Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2108 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2108 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 4563/2021 R.G. proposto da:
NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (pec EMAIL) ed elettivamente domiciliato in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (pec EMAIL) e COGNOME NOME (pec EMAIL) ed elettivamente domiciliato presso lo studio degli stessi, in Roma, alla INDIRIZZO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1191/2020 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 9/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che:
NOME, cittadino egiziano, conveniva davanti al Tribunale di Brescia l’AVV_NOTAIO perché, accertatane la responsabilità professionale per avergli impedito di ricorrere per cassazione avendo lasciato decorrere il termine avverso una sentenza della Corte d’appello di Brescia – che aveva rigettato la sua domanda di liquidazione anticipata della contribuzione previdenziale per difetto di rientro in patria in relazione alla l. 286/1998 e altresì l’accredito dei contributi dovuti dal suo datore di lavoro in un periodo di illegittimo licenziamento (gli era stato detratto quanto ricevuto a tale titolo da altri datori di lavoro per i quali aveva lavorato in quel periodo) -, fosse condannato a risarcirgli i danni. Il convenuto si costituiva resistendo.
Il Tribunale, con sentenza del 12 aprile 2018, rigettava la domanda ritenendo che il giudizio pronostico di vittoria qualora fosse stato presentato quel ricorso per cassazione non era favorevole.
NOME proponeva appello, cui controparte resisteva e che la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 9 novembre 2020, rigettava.
NOME ha presentato ricorso sulla base di tre motivi; il COGNOME si è difeso con controricorso, depositando poi anche memoria.
Considerato che:
1.1 Il primo motivo denuncia, in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per ‘ insussistenza di valida motivazione ‘ sulla corretta interpretazione della normativa, motivazione apparente e violazione degli articoli 132 n.4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 278 c.p.c. e 111 Cost.
1.2 Il vizio motivazionale denunciato dovrebbe riguardare non già una pretesa erronea interpretazione di norme, bensì la ricostruzione del fatto, come insegna ex multis S.U. 2 febbraio 2017 n. 2731: ” La mancanza di motivazione su questioni di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un ‘ error in procedendo ‘, quale la motiv azione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto “. Più recentemente sulla stessa linea si è posta Cass. sez. L, ord. 1 marzo 2019 n. 6145; sulla non incidenza, in caso di questioni di diritto, dell’eventuale vizio motivazionale, neppure quando la motivazione è qualificabile come apparente, rilevando solo la corretta applicazione da parte del giudice di merito delle norme di diritto, si vedano pure Cass. sez. 2, ord. 13 agosto 2018 n. 20719; Cass. sez. 5, ord. 13 dicembre 2017 n. 29886; Cass. sez. 5, 3 agosto 2016 n. 16157; Cass. sez. 1, 24 giugno 2015 n. 13086; Cass. sez. L, 11 novembre 2014 n. 23989; Cass. sez. 1, 27 dicembre 2013 n. 28663; S.U. 5 novembre 2008 n. 28054. Trattasi logicamente di un principio generale, relativo anche alla giurisdizione di legittimità in materia penale, come da ultimo è stato confermato da S.U. pen., 16 luglio 2020 n. 29541 (e così in precedenza, tra le altre, Cass. pen. sez. 1, 20 maggio 2015 n. 16372 e Cass. pen. sez. 3, 23 ottobre 2014-11 febbraio 2015 n. 6174, Cass. pen. sez. 2, 20 maggio 2010 n. 19696 e Cass. pen. sez. 2, 21 gennaio 2009 n. 3706).
Ne deriva quindi l’inammissibilità del motivo, non rientrando nel perimetro dell’articolo 360 c.p.c. il vizio motivazionale qualora attenga ad un risultato giuridicamente esatto; e ciò a prescindere poi da quanto si viene a dire infra sul contenuto giuridico della sentenza impugnata. Peraltro e in ogni caso, la
sentenza impugnata risulta essere motivata e supportata da motivazione non apparente.
2.1 Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2, comma 18, l. 335/1995 e 18 l. 300/1970 in relazione agli articoli 4, 35 e 38 Cost. e all’applicazione nel caso degli articoli 1218 e 1223 c.c., nonché, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., omesso esame di fatto discusso e decisivo.
Si osserva che la prestazione di lavoro è il presupposto della contribuzione ma il rapporto previdenziale assicurativo non è solo il corrispettivo della prestazione lavorativa, avendo anche lo scopo di concorrere al sostentamento di terzi.
S.U. 5 luglio 2007 n. 15143 ha dichiarato che ‘ l’obbligo contributivo, commisurato alla retribuzione contrattuale dovuta, esiste perché esiste l’obbligazione retributiva e non viene meno se, a causa del suo inadempimento, la prestazione originariamente pattuita si trasforma in altra natura risarcitoria ‘. Si sostiene allora che, seguendo il giudice del lavoro della causa in cui l’attuale ricorrente era stato assistito dal l’AVV_NOTAIO, la Corte d’appello di Brescia avrebbe errato per avere ritenuto una duplicazione il ricevimento del contributo previdenziale anche dal datore di lavoro che aveva licenziato NOME mentre egli lavorava per altri (durante il periodo in cui non aveva ancora la reintegrazione per illegittimità del licenziamento, ottenuta in seguito dal giudice del lavoro), ricevendo così i contributi per tali rapporti. Invece ‘ in caso di rapporti simultanei le retribuzioni derivanti dai due rapporti si cumulano agli effetti del massi male’ , per cui l’RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto comunque conteggiare, ad adeguamento del conto previdenziale del ricorrente, quanto il datore di lavoro che aveva licenziato –RAGIONE_SOCIALE – era stato condannato a versare a favore di NOME sino al limite del massimale stipendiale pensionabile: l’RAGIONE_SOCIALE , però, ingiustamente non l’aveva fatto, per cui avrebbe dovuto essere condannato a farlo.
Comunque il ricorrente avrebbe avuto diritto al calcolo dei contributi per lui più convenienti e quindi i contributi di RAGIONE_SOCIALE: si riportano nell’illustraz ione del
motivo dati presentati come relativi a quanto egli avrebbe ricevuto quali retribuzioni settimanali da altri datori di lavoro.
Il mancato conteggio contrasterebbe pure la sentenza n.2/2000 del Tribunale di Cremona (la prima pronuncia emessa nel giudizio relativo al licenziamento, la quale fu a suo favore; il giudizio comunque proseguì per vari anni come si evince dalla premessa, pagine 2-3). Pertanto la valutazione pronostica adottata nella sentenza qui in esame combacerebbe con l’errata interpretazione dell’articolo 2, comma 18, l. 335/1995.
Erronea sarebbe anche l’esclusione di una duplice obbligazione contributiva nel medesimo periodo di paga, in cui verrebbe a incidere l’articolo 18, quarto comma, l. 300/1970: la già citata S.U. 5 luglio 2007 n. 15143 insegna che permane l’obbligo dei contributi se è in atto il rapporto di lavoro e la retribuzione è dovuta, non rilevando l’esistenza di un nuovo rapporto dopo il licenziamento.
Si invocano pure Cass. 402/2012 (per cui se il licenziamento è illegittimo e ne consegue quindi ordine di reintegrazione il rapporto assicurativo non si è interrotto) e Cass. 23181/2013 (per cui, applicando l’articolo 18 l. 300/1970, al illegittimo licenziamento consegue la condanna del datore di lavoro a versare i contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento fino a quello della reintegrazione) per sostenere infine che nel caso in esame, invece, la mancata considerazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE dei contributi dovuti da RAGIONE_SOCIALE dal 1997 al 1999 ‘ equivale a ritenere insussistente l’obbligo contributivo ‘.
2.2.1 La Corte d’appello, per sostenere la valutazione pronostica che ‘il ricorso per cassazione non avrebbe avuto successo’, afferma la non pertinenza al caso sottopostole di S.U. 15143/2007.
Quest’ultima pronuncia nomofilattica insegna che, nel regime dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nel periodo tra la data dell’illegittimo licenziamento e la pronuncia giudiziale contenente l’ordine di reintegro del lavoratore durante il quale il rapporto di lavoro è quiescente ma non estinto, persiste il rapporto assicurativo previdenziale e il corrispondente obbligo del datore di lavoro di versare all’ente previdenziale i contributi assicurativi (cfr. Corte cost. 7/1986);
e aggiunge che ‘ i contributi previdenziali sono dovuti indipendentemente dalla erogazione della retribuzione (che nel detto periodo non è corrisposta, aspettando al lavoratore solo il risarcimento del danno) e vanno commisurati a quella che sarebbe stata la normale retribuzione nell’intero periodo, anche se non coincidente con l’importo del danno liquidato in applicazione dei criteri di risarcimento fissati dalla legge ‘ .
Nella motivazione della loro sentenza (pagine 12 ss.) le Sezioni Unite osservano che ‘ nel rapporto tra datore di lavoro ed ente previdenziale non vi è alcuna norma che esoneri il primo dal pagamento dei contributi … l’obbligo contributivo – commisurato alla retribuzione contrattuale dovuta – esiste perché esiste la obbligazione retributiva, e non viene meno se a causa del suo inadempimento la prestazione … si trasforma in altra di natura risarcitoria perché siffatta trasformazione opera solo sul piano del rapporto tra datore e lavoratore, in cui l’interesse di quest’ultimo resta soddisfatto … Sul piano previdenziale, non rileva lo strumento solo indiretto attraverso il quale tale soddisfazione è assicurata, e l’obbligo contributivo resta commisurato alla retribuzione contrattualmente dovuta … Per questi rilievi non entrano in considerazione le fattispecie di contribuzione figurativa … Non occorre neppure tener conto dell’ipotesi (che non riguarda il caso in esame) di un nuovo rapporto di lavoro instaurato nel periodo successivo al licenziamento del dipendente illegittimamente estromesso, ipotesi per la quale si prospetta da parte della ricorrente l’impossibilità della coesistenza, con diversi rapporti di lavoro nello stesso periodo, di una pluralità di rapporti assicurativi. La questione attiene alla tutela della posizione previdenziale assicurata al lavoratore nella specifica fattispecie, ma non incide sulla soluzione del problema della persistenza dell’obbligo contributivo a carico dell’originario datore di l avoro. In conclusione … l’obbligo contributivo resta commisurato all’effettivo importo delle retribuzioni maturate … nel periodo dal licenziamento alla data della sentenza di reintegrazione ‘ (conformi i seguenti arresti della sezione lavoro: 4 aprile 2008 n 8800, 11 ottobre 2013 n. 23181 e 27 febbraio 2017 n. 4899; e cfr. pure Cass., sez. L, 10 marzo 2021 n. 6722).
2.2.2 Dalla esposizione dei fatti fornita nelle pagine 4-5 del ricorso risulta che NOME aveva chiesto all’RAGIONE_SOCIALE il conteggio dei contributi che RAGIONE_SOCIALE era stata condannata a versare all’RAGIONE_SOCIALE e che riguardavano il periodo di mancata reintegrazione; l’RAGIONE_SOCIALE aveva risposto con una lettera del 2 febbraio 2010 che comunicava un ‘estratto conto assicurativo’ da cui risultavano l’omesso conteggio dei contributi che RAGIONE_SOCIALE era stata condannata a versare e periodi di omesso versamento dal 1997 al 1999. L’attuale ricorrente lo aveva segnalato all’RAGIONE_SOCIALE chiedendo la regolarizzazione e l’ente aveva risposto dichiarando non accoglibile quanto chiesto. NOME allora ha agito nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE davanti al Tribunale di Brescia per ottenerne la condanna alla regolarizzazione accreditandosi i contributi non versati da RAGIONE_SOCIALE.
È esatto allora quel che pronosticò il giudice d’appello: la sopra richiamata pronuncia delle Sezioni Unite riguarda l’obbligo di contributo del datore di lavoro , e non un obbligo (come quello dall’attuale ricorrente chiestogli di adempiere davanti al tribunale bresciano) dell’RAGIONE_SOCIALE a versare esso stesso quel che il datore di lavoro non abbia corrisposto nel conto assicurativo del lavoratore. E anche l’ulteriore giurisprudenza giuslavoristica che il ricorrente invoca non afferma l’esistenza di questo obbligo, che il motivo d’altronde non riesce a fondare su alcunché oltre alla quanto mai forzata -e pertanto errata – interpretazione di S.U. 15143/2007.
Il motivo pertanto va rigettato.
3.1 Il terzo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 22, comma 11, l. 286/1998 in relazione agli articoli 4, 35 e 38 Cost. e all’applicazione degli articoli 1218 e 1223 c.c., attribuendo al giudice d’appello di avere interpretato restrittivamente l’articolo 22, comma 11, l. 286/1998 ratione temporis applicabile, chiedendo, per concedere quanto era stato richiesto in forza di tale norma, un effettivo e preliminare abbandono dal territorio italiano del lavoratore extracomunitario.
3.2 Il motivo è manifestamente infondato.
La liquidazione anticipata della contribuzione previdenziale riguarda il caso di decisione di rientro in patria e nel caso in esame il ricorrente risulta pacifico che era rimasto per anni dopo aver proposto la richiesta (cfr. la sentenza qui impugnata, a pagina 4, che nello svolgimento del processo correttamente dà atto che il primo giudice aveva respinto la relativa domanda ‘ essendovi la prova che il lavoratore non era affatto rientrato nel paese d’origine ma era rimasto in Italia dove aveva continuato ad essere occupato ‘; e si veda ancora la sentenza a pagina 9 – dove si riassume il relativo motivo d’appello con cui NOME aveva in sostanza ammesso di essere rimasto, fondando la pretesa sul fatto che, a suo avviso, ‘ la legge non richiedeva che il lavoratore avesse già lasciato il territorio nazionale e avesse cessato l’attività lavorativa, a nulla rilevando che egli si fosse trattenuto per curare la pratica e per farlo avesse dovuto reperire un lavoro per ottenere il permesso di soggiorno per restare in Italia ‘ – e nelle pagine 12-14). Del tutto pertinente, oltre che condivisibile, è dunque il dettato di Cass. sez. L, 16 marzo 2010 n. 6340, invocata dalla Corte d’appello (a pagina 10 della sentenza qui impugnata), per cui l’articolo 22, comma 11, d.lgs. 286/1998 come ratione temporis applicabile dichiara che i lavoratori extracomunitari che abbiano cessato l’attività lavorativa in Italia e lascino il territorio nazionale hanno la facoltà di chiedere la liquidazione dei contributi versati in loro favore quali forme di previdenza obbligatoria ‘ solo se abbiano cessato l’attività lavorativa ed il trasferimento dal territorio nazionale abbia carattere di definitività ‘, situazioni queste che deve accertare il giudice di merito (così si rinviene nella parte qui pertinente della massima : ‘ L’accertamento delle situazioni idonee a qualificare in tal senso il trasferimento spetta al giudice di merito, e il relativo apprezzamento, se correttamente motivato, è esente da sindacato di legittimità ‘) .
Risulta quindi evidentemente condivisibile la valutazione pronostica che l’attuale ricorrente non avrebbe vinto neppure questa delle sue domande, perché in sede di merito era emerso che egli ‘non aveva serie intenzioni di lasciare l’Italia’.
Il quarto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., violazione dell’articolo 112 c.p.c., nonché, in riferimento all’articolo 360,
primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1218 e 1223 c.c.: omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della responsabilità professionale per omessa corretta informazione del termine per ricorrere per cassazione.
Il motivo, a tacer d’altro, è inammissibile per difetto di interesse, considerato che, ut supra constatato, la compiuta valutazione pronostica di mancata vittoria del ricorso non proposto era stata giuridicamente corretta.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente a rifondere a controparte le spese di lite, liquidate come in dispositivo.
Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2012, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese processuali, liquidate in un totale di € 3.200, oltre a € 200 per gli esborsi e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 9 novembre 2023
Il Presidente
NOME COGNOME