assunzione da parte del denunciante di incorrere nel reato di simulazione del reato; ossia la corte distrettuale non ha applicato le norme in tema di atto pubblico, ma ha conferito forza di prova atipica alla denuncia al fine di ritenere dimostrata la ricostruzione fattuale in essa contenuta.
In altri termini, la norma asseritamente violata non è stata applicata dal giudice territoriale che ha dato esclusivamente rilievo probatorio alla denuncia, con una valutazione insindacabile in sede di legittimità.
Al riguardo è da osservarsi come il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020, n. 4905). In particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989).
Orbene, la censura in esame non si confronta con la ratio decidendi articolata dalla corte distrettuale, ma appunta la propria doglianza su norme che la corte medesima non ha applicato al caso concreto, per cui è da ritenersi inammissibile.
Con il secondo motivo la Banca lamenta la falsa applicazione dell’art. 1176 c.c. non potendosi ravvisare alcuna responsabilità del cassiere, laddove il titolo non presentava segni di alterazione e contraffazione e,
pertanto, era stato legittimamente negoziato in favore di un soggetto identificato e corrispondente dal punto di vista anagrafico al beneficiario indicato nell’assegno. A fronte di tali circostanze il funzionario di banca non aveva alcun ulteriore obbligo di accertamento ai fini della identificazione del prenditore.
In sintesi, la censura si fonda sulla individuazione della condotta richiesta alla banca, nel caso in cui l’eventuale irregolarità dei requisiti esteriori del titolo non sia immediatamente rilevabile usando la normale diligenza inerente all’attività bancaria. Al riguardo, la ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la banca, nel caso in cui l’irregolarità (falsificazione o alterazione) dei requisiti esteriori non sia rilevabile con la normale diligenza, non è tenuta a predisporre un’attrezzatura qualificata dal punto di vista tecnologico al fine di un controllo dell’autenticità delle sottoscrizioni o di altre contraffazioni dei titoli presentati per la riscossione (Cass. 1377/2016; Cass. 16332/2016; Cass. 26947/2016).
in particolare, la questione sottoposta allo scrutinio di questa Corte riguarda la identificazione dello sforzo di diligenza richiesto all’operatore bancario in caso di presentazione all’incasso di titolo non alterato o contraffatto mediante documento di identità anch’esso privo di alterazioni.
La censura è fondata per i seguenti motivi.
Va premesso che, per quanto concerne la valutazione da svolgersi per l’accertamento della responsabilità del cassiere è principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. 1 – , Sentenze nn. 34107 e 34108 del 19/12/2019) quello secondo cui ‘In materia di
pagamento di un assegno di traenza non trasferibile in favore di soggetto non legittimato, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità colposa della banca negoziatrice nell’identificazione del presentatore del titolo, la diligenza professionale richiesta deve essere individuata ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., che è norma “elastica”, da riempire di contenuto in considerazione dei principi dell’ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli “standards” valutativi esistenti nella realtà sociale che, concorrendo con detti principi, compongono il diritto vivente; è stato in particolare precisato che non rientra in tali parametri la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala l’opportunità per la banca negoziatrice dell’assegno di traenza di richiedere due documenti d’identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, perché a tale prescrizione non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, e tale regola prudenziale di condotta non si rinviene negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall’ordinamento positivo, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d’identità personale.’.
Più di recente, il principio è stato ribadito, affermando che l’identificazione a mezzo di due documenti identificativi muniti di fotografia non è necessaria ai fini della individuazione del livello di diligenza qualificata, esigibile da RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 1176, comma 2, c.c., nel caso di pagamento di assegno a soggetto non legittimato, posto che l’attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro
di un solo documento d’identità personale.
Ciò posto, non si può non rilevare la fondatezza della censura riguardante la pronuncia impugnata che ha affermato la negligenza della condotta del cassiere per non aver effettuato ulteriori accertamenti circa l’identità del prenditore del titolo ed in particolare la verifica delle generalità anagrafiche riportate sul documento di identità risultate diverse da quelle del reale beneficiario (in particolare, il mancato controllo del codice fiscale, la mancata richiesta di un secondo documento di identità munito di fotografia) unitamente agli altri elementi di fatto emersi nel corso del giudizio (la anomalia costituita dall’apertura di un conto corrente ad Opera (MI) da parte di un soggetto residente a Livorno).
Ed invero, è da rilevarsi che nel caso di assegno circolare in cui sono assenti evidenti segni di contraffazione e di documento di identità anch’esso privo di elementi di criticità tali da far sospettare la apocrifia dei medesimi, lo sforzo di diligenza esigibile al cassiere, nel caso di insussistenza di ulteriori anomalie significative, è assolto con la verifica dell’esatta corrispondenza delle generalità anagrafiche riportate sul documento di identità con quelle indicate nel titolo.
Pertanto, il motivo di censura è fondato in quanto pienamente aderente all’indirizzo giurisprudenziale sopra esposto da cui si ritiene di non doversi discostare.
Con l ‘ultimo motivo ex art. 360, n.5. c.p.c. si contesta la mancata valutazione di un fatto decisivo costituito dalla trasmissione dell’assegno risarcitorio da parte della compagnia assicurativa tramite posta ordinaria.
A sostegno della doglianza si richiama la giurisprudenza di questa Corte in materia di concorso colposo del
danneggiato ex art. 1227 c.c.. (S.U. n. 9769/2020).
Il motivo si manifesta inammissibile sotto il necessario profilo dell’autosufficienza, come sancito al comma 1 n. 6 dell’art. 366 c.p.c., laddove richiede a pena di inammissibilità del ricorso la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali sui quali il motivo si fonda e l’illustrazione del contenuto rilevante degli stessi.
Nella esposizione del terzo motivo, infatti, non vi è alcun riferimento all’atto processuale in cui è contenuta la circostanza su cui si fonda la censura al fine di verificarne la sua specifica deduzione nel giudizio di merito quale fatto decisivo ai fini della decisione né si è provveduto alla illustrazione del contenuto rilevante degli atti processuali medesimi in cui la trasmissione per posta ordinaria del titolo sia stata dedotta.
Tale carenza non può che comportare la inammissibilità del motivo di ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il primo ed il terzo motivo di ricorso. Accoglie il secondo motivo. RAGIONE_SOCIALE la sentenza impugnata in relazione ad esso e rinvia alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese di giudizio della presente fase.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione