Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9722 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9722 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2869/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME STUDIO LEGALE ASSOCIATO RAGIONE_SOCIALE AVVOCATI, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
avverso ORDINANZA di TRIBUNALE MILANO n. 39716/2020 depositata il 17/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Svolgimento del processo
Con proprio atto di citazione, l’ing. NOME COGNOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale civile di Milano l’avv. NOME COGNOME e lo Studio Legale Associato RAGIONE_SOCIALE, proponendo opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in data 15.07.2020 dal Tribunale di Milano su richiesta dell’avv. COGNOME, in proprio ed in nome e per conto dello Studio Legale RAGIONE_SOCIALE, per l’importo di Euro € 50.600,00, oltre c.p.a. e IVA, interessi legali e spese.
Il decreto opposto si fondava su un ‘incarico professionale’ conferito in data 23/09/2016 riguardante una serie di attività giudiziali e stragiudiziali espletate in favore dell’attore (consistenti in vari giudizi introdotti dal de Francesco e nella consulenza stragiudiziale relativa alla RAGIONE_SOCIALE di cui il de Francesco era socio di maggioranza). Era pattuito un compenso di euro 140.075,52. Tale compenso professionale, secondo l’avv. COGNOME, non sarebbe stato interamente corrisposto.
L’ing. COGNOME eccepiva l’inefficacia o l’inopponibilità del suddetto incarico e deduceva di avere personalmente effettuato, negli anni, molteplici pagamenti a mani dell’avv. COGNOME o con altri strumenti di pagamento. Contestava di avere avuto rapporti professionali con l’avv. COGNOME alla quale lo stesso non aveva conferito alcun incarico professionale
L’ing. COGNOME spiegava, infine, domanda riconvenzionale per responsabilità professionale da cui sarebbe derivato un danno, per l’asserita perdita di valore di una quota societaria detenuta dal
cliente nella società RAGIONE_SOCIALE danno da quantificarsi nella ‘misura che sarà ritenuta di giustizia, anche in via equitativa’.
Costituendosi in giudizio, i convenuti chiedevano, preliminarmente, di disporre il mutamento del rito ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 250/2011, sia per l’opposizione a decreto ingiuntivo relativa ai compensi dell’avvocato, sia per la riconvenzionale, e ssendo anch’essa suscettibile di trattazione ad istruttoria sommaria, richiamando Cass. Sez. Un., 23 febbraio 2018, n. 4485.
Nel merito, insistevano per il rigetto dell’opposizione e, comunque, per la condanna del debitore al pagamento dell’importo ingiunto, nonché per il rigetto della domanda riconvenzionale.
Con ordinanza del 4 marzo 2021, ricorrendo l’ipotesi di compensi professionali per prestazioni giudiziali, il Tribunale disponeva il mutamento di rito in quello sommario e con successiva ordinanza del 9 giugno 2021, assegnava termine per l’integrazione deg li scritti iniziali e per le richieste istruttorie riservando ogni valutazione in merito opportunità di separare la domanda riconvenzionale avente ad oggetto la responsabilità dell’avvocato.
Il Tribunale di Milano, con ordinanza 25 novembre 2021 confermava il decreto ingiuntivo, relativo ai crediti fondati su accordo professionale rilevando che lo studio professionale aveva ‘fornito ampio riscontro documentale dell’attività espletata ed ha pro dotto la lettera di incarico del 23.9.2016 in cui le parti quantificavano convenzionalmente i compensi spettanti al professionista’. Rilevava l’inesistenza di asseriti pagamenti e rigettava la domanda riconvenzionale, accertando l’insussistenza di inadempi menti dei legali.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione NOME e NOME COGNOME, subentrati nella posizione dell’originario opponente, affidandosi a nove motivi. Resistono con controricorso
l’avv. NOME COGNOME e lo Studio Legale Associato RAGIONE_SOCIALE
Entrambe le parti depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si deduce la nullità del procedimento e dell’ordinanza, in relazione all’articolo 360, n. 3 e n. 4 c.p.c., per violazione di articoli 102, 110 e 300 c.p.c. In particolare, vi sarebbe stato un altro litisconsorte necessario la figlia dell’attore (E NOME COGNOME NOME) verso la quale non è stato integrato il contraddittorio, essendosi costituiti in giudizio, in sostituzione del padre deceduto, i due figli NOME e NOME COGNOME NOME, odierni ricorrenti.
L’esistenza dell’erede NOME COGNOME NOME emergerebbe dal contenuto dell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo con riferimento alle quote della società immobiliare. Nello stesso modo l’esistenza di una terza figlia sarebbe presente nella comparsa d i costituzione degli opposti.
Il motivo è infondato.
Opera a riguardo il principio secondo cui qualora, a seguito di morte di una parte, il processo venga proseguito da altro soggetto nella dedotta qualità di unico erede del defunto, spetta alla controparte, che eccepisca la non integrità del contraddittorio, per l’esistenza di altri coeredi, fornire la relativa prova (Cass. n. 852/1985; Cass. n. 2774/1997; Cass. n. 5605/1990; Cass. n. 13571/2006).
Quanto alla deduzione sollevata con il motivo in esame e relativa alla posizione di eredi della originaria parte opponente questa Corte ha affermato che il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari può essere dedotto per la prima volta anche nel giudizio di cassazione, ma alla duplice condizione che gli elementi posti a fondamento emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito (poiché nel giudizio di cassazione sono vietati lo svolgimento di ulteriori attività e l’acquisizione di nuove prove) e che sulla questione
non si sia formato il giudicato (Cass. n. 17581/2007, Cass. n. 26388/2008).
Negli stessi termini Cass. 27521/2011 e Cass. n. 3024/2012 che ribadisce la necessità di tenere conto solo degli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito, in quanto le ipotesi di nullità della sentenza che consentono, ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., di acquisire mezzi di prova precostituiti in sede di legittimità sono limitate a quelle derivanti da vizi propri dell’atto per mancanza dei suoi requisiti essenziali di sostanza e di forma, con esclusione delle nullità originate da vizi del processo.
Attesa quindi l’impossibilità per i ricorrenti di potersi avvalere della previsione di cui all’art. 372 c.p.c. per documentare l’esistenza di altri eventuali coeredi, il motivo deve essere disatteso.
In un caso analogo al preste questa Corte ha osservato che nell’ipotesi in cui ‘solo in sede di legittimità assumono che vi siano altri coeredi, così che appare evidente che nel giudizio di appello non venne in alcun modo sollevata la questione relativa all’effettiva integrità del contraddittorio, della cui prova, per quanto visto, era comunque onerata la parte eccipiente’ (Cass., 18 luglio 2019, n. 19400)
Nel caso di specie l’esistenza di un altro coerede non è mai stata comunicata nel giudizio di merito e la parte che eccepisce il difetto di integrazione del contraddittorio per asserita esistenza di altri eredi ha l’onere di provare ‘la loro avvenuta assun zione della qualità di erede per accettazione espressa o tacita, non essendo sufficiente la mera chiamata all’eredità’ (Cass., 30 luglio 2014, n. 17295).
La prova della qualità di erede non è mai stata formalmente dedotta o eccepita in appello.
Parte ricorrente, a pagina 14, rileva che ‘la circostanza dei figli dell’ingegnere NOME fossero tre – ossia i due figli con i quali è proseguito il processo ed NOME – risulta da una molteplicità di atti’.
In particolare, nell’atto di citazione vi sarebbe il riferimento al fatto che ‘il restante 40% della società era di proprietà e dei tre figli, NOME, NOME e NOME. Un altro accenno sarebbe contenuto nel capitolo 22 di prova testimoniale (documento non trascritto, in violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c.), vi poi sarebbe il richiamo (neppure indicato sotto il profilo letterale) ad una serie di documenti ‘versati in atti di dall’attore’ e un riferimento anche nella comparsa di costituzione degli o pposti nella quale si accenna a ‘figli’ dell’ingegnere.
Tali indicazioni non consentono di individuare in NOME COGNOME, senza nessuna ulteriore attività istruttoria, una delle eredi dell’originario opponente giacché tali elementi, a prescindere dalla irrituale (ex art. 366 n. 6 c.p.c.) e generica allegazione, si riferiscono alla diversa qualità di figlia dell’opponente.
Con il secondo motivo deducono, in relazione all’articolo 360, n. 4 c.p.c., la violazione l’articolo 132, n. 4 c.p.c. In particolare, lamentano la violazione l’articolo 702 ter c.p.c. in quanto il Tribunale, alla luce delle difese svolte dall’ingegnere COGNOME, avrebbe dovuto disporre la conversione del rito, da sommario ad ordinario. Nel caso di specie le parti avevano formulato tutte le richieste di prova, sia documentali che costituente, per cui il collegio disponeva di allegazioni tali da ritenere che il rito sommario ‘fosse suscettibile di evolvere, previa conversione del rito ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo n. 150 del 2011, in rito ordinario, al fine di adeguatamente la domanda riconvenzionale dell’opponente’.
Il motivo è infondato, trattandosi di valutazione rimessa alla discrezionalità del giudice. La mancata conversione del rito sommario in rito ordinario, coinvolgendo un’attività discrezionale del Tribunale non può costituire motivo di nullità del giudizio di primo grado per violazione dei diritti processuali e di difesa (Cass, 5 settembre 2019, n. 22159).
Sotto altro profilo parte ricorrente non ha allegato che a causa della adozione del rito sommario vi sia stato un effettivo pregiudizio. Conseguentemente è inammissibile il ricorso con il quale si lamenti un mero vizio del processo, senza allegare anche le ragioni per le quali la erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, un concreto pregiudizio per il diritto di difesa e per la decisione di merito (Cass, 20 novembre 2020, n. 26419).
Infine, la dedotta nullità non può essere fatta valere dai ricorrenti giacché rispetto alla mancata conversione del rito ordinario in rito ordinario vi è stata piena acquiescenza, come documentato dai controricorrenti, con riferimento al contenuto della me moria dell’8 luglio 2021 nella quale l’opponente dichiarava ‘per ragioni di celerità processuale, non si oppone al suo assoggettamento alla rito sommario’.
Con il terzo motivo si deduce la nullità dell’ordinanza, in relazione all’articolo 360, n. 4 c.p.c. e dell’articolo 132, n. 4 c.p.c. per violazione dell’articolo 702 ter c.p.c. determinato, questa volta, dalla opportunità di disporre il passaggio al rito della cognizione piena, attraverso la separazione della causa relativa alla domanda riconvenzionale, essendosi determinata la necessità di una istruzione non sommaria in conseguenza di un procedimento penale, avente natura pregiudiziale, avviato nei confron ti dell’avvocato COGNOME In particolare, la procura della Repubblica di Novara avrebbe disposto l’avvio di indagini nei confronti del professionista iscrivendolo nel registro degli indagati e per tale motivo il giudizio civile avrebbe dovuto essere sospeso.
Il motivo è infondato per una pluralità di ragioni.
In primo luogo, l’esistenza del procedimento penale nel quale l’odierno controricorrente avrebbe assunto la veste di indagato è dedotta in violazione dell’articolo 366, n. 6 c.p.c. poiché la parte non ha trascritto il documento al quale fa riferimento e il verbale
dell’udienza nella quale tale questione sarebbe stata sottoposta al giudice di merito.
Inoltre, la deduzione contrasta con il contenuto del verbale dell’udienza del 9 novembre 2021 riportato a pagina 14 del controricorso, ritualmente trascritto dai controricorrenti e che non riporta i dati oggetto del terzo motivo.
In terzo luogo, la censura non si confronta con la decisione impugnata nella quale si fa presente che non è stato possibile esprimere alcuna valutazione in difetto di idonea documentazione. Tale profilo non consente neppure in questa sede di esprimere un sindacato sulla motivazione.
Infine, il motivo si fonda sulla presunta necessità di sospensione necessaria del procedimento civile sensi dell’articolo 295 c.p.c. Ma tale fattispecie non ricorre nel caso di specie, poiché secondo la stessa allegazione dei ricorrenti non era stata eserc itata l’azione penale, ma solo l’iscrizione del professionista nel registro degli indagati.
Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’articolo 360, n. 4 e 132, n. 4, la violazione dell’articolo 116 c.p.c., con riferimento all’articolo 360, n. 3 e n. 5, il travisamento della prova o l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. In particolare, la censura riguarderebbe il pagamento della somma di euro 43.000 che, secondo i ricorrenti, sarebbe stato eseguito in favore dell’opposto.
Secondo il Tribunale la corresponsione di somme in favore della moglie dell’avvocato COGNOME non avrebbe potuto considerarsi pagamento parziale in favore di quest’ultimo, in quanto quegli importi si riferivano al mandato conferito all’avvocato COGNOME mog lie del controricorrente, per la operazione di trasformazione della società immobiliare da RAGIONE_SOCIALE
Tale valutazione sarebbe viziata dal fatto che l’ingegnere COGNOME avrebbe affermato di non avere mai intrattenuto alcun rapporto con l’avvocato COGNOME e tale circostanza non sarebbe stata
contestata dalle controparti. La motivazione sarebbe, sotto altro profilo, contraddittoria nella parte in cui, da un lato si dà atto che lo stesso opposto in comparsa di risposta avrebbe ammesso che l’incarico formale era stato conferito ad altro avvocato (la moglie) solo per non far apparire una situazione di conflitto di interessi, ma dall’altro si sostiene che dell’attività di trasformazione della veste sociale della immobiliare si occupò effettivamente l’avvocato COGNOME. Sotto tale profilo il collegio avrebbe travisato le risultanze delle prove apparendo esorbitante il riconoscimento di un compenso di circa € 43.000 in favore di un avvocato per la semplice operazione di trasformazione di una società da RAGIONE_SOCIALE
Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
La censura di omesso esame di un fatto storico ai sensi dell’articolo 360, n. 5 c.p.c., per quanto detto non sussiste giacchè la questione, sulla base della stessa prospettazione dei ricorrenti è stata presa in esame.
Quanto ai rilievi ai sensi dell’articolo 360, n. 4 c.p.c. la deduzione è irritualmente formulata poiché la censura riguarda il profilo della contraddittorietà della motivazione (infondato per quello che si è detto) ovvero la richiesta di rivalutazione del compendio probatorio (in quanto tale inammissibile).
Per il resto, va precisato che a pagina 7 dell’ordinanza, il Tribunale esamina la prospettazione dell’ingegnere COGNOME Francesco secondo cui non vi sarebbe stato un mandato specifico in relazione alle attività riguardanti la delibera societaria del 7 giugno 2018. Il Tribunale, ritiene provata anche l’attività professionale dell’avvocato relativa alla assistenza dell’ingegnere anche nell’operazione di aumento del capitale sociale al fine di consentire l’ingresso di un nuovo socio (RAGIONE_SOCIALE.
Sulla base delle risultanze processuali ritiene dimostrata l’attività di assistenza dell’avvocato sia per l’aumento di capitale deliberato 7 giugno 2018, sia per precedenti operazioni straordinarie, come la
trasformazione della società RAGIONE_SOCIALE da società di persone a RAGIONE_SOCIALE ad iniziativa del socio di maggioranza, NOME COGNOME Francesco.
Il Tribunale aggiunge che, nella comparsa di parte opposta (avvocato), si riconosce che l’incarico formale (evidentemente riferito all’assistenza per la trasformazione della società immobiliare in RAGIONE_SOCIALE) sarebbe stato conferito ad un altro avvocato (l’avv ocato COGNOME al solo scopo di non far apparire una potenziale situazione di conflitto di interessi, conseguente al fatto che lo studio COGNOME era già difensore dell’ingegnere COGNOME nelle controversie nelle quali lo stesso agiva a titolo personale e non quale socio di maggioranza che agisce in nome della società.
Da quanto precede emerge che l’avvocato COGNOME si sarebbe occupato della trasformazione della società immobiliare da società di persona ad RAGIONE_SOCIALE e che per eseguire tale attività si era stabilito di affidare fittiziamente l’incarico formale alla moglie dell’avvocato (avv. COGNOME per evitare situazioni di conflitto di interessi.
Orbene, il Tribunale si fa carico di questa apparente contraddittorietà rilevando che dalle risultanze processuali emerge il pagamento dell’importo di euro 43.000 effettuato con bonifico proveniente dalla società immobiliare in liquidazione e non dal conto personale dell’opponente, ingegner COGNOME
In secondo luogo, il pagamento è effettuato in favore dell’avvocato COGNOME coniuge del convenuto, ma soggetto diverso da quest’ultimo. Il Tribunale rileva che anche nell’ipotesi in cui le parti avessero stabilito di conferire alla moglie dell’avvocato COGNOME un mandato ‘di facciata’ per attività professionali, in realtà, svolte dallo studio COGNOME, si tratterebbe comunque di operazioni ulteriori, non conteggiate nella specifica oggetto di causa e posteriori rispetto a quelle indicate nella richiesta di pagamento della parcella professionale. In particolare, l’attività di assistenza nella trasformazione della RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE si riferiva alla data del 9 novembre 2017, mentre quelle per cui è causa sono
antecedenti di oltre un anno ed oggetto della lettera di incarico del 23 settembre 2016. In sostanza non sarebbe stato corretto portare in detrazione i compensi esauriti in epoca precedente la data dell’accordo sui compensi.
Tale ricostruzione risulta coerente e logica e fondata sulle risultanze processuali, la cui valutazione non è sindacabile in questa sede.
Con il quinto motivo si deduce la nullità della sentenza, ai sensi degli articoli 360, n. 4 c.p.c. e 132, n. 4 c.p.c. ricorrendo l’ipotesi di motivazione apparente o caratterizzata da contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. In particolare, nella ordinanza si legge che ‘parte convenuta ha eccepito la mancanza di uno specifico mandato in relazione alla delibera del 7 giugno 2018’ ma vi sarebbero, al contrario, una serie di elementi che consentirebbero di affermare che l’avvocato COGNOME era stato incaricato di assistere l’ingegnere anche nelle operazioni oggetto della già menzionata delibera. Il Tribunale avrebbe contraddittoriamente ritenuto l’avvocato esente da responsabilità perché difetterebbe uno specifico mandato e che l’assistenza in favore dell’ingegnere sarebbe stata resa da altro professionista, il dottor COGNOME Il convenuto, secondo il Tribunale, non potrebbe rispondere dei comportamenti di quest’ultimo per la sola ragione di averlo presentato all’opponente.
Il motivo è infondato non ricorrendo alcuna contraddizione.
In primo luogo, non è dato comprendere se l’eccezione di mancanza di uno specifico mandato sia stata formulata dal convenuto sostanziale, cioè l’ingegnere opponente o dal convenuto processuale, cioè l’avvocato opposto. In ogni caso, sulla base delle risult anze processuali il Tribunale deduce l’esistenza di un ampio incarico di assistenza riguardo alle attività oggetto della delibera del 7 giugno 2018, ma sulla base della genericità dell’incarico esclude l’esistenza di una responsabilità, facendo presente che ogni specifica ipotesi andrà riferita al professionista che in concreto si è occupato delle vicende (dottor COGNOME.
Con il sesto motivo si deduce nuovamente l’illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione con la quale il Tribunale ha escluso che l’ingegnere COGNOME Francesco non fosse in grado di decodificare il senso della delibera del 6 luglio 2018. Le risultanze processuali non sarebbero state correttamente valutate dal giudice di merito.
Il motivo è inammissibile perché, sotto l’apparente deduzione del vizio di contraddittorietà della motivazione, mira ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito e non consentita in sede di legittimità. Parte ricorrente prospetta una personale ricostruzione della vicenda ritenendo inadeguata o carente la valutazione del materiale probatorio operata dal giudice di merito. Con il settimo motivo si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 116 c.p.c. e per travisamento della prova o omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi degli articoli 360, n. 3, n. 4 e n. 5 c.p.c. Parte ricorrente lamenta la manifesta e irriducibile illogicità della motivazione nella parte in cui il Tribunale ritiene non particolarmente rilevante il contenuto della corrispondenza intercorsa tra l’ingegnere e l’avvocato relativamente all’assemblea del 7 giugno 2018. Il contenuto di quella mail, secondo i ricorrenti, avrebbe potuto essere interpretato in maniera differente considerando il fatto decisivo della (creduta) cessione della quota sociale che l’attore era stato indotto ritenere come perfezionata a favore della propria fondazione.
Con l’ottavo motivo si deduce la violazione l’articolo 2697 e 1218 e 2043 c.c. in tema di ripartizione dell’onere della prova. In particolare, il Tribunale avrebbe posto a carico dell’opponente l’onere di dimostrare l’esistenza di un pactum sceleris tra i due professionisti che assistevano l’ingegnere. Al contrario, il cliente avrebbe dovuto dimostrare la inadeguata prestazione professionale, l’esistenza del danno, il nesso di causalità tra la condotta e il pregiudizio. Mentre competeva al professionista fornire la prova della correttezza della
prestazione espletata. Nel caso di specie difetterebbe tale dimostrazione.
Con il nono motivo si lamenta la violazione degli articoli 91 del RDL n. 1578 del 1933 e degli articoli 1176, 1218 e 2236 c.c., in relazione all’articolo 360, n. 3 c.p.c. e 360, n. 4 c.p.c. e 132, n. 4 c.p.c. L’obbligo di diligenza cui è tenuto l’avvocato impone al professionista il dovere di sollecitazione, dissuasione e informazione del proprio assistito. Nel caso di specie non sarebbe comprensibile il vantaggio o l’utilità concretamente perseguita con l’aumento di capitale attraverso l’ingresso di un sog getto terzo estraneo. Tali operazioni, in realtà, avrebbe determinato soltanto un grave pregiudizio per l’assistito.
I tre motivi possono essere trattati congiuntamente poiché riguardano esclusivamente profili di merito. Gli stessi sono, innanzitutto, inammissibili poiché i ricorrenti non allegano in quale fase processuale le parti avrebbero trattato il tema del pactum sceleris (citato dal Tribunale solo per escludere qualsiasi profilo di responsabilità dell’avvocato).
Va ribadito che sono riservati al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.
Conseguentemente è inammissibile il ricorso con cui si censuri la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del convincimento del giudice giacché il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali non rientra nel paradigma del l’articolo 360, n. 5, né in quello del precedente n. 4 che dà rilievo esclusivamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge.
Quanto al contenuto della mail la censura è inammissibile per il mancato riferimento ai criteri di interpretazione ex art. 1362 e segg.
c.c.
Al fine di far valere una violazione ermeneutica il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione (artt. 1362 e segg c.c.) mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass. 09/10/2012, n. 17168; Cass. 11/03/2014, n. 5595; Cass. 27/02/2015, n. 3980; Cass. 19/07/2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. 22/02/2007, n. 4178; Cass. 03/09/2010, n. 19044).
Per il resto i motivi, soprattutto il nono, sono generici poiché il vizio della sentenza deve essere dedotto mediante puntuale indicazione delle norme che si ritengono violate e con specifiche argomentazioni, tese a dimostrare in qual modo le affermazioni in diritto contenute nel provvedimento impugnato, devono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie. Nel caso di specie, al contrario, il motivo si fonda su mere affermazioni non seguita dalla dimostrazione della violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con condanna al pagamento delle spese di lite e declaratoria di sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del doppio contributo.
PTM
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in € 3.200,00 per compensi, ivi comprese spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ivi compresi esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte