Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19098 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19098 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3147/2023 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1474/2022 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA depositata in data 28/6/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che:
con sentenza resa in data 28/6/2022, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni asseritamente subiti dall’attore per essersi il convenuto sottratto ai propri doveri professionali nell’esecuzione delle prestazioni di avvocato svolte in favore dell’attore;
a fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale ha evidenziato come, sulla base degli elementi complessivamente acquisiti al giudizio, fosse rimasta esclusa la dimostrazione del nesso di causalità tra il comportamento professionale del Coin e le conseguenze dannose denunciate dal Gallo, segnatamente sotto il profilo del più deteriore trattamento sanzionatorio asseritamente subito dal Gallo, in sede penale, per effetto dell’inadempimento della controparte;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
con atto del 30/1/2024, il consigliere delegato dal Presidente della Terza Sezione Civile ha proposto di pronunciare la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.;
la proposta ha avuto il seguente tenore: «I motivi di ricorso, da trattare unitariamente, sono inammissibili perché vertono sul giudizio di fatto, e segnatamente sull’efficienza eziologica dell’inadempienza professionale denunciata rispetto al pregiudizio lamentato, giudizio riservato al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità. Riservata al giudice del merito è anche la valutazione dei presupposti di fatto della responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 cpc.»;
con istanza in data 15/4/2024, NOME COGNOME ha chiesto di procedere alla trattazione e alla decisione del ricorso, ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.;
NOME COGNOME ha depositato memoria;
considerato che:
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.), per avere la Corte territoriale omesso di attribuire valore confessorio alla dichiarazioni rese dal Gallo al momento del proprio arresto, sì da lasciar prevedere con certezza la futura condanna del Gallo, tale da consigliare l’opportunità di ricorrere a un rito alternativo al dibattimento (opportunità nella specie non prospettata dal Coin), con la conseguente decisività di tale omissione, ai fini della valutazione del comportamento professionale del convenuto;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, al di là dell’eventuale invocazione dell’interdizione posta dall’art. 348ter c.p.c. (su cui potrebbe dubitarsi, avendo la Corte territoriale sostanzialmente riformulato il giudizio di merito, non condividendo talune valutazioni preliminari del giudice di primo grado circa il carattere assorbente di un documento prodotto), in ogni caso, la prospettazione offerta dal l’odierno ricorrente, circa la qualificazione (come ‘confessione’) delle dichiarazioni dallo stesso rese al momento del proprio arresto, risulta il frutto di una mera interpretazione soggettiva, nella specie contrapposta a quella fatta propria dal giudice di merito;
si tratta di una censura che avrebbe dovuto in primo luogo evidenziare la preliminare contestazione dell’eventuale violazione, da parte del giudice di merito, dei canoni legali di ermeneutica negoziale applicati all’atto pretesamente confessorio;
in particolare, secondo quanto espressamente rilevato dalla Corte territoriale « l’appellante, lungi dal riconoscere la propria responsabilità, abbia invece inteso discostarsene, quanto meno sotto il profilo dell’elemento psicologico, tanto più laddove si consideri che il medesimo, aveva escluso di far uso di sostanze stupefacenti » (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata);
rispetto a tale lettura, il ricorrente si è unicamente limitato a contrapporre la propria alternativa lettura dei fatti senza argomentare alcunché circa l’assoluta illogicità e inaccettabilità dell’interpretazione giudiziale;
varrà peraltro sottolineare come la Corte territoriale, nell’escludere l’avvenuta dimostrazione del nesso di causalità tra il comportamento del professionista e il danno denunciato dall’originario attore, non si sia affatto fermata a tale argomento, avendo aggiunto come « in ogni modo, merita ricordare che la scelta di accedere al giudizio abbreviato implica che il G.U.P. possa utilizzare, ai fini della decisione, l’intero compendio degli atti che costituiscono il fascicolo del pubblico ministero, opzione a fronte della quale la riduzione di 1/3 della pena si giustifica in ragione dell’effetto deflattivo sull’ufficio del dibattimento. Va tuttavia considerato che l’imputato può ritenere preferibile affrontare il dibattimento, nel quale la prova si forma, eccezione fatta per gli atti irripetibili, attraverso la cosiddetta cross examination. Ciò posto, la scelta del rito, o meglio l’opzione per riti alternativi, non può che essere operata sulla scorta di una valutazione in concreto sulla sua convenienza, plurime potendo essere le ragioni che orientano la scelta verso il dibattimento, non ultimo la dilatazione dei tempi processuali e la possibilità, per il caso di condanna, di patteggiare anche in appello. L’argomento, sostenuto dall’appellante, secondo il quale la pena che gli sarebbe stata inflitta, se avesse scelto il rito abbreviato, sarebbe
stata esattamente i 2/3 di quella decisa dal giudice del dibattimento, non è punto condivisibile, posto che la pena edittale, come noto, oscilla tra un minimo e un massimo e non è dato conoscere, neppure in via presuntiva o indiretta, da quale pena in concreto sarebbe partito il G.U.P. qualora l’imputato avesse scelto il rito abbreviato, né può trarsi alcun utile elemento dall’utilizzabilità delle dichiarazioni rese all’udienza di convalida che, come detto sono di tenore tutt’altro che confessorio » (cfr. pagg. 6-7 della sentenza impugnata);
si tratta di ulteriori argomentazioni che valgono ad attestare, per altra via, l’assoluto difetto di decisività delle pretese omissioni ascritte all’esame del giudice di merito, essendosi il ricorrente, ancora una volta, limitato a prospettare una diversa lettura dei fatti di causa, di per sé tale da non escludere la congruità logica di quanto asserito impugnata nella motivazione della sentenza impugnata;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale omesso di rilevare come la scelta dell’applicazione dei riti alternativi al dibattimento previsti dal codice di procedura penale (come il giudizio abbreviato o il c.d. patteggiamento), nel prevedere espressamente la riduzione della pena di un terzo da infliggere all’imputato, esclude alcuna discrezionalità da parte del giudice, con la conseguenza che il trattamento sanzionatorio che è stato comminato al Gallo all’esito del giudizio sarebbe stato senz’altro più favorevole là dove la controparte avesse opportunamente consigliato l’imputato a percorrere la strada dei riti alternativi;
il motivo è inammissibile;
la Corte territoriale ha espressamente sottolineato che « l’argomento, sostenuto dall’appellante, secondo il quale la pena che gli sarebbe stata inflitta, se avesse scelto il rito abbreviato, sarebbe
stata esattamente i 2/3 di quella decisa dal giudice del dibattimento, non è punto condivisibile, posto che la pena edittale, come noto, oscilla tra un minimo e un massimo e non è dato conoscere, neppure in via presuntiva o indiretta, da quale pena in concreto sarebbe partito il G.U.P. qualora l’imputato avesse scelto il rito abbreviato, né può trarsi alcun utile elemento dall’utilizzabilità delle dichiarazioni rese all’udienza di convalida che, come detto sono di tenore tutt’altro che confessorio » (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata);
rispetto a tale argomentazione, il ricorrente, lungi dall’intercettare uno specifico vizio di legittimità della decisione, si limita a prospettare una differente lettura del possibile giudizio prognostico in relazione alla pena che sarebbe stata irrogata al Gallo, anche sulla base dell’interpretazione attribuita alle dichiarazioni rese dallo stesso in sede di arresto;
si tratta, ancora una volta, di una proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa, sulla base di un’impostazione critica non consentita in questa sede di legittimità;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto la sussistenza di un’ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96, co. 2, c.p.c. a carico del ricorrente, in contrasto con quanto emerso dagli atti di causa in ordine al comportamento ammissivo e collaborativo del Gallo al momento del proprio arresto, tale da rendere perfettamente consapevole il proprio difensore delle gravi conseguenze cui sarebbe andato incontro il proprio assistito nell’affrontare un dibattimento senza optare per l’applicazione di riti alternativi; e per avere, inoltre, erroneamente riconosciuto inadeguati i criteri di commisurazione dei danni proposti
dall’odierno istante, nella specie prospettati in conformità ai criteri fissati dal legislatore in tema di indennizzo per l’ingiusta detenzione;
il motivo è inammissibile;
la Corte territoriale ha confermato la condanna pronunciata dal primo giudice ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., « dovendosi ravvisare malafede nell’avere sostenuto di essere stato reo confesso, con ciò non avendo intenzione di ‘ lottare ‘ al dibattimento (cfr. pag. 8 del ricorso introduttivo), circostanza smentita dal verbale dell’udienza preliminare, e nell’avere quantificato il risarcimento richiesto, parametrandolo al risarcimento dovuto per l’ipotesi di ingiusta detenzione, non solo in assenza di alcuna detenzione in concreto sofferta, ma alla stregua di un asserito danno patrimoniale conseguente nell’avere accettato ‘una posizione lavorativa poco remunerativa per il fatto che gli è stata garantita la conservazione del posto anche in caso di misura alternativa alla detenzione’ (pag. 15 del ricorso introduttivo), allegazione del tutto apodittica e indimostrata, rispetto alla quale, per il vero, l’allora ricorrente non ha neppure formulato alcuna istanza istruttoria » (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata);
ancora una volta, rispetto a tali argomentazioni, l’odierno ricorrente si è limitato unicamente a proporre una diversa interpretazione dei fatti di causa, ossia del proprio comportamento processuale a partire dal momento dell’arresto ;
non si tratta, dunque, di una contestazione avente ad oggetto l’errata ricognizione della fattispecie astratta da parte del giudice di merito, bensì della pretesa errata ricognizione della fattispecie concreta mediata dalla valutazione dei mezzi istruttori e, dunque, della contestazione di un vizio di motivazione, avanzata del tutto al di fuori dai limiti ancora consentiti dall’art. 360 n. 5 c.p.c.;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., rilevata la conformità dell’odierna decisione alla proposta di definizione accelerata illo tempore comunicata alle parti, il ricorrente dev’essere altresì condannato al risarcimento dei danni in favore della controparte costituita, ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., nonché al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, co. 4 c.p.c.;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Condanna il ricorrente al risarcimento dei danni in favore del controricorrente ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., nell’importo equitativamente determinato di euro 3.600,00.
Condanna il ricorrente al pagamento della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione