Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6533 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6533 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15186/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, tutti elettivamente domiciliati in ROMAINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL) e NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE, pec EMAIL);
ricorrenti-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME nella qualità di erede di COGNOME NOME, tutti nella qualità di eredi di COGNOME NOME,
rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), pec:
EMAIL;
-controricorrenti-
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 1308/2021 depositata il 07/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato in fatto che:
NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME conferivano incarico all’AVV_NOTAIO, affinché tutelasse le loro ragioni nei confronti del Comune di Brindisi con riferimento ad un procedimento ablatorio di un suolo edificatorio e di un fabbricato di proprietà del loro dante causa, NOME COGNOME, che non si era concluso con il decreto di esproprio;
l’AVV_NOTAIO citava in giudizio il Comune RAGIONE_SOCIALE Brindisi perché fosse condannato al risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione illegittima e dall’impossibilità di retrocessione dei beni;
con la sentenza n. 175/2001, il Tribunale di Brindisi condannava il Comune al risarcimento dei danni e al pagamento dell’indennità di occupazione legittima;
la Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza non definitiva n. 220/2006, dichiarava inammissibile la domanda di pagamento dell’indennità di occupazione illegittima, ritenendola proposta tardivamente solo in sede di precisazione delle conclusioni;
gli eredi dell’AVV_NOTAIO venivano convenuti in giudizio, perché, accertata la responsabilità professionale del de cuius per non aver tempestivamente formulato la domanda di pagamento dell’indennità da occupazione legittima, né proposto separato giudizio a tal fine né tantomeno interrotto il termine di
prescrizione, fossero chiamati a risarcire i danni, parametrati all’indennità di occupazione illegittima non percepita, ammontante ad euro 173.417,66;
i convenuti contestavano la fondatezza della domanda;
NOME COGNOME, coerede di NOME COGNOME, spiegava intervento volontario adesivo e faceva valere il proprio diritto al risarcimento del danno in misura percentuale;
il Tribunale rigettava la domanda con la sentenza n. 1869/2018; detta sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello di Lecce, con la pronuncia n. 1308/2021, resa pubblica in data 7/12/2021; segnatamente, la Corte d’appello ha ritenuto indipendentemente dalla responsabilità dell’AVV_NOTAIO COGNOME che NOME, NOME e NOME COGNOME non avevano dimostrato di aver subito un danno per causa della condotta censurata, essendo documentato che il Comune di Brindisi in esecuzione della sentenza del Tribunale di Brindisi n. 175/2001 aveva provveduto a corrispondere loro anche l’importo di lire 50.168.045, oggetto di condanna a titolo di indennizzo per occupazione illegittima e che non aveva poi chiesto la restituzione di detto importo, nonostante la pronuncia d’appello n. 220/06 avesse dichiarato la nullità della sentenza condannatoria, e che, in assenza di atti di messa in mora da parte della P.a., risultava ‘prescritta l’azione di ripetizione dell’indebito, se del caso, proponibile da parte dell’ente pagatore’;
NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME ricorrono per la cassazione di detta decisione, formulando due motivi;
resistono con controricorso NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, nella qualità di erede di NOME COGNOME, NOME COGNOME, tutti nella qualità di eredi di NOME COGNOME; la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod. proc. civ.;
sia i ricorrenti che i controricorrenti depositano memoria; il Pubblico Ministero non ha formulato conclusioni.
Considerato che:
con il primo motivo i ricorrenti adducono la nullità della sentenza per omesso esame e omessa pronuncia sui motivi di appello, ex art. 360, 1° comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., aventi ad oggetto la richiesta di accertamento della responsabilità professionale dell’AVV_NOTAIO;
ritengono che la Corte d’appello si sia pronunciata su una circostanza non dedotta -il fatto che il Comune non avesse chiesto la restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza del Tribunale di Brindisi, sebbene essa fosse stata dichiarata nulla dalla Corte d’appello che abbia erroneamente ritenuto che avrebbero dovuto impugnare il capo della sentenza del Tribunale di Lecce che aveva condannato il Comune di Brindisi a corrispondere per indennità di occupazione l’importo di lire 50.168.045, che abbia erroneamente attribuito rilievo al fatto che il Comune non avesse agito per richiedere la restituzione di quanto pagato in esecuzione della sentenza di prime cure;
1.1) il motivo è complessivamente da rigettare;
va innanzitutto rilevato che gli odierni ricorrenti muovono numerose critiche al Tribunale di Brindisi, il cui scopo solo con un certo sforzo sembra giustificabile con l’esigenza di illustrare i motivi di appello su cui il giudice a quo non si sarebbe pronunciato (pp. 17-20); continuano poi ad insistere sulla sussistenza del comportamento omissivo dell’AVV_NOTAIO COGNOME (pp. 14 -16 del ricorso) e finalmente illustrano a p. 21 del ricorso la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, indicato nell’epigrafe del motivo quale vizio cassatorio della pronuncia gravata insieme con quello di omesso esame dei motivi di appello e di omessa pronuncia;
1.2) deve in primo luogo essere sgombrato il campo dall’accusa mossa al giudice a quo di essere incorso nel vizio di ultrapetizione,
su cui i ricorrenti insistono anche con la memoria; detto vizio ricorre solo se il giudice contravviene al divieto di sostituire la domanda proposta dalle parti con una diversa, perché fondata su una diversa causa petendi , con conseguente introduzione nel processo di un diverso titolo accanto a quello posto a fondamento della domanda, ovvero di alterazione del petitum , e cioè l’attribuzione di un bene diverso da quello domandato, essendo preclusa l’introduzione nel tema controverso di nuovi elementi di fatto;
relativamente al giudizio di appello, sussiste, in particolare, il vizio di ultrapetizione qualora il giudice di secondo grado esamini una questione che neppure possa ritenersi tacitamente proposta, perché non in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate, se di queste non costituisce neppure l’antecedente logico-giuridico (Cass. 15/07/2004, n. 13104), giacché i poteri del giudice d’appello devono essere coordinati con i principi propri del sistema delle impugnazioni; gli è precluso, infatti, riesaminare le parti della sentenza di primo grado non formanti oggetto di specifica trattazione nell’atto di impugnazione, dovendo il giudice pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa, rapportandosi ai soli elementi essenziali delle domanda, rappresentata dalla ” causa petendi ” e dal ” petitum “;
è principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo il quale in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum , non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica, diverse da quelle invocate dall’istante;
né incorre nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice d’appello che, rimanendo
nell’ambito del petitum e della causa petendi , confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (Cass. 15/06/2020, n. 11466);
1.3) applicando detti principi alla vicenda per cui è causa, dovendosi escludere che al giudice d’appello fosse precluso respingere la domanda risarcitoria per ragioni diverse da quelle fatte proprie dal giudice di prime cure, non può dirsi che negando il risarcimento del danno agli appellanti per difetto di prova da parte loro di aver subito il danno oggetto della domanda azionata, la Corte d’appello abbia sostituito la domanda originaria con una diversa e/o che abbia alterato il petitum e/o la causa petendi ; al contrario, ha deciso, in applicazione del canone della ragione più liquida, che in assenza di prova del danno derivante dal comportamento asseritamente colposo dell’AVV_NOTAIO, gli appellanti non avessero il diritto di ottenere il risarcimento richiesto;
1.4) ciò perché il creditore della prestazione è onerato della prova del nesso di causa tra la prestazione non esattamente adempiuta e il danno di cui domanda il risarcimento; nelle prestazioni professionali, ove l’interesse dedotto in obbligazione assume carattere strumentale rispetto all’interesse del creditore, la prestazione richiesta è quella dell’osservanza delle leges artis cui è strumentale il soddisfacimento dell’interesse del cliente e l’inadempimento è rappresentato dalla violazione delle leges artis , ma questo non significa automaticamente lesione dell’interesse presupposto, il quale potrebbe restare insoddisfatto per cause autonome rispetto all’inadempimento della prestazione professionale; il che significa che al creditore della prestazione non basterà affatto allegare l’inadempimento della prestazione
professionale, ma occorrerà anche che egli provi che l’inadempimento, cioè la condotta negligente, abbia provocato la lesione del suo interesse presupposto;
1.5) a detti principi si è attenuta la Corte territoriale allorché ha rigettato la domanda risarcitoria, ritenendo che l’inadempimento quand’anche ricorrente (il giudice a quo, a p. 4, ha affermato ‘in disparte ogni valutazione in ordine alla sussistenza o meno della responsabilità professionale’) -non avrebbe portato all’accoglimento della pretesa risarcitoria non essendovi prova del danno, cioè della lesione dell’interesse presupposto; gli appellanti avevano lamentato di non aver percepito l’indennità di occupazione per il periodo luglio 1977-luglio 1982, ma, invece, era agli atti il fatto che il Comune di Brindisi aveva loro corrisposto, in data 7 agosto 2002, proprio (e anche) la somma richiesta a tale titolo, dando esecuzione alla sentenza di condanna di primo grado;
1.6) la somma -ha aggiunto la Corte territoriale -è proprio quella che gli appellanti avevano richiesto nella comparsa conclusionale del 20 dicembre 2000 né gli appellanti si erano doluti in appello della quantificazione della stessa (p. 4 della sentenza);
in sostanza, la Corte d’appello ha ritenuto che proprio la somma oggetto della richiesta di liquidazione dell’indennità di occupazione legittima era stata riconosciuta agli odierni ricorrenti dal Tribunale di Brindisi e che proprio quella stata loro corrisposta dal Comune di Brindisi;
nella sostanza il patrimonio degli odierni ricorrenti non aveva subito una modificazione giuridica per effetto dell’asserito inadempimento dell’AVV_NOTAIO ed ha aggiunto che non potrebbe essere modificato dall’accoglimento della domanda risarcitoria, perché i richiedenti non avevano restituito la somma condannatoria ricevuta per indennità di occupazione legittima; l’enfasi che secondo i ricorrenti la Corte d’appello avrebbe posto nei confronti della sentenza di prime cure -la sentenza n. 175/2001
del Tribunale di Brindisi – è giustificata dal fatto che, anche se per l’erronea statuizione del Tribunale, gli odierni ricorrenti avevano ricevuto quell’importo proprio per effetto dell’attività professionale dell’AVV_NOTAIO COGNOME: il Tribunale di Brindisi, infatti, aveva ritenuto la domanda risarcitoria nei termini formulati dall’AVV_NOTAIO COGNOME comprensiva di quella di indennità; gli odierni ricorrenti, dunque, quella indennità l’avevano ottenuta e non l’avevano mai restituita né dovranno restituirla in futuro perché il creditore -il Comune di Brindisi -aveva lasciato decorrere il termine necessario al maturare della prescrizione estintiva;
1.7) detta statuizione -giusta o sbagliata che sia – non è stata efficacemente confutata dai ricorrenti, i quali non ne hanno colto la ratio , visto che:
continuano ad insistere sulla ricorrenza del comportamento omissivo colposo dell’AVV_NOTAIO COGNOME;
ii) lamentano il fatto che la Corte d’Appello li abbia onerati dell’impugnazione di un capo di sentenza a loro favorevole la Corte d’Appello ha solo osservato che la somma richiesta a titolo di indennità di occupazione era proprio quella che era stata loro liquidata dal Tribunale, tant’è vero che non avevano impugnato la statuizione condannatoria in appello -;
iii) anziché argomentare in ordine all’estinzione del credito del Comune di Brindisi aggrediscono la sentenza impugnata accusandola di avere rilevato d’ufficio l’eccezione di prescrizione la Corte d’appello non ha affatto dichiarato estinto il credito del Comune di Brindisi, si è limitata a constatare che il Comune non aveva preteso la restituzione di quanto pagato a titolo di indennità e che il diritto alla restituzione, se del caso proponibile da parte dell’ente pagatore (a conferma che non si è pronunciata sulla prescrizione), in considerazione della data della pronuncia e dell’assenza di atti di messa in mora, era da considerare estinto per prescrizione;
1.8) va aggiunto che l’epigrafe del motivo contiene la denuncia del vizio di omesso esame dei motivi di appello e di omessa pronuncia che non ricorrono affatto;
va ricordato che:
ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia;
la differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 c.p.c. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, si coglie nel senso che, nella prima, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costituitivi della “domanda” di appello), là dove, nel caso dell’omessa motivazione, l’attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi su uno dei fatti principali della controversia (Cass. 4/05/2020, n. 8439);
avendo la Corte d’appello ritenuto assorbita la questione della ricorrenza del comportamento omissivo imputabile all’AVV_NOTAIO, deve ritenersi che si sia realizzato un caso di assorbimento in senso improprio, configurabile quando la decisione di una questione esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre, il che impedisce di ritenere sussistente il vizio
di omessa pronuncia, il quale è ravvisabile solo quando una questione non sia stata, espressamente o implicitamente, ritenuta assorbita da altre statuizioni della sentenza (Cass. 23/06/2022, n. 20235); può solo essere impugnata la pronuncia di assorbimento;
in sintesi; deve escludersi che il giudice sia incorso nel vizio di ultrapetizione, in quanto avrebbe asseritamente omesso di pronunciarsi sui motivi di appello;
1.9) i ricorrenti non hanno impugnato la decisione di assorbimento, non hanno confutato la pronuncia impugnata nella parte in cui ha preteso la prova del danno derivante dall’inadempimento per accogliere la domanda risarcitoria né in quella in cui ha escluso che avessero subito un danno; di conseguenza, la decisione reiettiva della domanda risarcitoria resiste alle loro censure;
2) con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod .proc. civ. comma, n. 3 in relazione all’art. 2697 c.c. ed all’art. 50 DPR 327/2001 T.U. Es. per non aver ritenuto il Giudice a quo la ricorrenza della prova del danno’;
oggetto di impugnazione è la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto soddisfatta la loro pretesa risarcitoria; l’errore del giudice a quo consisterebbe nell’aver ritenuto l’importo liquidato dal Tribunale di Brindisi con la pronuncia n. 175/2001 pari all’importo loro spettante a titolo di indennità di occupazione legittima; quell’importo sarebbe stato però calcolato erroneamente dall’AVV_NOTAIO, perché, muovendo dalla convinzione che detta indennità rientrasse nelle poste risarcitorie loro spettanti, la somma dovuta era stata calcolata senza rispettare i criteri indennitari previsti dalla legge (art. 50 dpr 327/2001);
i ricorrenti ritengono allora che ‘la prova del danno è, pertanto, in re ipsa’ e non può essere esclusa dal pagamento effettuato dal Comune del quale non risulterebbe provata la restituzione ma
neppure il contrario e del quale non può ritenersi verificata la prescrizione del diritto alla ripetizione da parte del Comune e che, in ogni caso, quel pagamento, ove rilevante, avrebbe dovuto essere considerato un acconto dell’importo loro spettante ex lege , non potendosi applicare il principio della compensatio lucri cum damno ;
il motivo non può accogliersi: in primo luogo, non si confronta con la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che gli odierni ricorrenti non si erano doluti in sede di gravame della quantificazione della somma che il Tribunale di Brindisi aveva loro liquidata a titolo di indennità di occupazione legittima;
si limitano ad affermare che dell’erronea quantificazione ‘ poterono avere contezza solo a seguito del gravame interposto, avverso la sentenza del GOA, dal Comune di Brindisi e della sentenza parziale, ovvero quando i giochi erano, ripetesi, già fatti.
Ne consegue che la eventuale lagnanza in ordine al quantum liquidato per effetto della inadeguata determinazione fattane dall’AVV_NOTAIO non poteva che essere oggetto di un giudizio conseguente alla presa di coscienza degli errori dal medesimo commessi per effetto della ritenuta natura risarcitoria dell’indennità da occupazione legittima; ed è quanto si è verificato nella fattispecie, nell’ambito della quale l’ammontare del danno è speculare a quello dell’indennità in parola ‘;
2.1) la censura non è conducente, perché non risulta che nei confronti dell’AVV_NOTAIO i ricorrenti si siano lamentati dell’erronea quantificazione dell’indennità loro spettante per l’occupazione legittima dei loro beni;
allAVV_NOTAIOAVV_NOTAIO i ricorrenti hanno imputato di non avere tempestivamente avanzato la domanda dell’indennità nel giudizio dinanzi al Tribunale di Brindisi, di non aver proposto separato giudizio a tal fine e di non avere interrotto il termine di prescrizione; quanto, invece, alla differenza tra quanto loro
liquidato e quanto spettante ex lege il motivo pecca di specificità: nulla dicono i ricorrenti in ordine al criterio di quantificazione dell’indennità di occupazione adottato dal Tribunale di Brindisi e sul perché esso risulterebbe errato (al netto del se esso fosse stato indicato erroneamente dall’AVV_NOTAIO);
2.2) non può farsi a meno di rilevare, in aggiunta, che è erroneamente dedotta e ribadita (cfr. memoria, p. 3) da parte dei ricorrenti la sussistenza di un danno in re ipsa (è sufficiente, a tal fine, rinviare a Cass., Sez. Un., 15/11/2022, n. 33659);
il ricorso va, dunque, rigettato;
le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico dei ricorrenti l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 19/12/2023 dalla Terza