Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34308 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34308 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2173/2022 R.G., proposto da
NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME, rappresentate e difese dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al ricorso, ex lege domiciliate in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, INDIRIZZO (pecEMAIL;
-ricorrenti –
nei confronti di
NOME COGNOME e NOME COGNOME quest’ultimo rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso, il quale si difende in proprio, ex lege domiciliati in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, INDIRIZZO (pec: EMAIL;
-controricorrenti-
CC 7 giugno 2024
Ric. 2173 del 2022
Pres. A. Scrima
Rel. I. COGNOME
nonché nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa nel presente giudizio dal l’A vv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’ Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al controricorso (pec: EMAIL ; EMAIL );
-controricorrente –
per la cassazione della sentenza n. 2782/2021 della CORTE d’APPELLO di VENEZIA, depositata il 3 novembre 2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 giugno 2024 dalla Consigliera dr.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
1. Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato nel luglio 2017, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio gli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Verona deducendo che: i convenuti avevano assistito il loro dante causa, NOME COGNOME, Colonnello dell’Esercito in pensione , nella causa da quegli promossa dinanzi la Corte dei Conti-Sezione Giurisdizionale per il Veneto, conclusasi con la sentenza n. 1312/05, che ne aveva riconosciuto il diritto alla ‘parziale omogeneizzazione’ stipendiale prevista dall’art. 5 , comma 1, della legge n. 231/90; i difensori convenuti, per conto del predetto assistito, avevano quindi notificato la sentenza al Ministero della Difesa presso l’Avvocatura Distrettuale di Venezia il 13 /12/2005 al fine di provocare la decorrenza del termine di 60 giorni per l’impugnazione; successivamente, il 18/7/16, il Ministero della Difesa aveva impugnato tardivamente la sentenza, ma la Corte dei Conti, Sezione prima giurisdizionale centrale d ‘ appello, con sentenza n. 73/08, aveva accolto l’impugnazione nel merito, ritenendola tempestiva per nullità della notificazione della sentenza di primo grado in quanto effettuata presso la sede dell’Avvocatura Distrettuale e non presso la sede dell’Avvocatura Generale dello Stato; in qu esto giudizio
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d ‘ appello, a seguito del decesso di NOME COGNOME, si erano costituite le attrici in qualità di eredi; a fronte della palese erroneità della motivazione resa sulla base del giudizio di tempestività dell’impugnazione, i difensori, su incarico delle attrici, avevano esercitato dinanzi il Tribunale di Venezia un’azione di responsabilità civile nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi della legge n. 117/18, facendo valere il danno corrispondente al trattamento economico riconosciuto dalla sentenza n. 1312/05 della Corte dei Conti-Sezione Giurisdizionale per il Veneto, il cui passaggio in giudicato era stato negato erroneamente dalla sopra citata sentenza n. 73/08 resa dalla medesima Corte in appello.
Con ordinanza del 10.3.14, il Tribunale di Venezia, rilevato un recente revirement della Corte di Cassazione in punto di competenza (ad opera dell’ordinanza n. 8997/12), aveva dichiarato la propria incompetenza indicando quale giudice competente quello di Perugia; a seguito di ciò, i legali, sempre per conto delle attrici, avevano promosso la stessa azione dinanzi il Tribunale di Perugia, che, pur essendo tardiva ai sensi degli artt. 4 e 5 della legge n. 117/88, era formulata sul presupposto di richiedere u n’istanza di rimessione in termini , giustificata dal mutamento di giurisprudenza; il Tribunale di Perugia, però, con decreto del 10/7/2015, ritenendo che la causa dovesse essere riassunta, a seguito della dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Venezia, e non reintrodotta con istanza di rimessione in termini (come fatto dai convenuti), aveva dichiarato inammissibile l’azione.
Sulla base di tali deduzioni le attrici, dichiarando di voler far valere la responsabilità professionale dei convenuti per l’errore compiuto dopo la dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Venezia ed in particolare per la scelta di riproporre la domanda davanti il giudice competente senza procedere ad una vera e propria riassunzione, ne hanno chiesto, in via principale, la condanna al risarcimento dei danni subiti in misura corrispondente all’esito della causa di responsabilità civile dichiarata inammissibile, a sua volta corrispondente al trattamento economico
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riconosciuto dalla sentenza n. 1312/2005 Corte dei Conti-Sezione Giurisdizionale per il Veneto, oltre alle spese legali sostenute per i due giudizi; in via subordinata (ovvero nell’ipotesi di un giudizio prognostico di infondatezza dell’azione di responsabilità civile nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri), hanno chiesto accertarsi l’inadempimento dei convenuti agli obblighi informativi su di loro gravanti e la condanna alla restituzione delle somme ricevute a titolo di onorari e rimborso spese. Gli Avvocati COGNOME COGNOME si sono costituiti in giudizio, chiedendo di essere autorizzati alla chiamata in causa a manleva di RAGIONE_SOCIALE e chiedendo il rigetto delle domande tutte formulate nel ricorso introduttivo.
Autorizzata la chiamata in causa di RAGIONE_SOCIALE, il Tribunale di Verona con sentenza n. 220/2020 ha rigettato le domande delle eredi COGNOME con condanna delle stesse, a rimborsare ai convenuti professionisti, in solido, le spese di lite del grado.
3 . Avverso la decisione di prime cure hanno proposto appello le eredi COGNOME; si sono costituite le parti appellate, resistendo al gravame, la Corte d’appello di Venezia con la sentenza n. 2782/2021 ha rigettato l’appello , confermando integralmente la sentenza n. 220/2020 del Tribunale di Verona e con condanna delle appellanti alle spese di lite del grado.
Per quanto ancora qui di rilievo, la Corte d’appello ha osservato che il Tribunale di Verona aveva già correttamente evidenziato come fossero stati imputati ai due convenuti due distinti inadempimenti, il primo costituito dalla proposizione di una nuova domanda avanti al Tribunale di Perugia, senza procedere alla riassunzione della precedente azione, e il secondo, consistito nella violazione dei doveri informativi con riguardo alle possibilità di impugnare il provvedimento del Tribunale di Perugia; pretesi distinti inadempimenti dallo stesso Tribunale di Verona ritenuti insussistenti. Ha aggiunto la Corte d’appello, a conferma di quanto statuito dal Tribunale, che la declaratoria di incompetenza del Tribunale di Venezia si risolveva necessariamente in una pronuncia di inammissibilità dell’azione e che,
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quindi, essa non solo non precludeva, ma comportava la necessità di introdurre una nuova azione avanti al giudice competente (in ossequio al precedente di legittimità, Cass. Sez. 6-3 n. 8997/2012 in punto di competenza in tema di azione per la responsabilità civile dei magistrati), sicché la decisione assunta dai legali di proporre una nuova azione risultava corretta e in linea con l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità; inoltre, ha ritenuto del tutto irrilevante la questione del ‘ se le parti fossero o meno già decadute dall’azione ‘ in quanto i legali avevano previsto, in caso positivo, la proposizione in dell’istanza di remissione in termini, rimedio corretto che avrebbe trovato sicuramente accoglimento.
La Corte d’appello ha confermato , infine, la valutazione del primo giudice sull’assenza di negligenza in ordine ai doveri informativi gravanti sui legali sulla possibilità di impugnazione dell’ordinanza del Tribunale di Perugia; in proposito, ha evidenziato: – che i due procuratori, all’indomani della pronuncia dell’ordinanza del Tribunale di Perugia, avevano convocato le tre appellanti al fine di valutare l’opportunità se procedere all’impugnazione della stessa, facendo presente l’orientamento sfavorevole manifestato sul punto fino a quel momento da parte della Corte d’appello; – che sia NOME COGNOME che NOME COGNOME avevano sottoscritto una dichiarazione ricognitiva al riguardo, affermando di essere state adeguatamente informate dai due legali delle possibilità di accoglimento di una eventuale impugnazione e che, pertanto, stante il rapporto di parentela e il carattere congiunto dell’iniziativa, doveva ritenersi che analoghe informazioni fossero state in seguito estese anche a NOME COGNOME e che la decisione di non impugnare il provvedimento fosse stata presa congiuntamente dalle clienti sulla base delle informazioni fornite dai due legali.
4. Per la cassazione della sentenza d’appello , ricorrono le eredi COGNOME sulla base di due motivi; con controricorso resistono gli Avvocati COGNOME ha depositato distinto atto di controricorso RAGIONE_SOCIALE
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La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art . 380bis .1, cod. proc. civ..
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, le ricorrenti lamentano la ‘ Violazione dell’art. 360, comma 1°, nr. 3, c.p.c., in relazione all’art. 35 del Codice Deontologico Forense, del combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. ‘ , per avere la Corte d’a ppello fatto malgoverno delle norme che disciplinano l’obbligo di diligenza che il professionista è tenuto ad osservare nell’espletamento del proprio incarico, anche con specifico riferimento al dovere di informazione; in particolare, la Corte territoriale ritenendo corretta la valutazione del primo giudice circa l’assenza di negligenza in ordine ai doveri informativi gravanti sui legali in merito alla possibilità di impugnazione dell’ordinanza del Tribunale di Perugia, avrebbe basato tale conclusione, per un verso, sulla circostanza della convocazione, ad opera dei difensori, delle odierne ricorrenti e della contestuale comunicazione dell’orientamento sfavorevole manifestato sul punto, fino a quel momento, da parte della Corte d’appello competente e, per l’altro, riten uto l’adeguatezza dell’informativa resa dal collegio difensivo comprovata dalla sottoscrizione, ad opera di NOME COGNOME e NOME COGNOME, di una dichiarazione ricognitiva, allegata in atti, nella quale le stesse asserivano di essere state adeguatamente informate dai due legali; sostengono che sulla base della giurisprudenza maggioritaria di legittimità (non citata specificatamente) il dovere informativo dei difensori ‘ non può dirsi assolto semplicemente attraverso una mera informativa rivolta al cliente, rispetto ad una scelta di natura tecnico/procedurale la cui valutazione richiede necessariamente specifiche competenze di natura giuridica che fanno capo esclusivamente al professionista ‘ , soprattutto con riferimento alla proposizione del reclamo che, nella fattispecie in esame, sarebbe stato certamente accolto secondo la prospettazione della stessa Corte d’appello di Perugia (posto che la scelta dello strumento processuale della rimessione
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in termini, adottata dagli stessi patrocinatori, sebbene frustrata dalla decisione di primo grado del Tribunale di Perugia, sarebbe stata certamente premiata, con conseguente accoglimento del reclamo e riconoscimento dei diritti delle eredi del colonnello COGNOME); sostengono altresì che il Tribunale di Verona in prime cure aveva ‘ in maniera chiara ed inequivocabile statuito la fondatezza delle ragioni delle ricorrenti siccome azionate nel presupposto giudizio di responsabilità contro i magistrati della Corte dei Conti, tanto da parlare espressamente e testualmente di « giudizio prognostico circa l’esito positivo dell’azione di responsabilità civile (e del resto, questa azione, aveva già superato il vaglio di ammissibilità del Tribunale di Verona, prima che fosse rilevata l’incompetenza in ragione del mutamento della giurisprudenza di legittimità) »’ ed ancora aveva reputato configurabile un ‘errore’ « nell’individuazione della disposizione normativa applicabile, astrattamente idoneo a rie ntrare nella nozione di ‘grave violazione di legge» di cui all’art. 2 comma 3 lett a) della legge n. 117/88’ ed infine la stessa sentenza di primo grado aveva ritenuto che «nel precedente di merito negativo richiamato dalle parti e relativo a fattispecie speculare (Corte di Appello Perugia n. 241/15), non sembra rinvenibile alcuna argomentazione idonea a giustificare la riconduzione dell’omessa applicazione dell’art. 11 comma 5 RD n. 1611/33 ad una mera attività interpretativa».
Con il secondo motivo, le ricorrenti lamentano la ‘ Violazione dell’art. 360, comma 1°, nr. 3, c.p.c., in relazione agli artt. 2727 c.c. e 2729 c.c.. Omesso esame di un fatto storico oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, comma 1°, nr. 5, c.p.c. ‘ , per avere la Corte territoriale erroneamente – in relazione all’art. 2727 ed all’art. 2729 c.c. – tratto argomenti di prova circa l’esistenza di un fatto ignoto da fatti noti, ma in totale assenza dei presupposti richiesti dalla legge.
In particolare, la Corte d’appello avrebbe inferito l’adeguatezza dell’informativa fornita dai legali alla cliente, NOME COGNOMEassente durante il colloquio con le due altre assistite), semplicemente quale
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conseguenza del rapporto di parentela che lega quest’ultima alle altre due ricorrenti, nonché del fatto che queste ultime due avessero sottoscritto una dichiarazione in cui, solo apparentemente, dichiaravano di essere consapevoli dei rischi dell’azione giudiziaria da intraprendersi, onde la Corte d’appello avrebbe sostanzialmente ritenuto elementi gravi, precisi e concordanti il semplice ‘rapporto di parentela’ e il ‘carattere congiunto dell’iniziativa’, senza specificare in che modo e con quali modalità simili elementi avrebbero dovuto condurre NOME COGNOME ad essere correttamente informata dai difensori delle probabilità di successo (o insuccesso) dell’eventuale reclamo; richiamano a conforto della doglianza la giurisprudenza della Suprema Corte che si è espressa nel senso della non valenza probatoria di tali elementi, allorché basati -come nella fattispeciesu semplici ‘congetture’ o ‘regole generali prive di una sia pur minima plausibilità’ subordinando il giudizio espresso dal giudice di merito al vaglio del sindacato di legittimità (cfr. Cass. Sez. 3, ordinanza n. 6387 del 15 marzo 2018; Cass Sez. 6-5, ordinanza n. 10973 del 5 maggio 2017); deducono, infine, che ciascuna di queste circostanze erano state oggetto di discussione nel giudizio d’appello ma non esaminate dalla Corte di merito.
3. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Seppur le ricorrenti formalmente denuncino la violazione di legge in ordine alla responsabilità professionale dei legali controricorrenti, nella sostanza, richiedono una rivisitazione di fatti e circostanze, già definitivamente accertati in sede di merito e una diversa interpretazione dell’ oggetto del contendere, inammissibile in sede di legittimità, omettendo altresì di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 6 – 3, 4/07/2017 n. 16467; Cass. Sez. 1, 23/05/2014 n. 11511; Cass. Sez. L, 13/06/2014 n. 13485; Cass. Sez. L, 15/07/2009 n. 16499).
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Contrariamente a quanto assunto dalle ricorrenti, la Corte veneziana ha ben analizzato le circostanze fattuali e correttamente escluso il titolo di responsabilità ascritto ai legali; pertanto, i motivi di ricorso attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dal giudice di merito, debitamente motivato e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.
Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
In primo luogo, è inammissibile poiché a nch’esso investe profili meramente fattuali correttamente esaminati dalla Corte di appello.
Quanto alla violazione delle norme in tema di prova presuntiva, lungi da porre questioni di violazione di legge, esse ripropongono questioni già ritenute infondate da entrambi i giudici di merito e tendono, come evidenziato a proposito del motivo precedente, a richiedere surrettiziamente un accertamento di merito precluso a questa Corte, a fronte di un adeguato accertamento compiuto nel merito.
In secondo luogo è infondato poiché non sussiste il preteso omesso esame delle circostanze dedotte da parte della Corte territoriale e in particolare che NOME COGNOME non fosse stata informata debitamente dai legali, tenuto conto che: – le informazioni erano state ricevute soltanto dalla madre e dalla sorella, – che la dichiarazione era stata sottoscritta soltanto da queste ultime e che – solo loro avevano ricevuto (al solo indirizzo di residenza della madre e della sorella) la comunicazione scritta indirizzata a tutte e tre le clienti dai legali.
La Corte d’appello, lungi dall’aver posto a fondamento del proprio argomentare mere ‘congetture’ o ‘regole generali prive di una sia pur minima plausibilità’ , con la decisione impugnata, ha tenuto conto specificatamente delle dedotte circostanze e, contrariamente a quanto sostenuto dalle odierne ricorrenti, correttamente apprezzandole e dando adeguatamente conto degli elementi di prova acquisiti ai fini del ragionamento presuntivo compiuto; difatti, ha osservato come le tre attrici avessero introdotto congiuntamente i vari giudizi in ogni grado, assumendo concordemente ogni decisione, unitamente alla considerazione del fatto dello stretto rapporto di parentela tra le stesse esistente
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(madre e figlie), ritenendo correttamente che l’informazione ricevuta dalla madre e dalla sorella al convegno, nel quale tutte e tre le clienti erano state convocate dai difensori, sia tempestivamente pervenuta anche alla terza cliente, NOME, anche se non presente al convegno.
5. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità vengono integralmente compensate tra tutte le parti in ragione sia della peculiarità delle questioni esaminate sia della alternanza delle vicende processuali di merito.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002 (Cass. Sez. U. 20/02/2020 n. 4315).
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso;
Le spese del presente giudizio di legittimità vengono compensate tra tutte le parti.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione