Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 347 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 347 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4560/2022 proposto da: COGNOME
NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– controricorrente –
nonché
RAGIONE_SOCIALE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 4452/2021 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI, depositata il 2/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 2/12/2021, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni subiti dall’attore in conseguenza dell’inadempimento, da parte del COGNOME, dell’incarico professionale di AVV_NOTAIO allo stesso conferito dal COGNOME al fine di assisterlo in una causa di lavoro, in occasione della quale il COGNOME aveva ingiustificatamente trascurato di proporre appello avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato l’impugnazione proposta nell’interesse del COGNOME per l’annullamento del relativo licenziamento;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato come il primo giudice avesse correttamente escluso la sussistenza di alcun nesso di causalità tra l’inadempimento ascritto al COGNOME e le conseguenze dannose denunciate dal COGNOME, tenuto conto che, pur quando il COGNOME avesse tempestivamente impugnato la sentenza di primo grado negativa per il COGNOME, detta impugnazione non avrebbe sortito alcun effetto positivo, attesa l’effettiva legittimità del licenziamento del COGNOME, essendosi quest’ultimo reso responsabile di una conAVV_NOTAIOa in grave conflitto di interessi con l’RAGIONE_SOCIALE (propria datrice di lavoro), propiziando (nella qualità di responsabile dell’istruttoria contrattuale) la conclusione di un appalto tra l’RAGIONE_SOCIALE e una società la cui proprietà era integralmente riconducibile alla coniuge e al figlio del COGNOME;
sotto altro profilo, la corte territoriale ha altresì confermato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva
escluso il diritto del COGNOME alla restituzione degli importi corrisposti al COGNOME in relazione all’esecuzione della relativa prestazione professionale, non avendo il COGNOME proposto preliminarmente alcuna domanda di risoluzione del contratto d’opera professionale, condizione essenziale e indefettibile ai fini della proposizione della domanda di restituzione di quanto corrisposto in adempimento di tale titolo negoziale;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
NOME resiste con controricorso;
la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) chiamata in causa a fini di manleva, non ha svolto difese in questa sede;
NOME ha depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2105, 1175 e 1375 c.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto improbabile, sul piano prognostico, che l’appello proposto avverso la sentenza di primo grado pronunciata sull’impugnazione del licenziamento del COGNOME non avrebbe avuto alcuna ragionevole possibilità di successo, trascurando totalmente di considerare il valore delle precedenti pronunce emesse dalla stessa Corte d’appello di Napoli e dalla Corte di cassazione in ordine alla riconosciuta validità di altri accordi contrattuali già conclusi dall’RAGIONE_SOCIALE con la stessa società dei familiari del RAGIONE_SOCIALE, sul presupposto dell’insussistenza di alcuna situazione di conflitto di interessi del
COGNOME, essendo emersa l’assenza, in capo a quest’ultimo, di qualsivoglia potere di rappresentanza negoziale dell’RAGIONE_SOCIALE;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nel giudizio di responsabilità dell’AVV_NOTAIO per negligente svolgimento dell’attività professionale verso il cliente, la valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale, avendo ad oggetto il nesso di causalità tra l’attività omessa e il possibile esito favorevole che sarebbe potuto derivare al cliente, attiene al merito di quel giudizio e, come tale, non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che tale valutazione si fondi su un presupposto manifestamente e totalmente errato di modo che la questione posta al giudice del merito sia di puro diritto, poiché l ‘ errore di sussunzione è deducibile con il ricorso per cassazione (cfr., da ultimo, Sez. 3, sentenza n. 28903 del 11/11/2024, Rv. 672565 – 01; v. altresì Sez. 3, sentenza n. 3355 del 13/02/2014, Rv. 630155 – 01);
ciò posto, l’odierna pretesa del COGNOME di ridiscutere in questa sede di legittimità la fondatezza delle ragioni che sarebbero state coltivabili in sede di appello nel giudizio affidato alle cure dell’AVV_NOTAIO (in contrasto con le valutazioni operate dai giudici di merito), in altro non consiste se non in una proposta di rilettura nel merito dei fatti di causa e delle prove, sulla base di un’impostazione critica non consentita in questa sede, non avendo il ricorrente neppure deAVV_NOTAIOo (né risultando oggettivamente) che la valutazione prognostica espressa dal giudice a quo in ordine al probabile esito dell’azione giudiziale fosse fondata su presupposti manifestamente e totalmente errati, tali da qualificare la questione posta al giudice del merito in termini di puro diritto;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale travalicato i limiti posti ai relativi poteri di pronunciarsi sulla domanda di responsabilità promossa nei confronti del COGNOME, non potendo il giudice della responsabilità spingersi alla valutazione degli elementi relativi alla causa nella quale l’inadempimento del professionista si sarebbe concretizzata, senza tener conto del dovere limitarsi a una mera valutazione prognostica circa la probabilità di successo del COGNOME (e non già la relativa certezza); valutazione che, nella specie, il giudice a quo avrebbe per di più compiuto omettendo l’esame di elementi di prova di carattere decisivo;
il motivo è manifestamente infondato;
osserva il Collegio come entrambi i giudici del merito si siano correttamente posti il problema di indagare sulla sussistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento contestato a carico del professionista e il danno denunciato dal COGNOME e hanno correttamente esteso la propria cognizione a tutti gli elementi utili alla ricostruzione di tale aspetto;
deve dunque ritenersi del tutto priva di fondamento l’affermazione sostenuta dall’odierno ricorrente, secondo cui il giudice della responsabilità non avrebbe avuto la possibilità di spingersi alla valutazione degli elementi relativi alla causa nella quale l’inadempimento del professionista si sarebbe concretizzato, costituendo, anzi, detta valutazione, un preciso dovere del giudice, tale essendo quello relativo all ‘ esatta ricostruzione dei fatti di causa sulla base di tutti gli elementi probatori disponibili;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. in relazione alla
domanda di restituzione degli importi pagati a titolo di compenso professionale (in relazione all’art 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che la domanda di condanna del COGNOME alla restituzione delle somme corrisposte dal COGNOME in ottemperanza al contratto d’opera professionale presupponesse necessariamente la previa proposizione di una domanda di risoluzione contrattuale;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, deve escludersi – in termini generali – che la proposizione di una domanda risarcitoria conseguente alla denuncia di un inadempimento contrattuale comprenda necessariamente anche una domanda di risoluzione del contratto che si assume inadempiuto, giacché l ‘ art. 1453 cod. civ., facendo salvo in ogni caso il risarcimento del danno, esclude che l’azione risarcitoria presupponga il necessario esperimento dell’azione di risoluzione del contratto, con la conseguenza che non può ritenersi implicita nella proposizione della domanda risarcitoria quella, autonoma, di risoluzione del contratto (cfr. Cass., n. 21045 del 27/7/2024; Cass., n. 23820 del 24/11/2010; principio espressamente richiamato e ribadito da Cass. n. 11348 del 12/6/2020; v. anche Cass., 7/11/2023 n. 31026, in motivazione);
ciò posto, il rimborso del corrispettivo versato al professionista può costituire esclusivamente un effetto restitutorio e si pone al di fuori del paradigma dell ‘ art. 1223 c.c., che contempla – a fini esclusivamente risarcitori -le sole conseguenze immediate e dirette dell’inadempimento;
ferme tali premesse, non avendo il ricorrente proposto alcuna previa domanda di risoluzione contrattuale, né alcuna richiesta di rimborso del corrispettivo versato al professionista (quale domanda di
restituzione di quanto pagato in forza del titolo negoziale impugnato), la pretesa cancellazione dell’avverso credito professionale deve ritenersi priva di fondamento, attesa la persistente efficacia del titolo negoziale (ossia del contratto d’opera professionale) giustificativo di detto credito;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti, avuto riguardo alla specificità delle circostanze di causa analiticamente descritte in ricorso;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se aAVV_NOTAIOata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Sez. U, Sentenza n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 -01 e successive conformi);
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 10.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione